Roma, 20 Giu – L’articolo 2 (Definizioni) del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ( D.Lgs. 81/2008) indica in modo chiaro che, ai fini e agli effetti delle disposizioni del decreto, al “lavoratore”, così come definito dalla medesima norma, è equiparato anche “il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso..”.
E, come ricordato anche da Anna Guardavilla nell’esauriente articolo “ Società cooperative e sicurezza sul lavoro: ruoli e responsabilità”, anche nelle cooperative vale la definizione generale secondo la quale il datore di lavoro è “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Le sentenze della Cassazione in materia di sicurezza nelle cooperative
Sono diverse le sentenze della Cassazione che in questi anni si sono soffermate proprio sul tema delle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro all’interno delle società cooperative. Citiamone alcune:
- Corte di Cassazione – Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 14531 del 15 aprile 2010 – Soci di cooperative di lavoro e sicurezza.
- Corte di Cassazione – Penale Sez.IV – Sentenza n. 3483 del 21 dicembre 1995 – Figura del preposto.
- Corte di Cassazione – Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 37329 del 27 settembre 2012 – Cooperativa e infortunio mortale di un socio lavoratore a seguito di ribaltamento di un trattore.
- Corte di Cassazione – Penale, Sez.IV – Sentenza n. 41995 del 5 ottobre 2016 – Infortunio e confusione nelle posizioni di garanzia. Responsabilità dell’amministratore della cooperativa.
- Corte di Cassazione – Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 15717 del 04 aprile 2013- Responsabilità del presidente di una cooperativa per infortunio del socio lavoratore con un muletto.
La sentenza n. 14268 del 28 marzo 2018 e il ricorso
Una recente sentenza della Corte di Cassazione – la Sentenza 28 marzo 2018, n. 14268 – torna sulla definizione del “datore di lavoro” ricordando che comprende necessariamente il legale rappresentante di un’impresa cooperativa.
In particolare, nella pronuncia della Cassazione si indica che “M.L. propone ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze ha riformato nel trattamento sanzionatorio, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, la sentenza con la quale il Tribunale di Livorno, il 17 marzo 2015, lo aveva condannato per il delitto di lesioni personali colpose con violazione delle disposizioni sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il ricorrente ne chiede l’annullamento in relazione a due motivi di doglianza”.
Questi i motivi del ricorso:
- con il primo motivo il ricorrente “denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento all’affermata qualifica datoriale attribuitagli, frutto di un’indebita applicazione analogica della qualifica al presidente-socio di una cooperativa”;
- con il secondo motivo “lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso accoglimento della sua richiesta di sostituzione in appello della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria”.
Le indicazioni e le conclusioni della Corte di Cassazione
Nella sentenza si indica che deve considerarsi che, in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni, “i soci delle cooperative sono equiparati ai lavoratori subordinati e la definizione di ‘datore di lavoro’, riferendosi a chi ha la responsabilità della impresa o dell’unità produttiva, comprende il legale rappresentante di un’impresa cooperativa (Sez. 4, Sentenza n. 32958 del 08/06/2004, Vinci e altro, Rv. 229273); ciò che appare coerente con la concezione sostanzialistica dell’attività lavorativa e del rapporto di lavoro ai fini dell’individuazione della nozione di ‘ datore di lavoro’ e di ‘lavoratore’ cui si riferisce la normativa prevenzionistica e, oggi, quella contenuta nel testo unico approvato con D.Lgs. n. 81/2008 (cfr. per qualche esempio Sez. 3, Sentenza n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637; Sez. 4, Sentenza n. 12348 del 29/01/2008, Rv. 239251)”.
Riportiamo anche le indicazioni relative al secondo motivo di ricorso, anche se non correlato a violazioni di norme in materia di salute e sicurezza.
Nella sentenza si rammenta che, in tema di sanzioni sostitutive, “l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve, previste dall’art. 53 L. n. 689 del 1981, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente illogico (Sez. 2, Sentenza n. 13920 del 20/02/2015, Diop Mamadou, Rv. 263300); e che la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (Sez. 3, Sentenza n. 19326 del 27/01/2015, Pritoni, Rv. 263558). Nella specie la Corte di merito ha fatto buon governo dei suddetti principi, facendo riferimento al grado della colpa dell’imputato in relazione all’episodio delittuoso”.
In definitiva la Corte di Cassazione “dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende”.
Tiziano Menduto
Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:
Fonte: www.puntosicuro.it