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Il regolamento REACH e il piano nazionale della prevenzione

Un intervento alla 5a Conferenza nazionale sull’attuazione del Regolamento REACH si sofferma sull’attuazione del regolamento REACH in Italia e sul Piano nazionale della prevenzione. Il sostegno del Piano alla garanzia di uso sicuro dei prodotti chimici.
Roma, 02 Mar – A poco più di dieci anni dall’adozione del regolamento REACH, il Regolamento 1907/2006, molti nostri articoli e interviste hanno provato a fare in questi mesi il punto sullo stato dell’applicazione del regolamento in relazione agli obiettivi non solo di prevenzione e protezione della salute, ma anche di salvaguardia dell’ambiente e di sviluppo sostenibile.

 

Fare il punto su quanto è stato fatto fino ad oggi, è stato anche lo scopo della “5a Conferenza nazionale sull’attuazione del Regolamento REACH” – organizzata dal Ministero della Salute, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dello Sviluppo Economico con il supporto dell’Agenzia ENEA, l’Istituto Superiore di Sanità e l’ISPRA – che si è tenuta a Roma lo scorso 16 novembre e che ha permesso di condividere le buone pratiche e le esperienze utili alle imprese che si stanno preparando alla scadenza del 2018 per la registrazione delle sostanze fabbricate e importate nella Comunità Europea.

 

Prima di entrare nel vivo del tema delle scadenze per le aziende, ci soffermiamo oggi su un intervento che vuole fare il punto sull’attuazione del regolamento anche in relazione al piano nazionale della prevenzione.

 

In “L’attuazione del regolamento REACH in Italia e il Piano nazionale della prevenzione”, a cura del Dott. Ranieri Guerra (Direzione generale della prevenzione sanitaria), si ricordano innanzitutto gli obiettivi dell’attuazione del Regolamento REACH:

– Prevenzione e protezione della salute;

– Salvaguardia dell’Ambiente attraverso uno sviluppo sostenibile rispettoso dei rapporti esistenti tra attività produttiva e ambiente, tra ambiente e salute, tra salute e attività produttiva, da assicurare attraverso una corretta gestione delle sostanze chimiche;

– Economia Circolare.

Ricordiamo che un’economia circolare, come indicato in un altro intervento alla conferenza, non consiste solo nel semplice recupero di energia dalla materia o nel riciclaggio di materia, ma comporta una ricerca continua di soluzioni che permettano di aumentare il valore della materia ad ogni nuovo impiego minimizzando gli impatti energetici e ambientali. Nell’economia circolare il «consumatore» è sostituito dal «cliente» che «usa» il prodotto. Il cliente può diventare a sua volta «fornitore» del produttore quando cessa di usare un bene.

 

L’intervento del Dott. Ranieri Guerra riporta diverse indicazioni sull’attuazione del regolamento Reach con riferimento alla normativa – ad esempio alla legge 46/2007, al D. interministeriale 22.11.2007 (Comitato tecnico di coordinamento), che è in fase di revisione, e ai Decreti dirigenziali di nomina del Comitato tecnico di coordinamento – e alla partecipazione italiana a comitati, gruppi di lavoro europei.

 

Si sofferma poi sul Piano nazionale della prevenzione (PNP), un piano che “affronta le tematiche relative alla promozione della salute e alla prevenzione delle malattie e prevede che ogni Regione predisponga e approvi un proprio Piano regionale della prevenzione (PRP)”.

Infatti nell’ultimo decennio si sono susseguiti, “attraverso un percorso di progressivo miglioramento, basato su una analisi critica che ha evidenziato punti di forza e criticità” il PNP 2005/2009, il PNP 2010/2013 e il PNP 2014/2018.

 

Questi i punti di forza del PNP 2014/2018:

– “affermare il ruolo cruciale della promozione della salute e della prevenzione come fattori di sviluppo della società e di sostenibilità del welfare con interventi perseguibili da tutte le Regioni, attraverso piani e programmi regionali che, tenendo conto degli specifici contesti locali, adottino un approccio il più possibile intersettoriale e sistematico, per raggiungere gli obbiettivi fissati;

– Azioni dei PNR coerenti con gli O. centrali del PNP, evidence based, in grado nel medio-lungo termine di produrre un impatto misurabile sia di salute sia di sistema attraverso interventi sostenibili ‘ordinari’;

– garantire equità e contrasto alle disuguaglianze di salute;

– coinvolgere i diversi attori/istituzioni, in una visione ampia di prevenzione, orientata a considerare la natura multifattoriale e multidimensionale della salute, intesa come risultato dinamico dell’interazione dei determinanti di salute (in parte modificabili come gli stili di vita), con fattori socio-culturali ed economici e condizioni ambientali di vita e di lavoro”.

 

Sono poi ricordati i vari macro-obiettivi (MO) del PNP 2014/2018, con particolare rilevanza per il MO8:

– “ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbosità, mortalità e disabilità delle malattie non trasmissibili;

– prevenire le conseguenze dei disturbi neurosensoriali;

– promuovere il benessere mentale nei bambini, adolescenti e giovani;

– prevenire le dipendenze da sostanze e comportamenti;

– prevenire gli incidenti stradali e ridurre la gravità dei loro esiti;

– prevenire gli incidenti domestici e i loro esiti;

– prevenire gli infortuni e le malattie professionali;

– ridurre le esposizioni ambientali potenzialmente dannose per la salute;

– ridurre la frequenza di infezioni/malattie infettive prioritarie;

– attuare il piano nazionale integrato dei controlli per la prevenzione in sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinari”.

 

Il sostegno del PNP 2014 -2018 alla garanzia di uso sicuro dei prodotti chimici, con riferimento al MO8, ha come strategia l’implementazione di “strumenti che facilitino l’integrazione tra istituzioni ed enti che si occupano di ambiente e salute al fine di supportare le Amministrazioni nella valutazione degli impatti sulla salute”.

La strategia è poi declinata in diversi obiettivi centrali, tra i quali:

– Ob.centrale 8.7: Realizzare programmi di controllo in materia di REACH/CLP su sostanze chimiche/miscele contenute nei fitosanitari, cosmetici, biocidi, detergenti e sulle sostanze chimiche/miscele, in genere, pericolose per l’uomo e per l’ambiente basati sulla priorità del rischio secondo i criteri europei e sulla categorizzazione dei rischi;

– Ob.centrale 8.8: Formare gli operatori dei servizi pubblici sui temi della sicurezza chimica e prevalentemente interessati al controllo delle sostanze chimiche con la finalità di informare e assistere le imprese e i loro Responsabili dei servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP) e ambientali interessati all’uso e alla gestione delle sostanze chimiche”.

 

La relazione indica, in conclusione, che nel PNP 2014-2018 si individuano tuttavia anche altri Macro obiettivi “aventi aree di interesse impattanti favorevolmente e trasversalmente all’accrescimento della garanzia di uso sicuro dei prodotti” e quindi all’implementazione dei regolamenti REACH e CLP:

– macro obiettivi e relativi obiettivi centrali con un diretto interesse all’implementazione dei regolamenti REACH e CLP: “Piani di controllo regionali Reach/Clp (MO8.7), Formazione ispettori (MO8.8), Informazione per le imprese (MO8.8);

– macro impattanti favorevolmente e trasversalmente all’accrescimento della garanzia di uso sicuro dei prodotti chimici: Piani integrati con il D.Lgs. 81/08 (MO7.7), Incremento audit 81/08 (MO7.8), Migliorare la conoscenza delle intossicazioni in ambiente domestico (MO6.5), Coinvolgere la Scuola nello sviluppo delle competenze in materia di salute/sicurezza nei luoghi di lavoro (MO7.6)”.

 

 

“ L’attuazione del regolamento REACH in Italia e il Piano nazionale della prevenzione”, a cura del Dott. Ranieri Guerra (Direzione generale della prevenzione sanitaria), intervento alla quinta conferenza nazionale sull’attuazione del Regolamento REACH (formato PDF, 1.39 MB).

 

 

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Stili di leadership e cultura della sicurezza nelle grandi aziende

Quale stile di leadership adottare nelle grandi aziende per sviluppare la cultura della sicurezza. Di Carmelo G. Catanoso.
 

L’elevato numero di eventi luttuosi sul lavoro, il cui illusorio trend discendente è stato immediatamente smentito appena il nostro Paese ha mostrato qualche segno di ripresa con il conseguente aumento del numero dei soggetti realmente esposti ai rischi durante il lavoro, ha ancora una volta portato all’attenzione della pubblica opinione la gravità di tale fenomeno, facendo emergere che il modo di affrontare il problema della sicurezza e della tutela della salute, nel mondo del lavoro in Italia, continua ad essere, perlomeno, suscettibile di notevoli miglioramenti.

 

Oggi la sicurezza e la tutela della salute viene percepita, dalla maggior parte dei soggetti coinvolti a vario titolo, come un insieme di norme e procedure, che non produce valore alcuno e, anzi, va ad intralciare le normali attività produttive. Di conseguenza, nelle imprese, l’investimento in risorse umane e materiali è stato, quasi sempre, discontinuo e dispersivo.

Al verificarsi di tragici eventi, tutti, massmedia compresi, parlano di mancanza di cultura della sicurezza facendo riferimento alla conoscenza delle norme di legge e delle procedure tecniche.

Questa, però, è solo la cultura oggettiva della sicurezza sul lavoro.

 

La conoscenza non basta.

Quel che è mancata e continua a mancare è la cultura soggettiva della sicurezza.

Possiamo definire la cultura soggettiva della sicurezza come “l’insieme delle pratiche sviluppate e costantemente adottate dagli attori coinvolti, sulla base di principi e valori condivisi all’interno della propria organizzazione, per controllare i rischi presenti durante l’espletamento delle proprie attività lavorative”.

Invece, ancora oggi, è facile constatare che anche in un significativo numero di grandi e grandissime imprese, l’argomento sicurezza e tutela della salute non è considerato realmente importante e, quindi, degno di una rilevanza tale da essere, ad esempio, sempre inserito nell’agenda delle riunioni periodiche dei vertici aziendali.

Molti sono gli amministratori delegati che non hanno neanche la minima idea di cosa succeda in questo settore e quali siano, in questa area, le performance dell’azienda da loro diretta.

Nella migliore delle ipotesi, poi, ci si concentra su indicatori reattivi come lo sono gli indici di frequenza e gravità degli infortuni sul lavoro ma quasi mai ci si mette in gioco cercando, ad esempio, di conoscere quale sia il clima aziendale riguardo questa delicata area.

Quanti dei direttori di funzione che siedono al tavolo delle riunioni citate hanno tra i propri obiettivi, nell’ambito del sistema di valutazione delle proprie performance, anche quello del miglioramento del livello di sicurezza e tutela della salute?

Qual è quella azienda che tiene conto, in modo significativo, anche della performance nell’ambito della sicurezza e tutela della salute, nell’erogazione dei premi/bonus annuali/salary plan (dai vertici in giù)?

 

Quante sono le aziende dove chi si occupa di sicurezza e tutela della salute professionalmente, riferisce direttamente al soggetto posto realmente al vertice dell’impresa (e non ad uno spesso artificioso “datore di lavoro” ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera f) del D. Lgs. n° 81/2008) ed illustra periodicamente anche agli membri della direzione, l’andamento dei progetti e delle performance in materia di sicurezza e tutela della salute?

Quante sono le aziende che conoscono quali siano i propri costi della non sicurezza?

Quante sono le aziende che considerano concretamente la sicurezza sul lavoro come un investimento e non come un costo?

Quante aziende riescono a dare, con le azioni di cui prima, un messaggio chiaro e coerente al proprio personale facendo percepire che la sicurezza e la tutela della salute fa realmente parte del DNA dell’impresa?

Insomma, i supermanager di queste aziende, da una parte riescono con le loro visioni e strategie a soddisfare le aspettative degli azionisti ma, dall’altra, la visione citata si appanna per un’incombente ed incontrollabile miopia e la strategia diventa inconsistente quando si devono analizzare gli aspetti legati alla sicurezza ed alla tutela della salute all’interno della propria azienda e definire le azioni per il continuo miglioramento delle performance specifiche.

Del resto, è palese constatare che queste tematiche e lo studio del loro impatto sociale ed economico, sono quasi assenti non solo nelle Università ma anche nei master post universitari pur essendo, questi, nati sia per traghettare un neolaureato verso il mondo del lavoro, sia per arricchire la cultura manageriale di chi in azienda c’è già.

 

Non sono casi sporadici quelli in cui il “ datore di lavoro” ed i suoi riporti apicali di una grande impresa, pur rivestendo tali funzioni ai fini prevenzionistici, non hanno mai frequentato uno specifico corso di formazione volto a favorire lo sviluppo di atteggiamenti favorevoli verso l’attività prevenzionale in modo da influenzare i processi di decision making e costruirsi una leadership orientata anche alla sicurezza ed alla tutela della salute quale valore pregnante della propria cultura d’impresa.

Quel che è mancata e continua a mancare, come detto prima, è la cultura soggettiva della sicurezza.

 

Visto che si potrà parlare di cultura della sicurezza sul lavoro solo quando essa sarà integrata tra i valori ed i principi che regolano i rapporti tra gli individui e l’organizzazione aziendale di appartenenza (e ciò a prescindere dalle dimensioni), è opportuno ricordare che i comportamenti, a tutti i livelli gerarchici, si modificano solo se si percepiscono nuovi valori e nuovi principi di riferimento.

Se, ad esempio, i top manager delle grandi aziende non si fanno portatori di questi nuovi valori e principi, non ci si può certo aspettare di vedere dei cambiamenti concreti nel middle management che, in genere, orienta i propri comportamenti e le proprie decisioni in funzione degli obiettivi giudicati prioritari dai propri superiori, barcamenandosi nell’attività principale che è l’equilibrismo tra i desiderata dei vari gruppi apicali di potere dominanti in quel momento. Cambiamenti che divengono praticamente impossibili per coloro che operano “sul campo”

Una cultura della sicurezza veramente efficace in una grande azienda è quella caratterizzata dall’avere il middle e il top management che esercitano una leadership efficace nell’azione per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e, nello stesso tempo, sviluppano pratiche volte a coinvolgere direttamente il personale sia nelle varie attività di gestione che nell’applicazione puntuale delle regole e delle misure di sicurezza.

Fino ad oggi e nella migliore delle ipotesi, la cultura della sicurezza più diffusa nelle aziende è stata quella di tipo manageriale; qui la leadership esercitata dal management è stata diretta dai vertici aziendali verso la base (top/down).

Con questo approccio chi operava “sul campo” (capi intermedi ed operatori), seguiva le specifiche direttive, le regole e le procedure imposte dall’alto ed alla cui definizione essi non avevano contribuito.

Indubbiamente, questo stile di leadership della sicurezza può contribuire efficacemente ad apportare dei cambiamenti nel breve periodo.

Sul medio-lungo periodo, però, essa genera un effetto negativo in quanto porta il middle e il top management a perdere il bagaglio di conoscenze relative a ciò che succede “sul campo” con la conseguenza di rendere difficile, se non impossibile, l’individuazione prima e, quindi, la concreta applicazione poi, delle misure tecniche, organizzative e procedurali in grado di assicurare l’eliminazione, o la riduzione al minimo, dei rischi a cui è esposto il personale nell’espletamento dell’attività lavorativa.

Una vera cultura della sicurezza, invece, evita questo l’effetto negativo citato in quanto la leadership è esercitata sia in forma direttiva che in forma partecipativa, dalla base verso il vertice aziendale.

Questo stile di leadership è caratterizzata dal considerare i processi lavorativi, pur se sotto controllo, sempre potenzialmente in grado di generare situazioni di rischio per la salute e la sicurezza del personale. Questo approccio permette di contrastare il fenomeno relativo all’illusione di avere tutto sotto controllo permettendo, così, di mantenere un alto livello di controllo sui processi lavorativi da parte sia del management che da parte dei capi intermedi e degli operatori.

In genere questo controllo è attuato mediante iniziative come “walk the talk” da parte del management (letteralmente: fanno quel che dicono), la segnalazione sistematica di qualunque anomalia dei processi rilevata, la gestione dei near miss, ecc..

Questo tipo di leadership, inoltre, considera il processo di individuazione, analisi e valutazione dei rischi come un processo in continuo divenire che necessita, al fine di rendere affidabile il sistema prevenzionale, di un approccio teso al miglioramento continuo.

Del resto, procedure, istruzioni, ecc., sono sempre migliorabili e, pertanto, esse devono essere supportate da modalità di gestione aziendale che ne favoriscano il miglioramento continuo.

L’approccio collaborativo tra il management da una parte e i capi intermedi/operatori dall’altra, è indispensabile affinché il processo di miglioramento continuo produca i suoi effetti, aumentando il livello di sicurezza ed affidabilità dei processi e prevenendo così comportamenti e situazioni pericolose, incidenti, infortuni e malattie professionali.

Questi due tipi di attori sono in possesso di conoscenze, capacità e competenze tra loro diverse ma essenzialmente complementari le une alle altre e pertanto indispensabili per una gestione efficace dei rischi.

Con l’approccio partecipativo, entrambe le parti hanno il palese reciproco interesse affinché ciò avvenga. Ovviamente, essendo il solo management a detenere il potere di intervenire per promuovere tale collaborazione, appare evidente che lo stile di leadership da adottare non possa che essere che quello direttivo/partecipativo.

Questo stile di leadership si deve concretizzare, innanzi tutto, nel riconoscimento dell’importanza della sicurezza e tutela della salute e nell’integrazione della stessa tra i valori ed i principi che guidano i comportamenti dell’azienda e deve essere costantemente sostenuta da evidenze della sua applicazione nella definizione degli obiettivi di business.

In caso contrario, al di là delle enunciazioni che si possono fare, delle convention sul tema che si possono organizzare e degli spettacoli a tema che si possono organizzare (questa è l’ultima moda), il management aziendale perderebbe qualunque credibilità al riguardo.

Abbiamo detto prima che lo stile di leadership deve essere di tipo direttivo/partecipativo.

Si pone pertanto il problema di trovare degli strumenti che facilitino la partecipazione del personale.

Innanzi tutto si deve provare a ridurre la distanza tra coloro che decidono e coloro che operano. Per far questo si possono adottare strumenti come il “walk the talk” con il management che dai propri uffici direzionali si sposta sul campo ed osserva le attività eseguire dal personale, dialoga con esso informandosi sulle eventuali difficoltà presenti, chiede consigli su come migliorare i processi, sensibilizza il personale a dare immediata informazione riguardo eventuali comportamenti o situazioni pericolose e ad aumentare il livello di vigilanza nei confronti dei rischi dell’attività eseguita, ecc..

 

Esistono, insomma, tanti strumenti per incentivare un’effettiva partecipazione del personale ma il vero successo si raggiunge quando:

  • queste iniziative diventano attività organizzata, sistematica e valorizzata all’interno dell’azienda;
  • il personale acquisisce la consapevolezza e l’importanza di queste iniziative;
  • il feedback proveniente dal campo viene analizzato e valorizzato dal management;
  • il personale viene coinvolto nei processi di miglioramento delle regole e delle procedure (dalla elaborazione alla validazione);
  • i risultati di tali attività vengono comunicati a tutto il personale.

Il coinvolgimento nell’elaborazione delle regole e delle procedure facilita anche l’interiorizzazione delle stesse da parte del personale, aumentando la motivazione alla loro applicazione.

La misura dell’effettivo coinvolgimento del personale nelle attività per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, la si ottiene verificando il livello di due indicatori:

  • l’applicazione delle regole e delle procedure condivise;
  • le iniziative prese per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

Entrambi gli indicatori sono misurabili mediante la creazione di strumenti specifici.

Ad esempio, nel primo caso si possono creare dei gruppi di lavoro interfunzionali ai diversi livelli gerarchici che periodicamente verificano l’applicazione delle regole e delle procedure tramite delle check list suddivise per reparti/funzioni.

 

Dopo aver valutato il livello di applicazione iniziale determinando un punteggio in funzione del soddisfacimento o meno di quanto richiesto, si può fissare un obiettivo di miglioramento annuale per ciascun reparto o funzione e monitorarlo con periodiche verifiche.

Nel secondo caso si può pensare a gruppi di lavoro interfunzionali con l’obiettivo di analizzare delle aree-problema, individuare possibili soluzioni e presentarle al management per una valutazione condivisa della loro possibile adozione.

 

Utilizzando gli strumenti prima citati, di certo non nuovi ma validissimi se correttamente applicati, è possibile favorire la partecipazione del personale ottenendo, nello stesso tempo, un miglioramento continuo della concreta applicabilità delle regole e delle procedure per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e l’interiorizzazione delle stesse da parte del personale.

Infatti, è indubbio che un approccio di questo tipo in una grande azienda sviluppa la motivazione del personale al raggiungimento degli obiettivi fissati in quanto va a soddisfare non solo il bisogno di sicurezza sul lavoro ma anche bisogni di livello superiore come quelli relativi alla partecipazione attiva alle decisioni ed all’acquisizione di nuove competenze riconosciute e apprezzate dall’azienda.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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Protezione dei dati personali: quale normativa si deve applicare?

Come conciliare il Regolamento generale europeo sulla protezione dei dati 2016/679 e decreto legislativo 196/2003. Alcune disposizioni potrebbero portare a differenti modalità applicative: quale è il comportamento più appropriato? Di Adalberto Biasiotti.
 

I lettori ricordano perfettamente che la commissione europea ha pubblicato il regolamento generale sulla protezione dei dati, che è entrato in vigore, dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea, il 24 maggio 2016. La data ultima entro la quale tutti i paesi europei devono dare piena applicazione ai dettati del regolamento è il 24 maggio 2018.

 

In questo arco di tempo tutti i paesi europei, che nel frattempo hanno già emesso delle disposizioni legislative, riferite a precedenti direttive ed indicazioni europee, si trovano quindi a dover fare riferimento a due diverse disposizioni legislative.

 

In Italia, in particolare, è in vigore, nella ultima sua versione, il decreto legislativo 196 barra 2003.

Alcuni lettori si sono chiesti se, in presenza di un approccio diverso fra le due disposizioni legislative in vigore, una delle due abbia la prevalenza sull’altra.

 

Poiché la data ultima per dare piena attuazione al  nuovo regolamento è, come detto in precedenza, il 24 maggio 2018, nulla impedirebbe ad un titolare del trattamento di continuare a rispettare il decreto legislativo italiano, anziché il regolamento europeo.

Ci si potrebbe però chiedere come questo titolare potrebbe essere in grado di rispettare pienamente il regolamento europeo, dalla mezzanotte del 24 maggio 2018, senza aver fatto nulla in precedenza.

 

Ecco la ragione per la quale il consiglio che viene dato a tutti i titolari del trattamento, nonché ai loro collaboratori, è quello di cominciare fin da adesso ad applicare le indicazioni del regolamento europeo, in modo da sostituire gradualmente le disposizioni nazionali con quelle europee e non giungere troppo tardi all’appuntamento inderogabile del 24 maggio 2018.

Ad esempio, chi scrive sta già sostituendo tutti i moduli di informativa e di raccolta di consenso, afferenti al trattamento di dati personali, con nuovi moduli in cui si dà puntuale applicazione alle indicazioni del regolamento europeo, invece che alle indicazioni del decreto legislativo.

 

Tra l’altro, il grande vantaggio che si ha nel fare riferimento al regolamento europeo è la estrema puntualità e la illustrazione analitica di molti adempimenti, che nel decreto legislativo italiano sono sì illustrati, ma non in modo oltremodo dettagliato.

Ad esempio, per elaborare un modulo di informativa, è sufficiente leggere l’articolo specifico numero 13 del regolamento europeo, che illustra punto per punto quali sono le informazioni che devono essere fornite all’interessato.

 

Parimenti, in vista dell’obbligo che per ogni trattamento venga sviluppata una analisi di protezione dei dati fin dalla progettazione e protezione per impostazione predefinita, come indica l’articolo 25 del regolamento, nulla impedisce fin da adesso di provvedere a sviluppare queste analisi, senza aspettare l’ultimo giorno.

 

Un altro esempio interessante riguarda l’obbligo, imposto dal nuovo regolamento, di sviluppare dei registri delle attività di trattamento, come puntualmente indicato dall’articolo 30. Un tale registro delle attività di trattamento, che si realizza impostando una scheda, che raccoglie tutti gli elementi significativi di uno specifico trattamento, è tanto utile oggi, facendo riferimento al decreto legislativo italiano, quanto sarà utile domani, facendo riferimento al regolamento generale europeo.

 

Infine, e i lettori ci perdonino per questa puntuale analisi, ricordo che alcuni particolari trattamenti richiedono che venga svolta una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati, in conformità all’articolo 35 del regolamento.

 

Anche in questo caso, ci si può domandare quale ostacolo possa porsi al titolare del trattamento nello sviluppare questa valutazione di impatto fin da adesso, senza dover attendere la mezzanotte dell’ultimo giorno, entro il quale egli comunque dovrà sviluppare questa valutazione di impatto.

 

Ecco la ragione per la quale si raccomanda caldamente a tutti i titolari del trattamento, supportati dai responsabili da loro designati, di analizzare tutte le attività di trattamento svolte e vedere quali, fin da oggi, possono essere modificate e, mi si consenta, migliorate, facendo riferimento alle puntuali indicazioni del regolamento europeo.

 

Una attenta lettura di questo regolamento mette in evidenza come in realtà esso sia più uno strumento di puntualizzazione miglioramento di disposizioni esistenti, piuttosto che uno strumento di “contrasto” al decreto legislativo oggi in vigore.

 

La Bibbia raccomanda a tutte le sagge persone di essere preparate, perché esse non sapranno quando sarà la loro ora, ma nella fattispecie l’ora la conosciamo già tutti ed è precisamente la mezzanotte del 24 maggio 2018!

 

 

Adalberto Biasiotti

 

 

Regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)

 

Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 – Codice in materia di protezione dei dati personali – versione aggiornata al D.Lgs. del 14 settembre 2015 con tavola di corrispondenza.

 

 

Vai alla BANCA DATI SULLA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Imparare dagli errori: incidenti stradali con camion e autocarri

Informazioni sugli infortuni stradali con particolare riferimento all’utilizzo di camion e autocarri. L’investimento di un camion telonato e i difetti all’autotelaio e all’impianto frenante di due autoarticolati. Gli infortuni e la prevenzione.  
 

Brescia, 16 Feb – In questi mesi PuntoSicuro si sta soffermando sui dati e sulla dinamica degli infortuni stradali professionali, sia attraverso la rubrica “ Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, sia attraverso specifiche interviste a esperti in materia. Come ad esempio l’intervista, realizzata durante la manifestazione Ambiente Lavoro 2016, al Prof. Federico Ricci, psicologo del lavoro e docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ci ha ricordato l’impatto del contesto lavorativo sul comportamento professionale dei guidatori. E ha segnalato che, secondo alcune ricerche, chi guida un veicolo appartenente a una flotta aziendale ha un coinvolgimento del 50% maggiore in incidenti stradali.

 

Partendo anche da questi dati, dedichiamo oggi una seconda puntata sugli incidenti stradali in ambito lavorativo con particolare riferimento agli incidenti professionali nell’utilizzo di camion e autocarri.

 

Una puntata che non potendo trovare molti infortuni stradali nel sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi (nel sistema manca, per ora, l’approfondimento della fattispecie degli  infortuni legati alla strada), fa riferimento anche su quanto contenuto in un documento di Dekra, una organizzazione specializzata nei servizi professionali e di consulenza per i settori automotive, industriale e terziario avanzato. Una sintesi, a cura del centro ricerche DISS, del documento “Rapporto sulla Sicurezza Stradale 2009”.

 

I casi

L’unico incidente che prendiamo dalle schede del sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi è relativo ad un investimento causato da un camion telonato, raccontato, in questo caso, dal punto di vista del lavoratore investito.

In un cantiere stradale, mentre è intento a posizionare di notte un faro per illuminare la zona di lavoro, organizzata con deviazione di corsia, delimitata in modo incompleto da coni rifrangenti (posizionati da altra ditta), un lavoratore viene investito da un camion telonato che procede a velocità sostenuta e invade la corsia delimitata per i lavori.

Il lavoratore si trova al limite dell’area di cantiere delimitata dai coni e nell’urto viene sbalzato contro un rimorchio posteggiato all’interno del cantiere.

 

Questi i fattori causali dell’incidente al lavoratore in cantiere:

– eccessiva velocità del automezzo investitore;

– l’infortunato svolgeva la propria attività al limite dei bordi del cantiere autostradale;

– insufficiente delimitazione della zona di lavoro sicura in carreggiata autostradale.

 

Dal “Rapporto sulla Sicurezza Stradale 2009” riprendiamo, a livello esemplificativo, il racconto di due incidenti che riguardano camion con rimorchio.

 

Il primo incidente fa luce sui possibili problemi all’autotelaio dei veicoli commerciali.

 

Su un’autostrada nazionale tedesca, all’altezza di una deviazione di marcia per la presenza di un cantiere, “l’autoarticolato diventava dinamicamente instabile a causa di una brusca frenata. Durante l’incidente l’autoarticolato si è ribaltato sul lato sinistro finendo quindi sulla corsia di marcia opposta. A questo punto l’autotreno si è scontrato con un’autovettura proveniente dalla corsia di marcia opposta. Durante la collisione la parte sinistra del tetto dell’autovettura è stata schiacciata e il conducente è rimasto ferito mortalmente”.

Riguardo alle cause si indica che l’autoarticolato “era dotato di un autotelaio a sospensione pneumatica. Durante la verifica del telaio sono stati riscontrati alcuni punti di saldatura non consentiti. Gravi difettosità sono state riscontrate agli ammortizzatori così come ai bracci assiali.  Il perito ha concluso che la causa dell’incidente fosse da attribuire allo stato difettoso dell’autotelaio del semirimorchio”.

Questa, in definitiva, la valutazione: “come causa dell’incidente sono entrati in gioco due componenti principali: da un lato la velocità di accesso relativamente elevata in concomitanza ad un processo di frenata innescato in ritardo. Dall’altro, le numerose gravi difettosità del semirimorchio. In questo caso ciò che ha favorito l’incidente in maniera evidente è stato anche il fatto che il ribaltamento è stato causato dal carico non posizionato in maniera corretta. Un conducente alla guida di un mezzo pesante stabile caricato in maniera corretta, sarebbe stato in grado di seguire l’andamento della strada e di evitare quindi l’incidente”.

 

Un secondo incidente sottolinea i rischi della presenza di difetti ai freni.

 

Alla fine di un lungo tratto di strada in pendenza e parzialmente in curva, “l’autotreno a pieno carico non riusciva più a fermarsi allo stop di un incrocio con una strada federale. L’autoarticolato incidentato era carico di basalto ed aveva un peso complessivo superiore a 40 tonnellate. L’autotreno ha attraversato la strada e, dopo aver sfondato il guardrail, è andato giù per la scarpata dove la parte destra del veicolo ha urtato contro un albero. Il conducente è stato ferito gravemente”.

Riguardo alle cause si indica che “l’autoarticolato, dal peso totale di 41,34 tonnellate, è stato schiacciato ‘a serramanico’ dal rimorchio a pieno carico in sbandata. Il telaio del camion si è piegato più volte sotto il peso che sbandava. La ralla si è rotta e il rimorchio si è ribaltato. L’autoarticolato si è fermato contro l’albero con la cabina del conducente fortemente schiacciata. Nell’area di uscita dalla carreggiata non si sono riscontrati segni di arresto o frenata. La revisione dell’impianto di frenata dell’autoarticolato ha evidenziato che i freni anteriori e posteriori erano completamente consumati internamente fino ai rivetti, per cui il gioco era sopraelevato. Le guarnizioni dei freni posteriori erano bruciate. I tamburi dei freni del secondo e terzo asse sinistro del rimorchio erano completamente logorati perimetralmente. Il freno del primo asse era saltato via e la guarnizione completamente bruciata. Il sensore ABS del secondo asse destro era fuso e le guarnizioni consumate”.

E dunque a causa di queste difettosità, l’impianto frenante “era assolutamente inefficace al termine del tratto in discesa e l’autotreno non ha più potuto fermarsi regolarmene al segnale di stop. Il conducente avrebbe potuto riconoscere lo stato di usura dei freni. Le condizioni tecniche del veicolo avrebbero potuto essere mantenute nel giusto stato prescritto con dei lavori regolari di manutenzione. La forte usura trasversale delle guarnizioni dell’autoarticolato e la rottura di entrambi i tamburi dei freni del rimorchio sono state causate da errori di montaggio”.

 

La prevenzione

Rimandando alla lettura del “Rapporto sulla Sicurezza Stradale 2009”, che riporta utili suggerimenti su come migliorare la sicurezza dei mezzi pesanti, possiamo riportare qualche spunto per la prevenzione degli infortuni stradali da un intervento al corso “La collaborazione del medico competente nella prevenzione del rischio di incidente stradale in orario di lavoro” (Bologna, 13 dicembre 2012). Un corso organizzato dalla Regione Emilia-Romagna con il supporto tecnico del SIRS-RER (Servizio Informativo per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza).

 

La relazione “ La prevenzione del rischio di incidente stradale: Il punto di vista del Medico Competente”, a cura della dott.ssa Grazia Guiducci, segnala che “i fattori che possono accrescere il rischio di incorrere in un infortunio/incidente su strada sono numerosi e spesso interagiscono tra loro”.

 

Ad esempio si fa riferimento al fattore umano e in particolare a:

– “comportamenti a rischio: uso-abuso di sostanze ad azione psicotropa (farmaci, droghe, alcool); alimentazione inappropriata; utilizzo di apparecchiature di comunicazione;

– orari di lavoro e tempi di riposo: organizzazione del lavoro e percezione della fatica (numero di ore di guida elevato, scarso riposo, …); sonnolenza e disturbi del sonno”.

 

In particolare l’utilizzo di sostanze stupefacenti provoca:

– “deficit di attenzione e concentrazione;

– sovrastima delle proprie capacità;

– sottostima del pericolo e mancata percezione del rischio;

– difficoltà nella messa a fuoco visiva;

– difficoltà nel coordinamento dei movimenti;

– rallentamento dei riflessi;

– percezione di colori e suoni come estremamente intensi;

– ridotta percezione degli ostacoli”.

 

Sempre in relazione al fattore umano è da considerare:

– lo stress psicofisico correlato alla guida: traffico intenso; orario e ritmi di lavoro eccessivi; variazione continua di orari dei pasti e del sonno; rumore (urbano, del mezzo, della radio, …)”;

– l’idoneità alla guida: condizioni patologiche, assunzione di farmaci, …

 

Viene poi fornita qualche indicazione su un altro fattore che, come abbiamo visto, può accrescere i rischi di incidente/infortunio: il veicolo. Ad esempio con riferimento alle caratteristiche del mezzo: volume del mezzo; manovrabilità del veicolo; carico, scarico e manovre relative; trasporto animali; trasporti eccezionali.

 

In questo caso sono di fondamentale importanza:

– “ manutenzione periodica;

– controlli preventivi prima della partenza;

– segnalazione anomalie, problemi procedurali;

– posizionamento e stabilizzazione del carico;

– DPI per le operazioni a terra e sul veicolo”.

 

Infine viene fatto qualche breve cenno ai fattori ambientali:

– “fattore strada: tipologia strade; viabilità; condizione del manto stradale; tipologia del viaggio;

– fattori climatici: condizioni climatiche e variabilità; temperature nell’abitacolo e abbigliamento”.

 

 

Dekra, “ Rapporto sulla Sicurezza Stradale 2009”, sintesi a cura del centro ricerche DISS (formato PDF, 3,8 MB).

 

 

Sito web di INFOR.MO.: abbiamo presentato la scheda numero 5941(archivio incidenti 2002/2012).

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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Rischio stress: linee di indirizzo per la consultazione degli RLS

Un decreto della Regione Lombardia ha approvato le linee di indirizzo sulla consultazione del RLS nella valutazione e gestione del rischio stress in ambiente di lavoro. Cosa significa consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?
 

Milano, 16 Feb – Riguardo al rischio stress lavoro correlato verso la fine del 2010 la Commissione consultiva permanente ha proposto un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio.Ma l’obbligo di valutazione ha colto impreparate “sia tecnicamente che culturalmente le aziende circa un rischio lavorativo tra i più complessi e multifattoriali” e relativamente al quale “i numerosi strumenti o metodi di indagine esistenti nell’ampia produzione scientifica a disposizione non esauriscono o non sono idonei a dare risposta univoca ed esaustiva alle molteplicità di aspetti che in esso convivono”.

 

E nella logica di un miglioramento progressivo con riferimento alle indicazioni normative (Dlgs 81/2008 art. 28 bis, Accordo Europeo/Accordo Interconfederale, Indicazioni della Commissione Consultiva in materia di rischio stress), la Regione Lombardia ha elaborato un documento che sottolinea come un “buon percorso” (good-practice) di miglioramento possa essere imperniato in una maggiore partecipazione e coinvolgimento del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nell’ambito della valutazione aziendale del rischio stress lavoro-correlato.

 

Infatti in Regione Lombardia con Decreto n. 6298 del 04 luglio 2016 inerente “La consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nella valutazione del rischio stress lavoro-correlato” – per errore, nella prima versione del decreto si faceva riferimento al “responsabile dei lavoratori per la sicurezza” – è stato approvato il documento “La consultazione del RLS nella Valutazione e Gestione del rischio stress in ambiente di lavoro: perché e come. Informazioni e consigli per una buona partecipazione al processo di valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato”, allegato al decreto 6298/2016.

 

Questa nuova Linea di Indirizzo – promossa, redatta e condivisa dal Laboratorio Regionale “Stress lavoro-correlato” – ribadisce alcune indicazioni di miglioramento date dal Documento pubblicato dalla Regione Lombardia con Decreto 10611/2011 “Valutazione del rischio Stress lavoro-correlato – Indicazioni generali esplicative sulla base degli atti normativi integrati” e richiama, in relazione a good-practice valutative, due criteri qualificanti che coinvolgono il ruolo degli RLS/RLST:

– “che il percorso sia imperniato sulla partecipazione effettiva dei lavoratori attraverso un processo di coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, che devono essere consultati fin dalle fasi iniziali dell’intervento. Per le piccole imprese < 20 dipendenti, ove è ricorrente la figura del RLST tale coinvolgimento potrà realizzarsi, oltre che in sede di riunione periodica secondo le modalità previste dal DLgs 81/08, anche a conclusione della Valutazione Preliminare, condividendone i risultati, le azioni di miglioramento da intraprendere lungo tutto l’arco dei successivi step di monitoraggio;

– la necessità di garantire sempre e comunque la centralità degli attori interni della prevenzione (DL, RSPP, Medico competente, RLS) anche nel caso che il ‘metodo’ venga importato dall’esterno”.

 

Con il documento approvato si intende dunque “approfondire la tematica del ruolo degli RLS nell’ambito della valutazione aziendale del rischio stress lavoro-correlato” e diffondere “l’adozione di azioni orientate al miglioramento”.

Infatti si sottolinea che la consultazione degli RLS è “spesso un elemento non pienamente valorizzato nei percorsi di valutazione del rischio ed è per questo che si è ritenuto utile tornare a riflettere sulle ragioni e le modalità di attuazione di tale consultazione, ed approfondire i possibili spazi di miglioramento”.

 

La finalità, anche in relazione a quanto riportato nell’accordo interconfederale 9 giugno 2008, di recepimento dell’accordo quadro europeo del’8 ottobre 2004, è di ‘accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress lavoro-correlato da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti’ con l’obiettivo di ‘offrire ai datori di lavoro ed ai lavoratori un quadro di riferimento per individuare e prevenire o gestire problemi di stress lavoro-correlato’.

 

Rimandando ad un futuro approfondimento del giornale sul ruolo degli RSL nel rischio stress, ci soffermiamo oggi sulla risposta ad una domanda apparentemente semplice: cosa significa consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?

 

Nelle linee di indirizzo regionali si segnala che se all’interno del D.Lgs. 81/2008 molti articoli trattano della consultazione del RLS, tuttavia “non vengono mai definite le modalità con cui tale consultazione deve avvenire”. In questo senso “consultare” viene “a volte interpretato come documentare o informare, altre volte come co-decidere”.

 

Tuttavia occorre chiarire che “consultazione non equivale e non significa solamente informare, cioè dare/ricevere notizie, né tanto meno ‘decidere insieme’; infatti il datore di lavoro o dirigente che consulta l’RLS lo fa per raccogliere notizie e informazioni che gli serviranno per poi assumere autonomamente le proprie decisioni e responsabilità”.

 

Dunque l’attività di consultazione è “espressione di quella collaborazione tra due soggetti: uno che deve decidere (e ha quindi la necessità di cercare e raccogliere tutte quelle conoscenze che gli possono essere utili per prendere la decisione migliore) e l’altro, il cui comportamento orienta/aiuta il primo a prendere le decisioni più razionali ed adeguate dal punto di vista preventivo”.  In sostanza consultare “non significa comunicare decisioni già assunte o far firmare verbali di presa visione dei documenti di valutazione; consultare significa ‘fare domande finalizzate ad acquisire notizie e conoscenze al fine di prendere la decisione più affidabile possibile’. Essere consultati significa dare il proprio apporto in qualità di rappresentante dei lavoratori fornendo al datore di lavoro elementi di conoscenza sul vissuto/percepito dai lavoratori”.

 

In definitiva il coinvolgimento dei lavoratori e/o del RLS è finalizzato, nel rispetto dei reciproci ruoli, “all’acquisizione da parte del datore di lavoro di ulteriori elementi per una più completa ricognizione dei fattori di contenuto e contesto, in quanto fattori oggettivi, ma che comprendono anche il percepito dei lavoratori, rispetto ai dati acquisiti autonomamente dal datore di lavoro medesimo, con la collaborazione dei diversi soggetti aziendali ordinariamente coinvolti nella valutazione”.

 

E, con riferimento a quanto stabilito dalla Commissione consultiva, trattandosi di fase intermedia, temporalmente e funzionalmente interna al processo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato, “il datore di lavoro non potrà adeguatamente concludere il proprio compito di valutazione c.d. preliminare senza aver sentito, su quegli specifici profili, la ‘voce’ dei lavoratori – RLS/RLST”.

 

Si capisce – conclude la risposta alla domanda sul significato di “consultazione” – perché, “in una valutazione tanto delicata e dai contorni non meccanicistici quale è quella sullo stress lavoro-correlato, è fondamentale poter disporre di quante più informazioni e conoscenze possibili dall’intero ‘sistema lavoro’ che ricomprende l’intero sistema di prevenzione e sicurezza aziendale (DL, RSPP, RLS/RLST e Medico Competente), i lavoratori e l’ambiente di lavoro (strutturale ed organizzativo). Il tutto con lo scopo, se possibile, di rendere espliciti gli interventi organizzativi tesi al miglioramento e al benessere in azienda”.

 

 

 

Regione Lombardia – Decreto n. 6298 del 04 luglio 2016 – La consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nella valutazione del rischio stress lavoro-correlato.

 

 

Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro – Lettera circolare n. 15 del 18 novembre 2010 – Lettera circolare in ordine alla approvazione delle indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato di cui all’articolo 28, comma 1-bis, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni e integrazioni.

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sullo stress e sui rischi psicosociali nei luoghi di lavoro

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Sicurezza e tutela della salute nell’esecuzione dei tiranti d’ancoraggio

Una panoramica sulle scelte progettuali (tecniche, organizzative e procedurali) adottabili nell’esecuzione dei “tiranti d’ancoraggio”. Di Carmelo G. Catanoso
 

Ancora oggi, nonostante siano passati quasi nove anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n° 81/2008 con il suo allegato XV, si continuano a vedere PSC assolutamente carenti dal punto di vista qualitativo; prevalentemente le carenze riguardano la superficialità e l’approssimazione con cui viene effettuata la ricerca di tutte quelle scelte prevenzionali (progettuali, tecniche e organizzative) in grado di eliminare, quando possibile, o ridurre al minimo i rischi per il personale incaricato dell’esecuzione dei lavori. D’altra parte, è indubbiamente vero che un’efficace analisi prevenzionale in fase progettuale può essere condotta solo se vi è una buona conoscenza dei processi costruttivi che si svolgeranno in cantiere.

Se per alcune tipologie costruttive quest’affermazione può sembrare scontata, per altre non lo è per nulla. Infatti, esistono tutta una serie di lavorazioni, veramente complesse, la cui conoscenza è tutt’altro che diffusa. Quindi, nel seguito di questo contributo, verranno affrontate le problematiche inerenti la sicurezza e la tutela della salute nella progettazione ed esecuzione dei tiranti d’ancoraggio, in modo da fornire agli addetti ai lavori una serie di informazioni utili per la redazione del piano di sicurezza e coordinamento relativo ad appalti che includono questa tipologia di lavorazione.

 

Cosa sono e a cosa servono i “tiranti”

I tiranti costituiscono degli ancoraggi che permettono la stabilità di opere di sostegno del terreno (diaframmi, muri di sostegno ecc.) oppure di zone di terreno insta­bili. I tiranti sono usualmente costituiti da un’armatura a trefoli di acciaio armonico da c.a.p. (più raramente barre in acciaio ad aderenza migliorata), posta nel ter­reno all’interno di apposite perforazioni.

Lo schema del tirante si compone delle seguenti parti:

  1. a)   un tratto solidarizzato in profondità al terreno ed atto a trasmettergli gli sforzi (bulbo di ancoraggio).
  2. b)   un tratto intermedio svincolato dal terreno (lunghezza libera).
  3. c)   una testata di ancoraggio (ancoraggio attivo) per tra­smettere gli sforzi alla struttura da sostenere, che può essere un manufatto o una zona di terreno insta­bile.

Nella zona del bulbo, la solidarietà dei trefoli (o delle barre) al terreno viene realizzata mediante inie­zioni di miscela cementizia.

 

Applicando una forza ai trefoli mediante appositi marti­netti, si trasmette una forza di compressione al masso di terreno presente fra il bulbo e la testata di ancoraggio.

I tipi d’impiego usuali dei tiranti sono:

–     consolidamento di versanti in frana,

–     puntellazione di diaframmi, “berlinesi” e muri di so­stegno,

–     consolidamento, mediante precompressione, del terreno circostante un tratto di galleria dissestata,

–     stabilizzazione di opere d’arte poste su pendii poco stabili,

–     sostituzione delle forze gravitazionali per anticipare i cedimenti di fondazione o per impedire il solleva­mento del fondo dello scavo in trincee profonde,

–     realizzazione del contrasto, in sostituzione della za­vorra, in prove di carico sui pali di fondazione,

–     realizzazione di fondazioni profonde.

A seconda della durata da garantire e del corrispondente grado di protezione dei trefoli, i tiranti vengono divisi in due categorie:

  • tiranti provvisori
  • tiranti definitivi

Al variare del grado di protezione anticorrosiva i ti­ranti possono essere distinti in tiranti a semplice, dop­pia o tripla protezione, a seconda se fra il tirante ed il terreno si interpone un solo strato di miscela cemen­tizia ovvero strati multipli separati da guaine impermea­bili (poste attorno ai trefoli nel tratto di lunghezza libera).

Una ulteriore distinzione dei tiranti può essere fatta in base alle modalità esecutive delle iniezioni del bulbo; si distinguono:

  • tiranti a semplice cementazione nei quali si esegue semplicemente il riempimento dell’interspazio tra foro ed armatura o eventuali guaine esterne;
  • tiranti con iniezione in pressione, nei quali è possi­bile eseguire un’iniezione in pressione lungo tutta la zona di bulbo, mediante tubi valvolati coassiali ai trefoli.

Le attrezzature di lavoro normalmente utilizzate per l’esecuzione dei tiranti, sono le seguenti:

  • macchine di perforazione quali sonde di perforazione e relative attrezzature di supporto (aste di perforazione, rivestimenti metallici, pompe, ecc.)
  • attrezzature ausiliarie quali impianti di miscelazione ed iniezione, centralina oleodinamica per il tensionamento dei tiranti, pompe, compressori d’aria, ecc..
  • attrezzature di supporto quali escavatori,  pale, terne, camion, ecc.

 

Scelte progettuali ed organizzative per eliminare o ridurre i rischi

Durante l’esecuzione di questa particolare lavorazione, l’attività eseguita è potenzialmente in grado di trasmettere all’ambiente circostante, i seguenti rischi:

  • rumore, polveri, gas di scarico, ecc.;
  • franamento e/o crollo del terreno con conseguente rischio per terzi e per servizi esistenti (vie di comunicazione, sottoservizi, linee elettriche aeree, ecc.);
  • caduta di gravi al di fuori dell’area di cantiere;
  • interferenze con vie di comunicazione (strade, ferrovie, ecc.);
  • vibrazioni con conseguenti cedimenti e lesioni strutturali ad edifici/servizi limitrofi.

 

Per far fronte ai rischi potenzialmente trasmissibili all’ambiente circostante, il progettista ed CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • lo “stato di consistenza” delle strutture limitrofe all’area interessata dall’esecuzione dei lavori attraverso specifiche indagini;
  • la definizione d’idonei sistemi di monitoraggio nel caso in cui fosse ci fosse il rischio di alterare la statica delle strutture limitrofe e la relativa periodicità dei controlli;
  • le modalità di accesso all’area di lavoro delle macchine e delle attrezzature necessarie per l’esecuzione dei lavori tenendo conto delle caratteristiche del sito e delle modalità di trasporto e di assemblaggio sul cantiere, delle dimensioni, dei pesi, degli spazi necessari per il montaggio e la messa in opera, ecc.;
  • i criteri per minimizzare l’impatto, di cui al punto precedente, sulle vie interessate dal passaggio dei mezzi e delle attrezzature da e per il cantiere, sugli edifici, sulle strade, ferrovie, ecc. in esercizio, eventualmente adiacenti alla zona di transito e di lavoro (scelta percorsi, spazi di manovra, separazioni, segnalazioni, ecc.);
  • le misure atte a limitare il rischio cadute di gravi al di fuori dell’area di cantiere (posizione macchina, posizione braccio di perforazione, segnaletica, recinzione, ecc.);
  • il sistema per minimizzare la trasmissione di polveri e dei gas di scarico all’ambiente circostante durante le fasi di preparazione del piano di lavoro con macchine movimento terra;
  • le misure tecniche, organizzative e procedurali per minimizzare il disturbo, nel caso in cui la valutazione preventiva delle emissioni di rumore evidenzi il superamento dei limiti imposti per la zona in cui è ubicato il cantiere.

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • lavorare nelle vicinanze di sottoservizi, linee elettriche aeree, strade, ferrovie, ecc.;
  • eseguire le operazioni di accesso dei mezzi di trasporto delle attrezzature, dello scarico, del montaggio e delle verifiche prima dell’inizio dei lavori delle attrezzature stesse;
  • evitare la caduta di gravi al di fuori dell’area di cantiere;
  • minimizzare le emissioni di polveri, gas e rumore.

 

Durante l’esecuzione di questa particolare lavorazione, è possibile si concretizzino dei rischi derivanti dalle interferenze tra attività lavorative in atto nel sito interessato dai lavori (caduta di gravi, incidenti tra macchine operatrici, ecc.).

Per far fronte ai rischi derivanti, dalle possibili interferenze con altre attività lavorative, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • la valutazione preventiva delle interferenze plano-altimetriche tra le attività di preparazione del piano di lavoro con le macchine movimento terra ed il posizionamento della macchina di perforazione e/o con altre attività lavorative che si svolgono nel sito;
  • la sequenza delle sottofasi di lavoro (se non fosse possibile eliminare le interferenze citate), al fine di minimizzare i rischi connessi alla coesistenza delle stesse nel sito, individuando le conseguenti misure tecniche, organizzative e procedurali necessarie.

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per eseguire le fasi di lavoro che comportino le interferenze spazio-temporali individuate nel PSC con altre fasi di lavoro o altre attività lavorative che si svolgono nello stesso sito.

 

Durante l’esecuzione di questa particolare lavorazione, è possibile si concretizzino dei rischi derivanti dalle caratteristiche del sitoquali:

  • franamento/crollo del terreno con conseguente rischio di schiacciamento/seppellimento degli addetti;
  • contatto/inalazione con/di sostanze/gas inquinanti/pericolosi presenti nel terreno;
  • contatto con linee elettriche aeree o sottoservizi (linee elettriche, gas, acqua, ecc.) durante le varie fasi di lavoro;
  • interferenze con servizi esistenti (strade, ferrovie, ecc.).

 

Per far fronte ai rischi derivanti, dalle caratteristiche del sito, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • la preventiva valutazione delle caratteristiche geomeccaniche del sito al fine di verificare la sussistenza di una portanza adeguata al peso delle macchine che vi dovranno operare;
  • gli idonei interventi in grado di assicurare la stabilità delle macchine durante lo svolgimento dell’attività lavorativa prevista (riporti di terreno, gradonature, sistemi di ridistribuzione del carico delle macchine sul terreno, ecc.), in caso di caratteristiche geomeccaniche non adeguate;
  • le indagini per escludere con certezza la presenza di materiali o sostanze inquinanti dannose per la salute degli addetti ed, in caso contrario, l’individuazione degli interventi da attuare nel caso in cui, durante le fasi di lavoro, si manifesti la presenza di materiali o sostanze dannose per la salute (sistemi di monitoraggio/controllo, procedure di sicurezza, modalità di allontanamento, deposito e smaltimento);
  • i criteri e le modalità di esecuzione delle lavorazioni, nel caso in cui le attività lavorative debbano essere eseguite nelle adiacenze o lungo strade o linee ferroviarie, tenendo conto anche delle specifiche norme che vincolano tali attività in queste particolari situazioni (codice stradale, regolamento ferroviario, ecc.);
  • l’individuazione preventiva di linee elettriche o telefoniche aeree nella zona interessata dai lavori;
  • l’individuazione preventiva di sottoservizi nella zona interessata dai lavori;
  • la predisposizione di una planimetria aggiornata, da allegare al PSC, indicante la posizione delle linee aeree e dei sottoservizi;
  • la valutazione della possibilità di mettere fuori servizio le linee aeree e i sottoservizi, contattando preventivamente gli enti proprietari/gestori degli stessi;
  • I criteri, le modalità di segnalazione e i sistemi di protezione delle linee aeree e dei sottoservizi nonché le modalità per eseguire i lavori nelle immediate vicinanze.

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • eliminare il rischio di perdita di stabilità delle MMT e delle macchine di perforazione;
  • definire le modalità di spostamento delle macchine di perforazione nelle aree di lavoro;
  • garantire l’incolumità del personale di supporto durante la preparazione dei piani di lavoro ed il posizionamento delle macchine di perforazione (posizione addetti, distanze, ecc.);
  • contenere il rischio derivante dalla presenza di materiali/sostanze pericolose per la salute del personale presente;
  • lavorare nelle vicinanze di sottoservizi, linee elettriche aeree, strade, ferrovie, ecc..

 

Durante la fase di preparazione del piano di lavoro e posizionamento della macchina di perforazione, è possibile si concretizzino i seguenti rischi:

  • ribaltamento delle macchine MMT durante la fase di preparazione dei piani di lavoro;
  • rottura di componenti delle macchine con caduta/fuoriuscita di gravi/fluidi in pressione;
  • perdita di stabilità della macchina adibita alla perforazione durante le fasi di posizionamento;
  • urti/colpi/impatti/investimenti da parte delle macchine in fase di posizionamento.

Per far fronte a questa tipologia di rischi, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • la pianificazione delle sequenze lavorative delle macchine MMT addette alla formazione dei piani di lavoro;
  • l’individuazione e il dimensionamento, in funzione dell’evoluzione dei lavori, delle possibili aree di accumulo del terreno di risulta in attesa dell’allontanamento dal sito;
  • il dimensionamento (resistenza, pendenza, spazio disponibile) dei piani di lavoro che ospiteranno la macchina di perforazione (per la macchina e per il terreno scavato) e per il posizionamento delle batterie d’aste per la perforazione nonché per l’accesso dei mezzi adibiti al carico ed all’allontanamento del terreno di risulta;
  • l’individuazione del percorso ottimale che la macchina di perforazione deve compiere per eseguire la progressiva perforazione ed iniezione;
  • l’individuazione del percorso ottimale per gli eventuali mezzi di trasporto del materiale di risulta;
  • la definizione dei criteri da adottare, durante gli spostamenti ed il posizionamento della macchina di perforazione nelle aree di lavoro, per evitare contatti accidentali con la macchina stessa o per evitare di essere colpiti da gravi caduti dal braccio (bulloni, viti, ecc.) o, ancora, per evitare spruzzi da fluidi in pressione per eventuale rottura dei circuiti idraulici della macchina di perforazione.

 

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • eseguire le operazioni di accesso dei mezzi di trasporto delle attrezzature, dello scarico, del montaggio e delle verifiche prima dell’inizio dei lavori delle attrezzature stesse;
  • eliminare il rischio di perdita di stabilità delle MMT e delle macchine di perforazione;
  • definire le modalità di spostamento delle MMT e delle macchine di perforazione nelle aree di lavoro;
  • garantire l’incolumità del personale di supporto durante la preparazione dei piani di lavoro ed il posizionamento delle macchine di perforazione (posizione addetti, distanze, ecc.);
  • effettuare il posizionamento sull’asse di scavo della macchina di perforazione.

 

Durante la fase di perforazione sono presenti i seguenti rischi:

  • perdita di stabilità della macchina adibita alla perforazione;
  • rottura di componenti delle macchine con caduta/fuoriuscita di gravi/fluidi idraulici in pressione;
  • urti/colpi/impatti/investimenti da parte delle attrezzature di perforazione;
  • ferite e traumi durante il montaggio e lo smontaggio delle aste di perforazione;
  • ferite e lesioni durante gli spostamenti in piano;
  • proiezione di detriti durante la perforazione.

 

Per far fronte a questa tipologia di rischi, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • la pianificazione delle sequenze lavorative della macchina di perforazione;
  • la definizione dei criteri che il personale deve seguire per evitare contatti accidentali con la macchina di perforazione;
  • l’individuazione e il dimensionamento, in funzione dell’evoluzione dei lavori, delle aree da adibire al deposito temporale delle aste di perforazione;
  • l’individuazione, nel caso la perforazione debba essere eseguita in zone con forti pendenze, delle protezioni da adottare per prevenire eventuali franamenti del terreno a monte ed a valle della piazzola di perforazione, tenendo conto anche degli eventi atmosferici in grado di alterare l’equilibrio del terreno (forti precipitazioni con dilavamenti, ecc.);
  • la definizione del percorso ottimale per gli eventuali mezzi di trasporto del materiale di approvvigionamento per la perforazione (aste di perforazione, pompe, ecc.);
  • la definizione dei criteri da adottare, durante la perforazione, per evitare contatti accidentali con la macchina stessa o per evitare di essere colpiti da gravi caduti dal braccio (bulloni, viti, ecc.) o, ancora, per evitare spruzzi da fluidi in pressione per eventuale rottura dei circuiti idraulici della macchina di perforazione.

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • l’esecuzione della perforazione;
  • il mantenimento della stabilità delle aree di perforazioni (riporti, allontanamento fango, protezioni contro i franamenti, ecc.);
  • l’esecuzione delle manovre di smontaggio/disserraggio delle aste in caso di blocco delle stesse.

 

Durante la fase di lavoro riguardante la preparazione della miscela d’iniezione, si possono concretizzare i seguenti rischi:

  • ferite e lesioni durante la predisposizione dell’impianto di miscelazione
  • lesioni oculari e cutanee dovuti a schizzi, spruzzi di miscela cementizia.
  • cadute in piano, cadute all’interno dei mescolatori, urti contro componenti dell’impianto.
  • cadute dall’alto dai silos di cemento e dai serbatoi.

 

Per far fronte a questa tipologia di rischi, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • l’ubicazione funzionale e sicura dell’impianto di miscelazione, tenendo conto degli spazi necessari per posizionare tutti i componenti di un impianto d’iniezione (vasconi, pompe, miscelatori, agitatori, silos, tubazioni, ecc.);
  • la previsione degli spazi necessari ai mezzi di trasporto per avvicinarsi all’impianto ed effettuare l’approvvigionamento dei silos di cemento;
  • la definizione dell’andamento planimetrico della tubazione in pressione e delle relative protezioni contro il danneggiamento meccanico e contro la fuoriuscita accidentale di miscela cementizia.

 

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • l’installazione dell’impianto di miscelazione ed iniezione;
  • la preparazione e l’invio alla sonda della miscela cementizia in pressione;
  • la gestione di eventuali situazioni di emergenza (malfunzionamenti impianto, ecc.).

 

Nella fase di messa in opera dei tiranti, sono presenti i seguenti rischi:

  • rischio di schiacciamento per perdita di stabilità della macchina di perforazione;
  • caduta e/o proiezione di gravi/fluidi idraulici in pressione per rottura di componenti delle macchine di perforazione;
  • rischio da MMC durante la messa in opera dei tiranti;
  • cadute in piano/scivolamenti nelle aree di lavoro per presenza di fango.

Per far fronte a questa tipologia di rischi, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • il dimensionamento degli spazi di lavoro necessari per l’approvvigionamento e lo stoccaggio dei tiranti prima del loro inserimento?
  • il dimensionamento degli spazi di lavoro necessari per effettuare l’inserimento dei tiranti nei fori eseguiti, tenendo conto delle loro dimensioni (peso, lunghezza, diametro, ecc.);
  • l’impiego di sistemi di sollevamento meccanici necessari (gruette, argano sonda, ecc.) per l’inserimento dei tiranti nei fori eseguiti per ridurre il rischio da MMC;
  • il sistema di protezione da utilizzare per evitare che i trefoli sporgenti dei tiranti posizionati nei fori, possano causare rischi per gli addetti.

 

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • lo stoccaggio dei tiranti prima di procedere al loro inserimento nei fori eseguiti;
  • il sollevamento, il trasporto e la messa in opera dei tiranti;
  • la segnalazione della posizione dei tiranti e le protezioni adottate per diminuire il rischio conseguente alla presenza di trefoli o di barre sporgenti nell’area di lavoro.

 

Durante la fase di lavoro riguardante l’iniezione dei tiranti, si possono concretizzare i seguenti rischi:

  • rischio di schiacciamento per perdita di stabilità della macchina;
  • caduta e/o proiezione di gravi/fluidi idraulici in pressione per rottura di componenti delle macchine di perforazione;
  • fuoriuscita di miscela cementizia in pressione con rischio di lesioni e traumi per gli addetti;
  • ferite e traumi durante il posizionamento del pistoncino e delle cannette d’iniezione e la successiva iniezione;
  • cadute in piano/scivolamenti nelle aree di lavoro per presenza di fango.

 

Per far fronte a questa tipologia di rischi, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • la definizione del tracciato delle tubazioni per l’invio della miscela cementizia alle zone d’iniezione;
  • la previsione di un sistema per evitare o ridurre al minimo la formazione e l’accumulo di fanghi derivanti dall’attività di iniezione in pressione per la realizzazione della guaina e/o del bulbo dei tiranti (pompe di aggottamento, vasche di raccolta, ecc.).

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • il posizionamento della linea in pressione dall’impianto alla macchina di perforazione ed iniezione;
  • le modalità di iniezione dei tiranti;
  • il sistema adottato per evitare la formazione e lo spargimento di fanghi effluenti dalla perforazione ed iniezione.
  • le modalità di esecuzione degli interventi di manutenzione in caso di occlusione della linea, del pistoncino d’iniezione o di malfunzionamento dell’impianto.

Durante la fase di lavoro riguardante il tensionamento (tesatura) dei tiranti, si possono concretizzare i seguenti rischi:

  • rischio di schiacciamento per perdita di stabilità della centralina idraulica di tesatura;
  • proiezione di fluidi idraulici in pressione e/o elementi meccanici, per rottura di componenti della centralina idraulica di tesatura, dei martinetti, ecc.,
  • rischio da MMC durante la messa in opera dei martinetti sui tiranti da tesare;
  • cadute in piano/scivolamenti nelle aree di lavoro per presenza di fango.

 

Per far fronte a questa tipologia di rischi, il progettista e il CSP dovrebbero effettuare precise scelte progettuali ed organizzative riguardanti:

  • la predisposizione ed il mantenimento della fruibilità dei piani di lavoro su cui spostare la centralina di tensionamento prevedendo, ove necessario, gli apprestamenti necessari per rendere possibile lo spostamento ed il posizionamento in funzione delle testate dei tiranti da tensionare;
  • la pianificazione preventiva delle modalità di esecuzione e del tensionamento progressivo dei tiranti nei fori eseguiti al fine di evitare interferenze all’interno della lavorazione;
  • la segnaletica e le protezioni (schermi, ecc.), da utilizzare durante la fase di tesatura dei tiranti, al fine di contenere un’eventuale fuoriuscita di fluidi idraulici in pressione per rottura della centralina o dei componenti dei martinetti di tensionamento.

Nel PSC, conseguentemente, dovranno essere richieste specifiche procedure complementari e di dettaglio da esplicitare nel POS riguardo le modalità operative adottate per:

  • la predisposizione e la manutenzione delle aree di lavoro per la tesatura;
  • la realizzazione degli apprestamenti necessari per la tesatura;
  • le modalità di tensionamento dei tiranti;
  • l’esecuzione delle opere di predisposizione per la tesatura e di completamento (piastre, cunei di blocco, ecc.).

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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La sicurezza nei caseifici: i rischi nei piazzali e nei locali tecnici

Un progetto multimediale si sofferma sulla tutela della salute e della sicurezza nei caseifici. Focus sui rischi e sulla prevenzione nelle aree cortilive e nei locali tecnici: rischi di investimento, di caduta dall’alto, di esposizione a gas, …  
Bologna, 14 Feb – Nelle scorse settimane abbiamo ricordato non solo l’importanza del settore agroalimentare, a livello produttivo e occupazionale, per la nostra economia, ma abbiamo segnalato come in questo settore produttivo articolato e complesso i lavoratori possano essere esposti a diverse tipologie di rischi: Rischi correlati, ad esempio, all’utilizzo di macchine, all’esposizione ad agenti chimici e biologici, alla movimentazione dei carichi, agli incendi o ai movimenti ripetitivi.

 

Un ambito produttivo molto importante che necessita di idonee strategie di prevenzione dei rischi è quello relativo ai caseifici, ambienti lavorativi nei quali ha luogo la trasformazione del latte in burro e formaggio e che si compone di vari locali (ricevimento del latte, camera del latte, eventuale laboratorio del burro, area di cottura/cagliatura, salatoio, magazzino di stagionatura, …).

 

Per soffermarci su alcuni dei rischi a cui sono soggetti i lavoratori dei caseifici possiamo fare riferimento ad uno dei documenti prodotti correlati al progetto Impresa Sicura, un progetto multimediale – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail – che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013 e che ha affrontato il tema della sicurezza in vari comparti lavorativi.

In particolare, in relazione alla sicurezza nel settore agroalimentare, il progetto si è soffermato su caseifici, lavorazione della carne, acetifici e lavorazione della pasta all’uovo.

 

Nel documento “Settore agroalimentare_I caseifici” si ricorda che è difficile riuscire in realtà a individuare “un’unica definizione di caseificio che soddisfi e consideri appieno le molteplici tipologie di prodotti e le tante e differenti attività svolte all’interno di questi opifici, tipici dell’industria di trasformazione agro-alimentare anche nella Regione Emilia Romagna”. E vengono presentate, a questo proposito due diverse definizioni di caseifici.

Viene inoltre precisato che quanto riportato da Impresa Sicura “non riguarda gli opifici industriali dedicati alla produzione di latte alimentare, ma solo quelli, per lo più di dimensioni contenute, in cui avviene la trasformazione del latte in formaggio o in altri derivati, quali per esempio burro e ricotta”.

 

Il documento, che vi invitiamo a leggere integralmente dal sito del progetto, riporta informazioni sulle varie tipologie di formaggio (con riferimento al latte, alla pasta, alla crosta e alla stagionatura), alle varie fasi di lavorazione e ai rischi correlati.

 

Riprendiamo oggi, rimandando altri approfondimenti a futuri articoli del giornale, alcune informazioni sui rischi e sulla prevenzione in relazione agli “ambienti” e le “postazioni di lavoro”. In particolare il documento si sofferma sugli “ambienti (chiusi e le aree cortilive) destinati alla produzione vera e propria o allo stoccaggio della materia prima e del prodotto finito, i locali tecnici e quelli di servizio che si possono considerare comuni a tutti i tipi di trasformazione del latte vaccino” esaminate.

 

Ad esempio nell’area cortiliva, all’interno dei piazzali aziendali, possono trovarsi a “circolare contemporaneamente, pedoni, autocisterne, carrelli elevatori e altri mezzi d’opera necessari alle lavorazioni”.

 

Riguardo al passaggio di automezzi e al passaggio di pedoni uno dei possibili rischi è il rischio di investimento.

Infatti “il transito delle autocisterne per il rifornimento del latte nei piazzali esterni dello stabilimento produttivo (dal cancello di ingresso fino al punto di riempimento dei serbatoi e viceversa), può comportare il rischio di investimento dei lavoratori del caseificio”.

In questo caso la prevenzione può consistere nel:

– “predisporre e segnalare percorsi separati per pedoni ed automezzi;

– gestire con apposite procedure o formazione le misure tecniche e organizzative intraprese”.

 

Il documento si sofferma anche sulla salita in postazioni sopraelevate (cisterne di stoccaggio, autocisterne).

Si indica che all’ arrivo delle autocisterne in aziende “l’autista si potrebbe trovare nella condizione di dover salire sulla sommità dell’autocisterna allo scopo di eseguire alcune manovre. Parimenti gli operatori si potrebbero trovare nella necessità di salire sulla sommità delle cisterne di stoccaggio per svolgere operazioni di manutenzione o di controllo”.

 

Riguardo ai rischi si indica che “le eventuali operazioni di manutenzione agli impianti e ai serbatoi di stoccaggio possono comportare la necessità di raggiungere postazioni in altezza, con conseguente rischio di caduta dall’alto. Anche per le operazioni di prelievo di campioni di prodotto e la successiva pulizia, ove l’addetto acceda alla sommità della autocisterna, è presente il rischio di caduta dall’alto”.

 

Veniamo alla prevenzione.

 

È bene “predisporre accessi sicuri alle postazioni in altezza ai serbatoi di stoccaggio con gradini stabili e antiscivolo, parapetti, fascia fermapiedi, ecc… come prescritto dalle norme vigenti. Anche l’accesso alla parte superiore della autocisterna deve essere reso sicuro, ad esempio con una scaletta robusta dotata di gradini stabili e antiscivolo, e dotando il camminamento lungo la cisterna di corrimano e parapetto reclinabili, che l’operatore possa alzare prima di accedere al camminamento, anch’esso antiscivolo realizzato ad esempio tramite un grigliato. Nel caso in cui il parapetto reclinabile sia presente su entrambi i lati del camminamento grigliato, l’operatore dovrà porre in posizione tali apprestamenti prima di salire definitivamente sul camminamento stesso. Nel caso in cui il parapetto reclinabile sia invece presente su un solo lato del camminamento, l’operatore dovrà far uso di idonei D.P.I. anticaduta, oltre alle calzature antiscivolo di sicurezza”. Si segnala che il D.P.I. anticaduta “a fronte di una caduta controllata dovrà essere di tipo completo e non dovrà essere dotato di dispositivo di dissipazione dell’energia a condizione che il cordino di collegamento con la linea vita installata alla base del parapetto reclinabile sia il più corto possibile. L’aggancio dovrà essere di tipo scorrevole in modo da consentire all’operatore di muoversi su tutta la lunghezza del camminamento rimanendo ancorato e in buon grado di sicurezza anticaduta”.

 

Concludiamo con qualche breve cenno ad un altro ambiente di lavoro, i locali tecnici.

 

Ad esempio si indica che la produzione del vapore che viene utilizzato nelle varie fasi di queste tipologie di impianti, avviene generalmente tramite “centrali termiche di rilevante potenzialità produttiva, alimentate con vari combustibili (es. gas metano oppure olio combustibile) e poste in locali appositi. Tuttavia diversi caseifici sono ubicati in zone dove la rete del gas metano non è presente, pertanto in tali casi permangono le centrali termiche alimentate a gasolio”.

E si segnala che dal momento che i “citati generatori di vapore necessitano della presenza continua dei conduttori patentati, secondo le norme di cui al D.M. 01.03.1974, si è estesa sempre più l’installazione di generatori ad olio diatermico dotati di scambiatori – evaporatori in grado di produrre, a loro volta, vapore alla pressione richiesta”.

 

Vediamo alcuni rischi e la relativa prevenzione in questi ambienti:

– esposizione a gas di combustione: “nei locali delle caldaie, per evitare il rischio di inalazione di gas tossici, occorre verificare che il tiraggio della caldaia sia mantenuto in perfetta efficienza e non debbano verificarsi fuoriuscite dei gas di combustione nell’ambiente di lavoro e comunque garantire l’arieggiamento costante dei locali caldaia. In caso di interventi straordinari di manutenzione, devono essere messi a disposizione degli addetti idonei DPI”;

– movimentazione manuale dei carichi: “per la movimentazione manuale dei carichi, dove possibile, devono essere impiegati ausili meccanici (apparecchi di sollevamento ecc.). In alternativa si dovrà adottare una soluzione che consenta all’addetto di operare quanto più possibile ‘in isolivello’, cioè a schiena eretta e con le braccia non troppo lontane dal corpo innalzando il punto di presa dei sacchi ad un’altezza compresa tra le ginocchia e le spalle dell’addetto (es. 70-80 e 140-150 cm);

– esposizione a rumore: “per ridurre il rumore è necessaria una buona coibentazione termico-acustica dell’impianto, e mantenere in buono stato di manutenzione ed efficienza bruciatori, aspiratori e ventilatori. Inoltre devono essere evitati sfiati liberi di vapore. In caso di rumorosità eccessiva l’operatore deve poter disporre di una cabina insonorizzata e climatizzata e di DPI (cuffie, tappi antirumore) per gli interventi di manutenzione;

– esposizione a microclima sfavorevole e lavoro in prossimità di superfici calde: “è necessaria la protezione di tutte le superfici calde mediante coibentazione e indossare guanti anticalore ed indumenti adeguati. Anche per questo fattore di rischio sono consigliabili locali di ristoro e cabine climatizzate”;

– esposizione ad amianto: “in caso di lavori di demolizione – rimozione di parti dell’impianto termico contenenti amianto, è necessario notificare alla Azienda Unità Sanitaria Locale (AUSL) competente per territorio, il relativo piano di lavoro in sicurezza ai sensi dell’art. 256, comma 2 del D.Lgs. 81/2008. Tali operazioni, quando necessarie, vengono di solito affidate a ditte specializzate”;

– incendio/esplosione: “è necessario che la centrale termica sia rispondente in tutto alle specifiche norme di sicurezza antincendio, impianti elettrici a norma e predisporre idonei programmi di controlli e manutenzione programmata dell’impianto”. Il documento, che riporta anche altri dettagli sulla prevenzione di questi rischi, ricorda che la normativa antincendio per le centrali termiche si differenzia a seconda del tipo di combustibile utilizzato.

 

Concludiamo segnalando che il documento si sofferma inoltre, riguardo agli ambienti tecnici, anche su autoclavi (con riferimento all’eventuale presenza di metano nell’acqua di falda) e addolcitori/ demineralizzatori. E tra gli altri ambienti e postazioni di lavoro analizzate figurano anche i locali di servizio igienico-assistenziali e gli ambienti produttivi.

 

 

L’indice generale del documento di Impresa Sicura:

 

Capitolo 1 Introduzione

 

Capitolo 2 I Caseifici

2.1 Introduzione

2.1.1 Tipologie di formaggio

2.1.2 Consistenza del comparto

2.1.3 Contesto e territorio d’origine del Parmigiano Reggiano

2.1.4 L’andamento degli infortuni e delle malattie professionali

2.2 Fasi di lavorazione

2.2.1 Trasformazione di latte pastorizzato

2.2.2 Trasformazione di latte crudo in Parmigiano Reggiano

2.3 Materie prime, semilavorati, prodotti finiti

2.3.1 Trasformazione di latte pastorizzato

2.3.2 Trasformazione di latte pastorizzato in mozzarelle

2.3.3 Trasformazione di latte crudo in Parmigiano Reggiano

2.3.4 Produzione di ricotta

2.3.5 Produzione di panna e burro di caseificio

2.4 Altre lavorazioni accessorie

2.4.1 Sanificazione

2.4.2 Laboratorio di analisi

2.4.3 Depurazione delle acque di scarico

2.4.4 Movimentazione meccanica dei carichi

2.4.5 Manutenzione meccanica

2.4.6 Lavaggio fustelle

 

Capitolo 3 Principali rischi e misure di prevenzione

3.1 Aspetti comuni di organizzazione della sicurezza

3.1 Appendice 1 “D.Lgs. 81/2008, Articolo 18”

3.2 Ambienti e postazioni di lavoro

3.2.1 Area cortiliva

3.2.2 Locali tecnici

3.2.3 Locali di servizio igienico-assistenziali

3.2.4 Ambienti produttivi

3.2.5 Segnaletica di sicurezza

3.3 Macchine e impianti impiegati – Rischi per la sicurezza

3.3.1 Trasformazione di latte pastorizzato

3.3.2 Trasformazione di latte pastorizzato in mozzarelle

3.3.3 Trasformazione di latte crudo in Parmigiano Reggiano

3.3.4 Produzione di ricotta

3.3.5 Produzione di panna e burro di caseificio

3.3.6 Altre lavorazioni accessorie

3.4 Macchine, impianti e condizioni operative – Rischi per la salute

3.4.1 Trasformazione di latte pastorizzato

3.4.2 Trasformazione di latte pastorizzato in mozzarelle

3.4.3 Trasformazione di latte crudo in Parmigiano Reggiano

3.4.4 Produzione di ricotta

3.4.5 Produzione di panna e burro di caseificio

3.4.6 Altre lavorazioni accessorie

3.5 Altri elementi di prevenzione

3.5.1 Verifiche periodiche

3.5.2 Appalti esterni

3.5.3 Marcatura CE

3.5.4 Utilizzo di apparecchi di sollevamento e mezzi per movimentazione merci e di trasporto

3.6 Eventuali altre caratteristiche o specificità

3.6.1 Studio specifico del sovraccarico biomeccanico dell’apparato muscoloscheletrico nei caseifici del Parmigiano Reggiano

3.6.2 Agibilità sismica nei caseifici del Parmigiano Reggiano e scaffalature

3.6.3 Il dvd “Lavorare in sicurezza in caseificio”

Appendici

 

Capitolo 4 Dispositivi di protezione individuale

4.1 Informazioni generali sui DPI

4.1.1 Definizione

4.1.2 Obblighi di uso

4.1.3 Requisiti

4.1.4 Scelta

4.1.5 Regole interne di approvvigionamento

4.1.6 Informazione, Formazione, Addestramento

4.1.7 Consegna

4.1.8 Utilizzo e vigilanza

4.1.9 Pulizia e manutenzione

4.1.10 Principali dispositivi di protezione individuale

4.1.11 Normativa di riferimento

Appendici

4.2 DPI specifici per il Comparto

 

Capitolo 5 Aspetti sanitari

5.1 Sorveglianza sanitaria

5.1.1 Aspetti specifici del Comparto

Appendici

5.2 Primo soccorso

5.2.1 Classificazione delle aziende

5.2.2 Organizzazione del primo soccorso

5.2.3 Attrezzature minime per gli interventi di primo soccorso

5.2.4 Contenuto minimo della cassetta di pronto soccorso

5.2.5 Contenuto minimo del pacchetto di medicazione

5.2.6 Nomine addetti al primo soccorso

5.2.7 Requisiti e formazione degli addetti al primo soccorso

 

 

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite una registrazione al sito.

 

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro – Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

 

 

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Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

 

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Come utilizzare i sistemi RFId per la sicurezza dei lavoratori

Una nuova pubblicazione Inail si sofferma sui sistemi RFId che permettono il riconoscimento a distanza di un oggetto per mezzo di comunicazioni radio. Le altre tecnologie di identificazione automatica e l’uso dei sistemi RFId per la sicurezza.
 

Roma, 14 Feb – Sappiamo che il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere affinché nei luoghi di lavoro non solo si valutino i rischi, ma sia effettuata anche una riduzione dei rischi alla fonte, ad esempio limitando al minimo il numero dei lavoratori che possono essere esposti a tali rischi o adottando misure di protezione, prima collettive che individuali.

 

Fatta questa doverosa premessa, in alcune attività la riduzione dei rischi può essere favorita attraverso l’utilizzo di sistemi RFId (Radio-Frequency Identification), una tecnologia che permette il riconoscimento a distanza di un oggetto per mezzo di comunicazioni radio. Tali sistemi RFId offrono “soluzioni innovative per raggiungere taluni degli obiettivi di salute e sicurezza richiesti dal Testo Unico”.

 

A presentare in questi termini i sistemi RFId è un nuovo documento elaborato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (Dit) dell’ Inail, a cura di Giovanni Luca Amicucci e Fabio Fiamingo.

 

Il documento, dal titolo “RFId (Radio-Frequency Identification) in applicazioni di sicurezza”, ha il compito di presentare la tecnologia RFId, ed in particolare: la filosofia di funzionamento; i più comuni metodi di utilizzo; alcune applicazioni di sicurezza; alcune applicazioni in ambiente sanitario; alcune criticità rilevate; altre tecnologie di comunicazione (Wi-Fi, UWB, Bluetooth LE, ZigBee, NFC) impiegabili (o già impiegate) per applicazioni molto vicine a quelle per cui sono utilizzati gli RFId.

 

Il documento segnala che negli ultimi anni le tecnologie di identificazione automatica più diffuse “sono state quelle dei codici a barre e delle carte a banda magnetica, tuttavia nei prossimi anni l’RFId potrebbe superarle poiché offre funzionalità più complesse, infatti:

– nei sistemi che utilizzano il codice a barre occorre mantenere una distanza minima tra l’oggetto e il lettore e far assumere all’etichetta la giusta orientazione rispetto al lettore; inoltre, l’etichetta su cui è riportato il codice a barre è di solito cartacea e quindi non in grado di tollerare rivestimenti od agenti esterni, come acqua o sporcizia, che possono degradarne il contenuto informativo;

– le carte a banda magnetica sono soggette a smagnetizzazione e a limitazioni della distanza di utilizzo analoghe a quelle dei codici a barre”.

 

E dunque i sistemi RFId sono in grado di superare queste limitazioni grazie alle comunicazioni a radiofrequenza (RF).

 

In pratica – continua il documento – “all’oggetto che deve essere riconosciuto è accoppiato un trasponder (Tag) in grado di comunicare via radio le informazioni richieste da un apposito Reader. Ogni Tag può essere identificato in modo univoco grazie ad un codice memorizzato nel proprio microchip. Il Tag può assumere qualunque forma si desideri, può essere esposto agli agenti atmosferici o essere rivestito con il materiale più idoneo al tipo di utilizzo che si vuole fare dell’oggetto su cui è applicato. Un Tag può immagazzinare anche una cospicua quantità di dati e consentire operazioni di lettura e scrittura in tempo reale a distanza di alcuni metri”.

Quindi il fatto che un Tag possa “essere letto a distanze superiori rispetto ad un codice a barre o ad una carta magnetica è un’intrinseca superiorità dei sistemi RFId rispetto a tali tecnologie”.

 

Rimandando ad un prossimo articolo l’approfondimento sugli applicativi con sistemi RFId, vediamo in generale quello che può essere l’uso di questi sistemi in applicazioni di sicurezza.

 

 

Prima di utilizzare un sistema RFId, all’interno di un sistema di controllo per un’applicazione di sicurezza, “occorre conoscerne a fondo il funzionamento e comprendere il modo migliore per il suo impiego”.

 

Ad esempio si sottolinea che un sistema RFId “non può essere usato come barriera immateriale. Una simile barriera è usata in un sistema di comando di una macchina per impedire l’accesso a zone pericolose. Il dispositivo entra in funzione quando un raggio ottico è interrotto dal passaggio di oggetti o parti del corpo di una persona. In pratica, nell’istante in cui il raggio è interrotto, il sistema di comando conosce la posizione di chi lo sta interrompendo, nell’intervallo di tempo che precede tale evento la barriera assume che non sussista nessuna situazione di pericolo, mentre vi è una probabilità non nulla che nell’intervallo di tempo successivo a tale evento possa presentarsi una situazione di pericolo, allora il sistema di comando avvia azioni che portano la macchina in uno stato sicuro”.

Ma un sistema RFId “non può conoscere la posizione di alcunché cui non sia stato in precedenza associato un Tag (riconosce la presenza del Tag all’interno della propria zona operativa). Per tale motivo non può mettere in sicurezza la macchina se eventuali soggetti sprovvisti di Tag entrano nella zona operativa del Reader, al limite potrebbe avviare azioni solo se soggetti che indossano un Tag entrano in tale zona operativa. Un tale uso non è sicuro in una barriera”.

 

Il documento indica tuttavia che un sistema RFId funziona invece molto bene per “consentire l’accesso ad una zona pericolosa a persone che siano autorizzate (ad esempio dotate di Tag), quindi come chiave, o per consentire l’attivazione di taluni dispositivi (ad es.: un’attrezzatura di lavoro) solo da parte di un operatore noto (che indossi un Tag). Anzi da questo punto di vista ha anche funzionalità superiori, in quanto il Tag è dotato di un identificativo, per cui può essere messa in atto una gerarchia di autorizzazioni”.

 

A questo proposito si segnala che ad esempio alcuni soggetti “possono essere autorizzati ad accedere a talune zone ed altri a zone diverse, oppure alcuni soggetti possono sbloccare alcune modalità di funzionamento di un’attrezzatura di lavoro, come il ‘ modo di manutenzione’, e altri no, e così via”.

 

In ogni caso si ribadisce che se in molte applicazioni “non è possibile utilizzare il sistema RFId come sicurezza principale, poiché protegge solo chi porta un Tag”, tuttavia è possibile “utilizzarlo come sicurezza addizionale. Infatti è più semplice (e naturale) il suo uso come ‘chiave’ o come utensile per disattivare una barriera di sicurezza, o nel caso si debba accedere a qualche modalità operativa particolare (ad esempio: ‘modo di manutenzione’, ‘modo di addestramento’, ecc.)”.

 

Concludiamo riportando l’indice del documento:

 

  1. I sistemi RFId

1.1. Introduzione

1.2. Origini e sviluppo della tecnologia RFId

1.3. Caratteristiche dei sistemi RFId

1.3.1. Classificazione dei Tag

1.3.2. Caratteristiche dei Reader

1.3.3. Frequenze di esercizio per i sistemi RFId

1.3.4. Tipi di memorie impiegate nei Tag

 

  1. Principi di funzionamento degli RFId

2.1. Accoppiamento Reader-Tag nei sistemi passivi

2.2. Principi di funzionameno dei Tag passivi

2.3. Antenne ed accoppiamenti

2.3.1. Modello dell’accoppiamento induttivo

2.3.2. Modello dell’accoppiamento elettromagnetico

 

  1. Modelli di trasmissione dati per sistemi RFId

3.1. Introduzione

3.2. Il modello OSI per la comunicazione tra dispositivi

3.3. Modulazione della portante

3.4. Codifica dei dati

3.5. Processo di anticollisione

3.6. Rilevamento e correzione degli errori

3.7. Sicurezza della comunicazione

 

  1. RFId in applicazioni di sicurezza

4.1. Uso in applicazioni di sicurezza

4.1.1. Uso come blocco di sicurezza aggiuntivo

4.1.2. Uso come interblocco di sicurezza

4.1.3. Uso come chiave di accesso ad un cantiere

4.1.4. Uso per la localizzazione dei lavoratori

4.1.5. Uso come DPI aggiuntivo

4.1.6. Uso come inventario di sicurezza

4.1.7. Rilevazione dei parametri ambientali

 

  1. Applicazioni mediche

5.1. Braccialetti RFId per l’identificazione e la localizzazione dei pazienti

5.2. Sistemi per la localizzazione di apparecchiature, pazienti e personale sanitario

5.3. Tracciamento dei ferri chirurgici in sala operatoria

5.4. Utilizzo di dispositivi attivi

5.5. Precauzioni nell’applicazione ai locali medici

5.6. Soluzioni impiantistiche

5.7. Uso per applicazioni di telemetria

 

  1. Uso di un sistema RFId

6.1. Progettazione di un uso per un sistema RFId

6.2. Scelta del sistema RFId

6.3. Un esempio

6.3.1. Elenco delle funzionalità richieste

6.3.2. Scelta delle principali caratteristiche del sistema

 

  1. Alcuni aspetti critici

7.1. Criticità di impiego

7.2. Pericoli per la privacy

7.3. Pericolo di diffusione di informazioni commerciali

7.4. Rischi per la salute

 

Appendice I

Frequenze di esercizio per i sistemi RFId

 

Appendice II

Memorie impiegate nei Tag

 

Appendice III

Propagazione dei campi elettromagnetici

 

Appendice IV

Protocolli anticollisione stocastici

 

Appendice V

Protocolli anticollisione deterministici

 

Appendice VI

Altre tecnologie utilizzabili per sistemi wireless

 

Appendice VII

La localizzazione indoor

 

Appendice VIII

Riferimenti

 

 

 

Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’Inail, “ RFId (Radio-Frequency Identification) in applicazioni di sicurezza”, a cura di Giovanni Luca Amicucci e Fabio Fiamingo, versione 2016, pubblicazione gennaio 2017 (formato PDF, 2.26 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ RFId in applicazioni di sicurezza”.

 

 

 

RTM

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Sicurezza nell’uso delle macchine movimento terra

Le principali cautele da adottare durante l’uso delle MMT utili soprattutto per la redazione del POS ma anche per l’individuazione, da parte del CSP, delle scelte prevenzionali più adeguate fin dalla fase progettuale. Di Carmelo G. Catanoso.
Le macchine movimento terra (MMT) sono macchine che vengono normalmente utilizzate per eseguire operazioni di scavo, caricamento, trasporto e livellamento di materiali geologici e di risulta. Sono costituite da un corpo macchina traslante, su cingoli o su gomma, eventualmente da un’unità rotante e dall’unità funzionale (per lo scavo e/o spostamento/caricamento del terreno). L’energia necessaria per il funzionamento, è assicurata da motori, prevalentemente diesel, collegati ad un sistema oleodinamico che permette alla macchina di effettuare le varie operazioni (scavo, caricamento, rotazione, ecc.).

Nel seguito di quest’articolo, saranno evidenziate le principali cautele da adottare durante l’uso di questa particolare tipologia di macchine. Queste informazioni potranno essere utilizzate sia dalle imprese per la redazione del Piano Operativo di Sicurezza che dai coordinatori per la sicurezza. In particolare, questi ultimi soggetti potranno utilizzare quanto segue per trarne utili spunti:

– in fase progettuale, per la individuazione dei potenziali pericoli esistenti durante le lavorazioni, con la conseguente possibilità di individuare, in questa fase, le misure preventive e protettive più adeguate definendole con chiarezza nel Piano di Sicurezza e Coordinamento;

– in fase esecutiva, per un supporto operativo alla loro attività di verifica prevista dall’art. 92 comma 1 del d.lgs 81/2008.

 

Prima di esaminare le principali cautele nella gestione delle MMT ed al fine di semplificare l’esposizione riguardante le varie tipologie delle stesse, è opportuno fare una distinzione tra le macchine di scavo di tipo “fisso”, di tipo “mobile” e le macchine adibite, invece, esclusivamente al trasporto del terreno.

 

 

  1. A) Macchine di scavo fisse

Questo tipo di MMT esegue le proprie operazioni in posizione fissa o tramite un impianto fisso di escavazione, lasciando all’apposita unità funzionale, i movimenti necessari per lo scavo. Lo scavo avviene mediante la spinta sul terreno da parte di un apposito utensile, la successiva asportazione del materiale, il sollevamento e lo scarico dello stesso in una zona predisposta per l’accumulo o direttamente su un automezzo adibito al trasporto.

In seguito considereremo solo le macchine di scavo fisse, per le quali le operazioni di scavo vengono effettuate per fasi successive (es.: escavatori cingolati), tralasciando le macchine per le quali le operazioni di scavo avvengono in un’unica fase (scavo, sollevamento, scarico e ritorno) come per gli escavatori a tazze, ormai non più usati in edilizia, ma nelle lavorazioni effettuate nelle cave o per i dragaggi fluviali.

 

  1. B) Macchine di scavo mobili

Questo tipo di MMT esegue le proprie operazioni mediante una spinta sul terreno di tutto il corpo macchina. Le restanti operazioni di sollevamento e scarico del materiale, avvengono in modo similare alle macchine di scavo fisse (es.: pale meccaniche).

Appartengono a questa “famiglia” di macchine anche le MMT utilizzate esclusivamente per il livellamento del terreno (es.: dozer, grader, ecc.).

 

  1. C) Macchine per il trasporto dei materiali

Questa tipologia di macchine serve esclusivamente per il trasporto del terreno, e di eventuali altri materiali, all’interno delle aree di cantiere e su terreni accidentati. Appartengono a questa “famiglia” di MMT, i dumper nelle varie dimensioni.

 

I diversi tipi di macchine movimento terra

La più semplice distinzione che è possibile fare per le macchine movimento terra, è quella in base alla loro destinazione d’uso.

 

Tractors-dozers

Questo tipo di macchina, più comunemente conosciuta come “apripista”, viene utilizzata nei lavori di scavo e trasporto. E’ costituita da un corpo semovente, su cingoli o su ruote, munita di lama posta trasversalmente alla direzione di marcia ed azionata da un sistema oleodinamico. La lama può rimanere fissa o variare l’angolazione, sia nel piano verticale che in quello trasversale.

I tractors-dozers possono, per particolari lavorazioni, essere equipaggiati con utensili trainati o portati, come, ad esempio, verricelli, scarificatori, ecc.

 

Caricatori

Comprendono quelle MMT utilizzate per lo scavo, carico, sollevamento, trasporto e scarico del materiale. La macchina è costituita da un corpo semovente, su cingoli o su ruote, munita di una benna, nella quale, mediante la spinta della macchina, avviene il caricamento del terreno. Lo scarico può avvenire mediante il rovesciamento della benna, frontalmente, lateralmente o posteriormente. I caricatori su ruote possono essere a telaio rigido o articolato intorno ad un asse verticale. Per particolari lavorazioni la macchina può essere equipaggiata anteriormente con benne speciali e, posteriormente, con attrezzi trainati o portati quali scarificatori, verricelli, ecc..

 

Terne

Comprendono quelle MMT utilizzate per lo scavo, carico, sollevamento, trasporto e scarico del materiale. La macchina è costituita da un corpo semovente, su ruote o su cingoli, dotata, anteriormente, di una benna per lo scavo, trasporto e scarico del materiale o di una lama apripista e, posteriormente, di un utensile per lo scavo ed il carico del materiale.

 

Escavatori

Anche in questo caso si tratta di macchine utilizzate per lo scavo, carico, sollevamento e scarico dei materiali; la traslazione può avvenire su ruote o su cingoli e l’utensile di scavo (benna) può essere azionato sistema oleodinamico. Essa è costituita: a) da un corpo base che, durante la lavorazione resta normalmente fermo rispetto al terreno e nel quale sono posizionati gli organi per il movimento della macchina sul piano di lavoro; b) da un corpo rotabile (torretta) che, durante le lavorazioni, può ruotare di 360 gradi rispetto il corpo base e nel quale sono posizionati sia la postazione di comando che il motore e l’utensile funzionale. La versatilità della macchina permette di equipaggiare la stessa con particolari utensili, quali martelli pneumatici per le demolizioni, frese rotanti per lo scavo di gallerie, ecc..

 

Scraper

Si tratta di macchine utilizzate per eseguire lavori di scavo, caricamento, trasporto su piccole o medie distanze ed, eventualmente, per il livellamento del terreno. Sono normalmente costituite da un corpo macchina su ruote, semovente o trainato, munite di un tagliente e di un cassone; possono essere a telaio rigido o articolato intorno ad un asse verticale. Il caricamento del cassone può avvenire: a) mediante l’avanzamento stesso della macchina, eventualmente con una spinta supplementare fornita da una o più macchine; b) mediante un dispositivo elevatore applicato anteriormente al cassone. Lo scarico del cassone avviene anteriormente mediante comandi meccanici o oleodinamici o semplicemente a gravità.

 

Grader

Sono macchine utilizzate per eseguire livellamenti del terreno, per sagomare il profilo di tracciati stradali, per eseguire cunette, per distribuire e muovere materiale vario per pavimentazioni stradali. La macchina è costituita da un corpo semovente su ruote (le anteriori inclinabili), munita di una lama, orientabile, posizionata tra l’asse anteriore e l’asse, o gli assi, posteriore. La lama può compiere una serie di movimenti, comandati mediante appositi dispositivi, che le consentono lo spostamento laterale, il sollevamento e l’abbassamento, la rotazione sul piano verticale e orizzontale.

 

Dumper

Sono macchine utilizzate esclusivamente per il trasporto e lo scarico del materiale; sono costituite da un corpo semovente su ruote, munito di un cassone. Lo scarico del materiale può avvenire posteriormente o lateralmente mediante appositi dispositivi oppure semplicemente a gravità. Il telaio della macchina può essere rigido o articolato intorno ad un asse verticale. In alcuni tipi di dumper, al fine di facilitare la manovra di scarico o distribuzione del materiale, il posto di guida ed i relativi comandi possono essere reversibili.

 

Posatubi

Si tratta di macchine utilizzate per eseguire lavori di trasporto e posizionamento di tubi, prevalentemente di grande diametro, per l’esecuzione di oleodotti, ecc.. Sono costituite da un corpo semovemente, prevalentemente su cingoli, con, montato trasversalmente alla macchina, un sistema di sollevamento per la movimentazione ed il posizionamento dei tubi, equilibrato da una adeguata zavorra aggiuntiva. Come “posatubi” si intendono anche quei dispositivi, montati prevalentemente su terne, per lo scavo e la posa di tubazioni flessibili di piccolo diametro.

 

Trenchers

Questo tipo di MMT viene utilizzato per l’ esecuzione di trincee per la posa di canalizzazioni, ecc.. La macchina è costituita da un corpo semovente, su cingoli o su ruote, che, mediante l’infissione nel terreno di un particolare utensile, esegue lo scavo della trincea.

 

Compattatori

Sono macchine utilizzate prevalentemente nei lavori stradali e sono costituite da un corpo macchina semovente la cui traslazione e la conteporanea compattazione del terreno o del manto bituminoso, avviene mediante due o tre grandi cilindri metallici (la cui rotazione permette l’avanzamento della macchina), adeguatamente pesanti, lisci o, eventualmente (solo per compattazione di terreno), dotati di punte per un’azione a maggior profondità.

 

Mini macchine movimento terra

Accanto alle classiche MMT è opportuno citare anche questa tipologia di attrezzature, notevolmente diffusesi negli ultimi anni. Sono prevalentemente utilizzate, proprio per le ridotte dimensioni, in ambienti ristretti o anche per piccoli scavi (canalizzazioni elettriche, ecc.), nelle ristrutturazioni di edifici, nella manutenzione delle reti viarie, ecc..

 

Gli infortuni nell’uso delle MMT

Gli infortuni che, comunemente, avvengono durante le lavorazioni con macchine movimento terra, sono principalmente dovuti a:

ribaltamento della macchina e conseguente possibile schiacciamento dell’operatore e/o delle persone presenti nelle vicinanze della macchina;

schiacciamento, lesioni, ecc. per investimento da mezzi e tra mezzi, circolanti nella zona di lavoro;

schiacciamento, lesioni, per contatto con organi mobili, ecc., durante le lavorazioni e gli interventi di manutenzione.

schiacciamento, lesioni, ecc. per franamenti del terreno e/o caduta di gravi;

proiezione di schegge e/o detriti durante le lavorazioni;

elettrocuzione e/o ustioni per il contatto degli utensili di scavo (benne, ecc.) con linee elettriche interrate;

elettrocuzione e/o ustioni per contatto con parti in tensione (linee elettriche aeree);

esplosione per il contatto degli utensili di scavo (benne, lame, ecc.) con tubazioni di gas in esercizio o ordigni bellici interrati;

lesioni, ferite, ecc., dovuti alla fuoriuscita di liquidi idraulici in pressione;

spruzzi negli occhi di liquidi, sostanze, ecc.

caduta dal posto di guida;

strappi muscolari dovuti al sollevamento di carichi;

cadute /scivolamenti sul piano di lavoro.

 

Sicurezza e tutela della salute nell’uso delle MMT

Per un corretto e sicuro utilizzo delle macchine movimento terra è opportuno seguire alcuni consigli derivanti, perlopiù, non da un preciso obbligo normativo, ma dal buonsenso e dall’esperienza degli addetti.

Per efficace esposizione, nel seguito di quest’articolo, si è preferito presentare le “cautele” per l’utilizzo in sicurezza delle MMT secondo un criterio temporale; infatti, si sono suddivise le misure di sicurezza ed i comportamenti da adottare da parte degli addetti (operatori e non) in tre distinti momenti e cioè: prima, durante e dopo l’uso delle macchine. Quanto succesivamente riportato, valido per tutti i tipi di MMT, è esposto in una forma telegrafica ma, si spera, di semplice comprensione.

 

Prima dell’uso

Prima di salire sulla macchina assicurarsi di non avere capi di vestiario slacciati o penzolanti che potrebbero impigliarsi nelle parti in movimento o sugli organi di comando.

Dotarsi di tutti i dispositivi di protezione individuale necessari e messi a disposizione dal datore di lavoro dell’impresa.

Prestare attenzione alle condizioni del terreno prospiciente la macchina, onde evitare scivolamenti/cadute sul piano di lavoro.

Controllare gli scalini d’accesso, le maniglie e gli appigli al posto di guida, al fine di evitare, in caso di scivolamento per la presenza di grasso, ecc., pericolose cadute.

Non utilizzare, come appigli per la salita sulla macchina, nè le tubazioni flessibili, nè i comandi, in quanto non offrono garanzie per una sicura tenuta; inoltre, lo spostamento di un comando potrebbe provocare un movimento della macchina o dell’attrezzatura di scavo.

Prima di azionare l’attrezzatura, fare un giro intorno alla macchina ed assicurarsi, poi, che nelle vicinanze della stessa non vi siano persone.

Assicurarsi preventivamente prima di iniziare lo scavo, che, nella zona di lavoro, non vi siano cavi, tubazioni, ecc. interrate, interessate dal passaggio di corrente elettrica, gas, acqua, ecc..

Assicurarsi che nella zona di lavoro, le eventuali linee elettriche aeree, rimangano sempre a distanza di sicurezza; in caso contrario è necessario far mettere fuori servizio le linee o predisporre adeguate protezioni sulle stesse.

Prima di utilizzare la macchina assicurarsi, della sua perfetta efficienza nonchè dell’eliminazione di qualsiasi condizione pericolosa.

Prima di avviare la macchina regolare e bloccare il sedile di guida in posizione ottimale.

Mantenere il posto guida libero da oggetti, attrezzi, ecc., soprattutto se non fissati adeguatamente.

Controllare l’efficienza dei freni, delle luci, dei dispositivi acustici e luminosi e di tutti i comandi e circuiti di manovra.

In caso di anomalie, fermare la macchina e segnalare il tutto al proprio preposto.

Prima di utilizzare la macchina accertarsi dell’esistenza di eventuali vincoli derivanti da: limitazioni di carico (terreno, pavimentazioni, rampe), ostacoli (in altezza ed in larghezza), limiti d’ingombro, ecc..

Controllare, prima di iniziare la movimentazione, che le eventuali persone stazionanti in prossimità della macchina, siano al di fuori del raggio di azione della stessa; azionare, prima e comunque, il segnalatore acustico.

Garantirsi, prima di muoversi con la macchina, una buona visione della zona circostante; pulire, sempre e bene, i vetri della cabina di guida.

In caso di spostamenti su strada, informarsi preventivamente delle eventuali limitazioni di: ingombro, carico della pavimentazione stradale, ecc..

Prima di utilizzare la macchina in ambienti con scarsa vetilazione (ad esempio, le gallerie), predisporre un sistema di aspirazione e scarico o un depuratore ad acqua o catalitico, per i gas combusti.

In caso di lavori notturni, verificare, preventivamente ed attentamente, la zona di lavoro; utilizzare comunque, tutte le luci disponibili.

Prima di iniziare il lavoro, valutare sempre le condizioni del terreno (consistenza, ecc.) e, in caso di vicinanza (in particolare a valle della zona di lavoro), di opere di sostegno, assicurarsi anche dello stato di quest’ultime, onde evitare, per il sovrappeso della macchina, il cedimento del muro ed il ribaltamento del mezzo.

In caso di utilizzo delle macchine per l’abbattimento di alberi, assicurarsi che le stesse siano munite di cabina atta a preservare l’operatore dalla caduta di rami; durante l’abbattimento non posizionare la macchina, o parte di essa, sulla zona dove si pensa ci siano le radici degli alberi, onde evitare, alla caduta degli stessi, pericolose spinte, dal basso verso l’alto, sulla macchina con potenziale pericolo di ribaltamento della stessa

 

Durante l’uso

Dopo essere saliti in cabina, usare la macchina solo rimanendo seduti al posto di guida con la cintura di sicurezza allacciata.

Rimanere sempre con la testa, il corpo e gli arti, dentro la cabina di guida, in modo da non esporsi ad eventuali rischi presenti all’esterno (rami, caduta gravi, ecc.).

Non usare la macchina per trasportare oggetti che non siano stati adeguatamente fissati ad appositi supporti o opportunamente imbracati.

Non trasportare persone sulla macchina.

Non salire o scendere mai dalla macchina quando questa è in movimento.

Utilizzare la macchina sempre a velocità tali da poterne mantenere costantemente il controllo.

Tenere, durante gli spostamenti, l’attrezzatura di scavo ad un altezza dal terreno, tale da assicurare una buona visibilità e stabilità.

Procedere con estrema cautela, in caso di operazioni in zone potenzialmente pericolose: terreni con forti pendenze, prossimità di burroni, presenza di ghiaccio sul terreno, ecc..

Quando possibile, evitare di far funzionare la macchina nelle immediate vicinanze di scarpate a forte pendenza, sia che si trovino a valle che a monte della macchina.

Prestare la massima attenzione durante l’attraversamento di zone che manifestino irregolarità superficiali; quest’ultime potrebbero interrompere la continuità dell’aderenza o della trazione sul terreno della macchina con pericolo di scivolamenti laterali e/o ribaltamenti.

In caso di discesa con forte pendenza, procedere sempre con la marcia innestata.

Evitare, quando possibile, l’attraversamento e/o il superamento di ostacoli; nel caso in cui ciò non fosse possibile, ridurre la velocità, procedere obliquamente, portarsi sul punto di “bilico”, bilanciare la macchina sull’ostacolo e scendere lentamente.

In caso di spostamento su forti pendenze, evitare di procedere trasversalmente al pendio; spostarsi, invece, sul pendio, dall’alto verso il basso e viceversa (a zig-zag).

Prima di iniziare il movimento della macchina in retromarcia, accertarsi che la zona sia libera da ostacoli e da eventuale personale.

Nel caso in cui il motore presentasse anomalie di funzionamento (arresto sotto carico o al minimo dei giri), segnalare immediatamente il fatto al proprio preposto e non usare la macchina fino a che il guasto non sia stato eliminato.

In caso di utilizzo di funi e catene per il traino, fare allontanare i non addetti e controllare preventivamente: lo stato delle stesse, la portata e la robustezza dei punti di attacco in funzione del carico da trasportare.

Iniziare il movimento di traino sempre gradatamente, per evitare rotture o distacchi della fune/catena con possibili pericolosi colpi di frusta.

Per il carico/trasporto/scarico del materiale, utilizzare solo il tipo di benna indicata dal fabbricante, per quella particolare lavorazione ed in funzione del terreno esistente nella zona di lavoro.

Assicurarsi che il carico da trasportare sia sempre ben sistemato.

Evitare di effettuare brusche manovre di avvio ed arresto, in modo particolare a benna carica.

Non alzare e traslare i carichi al di sopra delle zone dove lavorano o sostano persone, o, verso il basso, nel caso in cui si lavori su terreno in forte pendenza.

Non usare l’utensile di scavo/trasporto/scarico per sollevare o trasportare persone.

Non utilizzare la macchina e/o la benna della macchina come piattaforma per lavori in elevazione.

In fase di carico del materiale su camion, assicurarsi che nel raggio d’azione della macchina non ci siano persone; effettuare, quando possibile, il carico del camion dal lato di guida.

In caso di spostamento con benna carica, procedere con una velocità adeguata al carico ed al terreno; mantenere la benna quanto più bassa possibile, in modo da garantire visibilità all’operatore e stabilità alla macchina.

In caso di arresto della macchina, riportare i comandi in folle ed inserire il freno; non abbandonare mai la macchina con il motore acceso o spenta ma con le chiavi inserite.

Far sostare la macchina in una zona dove non operino altre macchine e priva di traffico veicolare; in caso contrario, segnalare adeguatamente la presenza della macchina.

Scegliere, quando possibile, un terreno piano che offra un’adeguata capacità portante; in caso di terreno in pendenza, posizionare la macchina trasversalmente alla pendenza, accertandosi dell’assenza del pericolo di slittamento o cautelandosi in tal senso..

Prima di abbandonare il posto di guida e dopo essersi assicurati che in prossimità della macchina non ci siano persone, abbassare lentamente e poggiare sul terreno gli attrezzi di scavo/trasporto/scarico.

Effettuare la manovra di abbassamento degli attrezzi, solo dalla posizione di guida ed avvertendo dell’operazione mediante il segnalatore acustico.

Chiudere la macchina nelle soste per il pranzo o alla fine della giornata lavorativa, al fine di evitare avviamenti a personale non autorizzato.

Consegnare le chiavi e segnalare, in caso di lavoro a turni, al collega del turno successivo, le eventuali piccole anomalie presentatesi durante la lavorazione.

 

Dopo l’uso

Le manutenzioni principali sono la costante pulizia e la lubrificazione della macchina nonché tutte le operazioni previste dalle specifiche contenute nel libretto di manutenzione.

Destinare all’intervento di manutenzione solo personale esperto ed a conoscenza delle misure di sicurezza da attuare prima e durante l’intervento e dotato dei dispositivi di protezione individuale necessari.

Seguire sempre le istruzioni contenute nell’apposito libretto della macchina durante l’esecuzione degli interventi di manutenzione.

Evitare sempre che gli interventi di manutenzione vengano effettuati da personale inesperto o non autorizzato.

Non eseguire mai interventi di manutenzione con il motore acceso, salvo ciò sia prescritto nelle istruzioni per la manutenzione della macchina.

In caso di intervento in luogo chiuso (officina) predisporre un sistema di depurazione o allontanamento dei gas di scarico.

Tutti gli interventi di manutenzione dovranno essere eseguiti senza la presenza di personale nella cabina guida, a meno che si tratti di personale esperto, incaricato di collaborare all’operazione.

Mantenere sempre puliti da grasso, olio, fango, ecc., i gradini di accesso e gli appigli per la salita al posto di guida.

Non intervenire mai, a motore accesso, per regolare la tensione delle cinghie di trasmissione, ecc..

In caso di interventi sulle attrezzature della macchina (benna, ecc.), eseguire lentamente la manovra dalla cabina guida, applicando i freni e segnalandola acusticamente.

In caso di interventi sulla macchina o su parti di essa, con sollevamento delle stesse, bloccare sempre il tutto, utilizzando mezzi esterni; nel caso in cui la stessa non sia stata ancora bloccata adeguatamente, evitare il passaggio di persone, sotto l’attrezzatura o nelle immediate vicinanze.

Per la manutenzione dell’attrezzatura di scavo (braccio, benna, lama, ecc.) in posizione sollevata, bloccare la stessa prima di intervenire (con l’apposito dispositivo).

Non usare mai l’attrezzatura di scavo per il sollevamento di persone.

Nel caso di manutenzioni su parti della macchina irraggiungibili da terra, utilizzare scale, piattaforme, ecc., rispondenti ai criteri di sicurezza (appoggi, parapetti, ecc.).

Per il sollevamento di parti di macchine, particolarmente pesanti, avvalersi di mezzi di sollevamento rispondenti alle norme di sicurezza; controllare, preventivamente, la portata del mezzo, lo stato delle funi o catene utilizzate per imbracare il pezzo, la loro portata e l’eventuale presenza di persone nella zona prospiciente la macchina.

In caso di utilizzo di martinetti di sollevamento, controllarne preventivamente l’efficienza; posizionarli solo nei punti della macchina indicati dalle istruzioni per la manutenzione.

I martinetti devono essere sempre considerati solo come un mezzo d’opera; il bloccaggio del carico deve essere effettuato trasferendo il peso ad appositi supporti, di adeguata portata, predisposti specificatamente.

In caso di traino della macchina con funi, catene, ecc., adottare tutte le precauzioni già descritte nel precedente paragrafo

Le operazioni di sostituzione dei denti delle benne devono essere effettuati utilizzando gli occhiali protettivi, al fine di evitare che i colpi di martello, necessari per estrarre e sostituire i denti consumati, possano provocare la proiezione di schegge, con grave pericolo per gli occhi dell’addetto.

Eseguire tutti gli interventi sull’impianto idraulico, solo quando la pressione è nulla; comunque, nel caso in cui si debba ricercare una perdita nel sistema idraulico, procedere sempre con estrema cautela, visto il pericolo derivante dall’eventuale esistenza di un foro (anche minuscolo) su uno dei flessibili idraulici, con fuoriuscita in pressione dell’olio idraulico.

Effettuare gli interventi sull’impianto elettrico seguendo le istruzioni contenute nel libretto di manutenzione della macchina; non adottare soluzioni che non diano adeguate garanzie (ponticelli varii, giunzioni nastrate, ecc.).

Durante la pulizia con l’aria compressa ed il lavaggio della macchina, utilizzare getti a bassa pressione ed utilizzare gli occhiali protettivi.

Le eventuali operazioni di saldatura sulla macchina, vanno eseguite utilizzando tutti i mezzi di protezione personale necessari (occhiali, maschere, aspiratori, ecc.).

Non utilizzare mai liquidi infiammabili come benzina, gasolio, ecc. per pulire i pezzi meccanici, ma gli appositi liquidi detergenti ininfiammabili e non tossici.

Durante il rifornimento di carburante o la ricarica delle batterie, evitare accuratamente la presenza di fiamme libere o la produzione di scintille.

Al termine dell’intervento, rimettere in posto tutte le protezioni della macchina (carter, ecc.), che erano state asportate per eseguire la manutenzione.

Per il carico/scarico ed il trasporto della macchina, utilizzare gli appositi pianali ribassati, dotati di rampe d’accesso di adeguata pendenza e dei necessari sistemi di bloccaggio della macchina; compiere sempre questa operazione in una zona pianeggiante, con terreno di adeguata portanza.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Sovraccarico biomeccanico e fabbricazione di organi di trasmissione

Schede sui rischi da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nell’attività di fabbricazione di organi di trasmissione. Le differenze dell’esposizione al rischio in tre compiti: rettifica ruote dentate, sbavatura alberi e filettatura boccole.
 

Roma, 3 Feb – Per quanto riguarda il rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori ci sono comparti lavorativi e attività in cui, a seconda degli specifici compiti eseguiti, possono essere molto diversi i livelli di rischio, a volte anche tra il braccio sinistro e destro.

 

E il caso, ad esempio, delle attività di fabbricazione di organi di trasmissione come riportato nel secondo volume della monografia Inail dal titolo “ Schede di rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nei comparti della piccola industria, dell’artigianato e dell’agricoltura” pubblicata nel 2014.

La pubblicazione sottolinea che se le schede del documento rappresentano uno strumento consultabile ai fini della redazione della valutazione dei rischi secondo le procedure standardizzate, di cui al Decreto Interministeriale del 30 novembre 2012, i risultati valutativi stimati sono tuttavia “riferibili alle specifiche caratteristiche (lay-out, macchinari/attrezzature utilizzate, organizzazione del lavoro, ciclo di lavoro, ecc.) descritte per ciascun compito; ne consegue che, per un corretto utilizzo dei dati illustrati nelle schede, sarà necessario”, come accennato prima, tener conto delle “specificità di ogni singola realtà lavorativa”.

 

Le schede che presentiamo riguardano in particolare tre diversi compiti relativi alla fabbricazione di organi di trasmissione (esclusi quelli idraulici e quelli per autoveicoli, aeromobili e motocicli): rettifica ruote dentatesbavatura alberi e filettatura boccole.

 

Scheda 38 – Fabbricazione di organi di trasmissione – Rettifica ruote dentate

In questo caso, nell’ambito della produzione di organi di trasmissione per macchine, si analizza la rettifica di ruote dentate. L’operatore “carica sulla macchina il pezzo da lavorare e la avvia. Mentre la macchina esegue la lavorazione meccanica, l’operatore effettua la pulizia con aria compressa del pezzo precedentemente lavorato e scaricato, oltre ad altre lavorazioni accessorie che si alternano (la preparazione dei pezzi da lavorare ed il controllo qualità dei lavorati)”.

 

Con riferimento al ciclo analizzato (che non è sempre identico “dal punto di vista delle azioni eseguite poiché l’addetto, durante il funzionamento della macchina, compie lavorazioni in parte variabili”) e ai fattori di rischio riportati nella scheda, in questa tipologia di attività si ha per l’arto dx un rischio molto lievedalle 8h di lavoro in poi e sempre un rischio accettabile per l’arto sin.

 

E “questa postazione è utilizzabile per ridurre l’esposizione a rischio ruotando con postazioni più gravose per gli arti superiori”.

 

Scheda 39 – Fabbricazione di organi di trasmissione – Sbavatura alberi

Situazione molto simile, riguardo al livello di rischio di sovraccarico, anche nella sbavatura alberi.

In questo compito l’operatore “preleva un albero di frizione, lo fissa su una morsa e ripassa con trapani e punteruoli manuali i vari fori per togliere eventuali bave (sbavatura). Infine, effettua la pulizia del pezzo con pistola ad aria compressa”.

Più nel dettaglio si indica che l’albero di frizione viene “preliminarmente pulito e fissato sulla morsa per eseguire le operazioni di sbavatura (mediante trapani pneumatici e punte manuali) e di ispezione visiva dei fori con luce a led (controllo qualità). L’albero viene sbavato e ispezionato sulla sezione superiore e di volta in volta ruotato sulla morsa per completare la sbavatura di tutto il pezzo. Alla fine viene compiuto un ultimo controllo qualità visivo e, quindi, il confezionamento tramite calza in materiale plastico”.

 

In questa tipologia di attività si ha per l’arto dx un rischio molto lievedalle 6h di lavoro in poi e sempre un rischio accettabile per l’arto sin.

 

Anche “questa postazione è utilizzabile per ridurre l’esposizione a rischio ruotando con postazioni più gravose per gli arti superiori”.

 

Scheda 40 – Fabbricazione di organi di trasmissione – Filettatura boccole

Veniamo ora ad un compito diverso con un rischio di sovraccarico molto più elevato per l’arto dx.

Stiamo parlando, sempre in relazione all’attività di fabbricazione di organi di trasmissione, di un’operazione di filettatura di boccole effettuata al tornio parallelo.

L’operatore “preleva un pezzo da filettare, lo posiziona nel mandrino e lo blocca, lubrifica l’utensile maschiatore con un pennello, avvicina la controtesta, spinge manualmente la controtesta con l’utensile verso la boccola, mantenendola durante tutta l’operazione di filettatura. Finita la filettatura allontana la controtesta, estrae l’utensile maschiatore, sfila la boccola filettata, la posiziona su un ripiano e pulisce il mandrino con l’aria compressa”.

 

Più nel dettaglio, la scheda indica che l’attività prevede delle “fasi iniziali per ogni serie di pezzi da filettare: lubrificazione carrello, regolazione carrello trasversale mediante i volanti, girando gli stessi fino al posizionamento voluto, inserimento utensile maschiatore nella controtesta, prove di funzionamento e scorrimento”. Una volta calibrata l’operazione, il compito, per ogni pezzo prevede quanto indicato sopra. Alla fine della serie di pezzi realizzati, “gli stessi vengono inseriti nel cestello di una lavatrice apposita da parte del lavoratore e poi posizionati in cassette di plastica che vengono movimentate con un transpallet. Le attività di allontanamento e avvicinamento della controtesta sono quelle che implicano un maggiore apporto di forza. La fase di spinta della controtesta dura 12 secondi nel ciclo di 50 e, pur essendo una posizione statica, richiede un notevole impegno fisico e non si può escludere che in tale fase vi sia trasmissione di vibrazioni”.

 

Vediamo i fattori di rischio:

– frequenza: “il compito in esame comporta l’effettuazione di movimenti non troppo veloci con l’arto dx e lenti con il sx. Presenza di stereotipia per entrambi gli arti, maggiore per l’arto destro;

– forza: è richiesto l’uso di forza di grado forte o molto forte per circa l’1% del tempo per l’arto dx durante le fasi di avvicinamento e allontanamento della controtesta. È richiesta forza pure nella fase di spinta, anche da parte dell’arto sx;

– posture: le braccia hanno quasi sempre un appoggio durante il ciclo; i gomiti eseguono ampi movimenti di flesso estensione e movimenti bruschi per più di metà del tempo; il polso dx e in misura minore il sx eseguono piegamenti estremi; la mano dx è in pinch o in presa palmare per più di metà del ciclo, la sx per almeno 1/3 del tempo;

– fattori complementari: assenti”.

 

In questo specifico compito si arriva, dunque, ad un rischio elevatodi sovraccarico per l’arto dx da 6h di lavoro in poi (rischio medio da 4h di lavoro) e “solo” ad un rischio molto lieveper l’arto sin da 6h di lavoro in poi.

 

Concludiamo riportando qualche informazione sugli interventi di prevenzione.

 

La scheda indica che in questo caso un tornio parallelo con lo scorrimento automatizzato del carrello della controtesta “ovvierebbe alle operazioni che richiedono un maggiore impiego di forza”. E alcune delle operazioni svolte a fine giornata “potrebbero essere inframmezzate nell’arco della giornata per permettere delle fasi di recupero nell’arco del turno”.

 

 

Contarp Inail, “ Schede di rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nei comparti della piccola industria, dell’artigianato e dell’agricoltura”, volume II, edizione 2014, pubblicazione realizzata da Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (Contarp) di Direzione Regionale Marche, Direzione Regionale Friuli Venezia Giulia, Direzione Regionale Liguria, Direzione Regionale Toscana, Direzione Regionale Umbria; Autori: Ugo Caselli, Chiara Breschi, Raffaella Compagnoni, Laura De Filippo, Maria Angela Gogliettino, Elena Guerrera, Marina Mameli, Eleonora Mastrominico, Daniela Sarto con la collaborazione di Silvia Mochi (formato PDF, 2.07 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Il rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: schede di valutazione del rischio lavorativo”.

 

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui rischi correlati ai movimenti ripetitivi e al sovraccarico biomeccanico

 

 

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Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Rischio alimentazione: il cibo che migliora la salute e sicurezza

Mangiare bene non serve solo a mantenersi in salute, ma anche a lavorare meglio, con maggiore attenzione. Il rischio alimentazione e il legame tra cibo e la sicurezza nei luoghi di lavoro. A cura di Eleonora Buratti.
Pubblichiamo un contributo di una nostra lettrice, Eleonora Buratti (giornalista, sociologa aziendale e studiosa dei comportamenti alimentari), che ha affrontato un tema che raramente viene affrontato: il rischio alimentazione. Quali sono i legami tra il contenuto di un piatto e la sicurezza nei luoghi di lavoro?

 

 

La salute e la sicurezza dei lavoratori passano anche attraverso l’alimentazione.

Lo confermano dati e studi sull’argomento; sperimentazioni all’interno delle aziende e gruppi volontari di impiegati che traggono beneficio da una pausa pranzo più adatta alla giornata lavorativa. Mangiare bene non serve solo a mantenersi in salute, ma anche a lavorare meglio, con maggiore attenzione. Lo aveva dichiarato persino l’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in un trattato del 2005 dove affermava che una scorretta alimentazione nei luoghi di lavoro può portare a una perdita fino al 20% di produttività. Ormai noti sono anche i dati INAIL che mettono in evidenza quanto la disattenzione delle ore postprandiali possa rivelarsi fatale e complice di gran parte degli infortuni, così come le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla crescita dei casi di obesità, e quelle delle malattie che ormai da più fonti scientifiche vengono associate a fattori di rischio nutrizionali come l’ipertensione arteriosa, riconducibile anche a un insufficiente consumo di frutta e verdura; le malattie celebro e cardiovascolari, per le quali gioca un ruolo importante il consumo di acidi grassi saturi; alcuni tipi di tumori come quello alla prostata, al colon, al seno e allo stomaco che sembrano favoriti anche da una dieta scorretta e abitudini insane; il diabete e l’anemia.

 

Ma pur apparendo evidenti i legami tra salute e alimentazione, rimangono meno intuibili quelli esistenti tra il contenuto del piatto e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Per fare chiarezza sullo stretto legame, si può partire con l’affermare che sovrappeso e obesità rappresentano un rischio aggiuntivo per la salute e la sicurezza del lavoratore. Non è difficile dimostrare quanto i lavoratori obesi o sovrappeso vadano incontro a infortuni sul lavoro più frequentemente rispetto ai colleghi normopeso e quanto aumenti per loro anche il rischio di sviluppare patologie occupazionali come quelle riconducibili alle vibrazioni, quelle muscoloscheletriche, l’asma, le patologie da sostanze chimiche e i disturbi da stress.

Fu l’ISPESL di Roma (ex) a far notare quanto il sovrappeso e le limitazioni fisiche dei movimenti che ne conseguono riescano a compromettere l’agilità nello svolgimento delle attività fino a ridurre lo stato di sicurezza. A questo possiamo aggiungere che in caso di sciagura stradale, collocabile tra gli incidenti in itinere, le persone obese e in sovrappeso sono solitamente quelle che subiscono le conseguenze più gravi a causa del cambiamento della forma del corpo, che con l’aumento del tessuto adiposo modifica l’impatto nell’incidente. Questi lavoratori sono inoltre i primi ad avere maggiori difficoltà nel reperire i dispositivi di protezione individuali (DPI) idonei alla loro forma fisica. Respiratori, guanti, indumenti, giubbetti di salvataggio, ma anche attrezzature di protezione individuale come i giubbetti antiproiettile, se indossati male perché scomodi non assicurano la dovuta protezione.

 

Ma il legame tra alimentazione e sicurezza non è solo una questione di peso. La sonnolenza provocata dalla digestione di un pasto inadeguato è ormai nota, e gestire il rischio, specie per quelle mansioni che richiedono concentrazione e un livello di attenzione più alto, non può ormai più prescindere da una scelta cosciente e mirata degli alimenti più adatti. Basti pensare ad alcune categorie di lavoratori come per esempio gli autotrasportatori o quelli che lavorano nel settore edile. Inoltre, la letteratura sull’argomento, mette in evidenza quanto alcuni cibi funzionali possano avere un ruolo importante nella prevenzione di alcune malattie specifiche alle quali alcuni lavoratori per via della mansione sono sottoposti, e basta guardarsi attorno per vedere quanto spesso la pausa pranzo delle mense aziendali o quella consumata nelle trattorie convenzionate, risulti non adatta alla ripresa del lavoro pomeridiano.

 

Si chiama rischio alimentazione, e dovrebbe rientrare tra i rischi emergenti del lavoratore, così per onorare in pieno l’articolo 32 della Costituzione al quale fa eco il 2087 del Codice Civile sui doveri dell’imprenditore circa la garanzia dell’integrità fisica dei prestatori di lavoro, ma soprattutto il comma 1 dell’articolo 28 del DLgs 81/08 nel punto in cui ribadisce che la valutazione stessa debba riguardare “tutti i rischi”.

 

Con il dovuto approfondimento si può scoprire che esiste un’alimentazione adatta a ogni tipo di mestiere, che diminuire l’assunzione di alcuni alimenti per favorirne altri può avere effetti sorprendenti anche sul rendimento, che i cibi funzionali possono avere un ruolo importante nella gestione dei rischi sul lavoro.

 

E lo sapeva bene anche Bernardino Ramazzini, padre della medicina del lavoro, che già nel Settecento, ai fabbri, consigliava di aumentare il consumo di bietola perché sofferenti di costipazione intestinale dovuta all’inalazione di sostanze sprigionate dall’alterazione termica dei metalli, e agli stagnari proponeva emulsioni di mandorle, semi di melone e tisane a base di orzo che aiutavano a espellere il mercurio e lo zolfo assorbiti durante le lavorazioni.

 

Eleonora Buratti

Giornalista, sociologa aziendale, studiosa dei comportamenti alimentari

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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FAQ: uso in sicurezza gru su autocarro

Alcune delle domande e risposte sull’uso in sicurezza delle gru su autocarro pubblicate dall’ASL Monza Brianza (ATS).
Pubblichiamo alcune delle domande e risposte (FAQ) sull’uso in sicurezza delle gru su autocarro pubblicate dall’ ASL Monza Brianza (ATS).

 

 

Sono in possesso di una gru su autocarro, non azionata a mano, avente portata superiore ai 200kg. Tale attrezzatura di lavoro è soggetta alle verifiche periodiche?

Sì. Tale attrezzatura di lavoro, come le autogru, caricatori ed altre attrezzature di lavoro similari, rientra tra le attrezzature di tipo mobile riportate nell’Allegato VII al D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.

 

Quali apparecchi di sollevamento, di tipo mobile, rientrano tra quelli che devono essere sottoposti alle verifiche periodiche?

Tra le gru mobili che rientrano nel regime delle verifiche periodiche sono comprese le gru su autocarro, le autogru, i caricatori ed altre attrezzature di lavoro similari, non azionate a mano,  aventi portata superiore ai 200 kg. Alla stessa tipologia di attrezzature di lavoro afferiscono anche quelle attrezzature che assumono la funzione di sollevamento a seguito dell’adozione di particolari accessori o attrezzature intercambiabili ,”come il caso di escavatori o carrelli con forche – comunemente denominati muletti – attrezzati con gancio o altri organi di presa e sospensione del carico”. (vedi Apparecchi di sollevamento mobili gru su autocarro – ISTRUZIONI PER LA PRIMA VERIFICA PERIODICA, INAIL 2014, pag. 7).

Sono in possesso di una gru su autocarro, avente portata superiore ai 200kg, non azionata a mano, munita di pinza o polipo. Tale attrezzatura deve essere sottoposta al regime delle verifiche periodiche?

Sì. Gli apparecchi di sollevamento che sono soggetti a verifica periodica, ai sensi dell’art. 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., lo sono indipendentemente dal tipo di organo di presa di cui sono corredati (gancio, pinza, polipo, bilancino, elettromagnete, ecc..). Tali organi di presa non modificano infatti la destinazione d’uso della macchina che rimane classificata nella categoria “apparecchi di sollevamento materiali” (cfr. circolare ISPESL, 7 ottobre 1985, “Omologazione gru su autocarro munite di pinza o polipo”)

 

Cosa si intende per apparecchio di sollevamento?

La definizione di apparecchio di sollevamento si rileva dalla norma UNI ISO 4306-1 :“apparecchio a funzionamento discontinuo destinato a sollevare e movimentare, nello spazio, carichi sospesi mediante gancio o altri organi di presa”.

 

 

Ho acquistato una nuova gru su autocarro fabbricata in attuazione di direttive comunitarie di prodotto (marcata CE). A  chi devo inoltrare la comunicazione di “messa in servizio”?

Ai sensi dell’art.11, comma 3, del D.P.R. 24 luglio 1996 n°. 459 (rif. Art. 18 D.Lgs. n. 17/2010), è necessario effettuare la  comunicazione di messa in servizio dell’attrezzatura all’Unità Operativa Territoriale dell’INAIL, competente per territorio, che provvede all’assegnazione di una matricola;

  

 

Successivamente alla comunicazione di “messa in servizio” devo sottoporre l’apparecchio di sollevamento alla prima delle verifiche periodiche?

Sì. E’ necessario richiedere la prima delle verifiche periodiche (art. 71, comma 11, D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.) all’Unità Operativa Territoriale dell’INAIL, competente per territorio, secondo le scadenze indicate dall’allegato VIIal citato decreto. Il sopradetto allegato, per le attrezzature di sollevamento, prescrive periodicità variabili in base al settore di impiego delle stesse ed alla loro vetustà, in particolare, per le attrezzature di sollevamento di tipo mobile si riporta di seguito l’estratto dell’allegato VII.

Pertanto, dopo la denuncia di installazione/messa in servizio della macchina è necessario richiedere la prima verifica periodica all’approssimarsi della scadenza della stessa, secondo la frequenza stabilita dall’Allegato VII del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.

Esempio (1): messa in servizio di una gru su autocarro utilizzata nel settore costruzioni. Trascorso circa un anno da questa data il datore di lavoro, utente dell’apparecchio, richiede la prima delle verifiche periodiche, volta a valutare l’effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza.

Esempio (2): messa in servizio di una gru su autocarro utilizzata esclusivamente nel settore metalmeccanico. Trascorsi circa due anni da questa data il datore di lavoro, utente dell’apparecchio, richiede la prima delle verifiche periodiche, volta a valutare l’effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza.

 

Cosa si intende per settore di impiego?

La nota prot. 15/VI/0021784 del 11/12/2009 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali definisce le assimilazioni dei settori di impiego, allo scopo di aiutare i datori di lavoro nella definizione della periodicità cui attenersi nei casi in cui non risultasse immediatamente identificabile.

Allo scopo è utile rammentare che “Il settore di impiego, ai fini dell’individuazione della periodicità di verifica degli apparecchi di sollevamento di cui all’allegato VII, non coincide necessariamente con quello individuato dal codice ATECO dell’impresa, bensì dall’effettivo luogo di utilizzo della suddetta attrezzatura, indipendentemente dal tempo di presenza nello stesso”.  (cfr. Indicazioni operative e procedurali sull’applicazione del D.Lgs. 09 aprile 2008 n. 81 e s.m.i Regione Lombardia, maggio 2010).

 

Devo utilizzare una gru su autocarro in un cantiere edile. E’ trascorso un anno dall’ultima verifica periodica di cui all’art. 71, comma 11, D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. La stessa attrezzatura è rimasta inattiva presso il deposito aziendale per circa 2 mesi. La gru deve essere comunque sottoposta a verifica o il periodo di inattività condiziona la periodicità prevista dall’Allegato VII del citato decreto?

La periodicità delle verifiche periodiche prevista dall’Allegato VII del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. non è interrotta da periodi di inattività dell’attrezzatura di lavoro (p.es. attrezzature di lavoro impiegate nel settore edile, soggette a smontaggi, deposito e montaggi). Pertanto, se i termini previsti dal suddetto allegato risultassero trascorsi all’atto della riattivazione dell’attrezzatura di lavoro si dovrà richiedere la verifica periodica prima del suo riutilizzo (Min. lavoro, circolare 13 agosto 2012, n. 23)

 

La prima delle verifiche periodiche può essere affidata direttamente ad un Soggetto abilitato di cui al comma 12 del D.Lgs. n. 81/2008?

No. L’art. 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. dispone che per la prima verifica il datore di lavoro si avvale dell’INAIL, che vi provvede nel termine di quarantacinque giorni dalla richiesta. Una volta decorso inutilmente il termine di quarantacinque giorni sopra indicato, il datore di lavoro può avvalersi, a propria scelta, di altri soggetti privati abilitati.

 

Sono in possesso di una gru su autocarro provvista di marcatura CE, per la quale ho in precedenza provveduto a comunicare al Dipartimento ISPESL/INAIL la messa in servizio. Devo inoltrare la richiesta di prima verifica periodica ma non sono in possesso del numero di matricola. Cosa devo fare?

Qualora l’INAIL (ex ISPESL) non avesse assegnato o comunicato la matricola dell’attrezzatura al proprietario dell’attrezzatura di lavoro e all’ASL competente per territorio, l’INAIL provvederà a trasmetterla ai suddetti soggetti nel più breve tempo possibile, al fine di consentire una completa redazione dei verbali di verifica e l’immissione nella banca dati (punto 10, Circolare n. 23 del 13 agosto 2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).

 

Sono in possesso di una gru su autocarro priva di marcatura CE, per la quale ho in precedenza provveduto a comunicare al Dipartimento ISPESL la messa in servizio. A  chi devo inoltrare la richiesta di verifica ?

La richiesta deve essere inoltrata all’Unità Operativa Territoriale dell’INAIL, competente per territorio. Infatti, la circolare n. 23 del 13 agosto 2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (LINK) ha chiarito che le attrezzature di sollevamento  non marcate CE, che non abbiano subito modifiche sostanziali tali da richiedere una nuova marcatura CE, rimangono soggette al previgente regime omologativo, di esclusiva competenza dell’INAIL. Al termine dell’iter omologativo, effettuato in via esclusiva dall’INAIL (ex ISPESL), dette attrezzature saranno sottoposte al regime delle verifiche periodiche successive alla prima.

 

 

Sono in possesso di una gru su autocarro priva di marcatura CE, per la quale in precedenza non provveduto a comunicare al Dipartimento ISPESL la messa in servizio. Cosa devo fare?

In questo caso, il datore di lavoro al fine di sottoporre la gru al previgente regime omologativo, di esclusiva competenza dell’INAIL, dovrà produrre al citato ente un “atto certo” attestante tale evenienza, oltre alla documentazione prevista dalla circolare n. 77 del 23 dicembre 1976 del Ministero del Lavoro (cfr. Circolare ISPESL, 22 ottobre 1997, n. 99/1997).

Per atto certo si deve intendere un documento commerciale o fiscale come ad esempio una fattura, un contratto, una bolla di accompagnamento, ecc., ovvero un documento tecnico-amministrativo comprovante l’immissione sul mercato dell’Unione europea o la messa in servizio dell’apparecchio in argomento in data antecedente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 459/1996 (cfr. Apparecchi di sollevamento mobili gru su autocarro – ISTRUZIONI PER LA PRIMA VERIFICA PERIODICA, INAIL 2014).

 

Sono in possesso di una gru su autocarro fabbricata in attuazione di direttive comunitarie di prodotto (marcata CE). A  chi devo inoltrare la richiesta di verifica periodica successiva alla prima?

Se l’attrezzatura di lavoro è provvista della “messa in servizio” e  di almeno uno dei seguenti documenti:

1)  libretto delle verifiche secondo le procedure stabilite dalla Circolare M.I.C.A. n. 162054 del 25.06.1997;

2)  verbali di verifiche periodiche antecedenti l’entrata in vigore del DI 11 aprile 2011;

3)  verbale di prima verifica periodica eseguito, dall’INAIL o Soggetto Abilitato, dopo l’entrata in vigore del DI 11 aprile 2011.

le verifiche possono essere effettuate, su libera scelta del datore di lavoro, dalle ASL  ( modulo richiesta (PDF, 90 kb) o, ove ciò sia previsto con legge regionale, dall’ARPA, o da soggetti pubblici o privati abilitati. In caso contrario, ovvero se non è presente alcuno dei documenti sopra descritti (1,2,3), l’attrezzatura di lavoro deve essere sottoposta alla “Prima verifica” così come disposto dall’art. 71, comma 11, D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i..

 

Sono in possesso di una gru su autocarro provvista di libretto di collaudo ENPI/ISPESL. A  chi devo inoltrare la richiesta di verifica periodica della gru su autocarro?

Ai sensi dell’articolo 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., le verifiche successive alla prima possono essere effettuate, su libera scelta del datore di lavoro, dalle ASL  (modulo richiesta) o, ove ciò sia previsto con legge regionale, dall’ARPA, o da soggetti pubblici o privati abilitati.

 

 

Sono in possesso di una gru su autocarro messa in servizio da oltre 20 anni.   Che documentazione devo esibire nel corso delle verifiche periodiche?

Nel corso delle verifiche periodiche, sulle gru mobili, sulle gru trasferibili e sui ponti sviluppabili su carro ad azionamento motorizzato sono esibite dal datore di lavoro le risultanze delle indagini supplementari effettuate secondo le norme tecniche (punto 3.2.3 Allegato II al DI 11 aprile 2011).

L’indagine supplementare è l’ attività finalizzata ad individuare eventuali vizi, difetti o anomalie, prodottisi nell’utilizzo dell’attrezzatura di lavoro messe in esercizio da oltre 20 anni, nonché a stabilire la vita residua in cui la macchina potrà ancora operare in condizioni di sicurezza con le eventuali relative nuove portate nominali (punto 2, lettera c) Allegato II al DI 11 aprile 2011)

 

Devo sottoporre la gru su autocarro ad indagine supplementare. Quali sono i contenuti minimi di tale attività?

Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare n. 18 del 23 maggio 2013 recante “D.I. 11 aprile 2011 concernente la Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’All. VII del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’art.71, comma 13, del medesimo decreto legislativo – Chiarimenti”, fornisce indicazioni in merito ai contenuti minimi dell’indagine supplementare.

Inoltre, il  G.A.T. – GRUPPO DI APPROFONDIMENTO TECNICO -APPARECCHI DI SOLLEVAMENTO di REGIONE Lombardia ha ulteriormente approfondito l’analisi della suddetta circolare con particolare riferimento alle prove non distruttive.

 

E’ obbligatorio sottoporre la gru su autocarro ad interventi di controllo (manutenzione) programmata?

Sì. Le gru mobili devono essere sottoposte a interventi di controllo periodici, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti, ovvero dalle norme di buona tecnica, o in assenza di queste ultime, desumibili dai codici di buona prassi. Inoltre, le stesse devono essere sottoposte ad interventi di controllo straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che possano avere conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza delle attrezzature di lavoro, quali riparazioni trasformazioni, incidenti, fenomeni naturali o periodi prolungati di inattività. Gli interventi di controllo devono essere effettuati da persona competente. I risultati dei controlli devono essere riportati per iscritto e, almeno quelli relativi agli ultimi tre anni, devono essere conservati e tenuti a disposizione degli organi di vigilanza. Qualora le attrezzature di lavoro siano usate al di fuori della sede dell’unità produttiva devono essere accompagnate da un documento attestante l’esecuzione dell’ultimo controllo con esito positivo (cfr. art. 71, comma 8, D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.)

  

 

Ho spostato la gru su autocarro in un cantiere distante dalla mia sede operativa. A chi devo inoltrare la richiesta di verifica periodica?

Le comunicazioni di spostamento dell’attrezzatura di lavoro di cui all’Allegato II, punto 5.3.3. del D.M. 11.04.2011 sono funzionali alla richiesta di verifica periodica all’INAIL o all’ASL anche per quanto disposto al punto 5.2.1. dello stesso Allegato. Pertanto, nel caso di spostamento del l’attrezzatura mentre si è in attesa della verifica, sarà cura del datore di lavoro comunicarne lo spostamento al soggetto titolare della funzione presso il quale si è inoltrata la richiesta e, contestualmente, inviare una nuova richiesta al soggetto titolare della funzione competente per territorio ove si andrà ad utilizzare la stessa attrezzatura (Circolare Min. lavoro, circ. 13 agosto 2012, n. 23).

Inoltre, qualora le suddette attrezzature di lavoro siano usate al di fuori della sede dell’unità produttiva devono essere accompagnate da un documento attestante l’esecuzione dell’ultimo controllo con esito positivo (art. 71, comma 8, D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.).

 

 

Nel caso di utilizzo di una gru su autocarro  l’operatore deve essere in possesso di una specifica formazione?

Sì. Per questa tipologia di attrezzatura di lavoro, ai sensi dell’art 73, comma 5, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. (cd “Testo Unico sulla sicurezza del lavoro”), è richiesta una specifica abilitazione degli operatori. Le modalità, le ore ed i contenuti della formazione sono regolamentati dall’Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012.

Il conseguimento della specifica abilitazione è necessario anche nel caso di utilizzo saltuario od occasionale delle attrezzature di lavoro individuate nel citato Accordo.

La specifica abilitazione non è invece necessaria nel caso in cui non si configuri alcuna attività lavorativa connessa all’utilizzo dell’attrezzatura di lavoro. Rientrano tra dette attività le operazioni di semplice spostamento a vuoto dell’attrezzatura di lavoro, la manutenzione ordinaria o straordinaria, ecc.. (punto 2 della Circolare Min. lavoro, circ. 11 marzo 2013, n. 12).

 

Posso utilizzare la gru per ancorare il dispositivo anticaduta?

Allo scopo l’ISPESL ha fornito un chiarimento (nota ISPESL, 7 luglio 2003). Solitamente, una  gru su autocarro non è assimilabile  ad un punto fisso di ancoraggio del dispositivo di protezione individuale. Il braccio della gru e l’autocarro sono parte di un “sistema” di arresto della caduta da raccordare ad un punto di ancoraggio sicuro. Pertanto, l’attrezzatura di lavoro, come parte di un DPI destinato a salvaguardare dalle cadute dall’alto, appartenente alla III categoria, è soggetto alle disposizioni del D.Lgs. n. 475/92. In particolare, il costruttore della gru deve fornire idonea documentazione tecnica di costruzione, dichiarazione CE del sistema e apporre la marcatura CE.

 

Sono in possesso di una gru per autocarro, con carico massimo di utilizzazione inferiore a 1000 kg e priva dei dispositivi previsti al punto 4.2.1.4 (controllo delle sollecitazioni) dell’allegato I al DPR 459/96, per la quale il fabbricante abbia previsto l’utilizzo esclusivamente nel settore posteriore dell’area di rotazione. In tale caso è sufficiente la semplice avvertenza sulla macchina con il divieto di utilizzare la gru nel settore anteriore dell’autocarro, o invece è necessario dotarla di idonei dispositivi che possano limitare la rotazione del braccio?

Per quanto riguarda le gru su autocarro, montate retro cabina, con carico massimo di utilizzazione inferiore a 1000 kg e momento di ribaltamento inferiore a 40000 Nm e pertanto prive dei dispositivi previsti al punto 4.2.1.4 (controllo delle sollecitazioni) dell’allegato I al DPR 459/96, per le quali il fabbricante abbia previsto l’utilizzo esclusivamente nel settore posteriore dell’area di rotazione, l’ISPESL ha fornito un chiarimento (Lett. Circ. 25 marzo 2003, n. Prot. 3176) evidenziando che, sussistendo il rischio di ribaltamento in caso di superamento dell’ampiezza dei movimenti previsti dal fabbricante (rotazione del braccio della gru sulla zona anteriore dell’autocarro), devono essere rispettati gli obblighi previsti al requisito essenziale di sicurezza 4.1.2.6 lettera a) e al riguardo la norma EN 12999, specifica per le gru per autocarro, nella lista dei pericoli significativi, al punto 27.1.3, prende in considerazione proprio il rischio corrispondente al suddetto requisito ed indica, al punto 5.6.6.1, la soluzione idonea per eliminare il rischio stesso prevedendo che ‘i limiti per i movimenti di rotazione … devono essere determinati dalla corsa del cilindro o da arresti idonei‘.

 

 

Ho sostituito l’autocarro. Cosa devo fare?

In caso di sostituzione dell’autocarro possono presentarsi due casi:

  1. nuova immissione sul mercato;
  2. modifica rientrante nella manutenzione straordinaria.

mentre nel caso a) sarà necessario verificare la presenza di una nuova dichiarazione di conformità e l’apposizione di una nuova marcatura, nel caso b) sarà sufficiente che l’installatore abbia redatto una dichiarazione di corretta installazione, accompagnata da una dichiarazione di equivalenza delle sollecitazioni necessaria ad attestare che la sostituzione dell’autocarro non ha introdotto nuovi rischi rispetto al primo allestimento (Cfr. circolare del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato del 10 giugno 1997).

 

L’allestitore della gru ha installato una seconda stabilizzazione non prevista dal fabbricante. Cosa devo fare?

In questo caso si configura una nuova immissione sul mercato e pertanto sarà necessario che l’allestitore, a seguito dell’adozione della seconda stabilizzazione, provveda a rilasciare una nuova dichiarazione di conformità e ad apporre una nuova marcatura sulla gru (cfr. Apparecchi di sollevamento mobili gru su autocarro – ISTRUZIONI PER LA PRIMA VERIFICA PERIODICA, INAIL 2014).

 

 

Fonte: ASL Monza Brianza

 

Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali – Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro Divisione VI –Circolare Prot. 15/VI/0021784 del 11 dicembre 2009 – Richiesta pareri in riferimento alle nuove indicazioni dell’allegato VII che prevede che in alcuni settori lavorativi, considerati a maggior rischio, la periodicità delle verifiche debba essere con frequenza annuale.

 

ISPESL, Regione Lombardia – Maggio 2010 – Indicazioni operative e procedurali sull’applicazione del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i. relativamente agli aspetti  inerenti la sicurezza impiantistica delle macchine e delle attrezzature impiegate nei luoghi di lavoro.

 

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro – Circolare n. 23 del 13 agosto 2012 – D.M. 11 aprile 2011 concernente la “Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’All. VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo” – Chiarimenti.

 

 

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro, già Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro, Divisione VI – Circolare n. 18 del 23 maggio 2013 – D.M. 11 aprile 2011 concernente la “Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’All. VII del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’art.71, comma 13, del medesimo decreto legislativo” – Chiarimenti.

 

MODULO RICHIESTA VERIFICA PERIODICA DI ATTREZZATURE (PDF, 90 kb)

 

 

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Fonte: puntosicuro.it