Roma, 11 Set – L’utilizzo dei prodotti fitosanitari (PF), ad esempio insetticidi, fungicidi, acaricidi, fitoregolatori e erbicidi, utilizzati nella manutenzione del verde e in ambito agricolo, espone generalmente gli operatori ad agenti chimici pericolosi. Se poi le attività agricole sono svolte in serra si ha non solo un pericoloso accumulo dei contaminanti, ma anche un incremento di temperatura e umidità relativa che può condizionare la capacità inalatoria e di assorbimento cutaneo. E dunque nelle serre l’impiego di tali prodotti, destinati alla difesa delle colture dagli agenti dannosi, “può comportare un rischio più o meno elevato per i lavoratori in funzione della tossicità intrinseca del principio attivo, dei livelli di esposizione e di assorbimento attraverso le varie vie di penetrazione nell’organismo (inalatoria, cutanea, ecc.) e delle modalità e frequenza d’uso”.
A ricordare questo rischio è un documento realizzato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail che raccoglie gli atti del convegno “La ricerca prevenzionale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre” che si è svolto a Lamezia Terme il 4 Luglio 2016.
Nel documento sono presentati i risultati di alcune ricerche, correlate ad un progetto finanziato dal Ministero della salute, che hanno affrontato lo scenario di esposizione per l’attività lavorativa in serra nel territorio calabrese dove “è presente un importante sviluppo di coltivazioni che impiegano numerosi lavoratori, prevalentemente in piccole e medie imprese, configurando scenari di esposizione peculiari che possono integrare diverse criticità, per quanto concerne, in particolare, la valutazione dei rischi”. E attraverso gli studi intrapresi “sono stati analizzati e descritti alcuni scenari di esposizione tipici delle colture in serra del Sud Italia, tenendo conto delle variabili che li descrivono e individuando quelle tipologie di serra che possano rappresentare una casistica eloquente delle condizioni di esposizione, almeno per questa parte di territorio”.
Nella presentazione del documento, a cura di Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento, si segnala che riguardo ai rischi espositivi è necessario esprimere “un giudizio spesso critico sul comportamento degli utilizzatori” dei prodotti fitosanitari.
Infatti le più ricorrenti cause di incidenti o contaminazioni “sono da imputare a eccessiva confidenza con i prodotti impiegati (non si tengono in debito conto le avvertenze riportate in etichetta e sulle schede tecniche), al mancato rispetto delle dosi consigliate per i trattamenti, al trasporto dei prodotti con mezzi non idonei, ad insufficienze riguardo allo stoccaggio ed alla conservazione (locali non idonei, scarse avvertenze riguardo la loro custodia, commistione di più prodotti senza verificarne la compatibilità chimico-fisica, mancanza di dispositivo antincendio), oppure al fatto che durante la fase di trattamento non si tengono in conto le condizioni meteorologiche avverse (pioggia o vento contrario)”. Inoltre, continua Iavicoli, a volte si trascura “di appurare se la zona da trattare è ubicata in vicinanza di abitazioni o corsi d’acqua; nelle operazioni non vengono usati indumenti specificatamente dedicati allo scopo; non vengono svolte accurate bonifiche delle attrezzature e dei dispositivi personali di protezione a trattamento avvenuto, così come non sempre si rispettano i tempi di rientro e di carenza”.
In relazione alla recente pubblicazione del documento “Atti di convegno. La ricerca prevenzionale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre”, curato da Elena Barrese e Marialuisa Scarpelli (Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, Inail), ci soffermiamo in particolare oggi su un intervento che affronta il tema della valutazione del rischio chimico inalatorio in serra.
In “Procedura di valutazione del rischio chimico inalatorio in serra”, intervento a cura di M. Rubbiani (Centro nazionale Sostanze Chimiche – Istituto superiore di sanità) e R. Cabella (Inail – Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale), si sottolinea il fatto che l’applicazione di pesticidi nelle serre “differisce sostanzialmente da quella realizzata in ambienti di campo esterni”:
– i pesticidi “possono essere applicati alle colture in serra tutto l’anno, spesso su un programma di più giorni, piuttosto che stagionalmente, e spesso a dosi di applicazione più elevate rispetto alle colture in campo;
– le applicazioni in serra di pesticidi sono ad alta intensità e sono spesso non adatti ai tipi di controlli di mitigazione dell’esposizione disponibili per l’uso sul campo, come ad esempio quelli che prevedono le cabine chiuse;
– le attrezzature per l’applicazione manuale pongono l’operatore più a contatto con il materiale spruzzato, sia in forma liquida e di aerosol, e l’ambiente limitato rallenta la dissipazione di residui”;
– “la coltivazione di colture in serra è spesso anche ad alta intensità di manodopera e generalmente richiede al lavoratore di mantenere costante il contatto fisico con il fogliame della coltura trattata”.
E dunque questi fattori contribuiscono a livelli di esposizione “potenzialmente più elevati per i lavoratori in serra rispetto ai lavoratori sul campo”.
Veniamo alla valutazione del rischio chimico.
I relatori indicano che la valutazione o la misurazione dei livelli di esposizione dell’operatore a pesticidi durante le operazioni di miscelazione/carico ed applicazione “è necessaria ai fini di una adeguata valutazione del rischio chimico di esposizione per tutti gli operatori impegnati con diverse mansioni in attività lavorative in serra. Per la valutazione quantitativa del rischio dei lavoratori in serra, l’esposizione sistemica, generalmente stimata sulla base di valori di esposizione potenziale cutanea ed inalatoria, viene generalmente confrontata con un valore tossicologico di riferimento”. Si indica poi che a tal fine viene normalmente utilizzato “il livello accettabile di esposizione dell’operatore (acceptable operator exposure level, AOEL), definito come il livello di esposizione giornaliera al di sotto del quale non sono attesi effetti avversi per la salute dell’operatore”. Ma ad oggi “non è disponibile una metodologia armonizzata a livello europeo o nazionale per la valutazione dell’esposizione degli operatori a pesticidi in serra e tale carenza comporta un elevato grado di incertezza nella valutazione del rischio di esposizione a pesticidi per i lavoratori del comparto”.
L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, illustra i modelli di esposizione normalmente impiegati in ambito europeo e riporta alcune indicazioni relative all’analisi dei dati sperimentali degli studi condotti su campo in relazione al progetto presentato durante il convegno. Le informazioni raccolte durante la prima fase del progetto “hanno contribuito al raggiungimento di una conoscenza adeguata degli specifici scenari di esposizione considerati ed a una definizione dei parametri determinanti i livelli di esposizione a prodotti fitosanitari degli operatori addetti alle attività di trattamento e/o di rientro in serra”.
L’intervento, a questo proposito, presenta riporta in alcune tabelle gli scenari di esposizione identificati, i rispettivi valori generici di esposizione, l’analisi statistica dei dati, confrontandoli anche con altri modelli di esposizione.
In definitiva l’attività svolta ha permesso “la definizione di valori generici di esposizione utili ai fini della valutazione del rischio di esposizione inalatorio per quattro diversi e tipici scenari di esposizione in serra”. E dall’esame dei risultati ottenuti è stato possibile “evidenziare maggiori livelli di esposizione – calcolati attraverso valori generici di esposizione inalatoria – significativamente superiori (da uno a due ordini di grandezza) a quelli utilizzati dal modello Ecpa, normalmente utilizzato ai fini della valutazione dei livelli di esposizione a pesticidi nelle serre dei paesi mediterranei”.
Inoltre si evidenzia l’opportunità di “rivedere le misure di mitigazione del rischio specifiche e prendere in considerazione l’impiego di dispositivi di protezione delle vie respiratorie nel caso di impiego di prodotti fitosanitari contenenti sostanze attive caratterizzate da una elevata tossicità inalatoria”. E poiché i risultati ottenuti confermano “livelli di esposizione inalatoria più elevati per gli operatori che utilizzano prodotti fitosanitari in formulazione solida piuttosto che in formulazione liquida e nel caso di applicazione su colture alte (> 0,5 m), andrebbe previsto per gli stessi un programma di formazione specifico che miri alle corrette informazioni sui rischi derivanti da queste specifiche tipologie di applicazione onde evitarne la sottostima”.
E infine, continuano i relatori, dall’esame dei dati è stato possibile “definire un valore generico di esposizione inalatoria per gli addetti alle operazioni di raccolta in serra, scenario di esposizione non considerato dal modello Ecp”, uno scenario che andrebbe approfondito attraverso “l’acquisizione di ulteriori dati di monitoraggio al fine della sua completa definizione”.
La relazione si conclude raccomandando poi, ai fini di una valutazione completa del rischio di esposizione a prodotti fitosanitari in serra, “la misurazione dei livelli di esposizione cutanea, che normalmente rappresenta la via di esposizione prevalente sia per gli operatori addetti all’applicazione dei prodotti che per i lavoratori addetti alle operazioni di raccolta e/o controllo”.
Inail, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, “ Atti di convegno. La ricerca prevenzionale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre”, a cura di Elena Barrese e Marialuisa Scarpelli (Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, Inail), Collana Salute e Sicurezza, edizione 2017 (formato PDF, 1.93 MB).
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RTM
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Fonte: puntosicuro.it