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Gli obblighi per il rischio di caduta nei lavori in quota e sottoquota

Un approfondimento sul rischio di caduta dall’alto nei lavori in quota e nei lavori “sottoquota” con riferimento alla normativa vigente e previgente, agli obblighi di prevenzione e agli indirizzi giurisprudenziali. A cura di Gerardo Porreca.
 

Ci si è sempre chiesti cosa si deve intendere per caduta dall’alto, come definire l’”alto” ed a partire da quale altezza è necessario proteggersi dalla caduta dall’alto. La lettura di una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 39024 del 20/9/2016 della Sezione IV penale (riportata commentata e discussa su PuntoSicuro del 20 febbraio 2017) – chiamata a decidere su di ricorso proposto contro una sentenza della Corte di Appello, nella quale la suprema Corte si è espressa in merito all’applicazione dell’art. 122 del D. Lgs 9/4/2008 n. 81 e s.m.i. e al rapporto esistente fra le disposizioni sulla protezione dalla caduta dall’alto di cui al D.P.R. 7/1/1956 n. 164, abrogate, e le corrispondenti nuove disposizioni di cui allo stesso D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. – ci induce ad aggiornare un approfondimento sull’argomento che è stato già fatto per la verità subito dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 8/7/2003 n. 235.

 

Con tale D. Lgs. n. 235/2003, emanato per dare attuazione della direttiva 2001/45/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso da parte dei lavoratori delle attrezzature di lavoro utilizzate per l’esecuzione dei lavori temporanei in quota, erano state apportate a suo tempo delle integrazioni all’allora vigente D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 ed era stata introdotta per la prima volta in Italia la definizione dei lavori in quota individuati come “una attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile”.

 

In realtà il riferimento alla misura dei due metri, quando si parla di rischio di caduta dall’alto, c’è sempre stato nelle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare in quelle relative alla sicurezza nelle costruzioni di cui al citato D.P.R. n. 164/1956 il quale con l’art. 16 ebbe a disporre in particolare che “nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai m. 2, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose”.

 

Sulla interpretazione da dare al contenuto dell’art. 16 del D.P.R. n. 164/56 si è sempre discusso nel senso che ci si è sempre chiesti, considerato che il legislatore finalizzava l’applicazione della misura di sicurezza esplicitamente alla eliminazione “dei pericoli di caduta di persone o di cose”, se per l’altezza di 2 metri era da intendersi la quota alla quale venivano effettuati i lavori, corrispondente sostanzialmente all’altezza della posizione delle braccia, oppure, come appariva più logico, la quota dalla quale potesse cadere il lavoratore, corrispondente sostanzialmente alla posizione del  piano di calpestio sul quale lo stesso viene a trovarsi.

 

La Corte di Cassazione, chiamata all’epoca più volte ad interpretare la disposizione di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 164/56, si è espressa prevalentemente sostenendo che ciò che contava ai fini dell’applicazione di tale articolo era l’altezza alla quale si stavano svolgendo i lavori (fra tutte Cass. Pen. Sez. IV 7 giugno 1983, Cass. Pen. Sez. IV 4 agosto 1982, Cass. Pen. Sez. IV n. 741 del 25 gennaio 1982) e non anche quella del piano di calpestio sul quale si trovava il lavoratore ma non sono mancate comunque delle espressioni della stessa Corte di Cassazione che si sono orientate nel senso contrario.

 

Lo stesso D.P.R. n. 164/56 in verità aveva fatto riferimento ai lavori eseguiti ad un’altezza maggiore di 2 metri e alle misure di protezione adottare anche allorquando ha disposto  con l’art. 24 che “gli impalcati e ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un’altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto costituito da uno o più correnti paralleli all’intavolato, il cui margine superiore sia posto a non meno di 1 metro dal piano di calpestio, e di tavola fermapiede alta non meno di 20 centimetri, messa di costa e aderente al tavolato”.

 

Nel 1996 è stato poi emanato il D. Lgs. 14/8/1996 n. 494 sui requisiti minimi di sicurezza da attuare nei cantieri temporanei o mobili e, fra i lavori indicati nell’Allegato II comportanti rischi particolari per la salute e la sicurezza dei lavoratori e per i quali venivano richiesti particolari adempimenti aggiuntivi, sono stati introdotti quelli che espongono a rischi di caduta dall’alto da altezza superiore a m 2, anche se particolarmente aggravati dalla natura dell’attività o dei procedimenti attuati oppure dalle condizioni ambientali del posto di lavoro o dell’opera.

 

Nel 2008 è stato quindi emanato il D. Lgs. n. 81/2008 ed anche in esso si riscontra un riferimento ai lavori che vengono eseguiti ad una altezza superiore ai 2 m e ciò è stato fatto precisamente nell’art. 122 dello stesso decreto riguardante i ponteggi e le opere provvisionali, secondo il quale:

 

nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai m 2 devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente al punto 2 dell’allegato XVIII”

 

articolo con il quale, si fa osservare, è stato sostanzialmente riscritto il contenuto dell’art. 16 abrogato creando così una sorta di continuità normativa fra le vecchie e le nuove disposizioni sulla protezione dalla caduta dall’alto, così come ha anche ben messo in evidenza la Corte di Cassazione nella sentenza n. 39024 della Sez. IV penale del 20/9/2016 sopra indicata.

 

A tal punto però c’è da mettere in evidenza che nel 2009 con il D. Lgs. 3/8/2009 n. 106, correttivo ed integrativo del D. Lgs. n. 81/2008, il legislatore, proprio forse per fugare i dubbi sorti e per porre fine alle varie interpretazioni date sull’applicazione dell’abrogato art. 16 del D.P.R. n. 164/1996 e quindi del vigente corrispondente articolo 122 del D. Lgs. n. 81/2008, ha modificato lo stesso articolo che attualmente così recita:

 

nei lavori in quota, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente ai punti 2, 3.1, 3.2 e 3.3 dell’allegato XVIII”,

 

per cui è facile osservare, dal confronto dei due testi, che l’espressione “nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai m 2 devono essere adottate”, che compariva nel testo originario, è stata sostituita con l’espressione “nei lavori in quota, devono essere adottate”.

 

Nessun dubbio quindi sussiste oggi in definitiva sul campo di applicazione dell’art. 122 del D. Lgs. n. 81/2008 riferito ai lavori per i quali viene richiesta una protezione al fine di evitare la caduta dall’alto di persone o cose, che il legislatore ha voluto legare esplicitamente ai lavori in quota così come definiti nell’art 107 dello stesso D. Lgs.. Nessun dubbio altresì sussiste sulle misure di protezione da adottare ogni qualvolta nel testo del D. Lgs. n. 81/2008 vengono citati i “lavori in quota” così come accade nell’art. 115 sui sistemi di protezione individuali. Questa conclusione non deve però portare a pensare che nel caso di lavori per l’esecuzione dei quali un lavoratore venga a trovarsi su di un piano di calpestio posto ad una altezza inferiore ai 2 metri, che lo scrivente ama definire “lavori sottoquota”, non vadano adottate ugualmente delle misure di protezione dalla caduta dall’alto e che quindi possano essere effettuati senza alcuna protezione.

 

Se esaminiamo, infatti, più approfonditamente le disposizioni dettate dal D. Lgs. n. 81/2008 in merito alle misure da adottare a protezione dalla caduta dall’alto, emerge chiaramente che, mentre con l’art. 126, contenuto nel Titolo IV dello stesso decreto legislativo e valido quindi per i cantieri temporanei o mobili, è stato confermato che la caduta da un’altezza di 2 metri vada comunque protetta verso il vuoto con un robusto parapetto avendo lo stesso imposto che “gli impalcati e ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un’altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto e in buono stato di conservazione”, lo stesso D. Lgs. n. 81/2008 nell’Allegato IV, contenente i requisiti che devono possedere i luoghi di lavoro, con una disposizione che è quindi applicabile a tutte le attività oltre a quella svolta nei cantieri edili, ha indicato esplicitamente al punto 1.7.3 che “le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti, su tutti i lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti” con l’unica eccezione che tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore ai 2 m.

 

Nel D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. non si riscontra per la verità una definizione di posti di lavoro “sopraelevati” per i quali il legislatore ha previsto l’obbligo di una protezione contro la caduta dall’alto ma dei riferimenti si potrebbero comunque rinvenire nella lettura di altre disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo. Si osserva, infatti che nel comma 1 dell’art.146, che si riferisce alla difesa delle aperture verso il vuoto, si legge che “le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio”e che nel comma 3 dello stesso articolo 146 si legge che “le aperture nei muri prospicienti il vuoto o vani che abbiano una profondità superiore a m 0,50 devono essere munite di normale parapetto e tavole fermapiede oppure essere convenientemente sbarrate in modo da impedire la caduta di persone”per cui in definitiva si può pensare che per luogo sopraelevato possa essere inteso un posto di lavoro che si trovi già ad un’altezza che superi i 50 centimetri dal suolo e che quindi già a partire da tale altezza è necessario che il posto di lavoro sia protetto sui lati aperti.

 

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 39024 del 20 settembre 2016 (u. p. 15 marzo 2016) –  Pres. Bianchi – Est. Savino – Ric. P.B. e P. s.r.l.. – L’altezza superiore a 2 m dal suolo per cui adottare le misure di prevenzione per i lavori in quota va calcolata, a parere della cassazione, in riferimento all’altezza alla quale viene eseguito il lavoro e non al piano di calpestio del lavoratore.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Bando Isi agricoltura 2016. Prorogati i termini di scadenza del bando

E’ possibile accedere alla procedura informatica per la compilazione delle domande fino alle ore 18:00 del 28 aprile 2017.

Prorogati i termini delle scadenze relative al bando Isi Agricoltura 2016, con il quale Inail, come disposto dall’ultima legge di stabilità (208/2015), mette a disposizione 45 milioni di euro a fondo perduto per il sostegno al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nelle micro e piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli.

La proroga dei termini di scadenza dell’Avviso Isi Agricoltura 2016, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, serie generale n. 6, del 9 gennaio 2017, è consultabile sul sito dell’Istituto www.inail.it.

Le modifiche apportate sono le seguenti:

  • il termine di scadenza della chiusura della procedura informatica per la compilazione delle domande è prorogato alle ore 18:00 del 28 aprile 2017;
  • il termine di acquisizione del codice identificativo per l’inoltro online è prorogato al 5 maggio 2017;
  • la comunicazione relativa alle date di inoltro online è prorogata al 12 giugno 2017;
  • il termine per richiedere chiarimenti e informazioni sull’Avviso al Contact Center è prorogato alle ore 12:00 del 20 aprile 2017.

Per informazioni e assistenza, le imprese possono fare riferimento al Contact Center tramite il numero verde 803.164, gratuito da rete fissa, mentre per le chiamate da cellulare è disponibile il numero 06-164164 (a pagamento in base al piano tariffario del proprio gestore telefonico). Gli Avvisi regionali e provinciali, così come le risposte alle domande più frequenti, saranno pubblicate sul sito Inail.

L’Inail finanzia le microimprese e le piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli per l’acquisto o il noleggio con patto di acquisto di trattori agricoli o forestali o di macchine agricoli e forestali.

 

Fonte: www.inail.it

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Regolamento REACH: le prossime scadenze per la registrazione

Una guida dell’ECHA fornisce informazioni su come adempiere alle prescrizioni in materia di informazione per le sostanze con fasce di tonnellaggio 1-10 e 10-100 tonnellate all’anno. Le scadenze del 31 maggio 2017 e del 31 maggio 2018.
 

Helsinki, 15 Mar – L’ ECHA, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, ha pubblicato la Roadmap REACH 2018, una tabella di marcia in cui vengono delineate tutte le azioni previste fino al termine ultimo di registrazione del 2018, ai sensi del Regolamento 1907/2006 (REACH).  Infatti il termine di registrazione per le aziende che fabbricano o importano sostanze in bassi volumi, tra 1-100 tonnellate all’anno, sarà infatti il 31 maggio 2018.

 

Per parlare delle nuove scadenze e contribuire a supportare le aziende e gli operatori negli adempimenti correlati, facciamo riferimento a quanto contenuto in una guida pubblicata dall’ECHA dal titolo “Guida pratica per manager di PMI e coordinatori REACH. Come adempiere alle prescrizioni in materia di informazione per le fasce di tonnellaggio 1-10 e 10-100 tonnellate all’anno”.

 

Tale guida pratica, redatta come parte della tabella di marcia di REACH 2018, è destinata in particolare alle persone incaricate della raccolta di tutte le informazioni necessarie a compilare il fascicolo tecnico di una sostanza da registrare ai sensi del regolamento REACH. E descrive le “prescrizioni in materia di informazione, ossia le informazioni che devono essere incluse nel fascicolo di registrazione”.

Nell’introduzione si indica che “non si tratta di una guida esaustiva per esperti o consulenti, bensì si rivolge ai dirigenti aziendali o ai coordinatori REACH, principalmente nell’ambito delle piccole e medie imprese (status di PMI)”.

 

La guida e le azioni di miglioramento di processi, assistenza e documentazione dell’ECHA mirano a “sostenere in modo più efficace le imprese di piccole dimensioni o di scarsa esperienza nell’adempimento dei loro obblighi per l’ultima scadenza per la registrazione delle sostanze già preregistrate”.

 

Infatti “per rimanere sul mercato dopo il 2018, le imprese sono tenute a registrare le sostanze fabbricate o importate in quantitativi superiori a 1 tonnellata all’anno e inferiori a 100 tonnellate all’anno, entro il 31 maggio 2018”. E “se una sostanza è fabbricata o importata in quantitativi superiori a 100 tonnellate all’anno, è necessario registrarla immediatamente per evitare di infrangere le leggi in vigore”.

 

Nella tabella di marcia di REACH 2018, il processo di registrazione è stato suddiviso in sette fasi per facilitarne l’espletamento.

 

Queste le sette fasi della registrazione:

  1. Conoscere il portafoglio della propria azienda;
  2. Trovare i co-dichiaranti;
  3. Organizzare le attività con i co-dichiaranti;
  4. Valutare rischi e pericoli;
  5. Preparare la registrazione sotto forma di fascicolo IUCLID;
  6. Presentare il fascicolo di registrazione;
  7. Tenere aggiornata la registrazione.

 

Rimandando un approfondimento della fase 4 del processo in questione, su cui si concentra la guida pratica, iniziamo con una descrizione breve delle fasi 1, 2 e 3, fasi fondamentali per la buona riuscita della fase 4.

 

Fase 1. Conoscere il portafoglio della propria azienda

Si indica che è necessario “sapere quali sostanze sono incluse nel portafoglio di prodotti e prendere una decisione sull’opportunità di registrarle o meno. Ogni sostanza deve essere registrata separatamente”.

Si ricorda, a questo proposito, che molte sostanze disponibili sul mercato nell’Unione europea sono considerate “sostanze soggette a un regime transitorio” e “i fabbricanti e importatori di sostanze soggette a un regime transitorio possono beneficiare di determinati periodi di transizione per la registrazione a norma del regolamento REACH”. E qualora il dichiarante intenda registrare una sostanza soggetta a un regime transitorio, “dovrà averla già preregistrata, oppure, in caso contrario, sarà tenuto a inviare una preregistrazione tardiva. Una preregistrazione tardiva è possibile soltanto se la fabbricazione o l’importazione della sostanza sono iniziate dopo il 1° dicembre 2008: a questo proposito, bisogna completare la preregistrazione tardiva entro sei mesi dopo il superamento della soglia di 1 tonnellata all’anno e non oltre il 31 maggio 2017”.

Se poi il dichiarante “deve registrare una sostanza che non è stata preregistrata o se non è riuscito a completare la registrazione tardiva entro la scadenza prevista, dovrà presentare una richiesta all’ECHA” (attraverso REACH-IT, il sistema informatico centrale che deve essere utilizzato per trasmettere un fascicolo di registrazione) “prima di produrre o immettere sul mercato la sostanza”.

 

Fase 2. Trovare i co-dichiaranti

Indipendentemente dal fatto che il dichiarante intenda registrare una sostanza soggetta o meno a un regime transitorio, “è tenuto a cooperare con gli altri (potenziali) dichiaranti della stessa sostanza. Un principio fondamentale del regolamento REACH è ‘una sostanza, una registrazione’.

 

Si ricorda che i processi di preregistrazione e di richiesta “aiutano a trovare co-dichiaranti (potenziali) tramite le pagine “pre-SIEF “e” Co-registrants” di REACH-IT. Un SIEF è un forum per lo scambio di informazioni sulle sostanze, volto ad aiutare i dichiaranti e i co-dichiaranti a organizzare il proprio lavoro e condividere le informazioni. Si forma quando i co-dichiaranti convengono sul fatto che la loro sostanza sia identica, sulla base di dettagliate considerazioni relative all’identità della sostanza. Se esiste già un SIEF per la sostanza in questione, è obbligatorio aderirvi. Una volta formato un SIEF, i co-dichiaranti devono iniziare a collaborare e decidere chi deve essere il capofila della registrazione e quale dev’essere il contributo di ciascuna impresa”.

 

Fase 3. Organizzare le attività con i co-dichiaranti

Si indica che “la condivisione dei dati è un principio fondamentale del regolamento REACH. Tuttavia, non devono essere scambiate le informazioni sensibili e suscettibili di avere un impatto sui meccanismi concorrenziali, come le informazioni relative a comportamenti di mercato, capacità produttive e volumi di produzione, vendite o importazioni, quote di mercato, prezzi dei prodotti e le informazioni di natura analoga”. In particolare è “obbligatorio condividere le informazioni relative agli esperimenti sugli animali vertebrati. Inoltre, si raccomanda di condividere, con i membri del (pre-)SIEF e i co-dichiaranti, altre informazioni relative alle proprietà intrinseche delle sostanze, nonché informazioni generali sugli usi e le condizioni d’impiego”.

 

Concludiamo l’articolo ricordando che, in ogni caso, l’obiettivo delle prescrizioni in materia di informazione è quello di “assicurare un alto livello di protezione per la salute umana e per l’ambiente”.

E pertanto, le proprietà delle sostanze e i relativi rischi per l’uomo e l’ambiente “devono essere valutati (fase 4 del processo). Questa fase comprende la raccolta, la valutazione e la comunicazione delle informazioni da parte del SIEF su:

– usi della sostanza e condizioni d’uso nell’intera catena di approvvigionamento;

– proprietà della sostanza, in base alle prescrizioni che derivano dal volume fabbricato o importato su base annua. Se tutte le informazioni non sono ancora disponibili, i dichiaranti dovranno generare nuovi dati o proporre una strategia di sperimentazione per colmare le lacune nei dati;

– classificazione ed etichettatura, sulla base delle proprietà della sostanza;

– conduzione di una valutazione della sicurezza chimica e presentazione dei risultati in una relazione sulla sicurezza chimica, se il volume fabbricato o importato su base annua supera le 10 tonnellate”.

 

ECHA, “ Guida pratica per manager di PMI e coordinatori REACH. Come adempiere alle prescrizioni in materia di informazione per le fasce di tonnellaggio 1-10 e 10-100 tonnellate all’anno”, versione 1.0, ottobre 2016 (formato PDF, 2.35 MB).

 

ECHA, “ ECHA’s REACH 2018 Roadmap”, 14 gennaio 2015 (formato PDF, 435 kB).

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Alimentazione, salute e sicurezza sul lavoro

Un convegno all’insegna della festa internazionale della donna ha affrontato i temi dell’alimentazione e della salute e sicurezza sul lavoro. L’importanza del rischio alimentazione. Sintesi degli interventi a cura del Comitato Donne SOFiA.
 

L’8 marzo 2017 AiFOS e il suo Comitato Donne SOFiA hanno voluto festeggiare la donna con un punto di vista diverso sul tema della salute e sicurezza sul lavoro: il convegno “ Mangia, Lavora Cura” ha voluto trattare infatti un tema orgogliosamente italiano creando un binomio ricco di spunti e suggestioni: alimentazione e salute sul lavoro, perché, come efficacemente riassunto da Paola Favarano (Presidente SOFiA e moderatrice del riuscito convegno): “Dobbiamo alimentare la cultura della salute e sicurezza sul lavoro con punti di vista sempre più ampi: il focus sul cibo ci permette di solleticare i palati più esigenti”.

 

Il cibo, accompagnato da un’adeguata sicurezza alimentare, è un elemento fondamentale dell’identità italiana.

 

Non sempre è noto che l’Italia è al primo posto in Europa in quanto a sistemi di controlli sulla sicurezza alimentare e produzione biologica.

Inoltre, l’agricoltura italiana è tra le più sostenibili e con le produzioni più sicure d’Europa: emette il 35% di gas serra in meno della media Ue, con una quota di prodotti che presentano residui chimici inferiore di quasi 10 volte rispetto alla media europea.

La sana alimentazione è quindi un elemento fondamentale della nostra identità.

 

Con il primo intervento “Siamo quello che mangiamo”, Sabatino De Sanctis (Medico Competente e Responsabile eventi Be Human) ha indotto riflessione, attraverso la lettura recitata di un brano tratto dal libro “il virus che ti salva la vita”, su come un radicale cambiamento di alimentazione lo abbia portato a stare meglio e a diffondere la cultura del cibo sano anche in famiglia.

 

Carla Mammone (Consigliere Nazionale AiFOS, consulente e formatore qualificato) ha approfondito il tema del rischio alimentare, un rischio emergente che incide sull’efficace ed efficiente capacità funzionale e lavorativa della persona. Un rischio che nella realtà non è ancora adeguatamente percepito, seppur oggetto di valutazione, ai sensi dell’art. 28 del D. Lgs. 81/08 e smi. L’adesione ad un modello comportamentale nuovo e ad un regime alimentare sano, promosso anche dalle imprese, attraverso appositi investimenti, potrebbe produrre un miglioramento della qualità della vita, del lavoro e del clima organizzativo, riduzione di assenteismo, malattie, infortuni e dei relativi costi, incremento della produttività del lavoro e dell’immagine aziendale.

 

Che il cibo sia la vostra medicina!” è il messaggio trasmesso dalla Dott.ssa Rossana Guarini che, come medico e counselor alimentare, promuove sul campo quotidianamente l’attenzione alla cura di sé attraverso il cibo. Diventa importante per il cambiamento anche il ruolo delle donne prime «educatrici alimentari» e portatrici sane della cultura della sana alimentazione.

 

La sociologa Eleonora Buratti e Carlo Giolo con estratti dal loro libro “La dieta dei mestieri” hanno evidenziato i principi di un’ alimentazione sana funzionali alle mansioni lavorative, facendo notare come nel passato fabbri, soldati e gladiatori usassero l’alimentazione per migliorare le loro condizioni fisiche e prestazionali (estreme alcune volte…).

 

Debora Catarutti (esperta in dieta nutrigenomica e Founder di “BON  – cibo buono che fa bene”) con la sua passione ha contagiato la platea facendo assaporare con le immagini e il pensiero comodi vasetti di insalate colorate fatte da patate viola, cavoli cappucci e germi di grano facili da fare e gustare anche nella pausa pranzo in ufficio.

 

Edoardo Venturini (Responsabile Comunicazioni Esterne Sodexo) ha invece valorizzato l’impegno della sua azienda a preservare la cultura femminile presente nella nostra tradizione culinaria permettendo, in particolari linee di menù, di gustare piatti della tradizione come le zuppe a lenta cottura, che per le donne sempre alla ricerca del minuto libero sarebbero improponibili.

 

Matteo Fadenti (consigliere nazionale AiFOS, esperto di igiene alimentare e HACCP) ha promosso efficaci tecniche di conservazione del cibo in casa e sul luogo di lavoro, con interessanti misure minime igieniche nel mangiare alla postazione di lavoro, per godere appieno del momento di pausa in sicurezza, accanto a tastiere spesso ricettacoli di batteri!

 

Molto coinvolgente, infine, la performance dell’attrice, autrice e regista teatrale Daiana Tripodi, che ha emozionato con acute riflessioni sul dilemma che accomuna molte donne lavoratrici, che,  sovraccaricate dalla molteplicità di ruoli e impegni e dalla difficile conciliazione vita-lavoro, spesso per stanchezza rinunciano a nutrirsi adeguatamente, fino a percepire, a danno subito, la necessità di un cambiamento dello stile di vita e delle abitudini alimentari, per riappropriarsi, con determinazione, del proprio tempo e della cura della propria salute, abolendo il junk food.

 

Adele De Prisco (membro del Comitato di Presidenza AiFOS e Responsabile Sportello Sicurezza Cisl Brescia) ha chiuso il convegno valorizzando l’impegno costante di AiFOS e SOFiA nella creazione di una rete di formatori professionisti, con abilità non solo tecnico-professionali, ma anche relazionali e sociali, capaci di guardare a nuovi temi nell’ottica del “c’è sempre qualcosa da imparare” e dunque di coinvolgersi personalmente nella promozione del binomio alimentazione e salute sul luogo di lavoro.

 

In chiusura, il presidente AiFOS Rocco Vitale ha salutato i presenti esternando la sua soddisfazione per un convegno, ricco di spunti ed idee, ricordando come già ben 45 anni prima, nelle sue prime attività di giornalista aveva affrontato il tema del cibo con un articolo che valorizzava il binomio-cibo e cultura.

 

Questo aspetto è stato ancora di più valorizzato da Monica Viani e Alessandra Cioccarelli, giornaliste e foodblogger che hanno posto l’accento sull’utilizzo e il necessario cambiamento del linguaggio al fine di cambiare (in meglio) la cultura, compresa quella della salute e sicurezza che passa per il cibo. Finalità nobile se si perseguono scopi sani con alto contenuto valoriale.

 

Dunque, il tema chiave “Alimentazione, salute e sicurezza sul lavoro” diffuso in questo convegno, parte con forza in questo indimenticabile 8 marzo, verso una diffusione sempre più capillare.

 

 

Atti e video-foto gallery del convegno sono disponibili sui siti www.aifos.it – www.comitatodonneaifos.it

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Verificare gli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche

L’importanza di verificare gli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche. I problemi di invecchiamento e usura, le tipologie e la periodicità di verifiche e controlli, gli esami della documentazione e sul campo.
 

Roma, 6 Mar – Con riferimento ai rischi di fulminazione negli ambienti lavorativi, la protezione dai fulmini – LP (lightning protection) – è realizzata attraverso:

– un sistema di protezione dai fulmini (LPS – lightning protection system) e/o

– opportune misure di protezione contro le scariche elettriche (SPM – surge protection measures).

E il sistema LPS. come già raccontato altre volte sul rischio correlato alle scariche atmosferiche si articola a sua volta in:

– un eventuale LPS esterno (di solito suddiviso in captatori, calate e dispersori),

– un eventuale LPS interno.

Tuttavia l’efficacia della protezione dai fulmini dipende, “oltre che dalla qualità dei suoi componenti e della loro installazione, anche dalla manutenzione e dalle verificheeffettuate”.

 

A raccontarlo, soffermandosi in modo dettagliato sui vari aspetti delle verifiche periodiche, è il documento – prodotto dal Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici dell’ Inail – dal titolo “ Impianti di protezione contro le scariche atmosferiche. Valutazione del rischio e verifiche”.

 

Il documento segnala che “la protezione dai fulmini tende a perdere la sua efficacia con il passare del tempo a causa dell’invecchiamento e dell’usura (tra cui quella dovuta al fulmine) cui sono soggette alcune sue parti”.

Ed è dunque importante che la manutenzione dell’LP “sia effettuata con regolarità, al fine di evitarne il deterioramento e per assicurarsi che continui a svolgere la propria funzione nel tempo rispettando i requisiti di sicurezza”. E con questo scopo è bene che il “progettista dell’LP stabilisca, d’accordo con il proprietario e l’installatore un programma di manutenzione (manutenzione programmata) ed un programma di verifiche periodiche, coordinati tra loro”.

 

Il documento si sofferma sulle varie tipologie di verifica.

 

Infatti su di un impianto di protezione contro le scariche atmosferiche “possono essere svolte verifiche di tipo diverso:

– l’installatore effettua una verifica prima di rilasciare la dichiarazione di conformità allo stato dell’arte ai sensi del DM 37/08;

– dopo l’installazione il proprietario dell’impianto può scegliere di far effettuare ad una persona competente di sua fiducia una verifica di collaudo per controllare la conformità dell’installazione al progetto;

– l’Inail effettua la verifica iniziale a campione di cui all’art.3 del d.p.r. 462/01;

– il datore di lavoro richiede ai soggetti individuati nell’ambito di applicazione del d.p.r. 462/01 le verifiche periodiche di cui all’art. 4 di tale decreto e le eventuali verifiche straordinarie di cui all’art. 7 dello stesso decreto;

– il datore di lavoro provvede affinché gli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche siano periodicamente sottoposti a verifica (denominata ‘controllo’ per distinguerla da una ‘verifica’ ai sensi del d.p.r. 462/01) secondo le indicazioni delle norme di buona tecnica e la normativa vigente, per verificarne lo stato di conservazione e di efficienza ai fini della sicurezza (d.lgs., art. 86, comma 1)”.

 

Il documento segnala poi che una verifica si articola in un esame della documentazione ed in un esame sul campo. E l’esame sul campo può essere un esame ordinario o un esame approfondito (quest’ultimo comprende anche eventuali misure o prove).

 

Queste alcune informazioni generali sulle varie tipologie di esami e prove:

– esame della documentazione: “accertamento svolto sulla documentazione tecnica per valutarne la conformità alle norme e la consistenza rispetto alle assunzioni adottate, che potrebbero essere non veritiere/errate o obsolete, a causa di modifiche della struttura e/o dei suoi contenuti e degli impianti e/o del loro uso”;

– esame sul campo: “accertamento svolto sul campo dopo aver svolto l’esame della documentazione. Può essere un esame ordinario o un esame approfondito”;

– esame ordinario: “accertamento svolto, senza l’uso di utensili o di mezzi di accesso, alla ricerca di eventuali difetti dei componenti che sono evidenti allo sguardo (ad esempio mancanza di ancoraggi, connessioni interrotte, involucri rotti, corrispondenza dati di targa, ecc.). È detto anche esame a vista. L’esame ordinario è una parte della verifica (la verifica nel suo insieme comprende anche l’esame della documentazione)”;

– esame approfondito: “accertamento effettuato in aggiunta ad un esame ordinario. Serve per identificare quei difetti (ad esempio connessioni non effettuate, morsetti lenti, ecc.) che, normalmente, possono evidenziarsi soltanto accedendo ai componenti per mezzo di attrezzi (ad esempio strumenti, utensili e scale) e/o effettuando misure o prove. L’esame approfondito è una parte della verifica (la verifica nel suo insieme comprende anche l’esame della documentazione)”;

– misure e prove: “accertamenti effettuati per verificare il comportamento di un componente in risposta ad una sollecitazione (prova) o per acquisire il valore di un parametro fisico (misura)”.

 

Ad esempio un esame approfondito può essere necessario in funzione:

– “dello stato di conservazione dell’impianto (accuratezza della manutenzione, esistenza di modifiche o manipolazioni non autorizzate, manutenzioni non appropriate, vetustà dell’impianto e dei relativi componenti, ecc.);

– delle condizioni ambientali (esposizione ad atmosfere corrosive, a prodotti chimici);

– della qualità della documentazione esibita”.

 

Affrontiamo, infine, il tema della periodicità delle verifiche.

 

Il documento Inail segnala che l’articolo 4 del DPR 22 ottobre 2001, n. 462 – il regolamento di semplificazione del procedimento per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra di impianti elettrici e di impianti elettrici pericolosi – prevede che il datore di lavoro “richieda ai soggetti individuati nell’ambito di applicazione del decreto stesso una serie di verifiche periodiche che servono ad assicurare allo Stato che il datore di lavoro stia effettuando quanto è necessario perché la protezione dai fulmini conservi nel tempo i suoi requisiti di sicurezza”.

 

Art. 4 (Verifiche periodiche – Soggetti abilitati)

1. Il datore di lavoro è tenuto ad effettuare regolari manutenzioni dell’impianto, nonché a far sottoporre lo stesso a verifica periodica ogni cinque anni, ad esclusione di quelli installati in cantieri, in locali adibiti ad uso medico e negli ambienti a maggior rischio in caso di incendio per i quali la periodicità è biennale.

2. Per l’effettuazione della verifica, il datore di lavoro si rivolge all’ASL o all’ARPA o ad eventuali organismi individuati dal Ministero delle attività produttive, sulla base di criteri stabiliti dalla normativa tecnica europea UNI CEI.

3. Il soggetto che ha eseguito la verifica periodica rilascia il relativo verbale al datore di lavoro che deve conservarlo ed esibirlo a richiesta degli organi di vigilanza.

4. Le verifiche sono onerose e le spese per la loro effettuazione sono a carico del datore di lavoro.

 

Tuttavia si indica che la periodicità di tali verifiche “potrebbe non essere sufficiente, poiché l’uso e l’usura dell’impianto potrebbero far venir meno i requisiti di sicurezza nell’intervallo di tempo tra due di tali verifiche”. E, in questo senso, l’art. 86 del D.Lgs. 81/2008 ricorda al datore di lavoro che è opportuno “seguire le indicazioni delle norme per attuare ulteriori ‘controlli’ dello stato dell’impianto, in modo da rilevare tempestivamente possibili guasti”.

Ad esempio è bene eseguire le ulteriori verifiche (“controlli”):

– “dopo modifiche o riparazioni (ad es.: lavori o manutenzioni sulla copertura), o quando si abbia notizia che la struttura, le linee entranti o le loro vicinanze siano stati colpiti da un fulmine;

– ad intervalli di tempo correlati alle caratteristiche della struttura da proteggere”.

E questi intervalli di tempo “possono essere determinati sulla base dei seguenti fattori:

– i possibili effetti di danno caratteristici della struttura protetta;

– condizioni ambientali (ad esempio ambienti con atmosfere corrosive richiedono intervalli di verifica più brevi);

– caratteristiche dell’LP, dei componenti e dei materiali”.

 

Concludiamo rimandando ad una lettura integrale del documento Inail che riporta alcuni esempi di periodicità (ad esempio si indica che è opportuno “effettuare una verifica con esame approfondito dell’impianto almeno ogni due anni per gli LPS con livello di protezione I e II”) e che riporta precise indicazioni sui contenuti e le modalità di verifica.

 

 

 

Inail, Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici, “ Impianti di protezione contro le scariche atmosferiche. Valutazione del rischio e verifiche”, a cura di Giovanni Luca Amicucci, Fabio Fiamingo, Maria Teresa Settino con la collaborazione di Raffaella Razzano, edizione 2016 (formato PDF, 616 kB).

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Protezione contro le scariche atmosferiche: valutazione del rischio e verifiche”.

 

 

RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Un piano per prevenire il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori

Un Piano di Prevenzione dell’ATS Brianza si sofferma sul sovraccarico biomeccanico degli arti superiori. Le patologie da sovraccarico, i principali gruppi di lavoratori esposti e i fattori causali lavorativi ed extralavorativi.
Monza, 6 Mar – Le patologie muscolo-scheletriche lavoro-correlate degli arti superiori sono in aumento sia nel nostro paese che in tutto il mondo industrializzato. Ed è per questo motivo che molte aziende sanitarie hanno intrapreso in questi anni alcune campagne di prevenzione per migliorare la consapevolezza di questo rischio, spesso sottovalutato, e favorire l’attuazione di idonei interventi di prevenzione.

 

Ad esempio l’ ATS Brianza e i Comitati di Coordinamento Provinciali di Monza Brianza e Lecco hanno promosso nel 2016 uno specifico Piano Mirato di Prevenzione dal titolo “Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato”. Un piano che fa riferimento anche ad alcuni decreti regionali emanati in materia dalla Regione Lombardia: il decreto n. 18140/2003 “Linee guida regionali per la prevenzione delle patologie muscolo-scheletriche connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori“, aggiornato prima con il decreto 3958/2009 e poi, considerati i progressi tecnico-scientifici e l’evoluzione normativa, con il decreto n. 7661 del 23 settembre 2015.

 

Per il piano di prevenzione, che ha previsto lettere informative alle aziende, schede di autovalutazione e un incontro pubblico che si è tenuto presso l’ATS Brianza il 23 novembre 2016, sono stati poi realizzati diversi documenti informativi sul tema del sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.

 

In particolare il documento “Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato. Guida per le imprese”, che rappresenta la sintesi condivisa del lavoro svolto da un gruppo di lavoro costituito nell’ambito del Comitato di Coordinamento Provinciale ex art.7 DLgs 81/08 dell’ATS Brianza, si sofferma sulle patologie da sovraccarico biomeccanico.

 

Si indica che le malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori “riguardano patologie a carico delle strutture osteo-muscolo-neuro-tendinee e delle borse, che sempre con maggior frequenza sono correlate ad attività lavorative che si caratterizzano per la presenza di un costante impegno funzionale dei vari distretti dell’arto superiore”. Inoltre tali malattie, a eziopatogenesi multifattoriale, sono “riscontrabili anche nella popolazione ‘non esposta’ per cause locali o cause generali legate a pregressi traumatismi, all’invecchiamento, a patologie dismetaboliche/reumatiche ecc..; analoghi meccanismi da sollecitazioni biomeccaniche si verificano inoltre in attività sportive e/o hobbistiche”.

 

Il documento riporta un elenco non esaustivo dei “fattori causali evocati”:

– lavorativi: “movimenti ripetitivi; alta frequenza e velocità; uso di forza; posture incongrue; compressioni di strutture anatomiche; recupero insufficiente; vibrazioni; disergonomie degli strumenti; uso di guanti; esposizione a freddo; lavoro a cottimo; parcellizzazione del lavoro; inesperienza lavorativa;

– extralavorativi: sesso; età; pregressi traumi e fratture; patologie croniche; stato ormonale; attività nel tempo libero; struttura antropometrica; condizione psicologica”.

 

Si segnala poi che a causa dell’eziologia multifattoriale delle patologie muscolo scheletriche dell’ arto superiore, “la specificità dell’associazione è molto bassa per i fattori di rischio e lo sviluppo di malattie muscolo scheletriche. Infatti, a esclusione dell’associazione tra esposizione a vibrazioni e disturbi neurovascolari alla mano, quasi sempre un fattore di rischio specifico può essere associato a diverse patologie dell’arto superiore”. In ogni caso gli studi epidemiologici “riscontrano una forte associazione tra fattori di rischio e patologie dell’arto superiore, convalidando una relazione di causalità tra lavori a rischio e patologie”.

 

In particolare il rischio da sovraccarico biomeccanico nell’ambito di una lavorazione si configura nel verificarsi di quattro principali fattori, variamente combinati tra loro:

– “ripetitività (frequenza o numero di azioni al minuto, in rapporto anche all’intero turno lavorativo);

– impegno di forza;

– postura/gesti lavorativi incongrui;

– inadeguati periodi di recupero (pause compensative)”.

E a ciò vanno aggiunti fattori complementari che “possono fungere da amplificatori del rischio, quali ad esempio il microclima sfavorevole, la presenza di contraccolpi e/o movimenti bruschi, le compressioni localizzate su segmenti anatomici da parte di strumenti, oggetti, piani di lavoro ecc…”.

 

Si sottolinea poi che alcuni dei fattori individuali, come l’ invecchiamento della popolazione lavorativa, “richiedono un’attenta valutazione; infatti in letteratura è noto che alcune patologie tendinee come quelle che riguardano la cuffia dei rotatori hanno un andamento crescente al crescere dell’età e che le donne in età pre o menopausale sono da considerarsi ipersuscettibili per la Sindrome del Tunnel Carpale”.

 

Il documento riporta altre utili tabelle sulle patologie e sui gruppi di lavoratori esposti.

 

Ad esempio si indica che le principali patologie di interesse sono:

– sindromi da sovraccarico biomeccanico della spalla: “tendinite del sovraspinoso o tendinite cuffia rotatori; tendinite capo lungo bicipite brachiale; tendinite calcifica o morbo di Duplay; borsite;

– sindromi da sovraccarico biomeccanico del gomito: epicondilite/ epitrocleite; borsite olecranica; sindrome da intrappolamento del nervo ulnare al gomito; tendinopatia inserzione distale tricipite;

– sindromi da sovraccarico biomeccanico polso-mano: tendinite flessori/estensori (polso-dita); sindrome di De Quervain; dito a scatto; sindrome del tunnel carpale; sindrome del canale di Guyon I settori maggiormente coinvolti sono quello manifatturiero, del confezionamento, l’edilizia, quello agroalimentare, la sanità, i servizi alla persona e la distribuzione organizzata (supermercati e centri commerciali)”.

 

Questi invece sono i principali gruppi di lavoratori esposti (con riferimento al decreto regionale 3958/2009):

– “addetti alle catene di montaggio, assemblaggio, cablaggio;

– addetti carico/scarico linea a ritmi prefissati;

– addetti al confezionamento;

– addetti alla cernita manuale;

– addetti alla filatura-orditura nell’industria tessile;

– addetti alla macellazione e lavorazione carni;

– addetti alla levigatura manuale;

– addetti alla preparazione e confezionamento di cibi nell’industria alimentare e nella GDO (grande distribuzione organizzata);

– addetti alle cucine;

– addetti alle pulizie;

– addetti al taglio e cucito nell’industria di confezioni abiti;

– operatori a tastiere;

– musicisti;

– parrucchieri;

– addetti alle casse;

– imbianchini;

– muratori;

– addetti dell’industria calzaturiera e della pelletteria;

– addetti al lavoro di tappezzeria;

– addetti in via continuativa ad alcune lavorazioni agricole (potatura, raccolta e cernita, mungitura manuale, ecc.)”.

 

Il documento – che vi invitiamo a leggere e che si sofferma sui riferimenti normativi, sulla valutazione e sulla prevenzione – riporta anche interessanti dati e statistiche.

Ad esempio si indica che secondo gli ultimi dati europei (EUROSTAT 2010) le patologie muscolo scheletriche nel loro complesso “rappresentano oltre il 55% di tutte le patologie professionali riconosciute nei sistemi assicurativi dei diversi paesi dell’Europa”. E i dati INAIL mostrano che in Italia le patologie muscolo-scheletriche professionali “hanno avuto un rapido incremento dagli anni 2000: nel periodo 2010-2013 riguardavano quasi il 60% di tutta la casistica di patologie professionali trattata dall’INAIL. Di queste, di gran lunga prevalenti sono quelle a carico degli arti superiori che, da sole, rappresentano il 30% delle patologie denunciate nel periodo di riferimento”. Inoltre, sempre nel periodo 2010-2013, con riferimento alle malattie tabellate dell’industria, le “patologie da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore rappresentavano da sole il 40% delle patologie professionali riconosciute dall’INAIL nel territorio nazionale”. E il trend di aumento delle denunce si è riscontrato “soprattutto a partire dal 2008, quando il DM 9 aprile 2008 ha aggiornato l’elenco delle malattie professionali tabellate (che godono cioè della presunzione legale d’origine e per le quali il lavoratore non è tenuto a dimostrare il nesso lavoro-patologia), inserendo per la prima volta tra queste anche le patologie muscolo scheletriche”.

 

Concludiamo riportando l’indice del documento:

 

  1. INTRODUZIONE E SCOPO

 

  1. LE PATOLOGIE DEGLI ARTI SUPERIORI CORRELATE A SOVRACCARICO BIOMECCANICO E LA LORO DIFFUSIONE NEL TERRITORIO DELLA ATS BRIANZA

 

  1. CAMPO DI APPLICAZIONE

 

  1. RIFERIMENTI NORMATIVI

4.1. D.Lgs 81/08

4.2. Norma ISO 11228 – parte 3

4.3. Technical Report ISO TR 12295

4.4. Direttiva Macchine

 

  1. LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA SOVRACCARICO BIOMECCANICO DEGLI ARTI SUPERIORI (SBAS)

5.1. Primo step: key enter

5.2. Secondo step: la valutazione rapida (quick assessment)

5.3. Terzo step: la valutazione analitica del rischio

 

  1. INTERVENTI DI BONIFICA

6.1. Introduzione

6.2. Gli interventi strutturali

6.3. Gli strumenti di lavoro

6.4. Gli strumenti organizzativi

6.5. Interventi formativi e di aggiornamento

6.5.1. Formazione dei lavoratori

6.5.2. Formazione dei tecnici di produzione e dei caporeparto

6.5.3. Formazione dei dirigenti

 

  1. LA SORVEGLIANZA SANITARIA

7.1. Perché effettuare la sorveglianza sanitaria

7.2. Quando effettuare la sorveglianza sanitaria

7.3. Come si effettua la sorveglianza sanitaria

7.4. Ogni quanto si effettuano le visite mediche

 

  1. IL RUOLO DEL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA

 

  1. LE MALATTIE PROFESSIONALI CON SPECIFICO RIFERIMENTO ALLA PATOLOGIA DA SOVRACCARICO DELL’ARTO SUPERIORE. CRITERIOLOGIA INAIL DEL NESSO DI CASUALITÀ MATERIALE

 

  1. LINK UTILI

 

 

 

ATS Brianza, “ Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato. Guida per le imprese”, documento che rappresenta la sintesi condivisa del lavoro svolto da un gruppo di lavoro costituito nell’ambito del Comitato di Coordinamento Provinciale ex art.7 DLgs 81/08 dell’ATS Brianza correlato al Piano Mirato di Prevenzione “Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato” (formato PDF, 1.29 MB).

 

ATS Brianza, “ Scheda di autovalutazione”, documento correlato al Piano Mirato di Prevenzione “Il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato” dell’ATS Brianza (formato DOC, 262 kB).

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui rischi correlati ai movimenti ripetitivi e al sovraccarico biomeccanico

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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La sicurezza sul lavoro è un obbligo che non tollera interruzioni temporali

Il principio della non interruzione temporale della sicurezza e irrilevanza della pluralità dei luoghi di lavoro e l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro.
 

Ospitiamo un contributo diLisanna Billeri,Tecnico della Prevenzione Unità Funzionale Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro zona Valdinievole , AUSL Toscana Centro.

Fonte autorevole e merito dell’approfondimento aldott. Luigi Boccia, Sost. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia.

 

Il principio della non interruzione temporale della sicurezza e irrilevanza della pluralità dei luoghi di lavoro

 

Capita spesso di considerare il D.Lgs. 81/08 come l’unica fonte normativa vigente in materia di igiene e sicurezza sul lavoro ma, in realtà, pur attuando un notevole riordino della normativa specifica, lascia fuori dal proprio corpus iurisuna quantità notevole di leggi ancora vigenti in materia e si inserisce in un ordinamento giuridico costellato di disposizioni contenute nei vari codici esistenti (penale, civile, di procedura penale e di procedura civile). A ciò si aggiungono le altre fonti giuridiche che per vari versi interessano la materia della salute e sicurezza sul lavoro, come la Costituzione e le leggi costituzionali, le norme comunitarie e la legislazione regionale.

 

Il D.Lgs. 81/2008 rappresenta solo una parte del nostro ordinamento prevenzionistico. Vero è, che questo decreto legislativo ha operato un radicale riordino della materia, raccogliendo in se le più importanti norme vigenti.

Da una logica dell’accettazione del rischio e della sua “monetizzazione”, ossia della corresponsione di indennità a fronte dell’esecuzione di lavorazioni fortemente pericolose per la salute dei lavoratori, siamo giunti alla L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (SSN), che annoverava fra i propri obiettivi la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro e la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di vita e di lavoro. La Legge n. 833/78 introduceva inoltre una novità, rappresentata dall’idea di considerare unitariamente la tutela dei luoghi di lavoro e quella dell’ambiente circostante.

 

Le funzioni di tutela della salute dei lavoratori, già di competenza dell’Ispettorato del Lavoro, venivano trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Negli anni ’80 un primo gruppo di direttive europee, che fa capo alla direttiva madre 80/1107/CEE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, introduce norme in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici. Alcune di tali norme sono state recepite in Italia negli anni ’90 con il D.Lgs. 277/1991 e il D.Lgs. 77/1992.

 

Queste norme segneranno il passaggio dal principio della massima sicurezza ragionevolmentefattibile, che considera prevalenti i fattori di carattere economico inerenti i costi delle misure di sicurezza da realizzare, a quello della massima sicurezza tecnologicamentepraticabile, che pone in primo piano la sicurezza dei lavoratori a prescindere dalle motivazioni economiche dell’imprenditore e dell’impresa.

 

Nel 1989 un secondo gruppo di direttive, comprendenti la direttiva quadro 89/391 e le sette direttive “figlie” ad essa collegata, enuncia specifiche norme per determinati settori o aspetti della sicurezza. Rispetto al primo gruppo di direttive, i cui obiettivi si fermavano al dovere di formazione-informazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, questo secondo gruppo introduce un livello di protezione più elevato attraverso la logica della partecipazione equilibrata.

 

Queste direttive furono recepite nel nostro Paese con cinque anni di ritardo, attraverso il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, profondamente modificato ed integrato, dopo solo due anni, dal D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242. Con questa legge viene notevolmente definita la responsabilità penale dei vari soggetti che sono coinvolti a vario titolo nell’attività dell’impresa.

Gli interventi legislativi di questi ultimi anni segnano il definitivo passaggio dal sistema di protezione oggettiva, che aveva caratterizzato la legislazione prevenzionistica degli anni ’50, al programma di protezione soggettiva, basato cioè sull’informazione, la formazione e l’addestramento dei lavoratori sull’uso delle macchine operatrici, delle attrezzature di lavoro, dei dispositivi di protezione, sui rischi specifici presenti nell’ambiente di lavoro, e, soprattutto, sulla preparazione e partecipazione di ogni soggetto dell’impresa al programma di prevenzione.

La stratificazione che, inevitabilmente, ha accompagnato questa lunga evoluzione normativa ha determinato l’esigenza di sistematizzazione e di consolidamento dei provvedimenti legislativi, che, sebbene già disposta dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, si e concretizzata, dopo vani precedenti tentativi, solo con la L. 3 agosto 2007, n. 123. Tale legge ha costituito il primo decisivo passo mosso in direzione di una concreta codificazione delle leggi vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Lo scopo principale della delega contenuta all’art. 1 era, infatti, l’emanazione di “uno o piu decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, e garantendo l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”.

 

Tali disposizioni, concernenti tra l’altro il coordinamento nei lavori in appalto e nei contratti d’opera mediante l’obbligo del documento unico di valutazione dei rischi (cd. DUVRI), l’attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la responsabilità amministrativa delle società per la violazione delle norme antinfortunistiche, sono state poi riprese dal D.Lgs. 81/2008.

 

Tra i principi e i criteri direttivi della delega contenuta nella L. 123/2007 (art. 1, comma 2) si prende in esame il principio della non interruzione temporale della sicurezzae dell’irrilevanza della pluralità dei luoghi di lavoro secondo cui si è affermata la responsabilità penale del dirigente incaricato di assicurare contemporaneamente la prevenzione infortuni in due distinti luoghi di lavoro, il quale – pur avendo constatato l’impossibilità di adempiere adeguatamente al duplice incarico ricevuto -non si astiene dal porre in essere un’attività che gli impediva di garantire la sicurezza del lavoro.

 

“in caso di infortunio sul lavoro determinato dall‘omissione delle prescritte misure di sicurezza, è penalmente responsabile il dirigente incaricato di assicurare contemporaneamente la prevenzione degli infortuni in due distinti luoghi di lavoro, il quale, pur avendo constatato l’impossibilità di adempiere adeguatamente al duplice incarico ricevuto, non si sia astenuto da una attività che gli impediva di garantire la sicurezza del lavoro”.

 

“l’imprenditore per adempiere al dovere di sorveglianza, ha l’ obbligo di essere sempre presente sul posto di lavoro e di assistere allo svolgimento dell’attività dei suoi dipendenti, senza allontanarsi dal cantiere prima di avere impartito opportune disposizioni ovvero avere delegato alla vigilanza persona capace e qualificata” in quanto “era suo dovere non accollarsi contestualmente una molteplicità di incombenze incompatibili rispetto all’ obbligo di vigilare a che gli operai non trasgredissero norme antinfortunistiche e di comune prudenza.” [ Cass.pen.Sez IV sent n.9690 18 .9.91 Cass. Pen. Sez. IV sent. 2204 6.4.97 fonte dossier ambiente n.91].

 

Occorre notare che “la diligenza definita genetica che deve sovraintendere alla costituzione dell’organizzazione, non può estinguersi improvvisamente ma deve proseguire nel verificare la perdurante efficacia del sistema, non essendo sufficiente fornire un mezzo adeguato se non si

continua a verificarne l’efficacia e la tenuta” (Tribunale ordinario di Milano, Sez. IV pen., 13.10.99, Pres. Martino): questo concetto di verifica continua della perdurante efficacia del sistema della prevenzione, rappresenta elemento di raccordo tra le esigenze del sistema giuridico con quelle dei sistemi di gestione, in particolare quelli di sicurezza e salute dei lavoratori (es. Standard OHSAS 18001). E’ il principio fondamentale per il quale la sicurezza non tollera interruzioni temporali.

 

Con sentenza del 19 gennaio 2005, n. 1238 la Corte di Cassazione- Sezione quarta, ha affermato che “il controllo che il datore di lavoro deve esercitare al fine delle misure di sicurezza stabilite dall’ordinamento lavoristico, consiste nelle misure relative a informazione, formazione, attrezzature idonee, presidi di sicurezza, e comunque ogni altra misura idonea, per comune regola di prudenza e di diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Anche se tale controllo non può essere sempre realizzato allo stesso datore di lavoro è richiesta comunque una gestione oculata dei luoghi di lavoro e la predisposizione di tutte le misure obbligatorie stabilite dalla legge.

 

Testualmente la Cassazione ha statuito che “quanto al dovere di presenza costante del datore di lavoro e soggetti equiparati sul luogo di lavoro, va ricordato il principio secondo il quale ‘ad impossibilia nemo tenetur’, concreta esplicazione del principio di ragionevolezza ed esigibilità della prestazione. Pertanto, tale obbligo va inteso nel senso che i soggetti tenuti debbono assicurare, più che la presenza fisica che non è in sé necessariamente idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori, la ‘gestione’ oculata dei luoghi di lavoro, mediante la predisposizione di tutte le misure imposte normativamente (informazione, formazione, attrezzature idonee e presidi di sicurezza), nonché di ogni altra misura idonea, per comune regola di prudenza e diligenza, a garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro”.

 

E’ dunque ribadito il dovere di controllo del datore di lavoro e dei soggetti a lui equiparati sulla sicurezza che implica una gestione attenta attraverso la predisposizione di tutte le misure imposte dalla norma: informazione, formazione ed informazione dei dipendenti sui rischi dell’attività effettivamente rivestita; l’utilizzo di attrezzature idonee e dispositivi di sicurezza nonché la messa in opera di ogni misura idonea secondo le ordinarie regole di prudenza e diligenza che garantiscano la sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

In tema di responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio sul lavoro subìto da un suo dipendente, l’operatività del principio che l’iniziativa imprudente e negligente del lavoratore infortunato non esclude la responsabilità del datore di lavoro che non ha vigilato.

 

Non di meno il principio per cui la sicurezza non conosce interruzione temporale non è sminuito dalla pluralità di luoghi di lavoro.

E’ bene tenere presente il principio consolidato nella giurisprudenza secondo cui la sicurezza del lavoro è un obbligo permanente che non tollera interruzioni temporali. L’obbligo di vigilanza sull’attività dei lavoratori, finalizzata alla tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore attraverso le misure dettate dal principio della massima sicurezza tecnica-organizzativa e procedurale concretamente fattibile, costituisce un obbligo imprescindibile ed ineludibile che il datore di lavoro deve esercitare direttamente, o qualora l’azienda sia organizzata funzionalmente secondo una gerarchia di ruoli e di compiti, rappresentata da varie figure di dirigenti e preposti, anche indirettamente, verificando che i compiti attribuiti vengano effettivamente espletati e prevedendo che le funzioni aziendali siano congrue ed adeguate alla dimensione del rischio da prevenire.

 

Un particolare onere di vigilanza è esplicitamente previsto in caso di lavoratori inesperti, apprendisti, somministrati o in prova . “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è sempre tenuto personalmente a vigilare sull’attività di apprendisti o lavoratori inesperti che non possiedono cioè l’esperienza, l’attenzione, l’accortezza e la capacità di previsione”, diverse sentenze precisano questo concetto, secondo cui il datore di lavoro è sempre tenuto a vigilare sull’attività del lavoratore soprattutto se questo è inesperto. L’obbligo di vigilare permane anche se il lavoratore sia stato affidato ad altro operaio più esperto, delegato alla sua istruzione tecnica. Il datore di lavoro non può invocare a sua discolpa l’affidamento del lavoratore (apprendista, o inesperto o in prova) ad altra persona, in quanto il compito di controllo e di vigilanza sulle norme di prevenzione nei luoghi di lavoro spetta sempre e comunque al datore di lavoro o al dirigente ritualmente all’uopo investito.

Vigilare significa anche incaricare un numero adeguato di preposti: i principi in materia di responsabilità per culpa in vigilandodel datore di lavoro, anche in relazione all’obbligo di organizzare adeguatamente la sorveglianza incaricando un numero sufficiente di preposti idonei per lo svolgimento di tale fondamentale compito prevenzionistico, sono stati evidenziati con particolare efficacia dalla giurisprudenza.

 

Controllo del datore di lavoro affinché il preposto vigili:

“in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adempie agli obblighi derivanti dalle norme di sicurezza l’imprenditore che, dopo l’avvenuta scelta della persona preposta al cantiere o incaricata dell’uso dei suddetti strumenti di lavoro non controlla o – se privo di cognizioni tecniche- non fa controllare la rispondenza dei mezzi usati ai dettami delle norme antinfortunistiche. In tal caso la presenza e l’eventuale colpa del preposto non eliminano la responsabilità dell’imprenditore potendosi ritenere che l’infortunio non sarebbe occorso se il datore di lavoro avesse controllato e fatto controllare le macchine e predisposto i mezzi idonei a dotarle dei requisiti di sicurezza mancanti, conferendo al preposto – come suo “alter ego” – non solo la generica delega a sorvegliare lo svolgimento del lavoro in cantiere ma anche dotandolo dei poteri di autonoma iniziativa- anche eventualmente di spesa o di modifica delle condizioni di lavoro, delle fasi e dei tempi del processo lavorativo – per l’adeguamento e l’uso in condizioni di sicurezza dei mezzi forniti. [sent. 3602 marzo 2008].

 

La vigilanza presuppone che a monte siano state individuate tutte le misure idonee a prevenire i rischi lavoratori, ovvero sia stato adempiuto l’obbligo preliminare di valutare tutti i rischi e siano attuate tutte le misure che dovranno essere effettive: lo diventano solo qualora sia controllato a cura della gerarchia aziendale il rispetto delle stesse da parte dei lavoratori.

 

..”il controllo che datore di lavoro deve esercitare sull’operato dei dipendenti perché non si verifichino infortuni sul lavoro, essendo finalizzato a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, non può risolversi nella messa a disposizione di questi ultimi dei dispositivi antinfortunistici e nel generico invito a servirsene ma deve costituire una delle particolari attività dell’imprenditore gravando su quest’ultimo l’onere di fare cultura sul rispetto delle norme antinfortunistiche, di svolgere continua assidua azione pedagogica, con il ricorso, se del caso, anche a sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non si adeguino alle citate disposizioni” …[Cass. Pen. 6/10/2005]

 

..”in tema di infortuni sul lavoro, l’esistenza sul cantiere di un preposto – salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, e di una particolare competenza – non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico soltanto il dovere di vigilare a che i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri”..[ Cass. Pen. sent. N. 1142 del 27 gennaio 1999]

..”gli obblighi dell’imprenditore in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non si esauriscono nell’apprestamento delle attrezzature necessarie a detto scopo, ma si estendono alla costante vigilanza volta a prevenire e, in ogni caso, a far tempestivamente cessare eventuali manomissioni da parte dei dipendenti: ne consegue che l’accertata violazione di una norma antinfortunistica vale da sola a configurare la colpa del datore di lavoro [Cass. Sez. Lav. n. 7772 del 7/8/98].

 

 

Il principio della non interruzione temporale della sicurezza e irrilevanza della pluralità dei luoghi di lavoro(formato PDF, 96 kB)

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Come usare in sicurezza gli accessori di sollevamento magnetici

Una pubblicazione fornisce informazioni sull’uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici. La normativa tecnica, gli esempi di buone prassi, i principali rischi, le misure di prevenzione e le procedure operative di sicurezza.  
Monza, 7 Mar – In diversi luoghi di lavoro il sollevamento materiali viene svolto anche attraverso l’utilizzo di attrezzature come sollevatori a magneti permanentisollevatori elettropermanenti, sollevatori elettropermanenti a batteriasollevatori elettromagnetici e sollevatori elettromagnetici a batteria.

 

A parlare di queste attrezzature e del loro uso in sicurezza è una pubblicazione – realizzata da ATS Brianza (Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria – Servizio Impiantistica e della Sicurezza SIS) con il contributo dell’Associazione italiana sistemi di sollevamento, elevazione e movimentazione (AISEM) – dal titolo “Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici”. Una pubblicazione che ha l’obiettivo di fornire: informazioni finalizzate all’uso in sicurezza degli accessori magnetici e indicazioni per eseguire una valutazione del rischio anche sulla scorta degli esempi riportati. Ricordando, tuttavia, che poiché nelle aziende possono essere presenti “situazioni non riportate all’interno del presente elaborato, lo stesso non deve essere inteso come uno strumento sostitutivo del manuale istruzioni, fornito dal costruttore dell’attrezzatura di lavoro, che rimane lo strumento principale di riferimento per l’utilizzatore”.

 

Sono segnalate alcune normative di riferimento:

– UNI EN 13155:2009 – Apparecchi di sollevamento – Sicurezza – Attrezzature amovibili di presa del carico;

– ASME B30.20, “Below-the-Hook Lifting Devices”

E alcune pubblicazioni con esempi di buone prassi:

– Guidance on the safe use of magnetic lifting devices – Health and Safety Executive: la guida “fornisce consigli su come ridurre il rischio connesso all’uso degli accessori di sollevamento magnetici”;

– Berufsgenossenschaft Handel und Warenlogistik (BGHW). Utilizzo di magneti di sollevamento nel commercio di acciai – la guida “fornisce suggerimenti all’uso in sicurezza di sistemi magnetici nell’ambito del commercio e la distribuzione di acciaio”;

– schede per i controlli INAIL: il documento riporta “indicazioni per garantire gli interventi di controllo, per assicurare la permanenza nel tempo dei requisiti di sicurezza, ove la documentazione del fabbricante a corredo dell’ apparecchio di sollevamento ovvero dell’accessorio di sollevamento utilizzato risulti non disponibile. Laddove, infatti, il manuale del fabbricante risulti disponibile o comunque reperibile, le indicazioni in esso contenute costituiscono il riferimento per il datore di lavoro”.

 

Quali sono i principali rischi nell’uso degli accessori di sollevamento magnetici?

 

Il documento indica che il pericolo principale di sicurezza è “connesso alla caduta del carico a causa di un guasto dell’accessorio di sollevamento con conseguente perdita di potenza. Tra i fattori che possono compromettere la stabilità del carico: errata applicazione (es. materiale non ferromagnetico, traferro, geometria del carico, temperatura, ecc.) o cattivo funzionamento/stato di manutenzione, mancanza di tensione di rete o guasto al sistema di alimentazione”.

Inoltre un ulteriore potenziale rischio “per la salute per le persone, che lavorano in prossimità di questi accessori di sollevamento magnetici, è costituito dal campo magnetico statico attorno al magnete che potrebbe interferire con il funzionamento dei dispositivi elettronici (es. pacemaker cardiaci) utilizzati dal personale o attrarre le protesi impiantate nel corpo umano. Il campo magnetico potrebbe anche interferire con sistemi di comunicazione e di controllo/attrezzature che potrebbero essere rilevanti per la sicurezza”.

 

misure di sicurezza possono essere:

– protezione contro mancanza di alimentazione elettrica: “fatta eccezione per i sollevatori a magneti permanenti, elettropermanenti o elettropermanenti a batteria, qualsiasi interruzione alla rete elettrica potrebbe causare il rilascio del carico. Di conseguenza, per gli accessori di sollevamento elettromagnetici, aventi portata superiore a 20 kg e alimentati dalla rete, deve essere previsto un sistema automatico di intervento batterie, che, in caso di mancanza dell’alimentazione, sia in grado di trattenere il carico e che fornisca un allarme acustico o ottico. La batteria deve essere in grado di trattenere il carico in sicurezza come minimo per 10 minuti;

– dopo che il dispositivo automatico di intervento batterie è stato attivato e l’elettromagnete è stato diseccitato, lo stesso non può più essere utilizzato fino al ritorno della linea di alimentazione. Nel caso in cui la batteria si fosse scaricata sotto un valore minimo impostato dal costruttore, al ritorno della alimentazione il funzionamento dell’elettromagnete sarà inibito, fino a che lo stato di carica non abbia raggiunto il valore minimo richiesto”.

 

Rimandando ad un prossimo articolo l’approfondimento sulla valutazione dei rischi per questi sollevatori, ci soffermiamo oggi sulle procedure di sicurezza, ricordando che, per ogni tipologia di accessori di sollevamento, è necessario predisporre delle “istruzioni operative di sicurezza concernenti l’uso in sicurezza”. Tali istruzioni “devono essere messe a disposizione dei lavoratori incaricati. Inoltre, le tabelle di dettaglio dei carichi massimi per ciascun tipo di materiale (es lastre, barre, tubi , ecc.)” devono essere “convenientemente” visualizzate.

 

Queste alcune procedure operative di sicurezza riportate nel documento:

– “utilizzare il tipo di accessorio idoneo in relazione al carico (es. massa, materiale, forma, ecc.) da sollevare e essere consapevoli dei limiti di ogni attrezzatura;

– sollevare un pezzo di materiale alla volta. Ovviamente tale indicazione è inadatta per la movimentazione di rottami, ecc.. Nel caso di sollevamento di più pezzi consultare le istruzioni d’uso;

– seguire sempre le indicazioni fornite dal costruttore dell’attrezzatura (manuale istruzioni);

– non utilizzare gli accessori di sollevamento magnetici per manipolare i contenitori di gas o liquidi;

– verificare lo spessore dei materiali prima di sollevare e confrontare le tabelle relative capacità di sollevamento di diverso spessore;

– assicurarsi che gli accessori di sollevamento magnetici siano controllati prima di ogni utilizzo per verificare la presenza di eventuali vizi o difetti;

– assicurarsi che ci sia un buon contatto tra le superfici del magnete e il carico. Infatti, l’efficienza magnetica potrebbe essere influenzata dal traferro (intervallo d’aria tra carico e sollevatore, ndr);

– tenere conto della flessibilità del carico. Qualsiasi bilancino usato deve essere adatto allo scopo;

– se più di un magnete deve essere utilizzato, è importante che il centro di gravità del carico sia accertato in modo che il carico presa da ciascun magnete possa essere stabilita. È importante che la portata di ogni singolo magnete non venga superata;

– attuare misure tecniche ed organizzative finalizzate a garantire che l’utilizzatore si trovi a distanza di sicurezza dal carico movimentato. Quando il materiale di scarto (es. rottame) viene sollevato tutte le persone dovrebbero essere escluse dalla zona di movimentazione dei rottami (no go area). Fornire agli operatori i luoghi di lavoro sicuri per garantire che essi non possono essere colpiti da carichi;

– visualizzare avvertenze idonee a ingressi ai luoghi dove il sollevamento è in atto. Impedire l’accesso non autorizzato nella ‘zone pericolosa’;

– tutti i movimenti di materiali devono essere adeguatamente organizzati e gestiti per evitare lesioni e danni a impianti e persone. Allo scopo, le operazioni e procedure di sollevamento devono essere chiaramente definite e rispettate.

– movimentare il carico ad altezza più bassa possibile, per quanto possibile non superiore a 1,5 m sopra il livello del suolo. Ove ciò non sia possibile, altre precauzioni devono essere prese in considerazione (ad esempio, l’applicazione delle ‘zone di esclusione’ estese);

– prima di scollegare la spina presa, il magnete deve essere OFF (diseccitato), per evitare, in caso di apertura sotto carico, la formazione di un arco elettrico, pericoloso per la persona che effettua l’operazione di scollegamento dell’accessorio;

– prima di abbandonare la postazione, è necessario depositare il carico: non abbandonare mai il carico sollevato!

– preparare le modalità di gestione delle emergenze per esempio azioni da intraprendere in caso di mancanza di corrente / attrezzature, ecc”.

 

Rimandando alla lettura integrale della pubblicazione, che riporta numerose immagini e ulteriori esempi specifici di procedure, ricordiamo in conclusione che il documento si sofferma anche sulle attività di informazione, formazione ed addestramento e sui necessari controlli e ispezioni.

 

 

ATS Brianza, “ Uso in sicurezza degli accessori di sollevamento magnetici”, documento realizzato da Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria – Servizio Impiantistica e della Sicurezza (SIS) dell’ATS Brianza con il contributo dell’Associazione italiana sistemi di sollevamento, elevazione e movimentazione – AISEM (formato PDF, 2.06 MB).

 

 

RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Bonus donne disoccupate 2017 INPS requisiti e modulo domanda

Bonus disoccupate 2017 INPS cos’è e come funziona l’incentivo per l’assunzione di donne senza lavoro da almeno 6 mesi, requisiti età e in quali regioni

Febbraio 2017

Bonus donne disoccupate 2017 cos’è e come funziona, come si richiede e cosa prevede?

Il bonus, innanzitutto, è un’incentivo contributivo per le aziende che assumono donne in aree svantaggiate e non è un contributo economico che lo Stato italiano riconosce alle donne perché disoccupate. Tale beneficio, introdotto dalla Legge Fornero e poi abolito e prorogato dall’INPS, prevede una riduzione contributiva del 50%sulle retribuzioni delle donne disoccupate assunte con l’incentivo al fine di facilitare il loro reinserimento lavorativo in specifiche aree svantaggiate dell’Italia.

 

Bonus donne disoccupate 2017 INPS: cos’è?

Il Bonus donne disoccupate 2017 è un incentivo per l’assunzione di donne prive di occupazione regolarmente retribuita da almeno 6 mesi, di qualsiasi età e residenti nelle aree svantaggiate dell’Italia, indicate dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale (per il periodo 2014-2020: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e alcuni territori del Centro-Nord, tra cui zone in provincia di Ferrara e Piacenza).

Tale incentivo assunzione, introdotto dalla Legge Fornero al fine di favorire e incentivare l’occupazione femminile è stato prorogato dall’INPS, con il messaggio 6319/2014 che ha ripristinato la misura prevista dall’articolo 4, commi da 8 a 11, della legge 28 giugno 2012, n. 92 per l’assunzione di “donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali dell’Unione europea”.

A tal fine il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è intervenuto con la nota n. prot. 40/0028096 del 25 luglio 2014, ha chiarire che, dal momento che l’incentivo costituisce un regime di aiuti in favore dei lavori svantaggiati, è possibile continuare a considerare utili ai fini della sua applicazione, le aree indicate nella Carta, adottata con il Decreto Ministeriale del 27.03.2008 circa le assunzioni, proroghe e trasformazioni effettuate dal primo luglio 2014.

Cos’è il bonus donne disoccupate? E’ un bonus contributivo riconosciuto alle imprese e datori di lavoro privati che assumono a partire dal 1° gennaio nelle aree svantaggiate, donne di qualsiasi età e prive di occupazione da almeno 6 mesi con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, a tempo determinato e anche con contratto di somministrazione.

 

Come funziona il bonus assunzione donne disoccupate? Requisiti:

Come funziona e prevede il bonus assunzioni INPS? Il bonus assunzione donne disoccupate, prevede per i datori di lavoro che assumono lavoratrici residenti nelle aree svantaggiate indicate nel Decreto Ministeriale 27.03.2008, una riduzione del 50% dei contributi obbligatori INPS a loro carico, per un periodo massimo di 12 mesi per l’assunzione con contratto a tempo determinato e in somministrazione, o a18 mesi per i contratti a tempo indeterminato. L’erogazione dell’incentivo economico viene prolungata a 18 mesi anche nel caso di trasformazione di un impiego a termine in permanente.

Bonus donne disoccupate requisiti:

Il bonus è riconosciuto ai datori di lavoro che assumono: Donne di qualsiasi età, prive di un’occupazione regolarmente retribuita da almeno 6 mesi che siano residenti nei comuni delle cd. aree svantaggiate d’Italia.

In quali regioni è utilizzabile il bonus donne disoccupate?

Quali sono le aree svantaggiate? Sono quelle individuate dal D.M. 27 marzo 2008 ossia tutti i comuni ubicati all’interno delle seguenti regioni: Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Basilicata. Zone specifiche di Emilia Romagna, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto, Abruzzo, Molise, Lazio, Liguria, Lombardia.

 

Bonus donne disoccupate durata e da quando inizia?

Il bonus donne disoccupate INPS che spetta ai datori di lavoro privati che assumono donne prive di occupazione, ha una specifica durata in base al tipo di contratto di lavoro.

Bonus donne disoccupate durata incentivo: la riduzione del 50% dei contributi obbligatori INPS che spetta ai datori di lavoro che assumono donne senza lavoro ha una durata diversa in base al tipo di contratto e cioè:

  • 12 mesi per le assunzioni a contratto a tempo determinato e in somministrazione.
  • 18 mesi per i contratti a tempo indeterminato.
  • 18 mesi in caso di trasformazione di un impiego a termine in permanente.

Da quando spetta il bonus? Il bonus Inps donne disoccupate è già in vigore.

 

Come si richiede il Bonus disoccupate? Modulo domanda INPS:

La richiesta per il riconoscimento dello sgravio contributivo pari al 50% dei contributi a carico del datore di lavoro, va effettuato dall’impresa e azienda che assume la donna disoccupata presentando specifica domanda di ammissione al beneficio.

I datori di lavoro interessati a fruire dell’incentivo, devono presentare all’Inps il modulo domanda INPS bonus donne disoccupate 2017 disponibile nel “Cassetto previdenziale aziendale” ricordando però che la richiesta va trasmessa per via telematica prima dell’invio della denuncia contributiva.

Una volta trasmessa la domanda, l’INPS procede ad effettuare i dovuti controlli e verifiche circa il possesso dei requisiti e condizioni per fruire dello sgravio contributivo, quindi residenza della donna disoccupata in una delle aree svantaggiate e la sua effettiva disoccupazione da almeno 6 mesi, dopo i quali l’INPS esprime il consenso o il diniego alla fruizione del bonus.

 

 

Fonte: guidafisco.it

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Decreto milleproroghe: proroghe su formazione, antincendio e SINP

Alcune delle proroghe contenute nel nuovo Decreto Legge 244/2016 come modificato dalla legge di conversione. L’entrata in vigore dell’obbligo dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole è ora differita al 31 dicembre 2017.
 

Roma, 7 Mar – Approvata il 23 febbraio 2017, la legge del 27 febbraio 2017 n. 19 – relativa alla conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante “Proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l’esercizio di deleghe legislative” (cosiddetto decreto milleproroghe) – è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28 febbraio 2017. E il testo è entrato in vigore il 1° marzo 2017.

 

PuntoSicuro nelle scorse settimane aveva già affrontato una prima presentazione delle proroghe in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento a quelle relative all’adeguamento della normativa antincendio nelle scuole, negli asili nido e nelle strutture ricettive alberghiere.

 

Riprendiamo oggi a mostrare alcune delle proroghe più significative, partendo tuttavia da una nuova proroga, contenuta nella legge di conversione e non nel decreto legge originario. Una proroga presente nel comma 2-ter aggiunto, dalla legge di conversione, all’articolo 3 del testo del decreto legge.

 

Testo coordinato del Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244

 

Art. 3 – Proroga di termini in materia di lavoro e politiche sociali

 

(…)

2-ter. Il termine per l’entrata in vigore dell’obbligo dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole, in attuazione di quanto disposto dall’accordo, sancito dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 22 febbraio 2012, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, concernente l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali e’ richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonche’ le modalita’ per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi e i requisiti minimi di validita’ della formazione, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2012, e’ differito al 31 dicembre 2017. Entro dodici mesi da tale data devono essere effettuati i corsi di aggiornamento, di cui al punto 9.4 dell’Allegato A al suddetto accordo del 22 febbraio 2012.

(…)

 

Con il comma 2-ter è stata di nuovo ulteriormente prorogata, come era avvenuto con il “decreto del fare”, l’entrata in vigore dell’obbligo dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole, che è ora differita al 31 dicembre 2017. E si indica che i corsi di aggiornamento devono essere effettuati entro dodici mesi da tale data (entro il 31 dicembre 2018).

 

Riguardo al tema dell’abilitazione per le macchine agricole rimandiamo ai precedenti articoli di PuntoSicuro che ne hanno parlato in passato con riferimento, ad esempio, all’ Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012 e a varie circolari ministeriali, come la Circolare n. 45 del 24 dicembre 2013.

 

Torniamo al milleproroghe 2017 e alla conferma di una modifica, già apportata dal Decreto Legge, al D.Lgs. 81/2008:

 

Art. 3 Proroga di termini in materia di lavoro e politiche sociali

 

(…)

2. All’articolo 53, comma 6, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le parole: «Fino ai sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «Fino ai 12 mesi».

(…)

 

Con questa modifica fino ai 12 mesi successivi all’adozione del decreto interministeriale istitutivo del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp) nei luoghi di lavoro restano in vigore le disposizioni relative ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici (prima erano 6 mesi).

 

Correlata alla precedente la nuova modifica del D.Lgs. 81/2008 che fa riferimento al contenuto del comma 1-bis, dell’articolo 18 (Obblighi del datore di lavoro e del dirigente) del Testo Unico.

 

Testo coordinato del Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244

 

Art. 3 Proroga di termini in materia di lavoro e politiche sociali

 

(…)

3-bis. All’articolo 18, comma 1-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le parole: “termine di sei mesi” sono sostituite dalle seguenti: “termine di dodici mesi”.

(…)

 

L’articolo 18, comma 1-bis, del Testo Unico – che fa riferimento alla comunicazione in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8 – diventa dunque così:

 

D.Lgs. 81/2008

 

Art. 18 Obblighi del datore di lavoro e del dirigente

(…)

1-bis. L’obbligo di cui alla lettera r) del comma 1, relativo alla comunicazione a fini statistici e informativi dei dati relativi agli infortuni che comportano l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento, decorre dalla scadenza del termine di dodici mesi dall’adozione del decreto di cui all’articolo 8, comma 4.

 

Concludiamo l’articolo presentando alcune altre proroghe, che avevamo presentato in precedenti articoli di PuntoSicuro

 

Una modifica del milleproroghe riguarda l’adeguamento della normativa antincendio nelle scuole: con la proroga l’adeguamento della normativa antincendio per gli edifici scolastici e i locali adibiti a scuola è possibile entro il 31 dicembre 2017 (e non più entro il 31 dicembre 2016).

 

Testo coordinato del Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244

 

Art. 4 – Proroga di termini in materia di istruzione, università e ricerca

 

1. All’articolo 18, comma 8-quinquies, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, le parole: «31 dicembre 2016» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2017». Restano fermi i termini di conservazione dei residui previsti a legislazione vigente

2. Il termine di adeguamento alla normativa antincendio per gli edifici scolastici ed i locali adibiti a scuola, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non si sia ancora provveduto al predetto adeguamento è stabilito al 31 dicembre 2017.

2-bis. Il termine per l’adeguamento alla normativa antincendio per gli edifici ed i locali adibiti ad asilo nido, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non si sia ancora provveduto all’adeguamento antincendio indicato dall’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto del Ministro dell’interno 16 luglio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2014, e’ stabilito, in relazione agli adempimenti richiesti dalla citata lettera a), al 31 dicembre 2017. Restano fermi i termini indicati per gli adempimenti di cui alle lettere b) e c) dello stesso articolo 6, comma 1;

(…)

 

A questa proroga si è aggiunta la proroga in materia antincendio relativa agli asili nido (comma 2-bis, articolo 4 del testo coordinato) e per le strutture ricettive alberghiere aventi oltre venticinque posti letto ed esistenti alla data dell’11 maggio 1994 (comma 11-sexies, articolo 5 del testo coordinato).

 

 

Testo coordinato del Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244

 

Art. 5 Proroga di termini in materie di competenza del Ministero dell’interno

(…)

11-sexies. All’articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n.150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, e successive modificazioni, le parole: “31 dicembre 2016” sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2017”.

 

 

Legge 27 febbraio 2017, n. 19 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l’esercizio di deleghe legislative.

 

Testo coordinato del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 con la legge di conversione 27 febbraio 2017, n. 19.

 

Decreto legge 30 dicembre 2016 n.244 – Proroga e definizione di termini

 

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Videoterminali: i consigli per lavorare in sicurezza

Alcuni documenti si soffermano sulle buone prassi di lavoro al videoterminale. I disturbi dei lavoratori, i nove consigli per lavorare comodi, le regolazioni, gli occhiali, l’altezza dello schermo e le pause regolari.
 

Lucerna, 01 Mar  – Come più volte ricordato nei nostri articoli, molti operatori che lavorano al videoterminale accusano varie tipologie di disturbi; ad esempio mal di testa, tensioni alla nuca, bruciore agli occhi e dolori in corrispondenza di spalle, braccia e mani. Disturbi che con idonee strategie di prevenzione si possono benissimo evitare.

 

Per migliorare la prevenzione dei lavoratori nell’ uso dei videoterminali (VDT), Suva, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, ha prodotto in questi anni diversi materiali informativi ed ha dedicato uno specifico spazio in rete – “ Ergonomia al videoterminale” – a questi temi.

 

Da questo spazio è possibile non solo ricavare informazione su vari temi (aspetti ergonomici, allestimento del posto di lavoro, disturbi, home office, uso del laptop, …), ma anche arrivare a molti documenti d’informazione sul rischio VDT e sulle possibili misure di prevenzione.

 

Ad esempio in “Lavorare al videoterminale”, una pubblicazione utilizzabile nei percorsi formativi e informativi, si indica che è necessario fare sapere agli utilizzatori di VDT che le carenze ergonomiche sul posto di lavoro possono causare disturbi fisici. I lavoratori devono poi conoscere le regole più importanti per allestire correttamente la loro postazione di lavoro al videoterminale secondo principi ergonomici e devono essere motivati a mettere in pratica queste regole in modo da evitare il più possibile l’insorgenza di disturbi.

 

Nel documento sono riportati i disturbi più frequenti (nuca, spalle, schiena, polso, mani, …) e l’influsso, su questi, dell’orario di lavoro in postazioni di lavoro che presentano carenze di allestimento (fino a 4 ore la frequenza dei disturbi è del 27,3%, oltre 8 ore del 85,7%).

 

Si ricorda poi che se il mal di schiena “rappresenta in assoluto uno dei problemi di salute più frequenti”, un allestimento corretto della postazione di lavoro consente spesso di risolvere problemi come contratture muscolari, bruciore agli occhi, mal di testa, luce e riflessi fastidiosi, …

 

Riguardo alla prevenzione ci soffermiamo in particolare sul documento Suva “Lavoro al videoterminale. I nove consigli per lavorare comodi”.

 

Riportiamo brevemente i nove consigli.

 

Per evitare riflessi e abbagliamenti “posizionare lo schermo e il tavolo parallelamente alla finestra per evitare riflessi e abbagliamenti fastidiosi sullo schermo. In qualsiasi caso, si consiglia di non lavorare con le tapparelle abbassate, ma di usare tendine a rullo che si possono sollevare dal basso verso l’alto oppure tendine a pannelli verticali. In questo modo si può guardare fuori dalla finestra senza avere riflessi o abbagliamenti sullo schermo”.

 

Come regolare la sedia:

– “fatta eccezione per pochi centimetri, le cosce aderiscono al piano del sedile e i piedi poggiano completamente sul pavimento;

–  le ginocchia formano un angolo di 90 gradi o poco più;

– la schiena esercita una leggera pressione sullo schienale”.

Sbloccare lo schienale per consentire la seduta dinamica!

 

È importante regolare l’altezza del tavolo.

Verificare innanzi tutto “che vi sia spazio sufficiente sotto il tavolo e togliere qualsiasi elemento che limita o blocca il movimento delle gambe o dei piedi. Quindi impostare l’altezza secondo la ‘regola dei gomiti’: altezza dei gomiti = altezza del tavolo più altezza della tastiera. Se non è possibile regolare l’altezza del tavolo, si raccomanda di sollevare l’altezza della seduta in modo da rispettare la ‘regola dei gomiti’. Per evitare di lavorare con le gambe ‘penzoloni’ si consiglia di usare un poggiapiedi che lasci la massima libertà di spazio ai piedi”.

 

Altri suggerimenti:

– posizionare schermo, tastiera, documenti: “posizionare lo schermo e la tastiera di fronte a sé e parallelamente al bordo del tavolo. Poggiare i fogli di carta su un portadocumenti (alto al massimo 7 cm) tra schermo e tastiera”;

 

– regolare l’altezza dello schermo: “il bordo superiore dello schermo si trova circa 10 cm (un palmo) al di sotto degli occhi. Inclinare lo schermo in modo che lo sguardo sia perpendicolare allo stesso”;

 

– mantenere la distanza: “per poter leggere senza difficoltà anche i caratteri più piccoli (per es. le voci dei menu ecc.) lo schermo deve trovarsi a una distanza di 70–90 cm dagli occhi. Se necessario, usare la funzione zoom per ingrandire i caratteri sullo schermo”;

 

– indossare occhiali per PC: “i normali occhiali da lettura o quelli con lenti progressive non sono adatti al lavoro al videoterminale. Infatti, obbligano ad avvicinarsi allo schermo per leggere con maggior chiarezza e costringono a piegare la testa all’indietro, provocando delle contratture muscolari alla nuca. Gli occhiali per PC invece hanno un campo visivo che si adatta perfettamente alla distanza occhio-schermo permettendo di mantenere una postura naturale”;

 

– fare movimento e pause regolari: cambiare spesso la posizione (per es. variare la postura con la seduta dinamica); sfruttare al meglio lo spazio di movimento; sgranchire le gambe di tanto in tanto e fare qualche esercizio di stretching; intervallare regolarmente (per es. ogni ora) il lavoro con delle pause di qualche minuto;

 

– lavorare comodi con il notebook: “consigliamo vivamente di usare una tastiera e un mouse se si lavora più di un’ora con il notebook. Se lo schermo è posizionato troppo in basso, si può sollevare il notebook appoggiandolo, ad esempio, su un portadocumenti. Se si lavora più di 2 ore con il notebook è opportuno usare anche uno schermo esterno antiriflesso”.

 

Ricordiamo che nel documento “Lavorare al videoterminale”, che vi invitiamo a visionare e che è ricco di immagini esplicative, sono riportate anche indicazioni sugli accessori utili, come i poggiapolsi e i portadocumenti. Sono infine presenti indicazioni sulle telefonate al computer (uso di cuffie telefoniche) e sull’utilizzo di più monitor.

 

 

N.B.: Gli eventuali riferimenti legislativi contenuti nel documento originale riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati sono comunque utili per tutti i lavoratori.

 

 

Lo spazio web dedicato all”Ergonomia al videoterminale”…

 

Suva, “ Lavorare al videoterminale” (formato PDF, 1.79 MB).

 

Suva, “ Lavoro al videoterminale. I nove consigli per lavorare comodi”, edizione 2013 (formato PDF, 287 kB).

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sull’uso dei videoterminali

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Imparare dagli errori: il rischio con i camion non è solo stradale

Informazioni sugli infortuni non stradali con riferimento all’utilizzo di camion e autocarri. Infortuni in operazioni di carico e scarico e per problemi di instabilità del carico. Gli infortuni e la prevenzione.
 

Brescia, 02 Mar – Con questo articolo concludiamo il breve viaggio della rubrica “ Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, tra i possibili incidenti professionali nell’utilizzo di camion e autocarri.

 

Le precedenti tappe del “viaggio” erano incentrate per lo più sugli incidenti stradali, un tema delicato, anche per i dati relativi ai troppi infortuni mortali professionali che avvengono su strada. Un tema che PuntoSicuro ha affrontato anche realizzando recentemente alcune interviste esclusive:

– l’ intervista a Federico Ricci (psicologo del lavoro, docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia) che ci ha ricordato l’impatto del contesto lavorativo sul comportamento professionale dei guidatori;

– l’ intervista ad Andrea Bucciarelli (Consulenza Statistico Attuariale dell’Inail) sugli infortuni in itinere.

 

Tuttavia nell’utilizzo di camion e autocarri molti infortuni avvengono, come vedremo, anche con incidenti non stradali.

 

I casi presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi

 

I casi

Il primo caso riguarda un infortunio in operazioni di scarico.

Durante le operazioni di scarico, nel piazzale antistante il vivaio, dei sacchi di torbaposizionati su una pedana in legno e posta sul camion, un lavoratore sale sul cassone del camion aggrappandosi ai sacchi di torba stoccato, che sbilanciandosi cadono sul corpo dell’infortunato procurandogli fratture del bacino e grave trauma addominale chiuso.

 

Il secondo caso riguarda un infortunio avvenuto in un terminal portuale di contenitori, di sera in una giornata piovosa. In questo caso l’infortunato è un autotrasportatore, l’autoarticolato di cui era alla guida era stato caricato di un contenitore.

Il lavoratore scende dal camion per fissare i twist lock di chiusura del contenitore al semirimorchio. Prima chiude i due dal lato verso il parco di deposito dei contenitori, e successivamente si porta verso quello posteriore esterno lato viabilità. Un dipendente della compagnia portuale alla guida di un’autovettura di servizio, sta transitando in prossimità del punto di carico del camion, e per evitare la collisione con dei new jersey che delimitano una buca, si sposta verso il camion rasentandolo, e investe l’autotrasportatore, il quale viene colpito dal paraurti dell’auto e di contraccolpo picchia con la testa sul parabrezza del veicolo, procurandosi un trauma cranico.

Nel terminal vigeva la regola scritta sul foglio di prelievo del contenitore di divieto di scendere dal mezzo in area operativa, ma non era prevista un’area apposita destinata al fissaggio dei twist per cui era frequente che l’operazione di chiusura dei twist venisse svolta sulla viabilità. La larghezza del passaggio in quel punto avrebbe consentito il transito in sicurezza della macchina. L’infortunato, come è pratica frequente da parte degli autotrasportatori in aree portuali, non indossava il gilet ad alta visibilità al momento dell’infortunio, gilet peraltro disponibile.

 

Il terzo caso riguarda problemi di instabilità del carico.

L’autista di un autocarro poco prima di entrare in azienda urta un cordolo della strada che causa lo sgonfiamento del pneumatico. Posizionato il camion nel piazzale dell’azienda per lo scarico di pacchi di verghe lunghe 6 m, procede all’apertura delle sponde. Dopo averle aperte, un pacco di verghe cade a terra urtando la gamba destra. Il carico durante l’urto contro il cordolo si era stabilizzato contro il piantone del cassone.

 

Questi i fattori causali dell’incidente:

– il lavoratore “non si accertava della stabilità del carico;

– pacchi di verghe sul cassone dell’autocarro in posizione instabili in seguito all’urto”.

 

Anche il quarto caso riguarda operazioni di scarico.

Un lavoratore, assistito da un dipendente di un’azienda di riciclaggio rifiuti ferrosi, ha il compito di trasportare con il proprio autoarticolato degli sfridi metallici di lavorazione, da una parte ad un’altra di un piazzale esterno. Mentre si accinge allo scarico del materiale sollevando il cassone, il camion si inclina sul fianco dx e nel ribaltarsi l’infortunato istintivamente si getta al di fuori del posto di guida, battendo violentemente a terra il capo e riportando gravi lesioni. Accertamenti tecnici sul mezzo hanno escluso malfunzionamenti meccanici dello stesso.

 

Questi i fattori causali individuati dalla scheda:

– “operatore che si getta dal finestrino”;

– “il camion si inclinava sul fianco dx”.

 

La prevenzione

Dopo aver presentato nelle scorse puntate alcune indicazioni e suggerimenti per la prevenzione del rischio di incidente stradale, presentiamo oggi del materiale più generale relativo a misure di prevenzione e istruzioni per coloro che utilizzano autocarri nei cantieri stradali.

Sono suggerimenti presentati nel manuale, prodotto dall’ Inail, dal titolo “ La sicurezza sul lavoro nei cantieri stradali”.

 

Prima dell’uso:

– “verificare accuratamente l’efficienza dei dispositivi frenanti e di tutti i comandi in genere;

– verificare l’efficienza delle luci, dei dispositivi di segnalazione acustici e luminosi;

– garantire la visibilità del posto di guida;

– controllare che i percorsi in cantiere siano adeguati per la stabilità del mezzo;

– verificare la presenza in cabina di un estintore”.

 

Durante l’uso:

– “segnalare l’operatività del mezzo col girofaro in area di cantiere;

– non trasportare persone all’interno del cassone;

– adeguare la velocità ai limiti stabiliti in cantiere e transitare a passo d’uomo in prossimità dei posti di lavoro;

– richiedere l’aiuto di personale a terra per eseguire le manovre in spazi ristretti o quando la visibilità è incompleta;

– non azionare il ribaltabile con il mezzo in posizione inclinata;

– non superare la portata massima;

– non superare l’ingombro massimo;

– posizionare e fissare adeguatamente il carico in modo che risulti ben distribuito e che non possa subire spostamenti durante il trasporto;

– non caricare materiale sfuso oltre l’altezza delle sponde;

– assicurarsi della corretta chiusura delle sponde;

– durante i rifornimenti di carburante spegnere il motore e non fumare;

– segnalare tempestivamente eventuali gravi guasti”.

 

Dopo l’uso:

– “eseguire le operazioni di revisione e manutenzione necessarie al reimpiego, con particolare riguardo per pneumatici e freni, segnalando eventuali anomalie;

– pulire convenientemente il mezzo curando gli organi di comando”.

 

Ricordiamo, infine, alcuni “Imparare dagli errori” che presentano infortuni e indicazioni di prevenzione nelle operazioni di carico e scarico:

– Imparare dagli errori: se non si mette in sicurezza il carico;

– Imparare dagli errori: errori procedurali nel carico e scarico merci.

 

 

 

Sito web di INFOR.MO.: abbiamo presentato le schede numero 6078, 1048, 5875e 4460(archivio incidenti 2002/2012).

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it