Le malattie croniche non trasmissibili (noncommunicable disease – NCD) uccidono nel mondo circa 40 milioni di persone ogni anno, equivalente al 70% di tutti i decessi e sono strettamente legate a stili di vita non salutari compresa la scorretta alimentazione. Le malattie cardiovascolari rappresentano la maggior parte delle morti per NCD, ovvero 17,7 milioni di persone ogni anno, seguite da tumori (8,8 milioni), malattie respiratorie (3,9 milioni) e diabete (1,6 milioni). In Europa le principali NCD (diabete, malattie cardiovascolari, cancro, malattie respiratorie croniche e disturbi mentali) causano circa l’86% dei decessi. Il fumo di tabacco, l’inattività fisica, l’uso eccessivo di alcol e diete scorrette (responsabili anche di sovrappeso e obesità) aumentano il rischio di ammalare di NCD [1]. In Italia, nel 2016, il 45,9% della popolazione oltre 18 anni era in eccesso di peso (35,5% in sovrappeso, 10,4% obeso), il 51,0% in normopeso e il 3,1% sottopeso [2].
L’ALIMENTAZIONE E IL LAVORO
Secondo un Rapporto del 2005 dell’Ufficio internazionale del lavoro [3], ‘un regime alimentare troppo povero o un’alimentazione troppo ricca sul luogo di lavoro può provocare una perdita di produttività del 20%’. Lo stesso Rapporto testimonia che, a monte di modesti investimenti per migliorare l’alimentazione sul lavoro, le ricadute in termini di riduzione dei giorni di malattia e degli infortuni sul lavoro sarebbero notevoli. Un’alimentazione bilanciata, adeguata e completa è sufficiente per garantire un buon livello di performance mentale e fisica. Una corretta dieta per i lavoratori deve prendere in considerazione sia le proprietà energetiche e nutritive dei vari alimenti, sia il tipo di lavoro svolto (sedentario, vario, leggero, pesante), l’ambiente in cui viene svolto (temperatura, umidità, ecc.), l’orario di lavoro (continuato, turni), il tipo di alimentazione abituale (nazionalità, religione, ecc.) e le attività extra lavorative (sport, secondo lavoro, hobby). Per evitare la diminuzione della resistenza alla fatica e della prontezza dei riflessi, i pasti consumati durante il lavoro devono essere non troppo abbondanti, facilmente digeribili, prevalentemente costituiti da carboidrati (pane, pasta, riso), legumi, frutta e verdura (alimenti ad alto contenuto di sali minerali) e da un adeguato apporto idrico. Nel lavoro mentale, che di solito si associa a sedentarietà, l’alimentazione deve essere particolarmente attenta in quanto il dispendio energetico è minimo.
Nella Tabella 1 sono indicati i valori (Kcal/h) per classi di lavoro e per sesso calcolati su un’ipotetica tipologia lavorativa in un ipotetico individuo ‘medio’, dal peso standard (65 Kg per l’uomo e 55 Kg per la donna), di età e caratteristiche fisiche ‘medie’ [4].
CHE COSA SI PUO’ FARE
È consigliabile favorire il consumo di cibi integrali (in particolare nelle mense) in quanto conservano meglio i principi nutritivi come vitamine, oligoelementi, fattori di crescita. Gli alimenti dovrebbero essere idonei anche per i lavoratori affetti da diabete, ipertensione, allergie e intolleranze alimentari, celiachia, ecc. Sarebbe importante attivare convenzioni con i venditori per utilizzare i buoni pasto anche in frutteria. Le aziende, anche con il supporto dei medici competenti, ed eventualmente la consulenza di un nutrizionista, si dovrebbero accertare che le mense e/o i distributori automatici, mettano a disposizione una scelta varia che comprenda buone quantità di frutta e verdura già pronte da consumare; dovrebbero permettere un tempo sufficiente per il consumo del pasto e promuovere l’attività fisica con azioni strutturate. Nelle mense aziendali potrebbero essere proposti menù con l’indicazione della composizione di ogni pietanza e delle relative calorie. L’attenzione alla dieta dovrebbe essere un argomento trattato nei corsi di informazione e formazione (Tabella 2) con la raccomandazione di tenere sotto controllo il peso utilizzando i parametri dell’indice di massa corporea e della circonferenza addominale. L’indice di massa corporea (IMC) o body max index (BMI) è un dato biometrico che si ottiene calcolando il peso in Kg diviso l’altezza in m2. È utilizzato per la classificazione del peso negli uomini adulti e nelle donne non gravide. La circonferenza addominale è utilizzata per valutare il rischio cardiovascolare in quanto l’accumulo di grasso viscerale fa aumentare il grasso sottocutaneo addominale che è proporzionale alla sua circonferenza esterna. È dimostrata una correlazione diretta fra indice di massa corporea, circonferenza vita e rischio di mortalità per complicazioni cardiovascolari, diabete e dislipidemia (Tabella 3).
L’articolo è tratto da:
INAIL – Alimentazione e lavoro (pdf, 734 kB)
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Fonte: puntosicuro.it