Le disfunzioni organizzative: stress lavoro-correlato, mobbing, burnout
Le disfunzioni organizzative che possono creare fenomeni di disadattamento e reazioni di stress da cui possono derivare malattie collegate alla professione. Stress lavoro-correlato, mobbing, burnout. A cura di Massimo Servadio.
Gli studi confermano che numerose sono le situazioni che denotano uno stato patologico dell’ambiente di lavoro – sia pubblico che privato – con inevitabili conseguenze soprattutto per i lavoratori, ma con ricadute anche per i datori di lavoro.
La flessibilità esasperata, propria dell’attuale contesto lavorativo, ha come logica conseguenza l’affacciarsi prepotente di malattie di natura psico-sociale.
Risulta fondamentale porre sempre di più l’accento sul concetto di Salute, che come definito dall’OMS nel 1948 è “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia”.
Per salute quindi non intendiamo uno ‘stato’ ma una condizione dinamica di equilibrio, fondata sulla capacità del soggetto di interagire con l’ambiente adattandosi al continuo modificarsi della realtà circostante.
Nel mondo del lavoro esistono, accanto a fattori di rischio specifici, responsabili di malattie professionali, numerosi altri agenti capaci di turbare lo stato di salute dell’individuo e dell’intera Organizzazione, creando fenomeni di disadattamento e reazioni di stress, da cui possono derivare malattie, non specifiche, ma certamente collegate alla professione.
Andiamo ad individuarne uno per uno.
Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle. Lo stress legato al lavoro rappresenta la seconda malattia professionale più diffusa nell’Unione Europea dopo il mal di schiena. In Europa ne è affetto un lavoratore su quattro; le donne risultano essere più colpite, ma per entrambi i sessi lo stress può rappresentare un problema in tutti i settori e a tutti i livelli di organizzazione.
Lo stress legato all’attività lavorativa può essere provocato da rischi psicosociali, quali la progettazione, l’organizzazione e la gestione del lavoro, nonché da problemi come le vessazioni e la violenza sul lavoro, ma anche da rischi fisici come la rumorosità e la temperatura.
È dimostrato che lo stress, riducendo la capacità di elaborazione mentale, induca ad errori umani di vario tipo: errori a livello d’intenzione, a causa di stanchezza non è eseguita una procedura; errori per improprietà esecutive, mancanza di coordinamento nella priorità tra le azioni; errori a livello di controllo, per cui si manifesterà un deficit di memoria nella sequenza delle operazioni da compiere.
L’operatore stressato rende meno, può commettere errori, è più esposto ad infortuni, è più conflittuale, teme l’innovazione e può entrare nell’area di rischio psicosomatico. Tale situazione si ripercuote inevitabilmente sull’intera organizzazione con effetti negativi: riduzione della produttività e della qualità del lavoro, aumento della conflittualità, diminuzione del senso di appartenenza, mancato rispetto delle regole o irrigidimento per il loro rispetto, elevato assenteismo e turn over, clima di insoddisfazione, ricerca continua di capri espiatori, aumento degli infortuni.
Collegato allo stress lavoro-correlato ma avente una propria specificità, il mobbing non è una malattia, ma ne può essere la causa. Il termine mobbing deriva dal verbo inglese to mob, ovvero perseguire, ed è un’azione che si verifica nei branchi di alcune specie animali che vogliono escludere un membro e si coalizzano contro di esso.
È fenomeno estremamente diffuso nei luoghi di lavoro, nonostante ciò non esiste ancora una specifica normativa che ne indichi le modalità di valutazione, né le conseguenze nel caso in cui un lavoratore presenti regolare denuncia. La definizione della sentenza n. 3875/09 della Corte di cassazione definisce il mobbing:
“Una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità”.
Nel mondo del lavoro il mobbing può essere verticale o orizzontale: nel primo caso le vessazioni vengono da un superiore (datore di lavoro o dirigente) nel secondo da un collega.
Secondo il modello di Heinz Leymann le fasi del mobbing sono 4:
– Conflitto quotidiano: quotidianamente si verificano conflitti, nascosti da un’apparente normalità.
– Inizio del mobbing: la vittima viene attaccata dal punto di vista psicologico, delle relazioni sociali, della comunicazione, della professione e della salute.
– Abusi: trasferimenti, richiami ingiustificati, demansionamento.
– Esclusione: la vittima si esclude dal mondo del lavoro o viene esclusa a causa di malattie psicosomatiche, sintomi ossessivi, dimissioni, prepensionamento o licenziamento.
Secondo il metodo Ege (2002) devono verificarsi 7 condizioni affinché si possa parlare di mobbing sul posto di lavoro:
– ambiente: il conflitto deve verificarsi sul posto di lavoro;
– frequenza: il conflitto deve reiterarsi almeno alcune volte al mese;
– durata: il conflitto deve durare da almeno sei mesi;
– tipo di azioni: il conflitto deve comprendere diverse tipologie di attacco (isolamento sistematico, cambiamento delle mansioni, lesioni della reputazione professionale e privata, violenza o minacce);
– dislivello tra antagonisti: la vittima deve trovarsi in condizione di inferiorità;
– andamento a fasi successive: il conflitto deve essere sempre in crescendo e deve aver raggiunto la 2^ fase del modello di Leymann;
– intento persecutorio: il conflitto deve tendere alla provocazione di sofferenze che hanno lo scopo di indurre la vittima ad adottare un certo comportamento, ad esempio dare le dimissioni.
Per ciò che riguarda la sicurezza sul lavoro, nel Testo Unico non ci sono specifiche indicazioni che riguardano indicazioni e procedure per la valutazione del mobbing, che, però, viene considerato sicuramente una delle cause di stress lavoro correlato e come tale deve essere tenuto in considerazione dal datore di lavoro nella valutazione dei rischi.
Ai fini della tutela della Salute e Sicurezza sui luoghi di lavoro, la rilevazione dei livelli di stress lavoro-correlato diventa ulteriormente fondamentale per prevenire l’insorgenza di un’altra disfunzione organizzativa, la sindrome del burnout.
Il Burnout si riferisce alle “helping profession”, ovvero tutte quelle professioni (medici, psicologi, psicoterapeuti, operatori socio-assistenziali, infermieri, insegnanti) in cui la relazione con l’altro è la parte fondamentale del lavoro, che oltre a richiedere competenze tecniche si caratterizza per un forte coinvolgimento emotivo del lavoratore con il proprio “cliente”.
Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro personale e quello della persona aiutata. Per questo duplice aspetto che le caratterizza, le professioni d’aiuto sono considerate “categoria professionale a rischio”: nella persona che svolge questi tipi di professioni, infatti, si mobilitano alcune dinamiche che se non sono rese consapevoli rischiano in alcuni casi di intrappolare il lavoratore.
Dinamiche come queste se non gestite, possono alla lunga condurre a una sindrome definita “ sindrome del burnout” (letteralmente bruciarsi).
Secondo Cherniss (1980) il burnout è il culmine di un processo stressogeno che si articola in tre fasi:
– Percezione della situazione stressante: il soggetto sente un disagio che è causato dalla differenza tra risorse personali e richieste ambientali;
– Emotività negativa: il soggetto sperimenta un disagio emotivo caratterizzato da tensione e ansia;
– Coping: il soggetto di fronte ad una situazione stressante evita il problema attraverso il disimpegno e il distacco emotivo;
Questo processo stressogeno coinvolge non solo il lavoratore come individuo, ma anche l’azienda e la sua struttura organizzativa.
Per concludere se da un lato la valutazione dello stress lavoro correlato è un obbligo normativo, che va ad inserirsi nel Documento di valutazione di tutti i rischi per la Sicurezza, non si può dire lo stesso del mobbing e del burnout.
Per quest’ultimi sono previste azioni di prevenzione e monitoraggio che scaturiscono dall’unico strumento, riconosciuto al livello legislativo, che consente di individuare fattori ascrivibili a tali disfunzioni: la valutazione dello stress lavoro correlato.
Un’organizzazione che “fa” sicurezza creando una vera e propria cultura, attraverso processi continui di auto apprendimento, è una realtà che non solo, supera la mera ottemperanza alla norma, ma fa del benessere organizzativo un valore aziendale.
Massimo Servadio,
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
Fonte: puntosicuro.it
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