Corte di Cassazione: indicazioni sulla responsabilità penale dell’OdV231 e del CdA per mancanza di misure idonee per il lavoro di aggancio dei materiali da issare a bordo di una nave. Commento dell’avvocato Rolando Dubini.
La Sentenza
Cassazione Penale, Sez. 1, ud. 20 gennaio 2016 (dep. maggio 2016), n. 18168 – Responsabilità penale dell’OdV231 e del CdA per mancanza di misure idonee per il lavoro di aggancio dei materiali da issare a bordo di una nave. Condizioni di sussistenza.
Il commento
La sentenza si occupa della responsabilità penale dell’ Organismo di vigilanza 231 per la prima volta in Italia.
I fatti riguardano un incidente, avvenuto nel corso del lavoro di ammagliatura nei cantieri navali di Monfalcone, che causava una grave invalidità ad un operaio, a motivo di due tubi i quali si sfilavano dal carico che una gru stava sollevando e cascavano sull’ammagliatore medesimo; il processo veniva instaurato nei confronti di una quantità di soggetti a diverso titolo: una parte del processo stesso aveva una suo primo sbocco nella sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e concerneva i soggetti oggi interessati, componenti del Consiglio di Amministrazione e dell’Organismo di Vigilanza della Fincantieri Cantieri Navali spa.
Ne conseguiva il giudizio per numerosi imputati e per diverse imputazioni (omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, lesioni personali colpose ed altro ancora), e si imputava ex art. 437 cod.pen. ai componenti del Consiglio di Amministrazione della “Fincantieri Cantieri Navali spa” di avere omesso di collocare apparecchi idonei al sollevamento dei materiali a mezzo gru o di averne messo in numero insufficiente, e segnatamente appositi accessori quali baie o ceste idonee al carico dei materiali sulla nave; inoltre si imputava ex art. 437 cod.pen. ai componenti dell’Organismo di Vigilanza di “Fincantieri Cantieri Navali spa” “di avere omesso di segnalare al consiglio di amministrazione e ai direttori generali e di non aver preteso che si ponesse rimedio ad una serie di carenze in tema di prevenzione dagli infortuni che venivano segnalati nei report in tema di sicurezza all’interno del cantiere, i quali ripetevano da tempo la mancanza di impianti, apparecchi e segnali, ma che l’Organismo di Vigilanza avrebbe recepito passivamente, senza segnalare alcunché al datore di lavoro, e, al contempo, non approfondendo gli aspetti di gestione delle attrezzature di lavoro e l’utilizzo di apposti accessori quali baie o ceste”.
La sentenza del GUP del tribunale di Gorizia dichiarava il non luogo a procedere.
La difesa dell’ OdV 231 ha sostenuto che “l’art. 437 cod. pen. punisce soltanto coloro che avevano l’obbligo giuridico di adottare cautele, obbligo che non incombe sul detto organismo in quanto non datore di lavoro, ma soltanto organo – di istituzione facoltativa – preposto alla valutazione dell’architettura astratta di presidi e controlli e non anche alla vigilanza puntuale e quotidiana delle modalità di svolgimento delle attività”.
La difesa ha concluso sostenendo che “sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’ Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi”.
Mentre il PM ricorrente ha ribadito “che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze”.
Occorre sottolineare che la decisione della Cassazione che conferma l’assoluzione non rappresenta affatto una adesione alle tesi difensive, in particolare sulla presunta assenza di poteri impeditivi dell’OdV 231 (che invece esistono, sono poteri impeditivi indiretti, non diretti, poiché se l’OdV segnala l’azienda può procedere con l’”impedimento” diretto) ma si muove su un profilo diverso in particolare per quanto riguarda l’OdV 231.
Non viene infatti sostenuta la tesi difensiva per la quale l’ OdV 231 non avrebbe potere impeditivo.
Si sostiene invece che “desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.
Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze. La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’ Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose”.
La Cassazione ha perciò rigettato il ricorso del Procuratore della Repubblica giudicandolo infondato e riscontrando come causa dell’infortunio una problematica di natura prevalentemente organizzativa: una volta accertata la presenza nel cantiere di ceste utili al sollevamento dei tubi fornite dal Datore di Lavoro, infatti, sarebbe stato compito dei soggetti responsabili dell’unità operativa disporne l’utilizzo posticipando eventualmente le operazioni nel caso in cui queste fossero già occupate in altre lavorazioni.
Qualcuno ha scritto che “tale giudizio si basa sul fatto che si ritiene incongruo attribuire responsabilità ad un soggetto (l’Organismo di Vigilanza) che non è dotato di poteri impeditivi autonomi tali di poter intervenire sulle modalità di conduzione dell’impresa.”, ma questo è completamente falso, la Cassazione non dice questo, questa era la tesi difensiva NON accolta dalla Cassazione, che dive cosa ben diversa. Secondo la Suprema Corte il Ricorso dell’Accusa “non precisa quali fossero le carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza”,lasciando così intendere che è perfettamente ipotizzabile una situazione nella quale l’OdV ignori dolosamente carenze e manchevolezze. Ma anche colposamente, aggiungo.
Le funzioni affidate all’O.d.V. sono, proprio, quelle di prevenzione ed impedimento (indiretto) dei reati, e che tale obiettivo sia perseguito con l’attuazione dei Modelli di organizzazione e gestione. La fonte dell’obbligo impeditivo sarebbe da riscontrarsi negli artt. 6 lett a),b) e d) e 7 D.Lgs 231 del 2001, ovvero la posizione di garanzia dei componenti dell’Organismo di Viglianza risiederebbe direttamente nei Modelli di organizzazione e gestione, e verrebbe assunto in forza dell’incarico professionale da parte della società G. (Imputazione del reato agli enti collettivi e responsabilità penali dell’intraneo: due piani irrelati?, Dir. Pen. Processo, 9/2002, 1061 ss .).
I doveri di verifica, se omessi, rappresentano una posizione impeditiva di garanzia non adempiuta e capace di prevenire l’evento illecito, ma questa posizione è in contrasto con gli articoli 40 e 43 c.p. che prevedono la responsabilità penale colposa di chi possiede poteri impeditivi dell’illecito penale (reato presupposto), e la funzione di vigilanza dell’OdV rappresenta una funzione impeditiva, in quanto le segnalazioni che esso è obbligato a inviare all’organismo dirigente aziendale in caso di in osservanza del modello organizzativo sono idonee e finalizzate proprio a prevenire i reati.
Il ragionamento a tal riguardo si desume dalle seguenti sentenze, relative anche alla posizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, figura per molti versi analoga a quella dell’OdV 231.
I titolari della posizione di garanzia [ovvero i soggetti imputabili penalmente per avere omesso di eserciate il proprio potere di impedire i reati, anche in modo indiretto artt. 43 e 40 c.p.] devono essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi.
Il che non significa che dei poteri impeditivi debba essere direttamente fornito il garante, è sufficiente che gli siano riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari per evitare che l’evento dannoso venga cagionato, per la operatività di altri elementi condizionanti di natura dinamica. In conclusione può affermarsi che un soggetto è titolare di una posizione di garanzia, se ha la possibilità, con la sua condotta attiva di influenzare il decorso degli eventi indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico da lui preso in carico [Cassazione Penale, Sez. 4, 04 novembre 2010, n. 38991 (Montefibre)]
Secondo la Cassazione “…«occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie» [Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2006, n. 11351]. Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato, o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo”. Peraltro, “il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione è…esente da responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione delle norme di puro pericolo, qualora agisca come tale, ma non se il datore di lavoro lo investa di delega, ne faccia, ai fini prevenzionali o a determinati fini prevenzionali, il proprio alter ego, assumendo il delegato, in questo caso, gli stessi oneri del datore di lavoro e, quindi, le stesse, eventuali, responsabilità”…“con tutte le conseguenze in tema di procedibilità di ufficio” [Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2006, n. 11351]
La legge “prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica. La … normativa … comporta … che il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione [Cassazione – Sezione quarta penale – sentenza 6 dicembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6277 Presidente Morgigni – Relatore Licari Pm Febbraro – conforme – Ricorrente Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bolzano].
Massima
Per la configurabilità del reato di cui all’art. 437 cod.pen. (omessa collocazione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro), il pericolo presunto che la norma in esame intende prevenire non deve necessariamente interessare la collettività dei cittadini o, comunque, un numero rilevante di persone, potendo esso riguardare anche gli operai di una piccola fabbrica, in quanto questa norma prevede anche il pericolo di semplici infortuni individuali sul lavoro e tutela anche l’incolumità dei singoli lavoratori; per quanto riguarda l’elemento psicologico del reato in questione, è sufficiente la coscienza e volontà di omettere le cautele prescritte, nonostante la consapevolezza del pericolo per l’incolumità delle persone (Sez. 1, n° 11161 del 20.11.1996, Rv 206428).
È discutibile che le baie o ceste possano considerarsi uno degli “apparecchi” menzionati dall’art. 437 cod.pen.: tra le ipotesi delittuose previste dalla citata norma rientrano l’omissione dolosa di una apparecchiatura infortunistica o l’omissione del ripristino della stessa che, per precedente manomissione, abbia perso la sua efficacia di prevenzione. Sul punto questa Corte ha ritenuto che entrambe queste omissioni frustrano in egual misura e senza differenziazione di sorta il funzionamento di macchinari in relazione alla finalità antinfortunistica cui essi sono predisposti, rendendo possibile il verificarsi di un infortunio che sarebbe, per contro, impossibile in caso di normale funzionamento delle apparecchiature antinfortunio realizzate e poste sulla macchina stessa (Sez. 1, n° 28859 del dì 11.06.2009, Rv 244297) [fattispecie relativa ad un incidente, avvenuto nel corso del lavoro di ammagliatura nei cantieri navali di Monfalcone, che causava una grave invalidità ad un operaio, a motivo di due tubi i quali si sfilavano dal carico che una gru stava sollevando e cascavano sull’ammagliatore medesimo; il processo veniva instaurato nei confronti di una quantità di soggetti a diverso titolo: una parte del processo stesso aveva una suo primo sbocco nella sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e concerneva i soggetti oggi interessati, componenti del Consiglio di Amministrazione e dell’Organismo di Vigilanza della Fincantieri Cantieri Navali spa].
Tuttavia in caso di infortunio lavorativo causato dal mancato utilizzo di ceste per la sollevazione di tubi inox a mezzo di gru potrebbe prospettarsi la questione circa la natura – antinfortunistica o meno – delle ceste medesime e circa l’eventuale responsabilità del mancato utilizzo.
Qualora però risulti che le ceste in questione siano presenti nel cantiere navale, questo fattore assume un’efficacia dirimente.
Infatti, se le ceste non erano mancanti, l’utilizzo o meno delle stesse non attiene affatto al profilo della omessa collocazione di strumenti, apparecchi o congegni adeguati, ma soltanto al profilo organizzativo del lavoro concreto svolto nel cantiere navale.
Se le ceste sono presenti nel cantiere in quanto fornite dalla componente datoriale, spetta eventualmente ai soggetti responsabili di unità operative disporne l’utilizzo e che, se le suddette ceste fossero state impegnate al momento della lavorazione che è stata alla base dell’infortunio de quo, allora l’operazione doveva essere differita del tempo sufficiente a reperirne altre, e non al datore di lavoro o all’Organismo di vigilanza 231.
Nel reato di cui all’art. 437 cod.pen. il pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro deve avere il carattere della diffusività, nel senso che l’insufficienza deve avere l’attitudine di pregiudicare, anche solo astrattamente, l’integrità fisica delle persone gravitanti attorno l’ambiente di lavoro.
L’omissione, la rimozione o il danneggiamento doloso degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro, si inserisce in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici deve avere l’attitudine, almeno astratta, anche se non abbisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, intesa come un numero di lavoratori o, comunque, di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro: ma lo stabilire quando una collettività lavorativa realizzi in concreto la configurabilità del delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro costituisce un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, come appunto nel caso di specie (Sez. 1, n° 6393 del 02.12.2005, Rv. 233826).
Desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.
Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze. La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose [Fattispecie: In data 13.12.2010 si verificava un infortunio sul lavoro nel cantiere navale di Monfalcone, di proprietà “Fincantieri Cantieri Navali spa”: l’infortunato era un operaio con mansioni di ammagliatore, il quale doveva agganciare i materiali da issare a bordo di una costruzione navale (in particolare, un fascio di tubi inox che dalla banchina doveva giungere al ponte 5 a mezzo gru); a questo scopo egli legava due fasci di tubi con del filo di ferro ed ordinava di sollevare il carico; poi si accorgeva che il carico si muoveva ed ordinava di fermare l’operazione per poi provvedere ad assicurarlo di nuovo; ordinava di issare a bordo, ma il carico, al momento di essere girato dalla gru, iniziava ad oscillare al punto che da uno dei fasci si sfilavano due grandi tubi uno dei quali, cadendo, colpiva proprio l’operaio alla nuca ed alla schiena, procurandogli paraplegia completa degli arti inferiori con conseguenti lesioni gravissime, invalidità permanente e pericolo di vita. Ne conseguiva il giudizio per numerosi imputati e per diverse imputazioni (omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, lesioni personali colpose ed altro ancora)].
Rolando Dubini, avvocato in Milano
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Fonte: puntosicuro.it