Valutazione dello stress: criticità e problematiche organizzative
I risultati del lavoro di un’azienda sanitaria riguardo al controllo e all’assistenza di diverse attività produttive in merito alla valutazione del rischio stress lavoro correlato. Le criticità, i problemi organizzativi e le esperienze positive.
Milano, 19 Set – Sicuramente uno dei rischi più difficili da rilevare, più trascurati nelle valutazioni dei rischi, più critici per le aziende è quello relativo allo stress lavoro correlato. E lo dimostrano anche le ricerche, le inchieste e le attività di monitoraggio che hanno evidenziato spesso criticità nell’applicazione della normativa e nella realizzazione delle valutazioni dello stress lavoro correlato.
Per continuare a raccogliere dati su questo tema, anche con riferimento ai risultati delleattività di monitoraggio e controllo svolto dalle aziende sanitarie, possiamo fare riferimento ad un intervento al convegno “ Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” organizzato da AIBEL, ATS Milano e SNOP (Milano, 7 giugno 2016).
Nell’intervento “Il percorso di una ATS: assistenza, controllo, evidenze di buone pratiche”, a cura della D.ssa Maria Grazia Fulco e del Dr. Elio Gullone (ATS Città Metropolitana di Milano – SC PSAL), ci si sofferma proprio su alcune attività di verifica svolte, a proposito del rischio stress lavoro correlato, dall’ATS Città Metropolitana di Milano (invio di lettere e questionari, attività di audit, raccolta documenti di valutazione dei rischi (DVR),…). Attività che dal 2011 al 2016 hanno “intercettato” ben 384 attività produttive (con 68 segnalazioni riguardanti lo stress e 90 aziende “non a posto”).
Rimandano alla lettura diretta dell’intervento, che riporta esempi della documentazione e del monitoraggio svolto, riportiamo in breve alcuni risultati dei controlli:
– “criticità principali sono trasversali a tutti i settori;
– scarsa informazione/formazione rivolta a RLS e lavoratori, loro minimo coinvolgimento;
– ruolo carente del datore di lavoro;
– limitata partecipazione professionale del Medico Competente;
– ruolo di contabilità del RSPP (tabelle e numeri);
– affidamento consulente esterno, visto come risolutore dei problemi interni;
– adempimento formale alla norma;
– carenze di proposte migliorative anche possibili;
– carente il programma di interventi migliorativi;
– genericità DvR non sempre adeguato al contesto in caso di aziende multisito, o diverse unità produttive”.
Sono state poi rilevate varie problematiche organizzative.
Ad esempio “in cooperative nel settore delle pulizie, dell’assistenza, in imprese di vigilanza, ed anche in qualche catena della GDO (grande distribuzione organizzata, ndr): scarsa capacità e talvolta non volontà di gestire i turni, le assenze per malattia, i permessi, la gestione del personale in generale, i turni ‘spezzati’ che incidono fortemente sulla conciliazione casa/lavoro”. In certi casi si ricorre poi a “chiedere la copertura di eventuali emergenze di personale ai lavoratori più disponibili generando malcontento fra i lavoratori, fino ad arrivare in qualche caso a far pensare al lavoratore che ci fosse una chiara volontà da parte dell’azienda a creare volutamente disagio alla persona”. E le conseguenze possono essere “aumento del turn-over lavorativo, richieste al medico competente, aumento diagnosi da distress lavorativo, contenziosi”, …
Sempre riguardo alle problematiche organizzative l’intervento si sofferma anche sulla “gestione di personale con provenienza geografica diversa (RSA, Cantieri e Cooperative)” e su aspetti come:
– “differenze di genere, di culto, di cultura;
– scarsa vigilanza su figure addette alla gestione e controllo di altro personale, ad esempio, capitani di vigilanza, governanti degli hotel, capomanovale, e così via;
– assenza di procedure chiare agli operatori e al pubblico;
– mancato sostegno a lavoratori in affaticamento lavorativo”.
E si indica come, ad esempio, nelle banche si sia dimostrato come “fortemente stressante il tema della vendita ‘imposta’ di prodotti finanziari tossici o difficili”.
Spesso poi è stato trascurato “il rischio da aggressione, o l’impatto emotivo dei lavoratori che hanno a che fare con clienti/utenti difficili” (sportellisti di banche, operatori sociali, conducenti di autobus/treni, addetti alla assistenza, …).
Dopo l’attività di monitoraggio e assistenza dell’ATS, alcune problematiche sono staterisolte.
Ad esempio in alcune aziende “è migliorata la capacità di gestire il personale, semplicemente, affidando tale responsabilità a figure più capaci, anche nella progettazione ed organizzazione del lavoro”.
E per la gestione delle etnie diverse “alcune cooperative si sono orientate sulla scelta di monoetnie, altre hanno cercato di valorizzare le differenze fra le varie provenienze geografiche, promuovendo momenti di incontro con la messa in comune di cibi tradizionali (RSA) con riferito beneficio”.
In particolare l’ATS ha favorito i miglioramenti “sia con gli Audit, che con le comunicazioni di riscontro ed anche con i verbali”, cercando di:
– “stimolare le aziende a concentrarsi sulle criticità allo scopo di favorire la ricerca di miglioramenti validi per la collettività;
– continuare la promozione e la facilitazione del dialogo fra le figure della prevenzione aziendale;
– favorire l’emersione di buone prassi per la gestione del rischio organizzativo”.
Sono stati poi proposti “interventi info-formativi ai lavoratori sui rischi connessi alle criticità organizzative”, corsi per medici competenti, sostegno alle reti di RLS, …
E si è cercato di far cogliere la valutazione come “opportunità di miglioramento nella propria azienda”.
Sono poi riportate nell’intervento alcune esperienze positive, con riferimento particolare a due esperienze “diverse per tipologia, ma simili per l’attenzione posta nei confronti del proprio personale”.
Ad esempio l’esperienza positiva di una cooperativa di facchinaggio che ha portato a:
– “capacità di intervento e vigilanza su aspetti conflittuali fra lavoratori;
– apertura di canali di comunicazione fra lavoratori e vertice aziendale con possibilità di esplicitare eventuali propri disagi direttamente al DL;
– creazione di eventi conviviali per favorire l’integrazione in azienda;
– chiara identificazione delle figure cui far riferimento;
– messa a disposizione di appartamenti per lavoratori fuori sede ed in temporanea difficoltà”.
In ogni caso nelle due esperienze positive raccontate nell’intervento “l’attenzione era stata posta sulle persone che costituivano l’azienda, era stato istituito e presidiato un percorso strutturato che si avvaleva di più canali di comunicazione efficaci per parlare al datore di lavoro. Era stato realizzato un monitoraggio costante della vita aziendale che aveva trasferito nei lavoratori la fiducia e la consapevolezza di essere ascoltati e di rappresentare una risorsa per tutta l’azienda”.
In conclusione i risultati di questa attività dell’ATS mostrano come “una vera presa in carico del datore di lavoro con una valutazione rispettosa dell’accordo europeo negli aspetti concreti, che superi gli adempimenti meramente formali, rappresenti lo strumento dinamico ed efficiente per migliorare il benessere dei lavoratori”. E i risultati migliori sono stati trovati dove si è riscontrata una “collaborazione fattiva dei lavoratori, insieme a tutte le figure della prevenzione, anche nella ricerca di soluzioni. E dove si era realizzata la capacità di leggere con intelligenza di mente e di cuore (slegandosi da esclusive-immediate valutazioni economiche) la realtà aziendale”.
“ Il percorso di una ATS: assistenza, controllo, evidenze di buone pratiche”, a cura della D.ssa Maria Grazia Fulco e del Dr. Elio Gullone (ATS Città Metropolitana di Milano – SC PSAL), intervento al convegno “Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” (formato PDF, 1,11 MB).
Tiziano Menduto
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Fonte: puntosicuro.it
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