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Come è cambiata nel tempo l’esposizione ad agenti cancerogeni

Alcune riflessioni sulle modifiche nel tempo del rapporto tra lavoro e agenti cancerogeni. La necessità di misure più affinate, le criticità normative, le indicazioni per la classificazione dei soggetti esposti e ex-esposti ad agenti cancerogeni.
Ancona, 16 Set – In relazione al rapporto tra lavoro e tumori professionali nel secolo scorso si poteva fare riferimento a soggetti così fortemente esposti, rispetto al resto della popolazione, che era sufficiente distinguere tra “esposti” e tutti gli altri, i “non esposti”. Ma oggi nel nostro Paese “il quadro dei rischi è molto cambiato”. Infatti “molte lavorazioni e molti agenti di particolare pericolosità sono scomparsi o semplicemente sono stati esportati verso Paesi ‘in via di sviluppo’. (dove, ovviamente, esercitano i medesimi effetti che ‘da noi’). ‘Da noi’ le esposizioni occupazionali ad agenti cancerogeni sono divenute nel complesso di minor intensità e meno costanti in una singola storia lavorativa, ma spesso si sono sparse a macchia d’olio in una miriade di condizioni di ‘bassa’ esposizione”.

Quindi ora il range delle esposizioni occupazionali a cancerogeni “non può più essere letto ‘in bianco e nero’ e si è certo tutto spostato verso il basso: è necessario adottare una ragionevole scala di grigi, dai meno ai più scuri”.

 

 

Queste sono le parole tratte dalla presentazione di un workshop che si è tenuto ad Ancona il 16 giugno 2016, organizzato dalla Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione (SNOP), insieme ad ASUR Marche AV3, e dal titolo “Linee di indirizzo e azioni del sistema pubblico per l’applicazione del programma sui cancerogeni occupazionali e i tumori professionali nel contesto del piano nazionale della prevenzione 2014-2018”.

 

L’evento ha permesso un approfondimento e un’accurata riflessione sulla situazione attuale delle problematiche relative ai cancerogeni occupazionali, anche con riferimento alla normativa vigente e al piano nazionale di prevenzione.

 

Per diffondere queste riflessioni e offrire utili informazioni ai nostri lettori sul tema dell’esposizione a cancerogeni in Italia, ci soffermiamo oggi sul contributo dal titolo “Applicazione degli artt. 236, 242, 243 e 244 del Dlgs 81/08. La valutazione dell’esposizione ad agenti cancerogeni e del rischio che ne consegue. Indicazioni per la classificazione dei lavoratori come ‘professionalmente esposti ad agenti cancerogeni’, la loro l’inclusione in programmi di sorveglianza sanitaria ad hoc e la loro conseguente registrazione. La questione degli ex-esposti ad agenti cancerogeni in ambiente di lavoro” a cura di Roberto Calisti (Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro – SPreSAL – Civitanova Marche – ASUR MARCHE – area vasta n. 3).

 

Nel documento, che come racconteremo in un prossimo articolo ha stimolato la pubblicazione di un successivo documento comune di vari operatori, si ricorda che il tema del “lavoro ed esposizione ad agenti cancerogeni” è da molto tempo che è sotto attenzione e in studio in Italia. E si racconta, a partire dagli anni ’50 ad oggi, le pubblicazioni, gli studi, le ricerche rilevanti che hanno affrontato il tema.

 

Tuttavia, come si racconta nella presentazione, in Italia le esposizioni occupazionali ad agenti cancerogeni sono cambiate, sono “divenute nel complesso di minor intensità e meno costanti in una singola storia lavorativa (spesso interessano solo una fase, anche relativamente breve, della storia di lavoratori che cambiano molte occupazioni)”. Oggi è necessario definire “scale articolate di più classi di professionalmente esposti su diversi livelli, scale i cui gradini più bassi possono essere (ad esempio per gli idrocarburi policiclici aromatici – IPA – e il benzene) in overlapping (sovrapposizione, ndr) con quelli di alcune fasce di ‘popolazione generale’ con esposizioni ambientali significative”.

 

In ogni “le esposizioni occupazionali a cancerogeni che oggi vediamo (o almeno dovremmo vedere – spesso siamo un po’ miopi) sono più difficili da identificare e da misurare che in passato”.

Tra l’altro oggi l’identificazione di gruppi omogenei per esposizione è “particolarmente difficile ed ha un’utilità limitata finché non sia corredata da una stima dell’entità dell’esposizione che caratterizza ciascun gruppo, anche solo lungo una scala semi-quantitativa.

Ad esempio, per intendersi, “il titolo di mansione ‘asfaltatore di strade’ va certamente ancor oggi associato ad un’esposizione occupazionale ad IPA, ma sappiamo anche che per gli asfaltatori misure di esposizione fatte in contesti recenti diversi hanno dato valori molto diversi; è quindi importante sapere quanti IPA ci sono negli asfalti in uso, se si asfalta all’aperto o in galleria, se a fine a turno i lavoratori si fanno una doccia che rimuove l’imbrattamento cutaneo e così via”. E oltre ad ottenere informazioni più approfondite sugli scenari di esposizione, oggi “dobbiamo costruire possibilità di misura più affinate e sensibili, matrici lavoro-esposizione sistemiche specifiche per tempo e per luogo e capacità di ragionamento che ci consentano di inferire, sistematizzare le conoscenze, trasferirle da un contesto all’altro”.

 

Il documento, che vi invitiamo a visionare integralmente, risponde poi a molte domande:

– quanti sono esposti a cancerogeni in ambiente di lavoro oggi in Italia, a cosa esattamente sono esposti e “quanto”?

– quanti sono i tumori professionali incidenti oggi in Italia?

– come affrontare il problema? Quali sono i riferimenti di legge e le “linee-guida”?

E si sofferma anche su alcuni temi rilevanti:

– criteri per la sorveglianza sanitaria e l’attivazione di screening oncologici per gli esposti e gli ex-esposti ad agenti cancerogeni in ambiente di lavoro (art. 242 Dlgs 81/08);

– indicazioni pratiche per la classificazione di soggetti individuali come “esposti / ex -esposti ad agenti cancerogeni in ambiente di lavoro” e la loro conseguente registrazione;

– esposizione occupazionale ad agenti cancerogeni: individuazione, caratterizzazione, contrasto;

– il monitoraggio delle esposizioni e dei tumori.

 

Ricordiamo che a livello normativo la materia è regolata dagli artt. 236, 242, 243 e 244 del D.Lgs. 81/2008. Il documento ne riporta alcuni stralci:

– dall’art. 236: ‘(…) il datore di lavoro effettua una valutazione dell’esposizione a agenti cancerogeni o mutageni, i risultati della quale sono riportati nel documento di cui all’art. 17’;

– dall’art. 242: ‘I lavoratori per i quali la valutazione di cui all’articolo 236 ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti a sorveglianza sanitaria”;

– dall’art. 243: ‘I lavoratori di cui all’articolo 242 sono iscritti in un registro nel quale è riportata, per ciascuno di essi, l’attività svolta, l’agente cancerogeno (…) utilizzato e, ove noto, il valore dell’esposizione a tale agente’;

– l’art. 244 ha disposto la realizzazione di ‘sistemi di monitoraggio dei rischi occupazionali da esposizione ad agenti chimici cancerogeni e dei danni alla salute che ne conseguono’.

E si indica tuttavia che dal 1996/2002 (produzione e poi aggiornamento di linee guida) “non vi è stata più una produzione di indirizzo formale e organica del sistema pubblico” su questa materia. E questo “ha fatto sì che si siano protratti nel tempo equivoci” e “difficoltà oggettive di interpretazione e applicazione della norma. E al di là di questo documento, che affronta alcuni argomenti che sono rimasti negli anni maggiormente critici, “resta indispensabile e sempre più urgente un pronunciamento istituzionale e organico del sistema pubblico”.

 

Ci soffermiamo brevemente, tra i tanti temi trattati, sulle “indicazioni pratiche per la classificazione di soggetti individuali come ‘esposti/ex-esposti ad agenti cancerogeni in ambiente di lavoro’ e la loro conseguente registrazione”.

 

L’autore indica che andrebbero certamente “rivisti gli articoli 242 e 243 del Dlgs 81/08, che nella loro formulazione attuale potrebbero prefigurare, se applicati davvero e alla lettera (cosa che comunque non è), un’attivazione automatica di programmi di sorveglianza sanitaria massiva e di conseguente ‘etichettatura’ dei soggetti professionalmente esposti o ex-esposti a cancerogeni per qualunque tipologia di esposizione, di qualunque intensità e di qualunque frequenza. Si ribadisce che ha senso inserire le persone in un programma di sorveglianza sanitaria ad hoc esclusivamente in funzione della probabilità che si ammalino di un dato tipo di cancro, del tipo di cancro che rischiano di contrarre e delle opportunità realmente offerte da una diagnosi precoce”. E si segnalano anche altre incongruità o criticità della normativa.

 

Tuttavia si ricorda che, partendo dalla situazione normativa attuale, vi sono comunque delle “indicazioni pratiche che è possibile applicare nell’immediato”.

Ne riassumiamo alcune:

– “la valutazione dell’ esposizione ad agenti cancerogeni è comunque un obbligo dei datori di lavoro” e deve “qualificare l’esposizione in termini quantitativi di intensità e durata, oltre che descrivendone le modalità (potremmo dire oggi gli ‘scenari di esposizione’)”;

– il “gold standard” (lo standard di riferimento) della valutazione dell’esposizione è “senz’altro costituto da misure dirette (a condizione che siano di buona qualità), ma spesso queste possono essere di improba realizzazione e/o di limitata rappresentatività”. Le misure dirette “possono quindi essere utilmente integrate da stime, per trasposizione alla realtà in esame di valutazione di misure condotte in contesti paragonabili”;

– “si è visto come l’art. 242 e, conseguentemente, l’art. 243 del Dlgs 81/08 si applichino ‘quando la valutazione di cui all’articolo 236 ha evidenziato un rischio per la salute’. È senz’altro problematico il fatto che la legge non definisca espressamente l’espressione ‘rischio per la salute’, se non in modo indiretto e inconclusivo tramite questa definizione della parola ‘rischio’ contenuta dell’art. 222 del Dlgs 81/08: ‘la probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di utilizzazione o esposizione’. Si ritiene peraltro ragionevole assumere che, essendo il Dlgs 81/08 un ‘Testo unico sulla salute e sicurezza del lavoro’, il rischio per la salute di cui trattasi sia esclusivamente quello occupazionale e che, per gli agenti cancerogeni, si tratti esclusivamente del rischio di generazione” di quelli che nel documento “sono stati definiti come ‘tumori professionali’: cioè quei tumori che riconoscono una quota rilevante delle proprie cause in una o più esposizioni occupazionali”.

 

Rimandando ad una lettura delle riflessioni successive sulle esposizioni, veniamo alla parte conclusiva del paragrafo dove si indica che perché si possa parlare di “esposizioni sporadiche e di debole intensità” (ESEDI) – in questo caso non si applicano alcuni articoli del D.Lgs. 81/2008 – “debbono sussistere sia la condizione della sporadicità, sia quella della debole intensità”.

E si propone che “per tutti gli agenti cancerogeni chimici (amianto non escluso):

– possano considerarsi ‘sporadiche’ le esposizioni che si protraggano per non più di sessanta ore in un anno solare (vale a dire, per la durata di una settimana di lavoro e mezza, della durata convenzionale di quaranta ore), per non più di quattro ore per singolo intervento ‘esposto’, per non più di due interventi ‘esposti’ al mese;

– possano considerarsi ‘di debole intensità’ le esposizioni il cui valore si collochi nello stesso ordine di grandezza del limite superiore del range di oscillazione dell’esposizione della ‘popolazione generale non professionalmente esposta’ (che quindi deve essere ben noto, con modalità tempo- e luogo-specifica)”.

Una mera proposta tecnica “per la cui applicabilità, o meno, non si può che rimandare a un pronunciamento istituzionale formale”.

 

 

“ Applicazione degli artt. 236, 242, 243 e 244 del Dlgs 81/08. La valutazione dell’esposizione ad agenti cancerogeni e del rischio che ne consegue. Indicazioni per la classificazione dei lavoratori come ‘professionalmente esposti ad agenti cancerogeni’, la loro l’inclusione in programmi di sorveglianza sanitaria ad hoc e la loro conseguente registrazione. La questione degli ex-esposti ad agenti cancerogeni in ambiente di lavoro”, a cura di Roberto Calisti (Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro – SPreSAL – Civitanova Marche – ASUR MARCHE – area vasta n. 3), intervento al workshop “Linee di indirizzo e azioni del sistema pubblico per l’applicazione del programma sui cancerogeni occupazionali e i tumori professionali nel contesto del piano nazionale della prevenzione 2014-2018” (formato PDF, 600 kB).

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it