Loading
Generic

Lo stress sul lavoro costituisce l’unico rischio psicosociale da valutare?

Milano, 30 Giu – Quando si intende presentare i temi normativi e giuridici correlati ai rischi psicosociali e, in particolare, allo stress lavoro correlato, non si può che partire da quanto contenuto nell’ articolo 2087 del Codice civile che, relativamente alla tutela delle condizioni di lavoro, indica che l’imprenditore ‘è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro’. E una sentenza della Cassazione – Cass.Sez.Un. 29 maggio 1993 n. 6031– sottolinea che il datore di lavoro è ‘tenuto a tutelare la dignità del lavoratore che è la condizione di onorabilità e nobiltà morale che nasce dalle qualità intrinseche di chi ha dignità e si fonda propriamente sul suo comportamento, sul suo contegno nei rapporti sociali, sui propri meriti e consiste in un rispetto di sé, che suscita ed esige negli altri, in forza di tale esemplarità etica’.

 

A ricordarlo è Anna Guardavilla – giurista in Milano e collaboratrice del nostro giornale – in un intervento al convegno “ Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” organizzato da AIBEL, ATS Milano e SNOP (Milano, 7 giugno 2016).

 

Nell’intervento “L’art.28 D.Lgs. 81/08 e la categoria dei fattori psicosociali di rischio”, dopo aver ricordato quanto contenuto nelle misure generali di tutela del D.Lgs. 81/2008 (TU) – con particolare riferimento all’influenza dell’ organizzazione del lavoro e ai limiti del potere di organizzazione e di direzione che competono al datore di lavoro (Cass. Civ., Sez. Lav., 5 agosto 2010 n.18278) – Anna Guardavilla riporta il contenuto del comma 1 dell’articolo 28.

L’articolo indica che la valutazione (…) deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004.

 

A questo comma è stato poi aggiunto, dal D.Lgs. 106/09, il comma 1 bis: la valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all’art.6, c.8, lettera m quater), cioè con riferimento alle indicazioni fornite dalla Commissione Consultiva.

La relazione di accompagnamento al D.Lgs. 106/09 ricorda che tale modifica è avvenuta “al fine di consentire la predisposizione, nell’ambito di un organismo tripartito, di indicazioni operative alle quali le aziende possano fare riferimento per valutare con completezza il rischio da stress lavoro-correlato, rientrante tra i c.d. ‘nuovi rischi’ e, quindi, meritevole di attenta ponderazione”.

 

L’intervento riprende poi la Relazione dell’Ufficio del Massimario e del ruolo della Cassazione (n.142 del 10.12.2008) che, a sua volta, cita un passo di “Le malattie da lavoro, Prevenzione e tutela” di Carlo Smuraglia: ‘se la maggiore attenzione è stata dedicata finora ai fattori connessi a ripetitività, monotonia, carichi di lavoro, ritmi e così via, appare oggi indispensabile considerare alcuni ulteriori aspetti (relativamente) nuovi, nel senso che sono frutto di più recente acquisizione. Faccio riferimento a tutti i fenomeni che attengono agli aspetti relazionali (relazioni fra i lavoratori e fra loro e i superiori), al rapporto persona-ambiente di lavoro-tecniche di lavorazione, a tutte le questioni attinenti al disagio, alla disaffezione, alla insoddisfazione, al malessere e a quel grande complesso di fenomeni riconducibili, in modo semplificativo, allo stress.  Ovviamente, non è che tutti questi fenomeni conducano necessariamente a vere e proprie patologie, perché anzi esse dovranno essere dimostrate e provate di volta in volta, come indicato dalla Corte Costituzionale; ma è pacifico che si tratta di altrettanti fattori di rischio, finora considerati poco o comunque in modo insufficiente. In tale ambito, anche le cosiddette «incongruenze del processo organizzativo» costituiscono certamente aspetti di novità nel contesto dell’organizzazione del lavoro come fattori di rischio’.

Si sottolinea poi che con l’inserimento del termine “stress lavoro-correlato”, in luogo della locuzione “rischi psicologici” si è inteso – come ricordato anche nel libro “Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme, l’interpretazione e la prassi” di Lorenzo Fantini e Angelo Giuliani –  assegnare al primo una valenza assorbente dei rischi “psicologici o psicosociali”.

 

Anna Guardavilla nell’analizzare la valenza e il “campo di applicazione” dell’articolo 28 riprende tuttavia anche altre affermazioni tratte dal libro “Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza”, Quinta Ediz., di Raffaele Guariniello.

L’ex magistrato indica che nell’art.28, comma 1, D.Lgs. 81/2008, l’indicazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato ‘non è esaustiva. Se ne trae palese conferma dalle espressioni usate nell’art.28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008: “ivi compresi”, “tra cui”, “anche”. Pertanto, non sarebbe corretto desumere dall’art. 28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008 che lo stress lavoro-correlato costituisca l’unico rischio di natura psicosociale da valutare nel relativo documento’. Infatti altri rischi di tal natura ‘debbono essere presi in considerazione dal datore di lavoro: dal mobbing al burn-out e allo stalking, dalla violenza alle molestie’.

‘Né appare sostenibile – continua Raffaele Guariniello – che ‘con l’inserimento del termine ‘stress lavoro-correlato’ in luogo della locuzione ‘rischi psicologici’ si sarebbe inteso assegnare al primo una valenza assorbente dei rischi psicologici o psicosociali. Una tesi di tal fatta risulta smentita dal nitido tenore letterale dell’art. 28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008. E per giunta contrasta con un inequivoco dato normativo’.

L’ex magistrato indica che ‘lo stress lavoro-correlato non esaurisce la gamma dei rischi psicosociali da prendere in considerazione’. E tale analisi – raccontata più nel dettaglio nelle slide dell’intervento – autorizza a concludere ‘che la regolamentazione speciale dettata dall’art.28, comma 1-bis, D.Lgs.n.81/2008 trova applicazione con esclusivo riguardo al rischiostress lavoro-correlato e che, per contro, la valutazione dei rischi psicosociali diversi dallo stress lavoro-correlato rimane sottoposta alla disciplina generale contenuta nell’art. 28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008. Pertanto, l’obbligo di valutare i rischi psico-sociali diversi dallo stress lavoro-correlato è insorto alla data di entrata in vigore del D.Lgs.n.81/2008 (ma a ben vedere già sotto il regime del D.Lgs.626/1994, perlomeno a far tempo dalla modifica dell’art.4, comma 1, di tale decreto ad opera dell’art.21, comma 2, L. 1° marzo 2002 n. 39)’.

 

Per continuare questo excursus sulla valenza dell’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008 la relatrice riporta anche alcune affermazioni di Mario Gallo in “Indicazioni della Commissione: i dubbi e le criticità applicative sullo stress lavoro-correlato” (in Ambiente & Sicurezza n. 5/2011).

Tale autore ricorda che il legislatore ‘ha affermato in modo inequivocabile che la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, con la specificazione che la stessa deve comprendere, appunto, quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato. Tuttavia, una parte della dottrina sostiene che, per effetto di questa specificazione operata dal legislatore, il datore di lavoro sia tenuto a valutare unicamente i rischi da stress lavoro-correlato; pertanto, ha concluso per l’esclusione del mobbing e della violenza sul lavoro’.

Tuttavia secondo Gallo da un’interpretazione logico-sistematica ‘è possibile rilevare che il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi, quindi, anche tutti quelli che la comunità scientifica da tempo ormai fa rientrare nella più vasta categoria dei cosiddetti rischi psicosociali’. E dunque non sarebbe corretto ‘desumere dall’art. 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 che lo stress lavoro-correlato costituisca l’unico rischio di natura psico-sociale da valutare nel relativo documento’.

 

La relatrice conclude, infine, la sua relazione con una citazione tratta da un Working Paper di Olympus – “Dalle species al genus (o viceversa). Note sull’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato e dei rischi psicosociali” di Luciano Angelini – che indica che ‘non sarebbe certamente accettabile il comportamento del datore di lavoro che considerasse lo stress lavoro-correlato (se inteso come semplice species di rischio psico-sociale) come l’unico fattore di rischio psico-sociale da valutare: al contrario, il datore deve prendere in considerazione anche tutti gli altri rischi della stessa natura, dall’osteggiatissimo mobbing, passando per le violenze, fino ad arrivare alle molestie; e ciò, non soltanto quando tali rischi siano effettivamente presenti nel contesto aziendale da considerare, ma anche quando potrebbero potenzialmente presentarsi in ragione del modo in cui è stata strutturata l’organizzazione del lavoro […]’.

 

 

“ L’art.28 D.Lgs. 81/08 e la categoria dei fattori psicosociali di rischio”, a cura di Anna Guardavilla (giurista in Milano), intervento al convegno “Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” (formato PDF, 81.32 MB).

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sullo stress e sui rischi psicosociali nei luoghi di lavoro

 

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

La responsabilità per infortunio accaduto per l’inidoneità di un DPI

Con riferimento al comportamento di un lavoratore infortunato ritenuto abnorme dal suo datore di lavoro che ha ricorso alla Corte di Cassazione contro la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte di Appello e quindi interruttivo  del nesso di condizionamento, la suprema Corte ha ribadito un principio ormai consolidato in giurisprudenza e cioè che il comportamento del lavoratore infortunato è interruttivo del nesso causale fra l’evento e la condotta del datore di lavoro non quando è “eccezionale” ma quando è “eccentrico” rispetto al rischio che il garante della sicurezza è chiamato a governare. Non è stato, infatti, ritenuto interruttivo dalla Corte di Cassazione la condotta del lavoratore che nella circostanza ha subito gravi ustioni per aver versato del metallo fuso in stampi bagnati e per non avere tenuta abbassata la visiera dello scafandro che aveva a protezione del viso messogli a disposizione dal datore di lavoro e ciò però non per sua trascuratezza ma per l’inidoneità della protezione stessa.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

La Corte d’appello ha riformato, limitatamente alla concessione della sospensione condizionale della pena ritenuta di giustizia e confermandola nel resto, la sentenza con la quale il Tribunale ha condannato il datore di lavoro e socio accomandatario di una società in accomandita semplice per il reato di lesioni personali colpose ex art. 590 cod. pen., con violazione di norme prevenzionistiche a danno di un lavoratore dipendente della società medesima. All’imputato era stato addebitato di avere cagionato l’evento lesivo del lavoratore in violazione degli artt. 37, commi 1, 3 e 5, 28 comma 2 e 77, commi 3 e 4, lettere a), b) e d) del D. Lgs. n. 81/2008. Tale evento lesivo si era verificato presso i locali della società allorquando il lavoratore, dopo aver proceduto alla fusione dell’alluminio in un crogiuolo, ne versava un quantitativo in uno stampo, risultato successivamente bagnato. Il lavoratore e allorquando veniva improvvisamente investito dagli schizzi del metallo fuso provocandosi le gravi ustioni di cui all’imputazione.

 

La ricostruzione dei fatti e delle responsabilità oggetto di addebito, emersa in primo grado sulla scorta della deposizione del lavoratore e di altre testimonianze, é stata successivamente confermata dalla Corte territoriale, che aveva censurato il fatto che il datore di lavoro avesse omesso di prestare la dovuta vigilanza sull’operazione affidata al lavoratore, che gli avesse fornito un casco obsoleto e inadatto a proteggerlo e che avesse fornito una formazione inadeguata circa l’utilizzo del dispositivo di protezione individuale.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello il datore di lavoro ha ricorso in cassazione per il tramite del suo difensore di fiducia articolando il ricorso stesso in due ordini di motivi. Con il primo motivo l’esponente ha sostenuto che il lavoratore era adibito al forno da circa dieci anni, che era un lavoratore esperto e che ben conosceva l’operazione in occasione della quale si era procurato le lesioni. Lo stesso ha sostenuto che lo scafandro affidato al lavoratore era stato giudicato conforme alla normativa dall’ispettore della ASL e che pertanto gli obblighi posti a suo carico di cui agli articoli 28, 37 e 77 del D. Lgs. n. 81/2008 erano stati osservati per cui nessun addebito gli si poteva muovere in termini di colpa specifica.

 

Con il secondo motivo il ricorrente ha messo in evidenza che il lavoratore aveva commesso un errore nell’effettuazione dell’operazione a lui richiesta e che pertanto l’evento, sul piano eziologico, doveva ricondursi alla condotta abnorme, eccezionale e imprevedibile dello stesso lavoratore che, pur avendo un’esperienza decennale, aveva riferito di non avere compreso (a causa della sua asserita sconoscenza della lingua italiana) il motivo per il quale doveva indossare lo scafandro. Non si comprendeva altresì a che titolo potesse essere a lui addebitato di non avere formato a sufficienza il lavoratore, pur avendo adempiuto ai propri doveri formativi in relazione ai quali peraltro, come confermato dall’ispettore della ASL, nessun addebito era stato formalizzato a carico della società.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso é stato ritenuto infondato per cui non ha trovato accoglimento. La Corte di Cassazione ha fatto presente che la Corte di merito aveva evidenziato che il lavoratore infortunato in occasione dell’episodio calzava lo scafandro, sia pure scorrettamente, in quanto egli, come aveva anche fatto a suo dire in precedenti occasioni, teneva sollevata la visiera perché altrimenti gli avrebbe impedito la visuale. Di qui si era arrivati al convincimento che da un lato il dispositivo di protezione individuale non fosse adeguato (la visiera aveva finalità protettive, ma il fatto che essa impedisse all’operaio la visuale la rendeva inidonea allo scopo) e, dall’altro, che il datore di lavoro non aveva adeguatamente esercitato né il dovere di istruire il lavoratore sull’impiego del detto dispositivo né il potere-dovere generale di vigilanza sulla sicurezza dei lavoratori, attribuito dal D. Lgs. n. 81/2008 al datore di lavoro.

 

Quanto al profilo formativo, la Sez. IV ha messo in evidenza che la Corte territoriale aveva chiarito che lo stesso era stato affrontato dall’imputato in modo del tutto inidoneo e insufficiente, e solo formalmente corretto, tanto più che il lavoratore, a causa della sua scarsa dimestichezza con la lingua italiana, non aveva compilato il questionario all’uopo sottopostogli, che era stato invece compilato al suo posto da un collega.

 

Il fatto poi, ha proseguito la suprema Corte, che il lavoratore fosse adibito all’operazione che stava compiendo già da lungo tempo, come dedotto dal ricorrente, non esimeva l’imputato da responsabilità sul piano formativo in quanto l’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non é escluso né é surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa.

 

Quanto al profilo dell’omessa vigilanza, il datore di lavoro da un lato non aveva controllato che il lavoratore calzasse lo scafandro nel modo dovuto e, dall’altro, non gli aveva fornito indicazioni sulla capacità del crogiuolo e sulla pericolosità dell’operazione in occasione della quale il lavoratore aveva riportato le lesioni, specie con riguardo al rischio, poi concretizzatosi, insito nel versare il metallo fuso in stampi che si presentavano bagnati. La Corte suprema ha quindi ricordato che in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle.

 

A proposito, infine, della ritenuta abnormità del comportamento lavoratore, che secondo il ricorrente aveva costituito l’unica vera causa dell’accaduto, la suprema Corte ha precisato che, come chiarito dalla giurisprudenza apicale di legittimità, la condotta abnorme del lavoratore é interruttiva del nesso di condizionamento quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. “Tale comportamento”, ha così concluso la suprema Corte “é ‘interruttivo’ (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare”. Il fatto che il lavoratore non avesse tenuto abbassata la visiera (per suo errore, ma anche per inidoneità dello scafandro messogli a disposizione) non si poteva certo considerare “eccentrico” rispetto ai rischi della lavorazione di cui l’imputato, nella sua qualità di datore di lavoro, era gestore.

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 27543 dell’1 giugno 2017 (u. p. 17 maggio 2017) –  Pres. Ciampi – Est. Pavich – Ric. L. M.. – Il comportamento del lavoratore infortunato è interruttivo del nesso causale fra l’evento e la condotta del datore di lavoro non perchè è “eccezionale” ma perchè è “eccentrico” rispetto al rischio che il garante della sicurezza è chiamato a governare.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it