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DPI: Indumenti protettivi intelligenti

Coinvolgimento degli utilizzatori rilevanti e spunti concreti: un workshop con i vigili del fuoco.
Indumenti protettivi intelligenti – la parola ai vigili del fuoco

 

Gli indumenti intelligenti stanno vivendo un momento di grande popolarità. Molte le idee, ma in fatto di realizzazione e normazione si è ancora agli inizi. Ciò offre tuttavia l’opportunità di interrogare sin dall’inizio i futuri utilizzatori circa le loro aspettative, esperienze e idee affinché queste possano confluire nell’elaborazione delle norme. La KAN ha organizzato, proprio a tale scopo, un workshop con vigili del fuoco che potrà servire come modello per altri argomenti.

 

Giubbotti dotati di dispositivo vivavoce, sensori per la trasmissione della posizione, abbigliamento climatizzato, sistemi di controllo dello stato di salute con chiamata d’emergenza automatica: l’elenco delle idee e delle possibili applicazioni è lungo. Numerosi fabbricanti stanno sviluppando dispositivi di protezione che, combinando i classici DPI con sensori e moduli di trasmissione dati intelligenti, promettono una maggiore sicurezza per più di un milione di vigili del fuoco.

 

I primi prodotti sono già disponibili sul mercato. Servono ora specifiche tecniche armonizzate volte a garantire il funzionamento affidabile di questi prodotti e a migliorare effettivamente il livello di protezione. Si sta attualmente discutendo un mandato di normazione della Commissione UE da cui dovranno scaturire norme in materia di DPI intelligenti1 e in grado di proteggere da calore e fiamme.

 

Coinvolgimento di tutti gli utilizzatori rilevanti

Gli utilizzatori sono un gruppo interessato in genere poco rappresentato nel campo della normazione; eppure proprio loro potrebbero fornire un prezioso contributo condividendo le loro esperienze. La KAN vuole aiutare a colmare questa lacuna e sfrutta a tal fine i suoi stretti contatti con i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nonché con i reparti delle assicurazioni contro gli infortuni addetti alla prevenzione.

Il workshop tenutosi a giugno del 2016 ha visto la partecipazione di vigili del fuoco professionali, aziendali e volontari. Erano inoltre presenti i rappresentanti delle casse infortuni presso le quali sono assicurati i vigili del fuoco, dei reparti di ricerca dell BAuA2 e dell IFA3.

 

Less is more – no alle funzioni superflue

Alcuni vigili del fuoco hanno già sentito parlare di dispositivi di protezione intelligenti o se ne sono occupati in occasione di fiere o corsi di formazione. Solo pochi però hanno avuto modo di provare personalmente questi prodotti. Nel corso del workshop si è in generale giunti alla conclusione che le funzioni supplementari devono comportare in ogni caso una sicurezza maggiore. Occorre evitare sia funzioni superflue, sia un’eccessiva raccolta di dati. Il workshop ha inoltre fornito una lunga serie di spunti concreti:

 

Tema dati

  • “Less is more”, ovvero “meno è meglio”, è l’imperativo che vale per la visualizzazione dei dati per l’utilizzatore. In caso contrario si rischia velocemente di sommergere l’utilizzatore d’informazioni che possono distrarre dal compito principale o che vengono semplicemente ignorate.
  • Gli utilizzatori vogliono poter attivare personalmente la visualizzazione di determinati dati.
  • Importante: i dati biometrici degli utilizzatori non devono essere raccolti in via generica e costantemente salvati da questi sistemi.

 Tema funzionalità

  • Gli operatori auspicano sistemi adattabili in maniera flessibile ai possibili scenari d’impiego. I dispositivi di protezione si dovrebbero, a tal fine, poter equipaggiare con sensori idonei.
  • Data l’esperienza maturata all’interno di edifici incendiati, i partecipanti al workshop sollevano la questione del collegamento radio tra i sensori integrati nei DPI e la postazione di coordinamento centrale. Spesso, infatti, durante le operazioni risulta già difficile stabilire un collegamento radio stabile per la comunicazione.
  • Possono essere molto utili dei dati relativi alle condizioni del DPI dopo un intervento operativo per stabilire quale tipo di pulizia sia necessario e se il livello di protezione sia ancora garantito.

 Tema accettazione

  • Tutte le funzioni supplementari devono essere altamente affidabili e si devono poter controllare prima di un intervento.
  • L’uso di questi dispositivi deve essere pratico ed ergonomico.
  • Il trattamento e la manutenzione non devono implicare un dispiego di risorse molto maggiore.
  • Gli utilizzatori devono ricevere tutte le informazioni relative al funzionamento, ai possibili impieghi e ai limiti dei componenti intelligenti.

 Integrazione dei risultati nella normazione

La grande quantità e vastità dei risultati conseguiti dimostra che gli utilizzatori apprezzano molto questo metodo di raccolta di esperienze e informazioni. Il settore della normazione è ora chiamato a coinvolgere strettamente gli esperti impegnati nel mondo della pratica nella formulazione dei relativi requisiti.

 

Dr. Michael Thierbach

 

Fonte: KANBrief

KANBrief (Una normazione orientata alla pratica) che parla degliIndumenti protettivi intelligenti.

 

 

1 Cfr. anche “Dispositivi di protezione individuale e sistemi di protezione intelligenti” KANBrief 1/16; https://www.kan.de/it/publikationen/kanbrief/zukunft-der-normung/intelligente-persoenliche-schutzausruestungen-und-schutzsysteme
2 Ente federale per la prevenzione e per la medicina del lavoro
3 Istituto per la prevenzione sul lavoro della DGUV

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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Metalmeccanica: l’esposizione a radiazioni ultraviolette e infrarosse

Un documento sulla prevenzione dei rischi nelle aziende metalmeccaniche si sofferma sull’esposizione alle radiazioni ultraviolette e infrarosse. Le radiazioni UV e IR, gli effetti sull’organismo, le attività esposte e la prevenzione.
 

Roma, 17 Gen – Sappiamo che se non fosse per l’elemento schermante dello strato di ozono le radiazioni che emette naturalmente il sole potrebbero anche essere letali per tutti gli organismi viventi, noi compresi.

Ma se una parte delle radiazioni emesse dal sole – radiazioni ultraviolette (UV) e radiazioni infrarosse (IR) – ci raggiunge, quali sono le radiazioni a cui sono esposti, nel settore metalmeccanico, i lavoratori? E con che effetti sull’organismo?

 

 

Per dare una risposta a questa domanda possiamo fare riferimento al documento dal titolo “ Labor Tutor – Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, un opuscolo pubblicato nel 2012 e realizzato dall’ Inail in collaborazione con Enfea (Ente Nazionale per la Formazione e l’Ambiente).

 

Nel documento dedicato al comparto metalmeccanico si ricorda che distinguiamo le radiazioni UV a seconda della loro lunghezza d’onda.

Ad esempio abbiamo:

– radiazioni UV-A, “con maggiori capacità di penetrazione nella cute e nei tessuti esposti”;

– radiazioni UV-B, “le più nocive”;

– radiazioni UV-C, “con elevate capacità germicide”.

E si sottolinea che “l’assorbimento di radiazioni UV in quantità moderata è utile all’organismo per la produzione di vitamina D, indispensabile per il metabolismo dei tessuti ossei”.

A proposito delle radiazioni infrarosse si indica poi che tali radiazioni “sono emesse da tutti i corpi caldi. Ogni volta che si ha la sensazione di caldo in vicinanza di sorgenti di calore, si è in realtà colpiti da raggi infrarossi. Questi sono assorbiti facilmente dalla pelle e possono provocare ustioni”.

 

Parliamo dell’esposizione professionale dei lavoratori a queste tipologie di radiazioni.

 

In particolare l’esposizione professionale a radiazioni UV e IR naturali è “presente nelle attività lavorative svolte all’aperto, come edilizia, agricoltura, pesca, guide alpine, ecc”.

 

Mentre le più usuali esposizioni a radiazioni UV artificiali “si verificano in occasione di attività con presenza di metalli incandescenti, con uso di archi elettrici o di apparecchiature germicide.

 

Le lavorazioni coinvolte, quindi, sono:

– fusione e colata di metalli;

– attività di saldatura;

– fusione del vetro;

– sterilizzazione di alimenti, di strumenti o di ambienti sanitari;

– cosmesi: “non trascurabile è l’esposizione delle estetiste, durante l’uso di lampade per l’abbronzatura artificiale a scopo cosmetico”.

 

L’esposizione professionale a IR artificiali è anch’essa presente nella:

– fusione e colata di metalli;

– saldatura;

– fusione del vetro;

– lavorazioni in prossimità di forni di cottura (esempio ceramiche).

 

Il documento riporta poi alcune informazioni sugli effetti biologici dell’esposizione a radiazioni UV.

 

Gli effetti riguardano soprattutto la cute e l’occhio:

– cute: sulla cute “si possono avere effetti che compaiono immediatamente dopo l’esposizione, come l’eritema e successivamente l’aumento della pigmentazione (abbronzatura). Con esposizioni prolungate, si ha una progressiva degenerazione degli strati profondi della cute, che perde elasticità, con comparsa di rughe e solchi;

– occhi: sull’occhio l’esposizione a radiazioni UV “si manifesta con fenomeni di infiammazione delle congiuntive e della cornea (cheratocongiuntivite), con arrossamento, lacrimazione, fastidio alla luce. A distanza di tempo, si può manifestare la cataratta, una degenerazione del cristallino che rende opaca la visione”.

E uno degli effetti tardivi più gravi è la “possibile comparsa di tumori cutanei, come i carcinomi basocellulari, i carcinomi spinocellulari e i melanomi”.

 

Invece gli effetti biologici dell’esposizione a radiazioni IR “consistono nel riscaldamento della cute, dal semplice arrossamento, fino all’ustione” e, analogamente alle radiazioni UV, le radiazioni IR “possono danneggiare l’occhio, determinando cheratocongiuntivite e cataratta da calore”.

 

Veniamo infine alla prevenzione.

 

Il documento indica che è infatti opportuno identificare e adottare specifiche misure di prevenzione, che “dovranno essere assai più restrittive per i soggetti particolarmente sensibili e indifesi naturalmente contro le radiazioni UV, come i soggetti albini, che hanno una assenza di melanina, pigmento protettivo, e i portatori di una malattia congenita detta xeroderma pigmentoso”.

 

In particolare la protezione cutanea dei lavoratori esposti professionalmente a raggi ultravioletti e infrarossi naturali e artificiali consiste “nell’adozione di adeguati indumenti protettivi. Sono inoltre indispensabili gli occhiali protettivi, non solo per chi lavora a diretto contatto con le radiazioni UV e IR, ma anche per chi assiste o supporta queste attività”.

 

E, in conclusione, sono utilizzabili “schermature su impianti o lavorazioni che generano radiazioni, al fine di delimitare il più possibile il propagarsi del fascio di luce, evitando così l’esposizione di altri lavoratori non direttamente coinvolti nelle operazioni a rischio”.

 

 

 

Inail, “ Labor Tutor – Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, realizzato in collaborazione con Enfea, edizione 2011, pubblicato nel mese di marzo 2012 (formato PDF, 6.33 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ Percorsi formativi per la prevenzione dei fattori di rischio correlati al settore metalmeccanico”.

 

 

RTM

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Decreto 231: come costruire un modello organizzativo?

Indicazioni sui modelli di organizzazione, gestione e controllo e sulle interazioni con i modelli per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Focus sugli elementi costitutivi e sulla costruzione di un modello organizzativo.  
 

Napoli, 17 Gen – I modelli organizzativi correlati al Decreto legislativo n. 231/2001 recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300” hanno l’obiettivo di realizzare un completo sistema di controllo ed organizzazione interno che, con riferimento all’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, ha efficacia esimente della responsabilità amministrativa.

 

Per tornare a parlare di questi cosiddetti “modelli 231” possiamo fare riferimento ad una delle tante tesi universitarie che si soffermano sulla rilevanza di questi modelli e del D.Lgs. 231/2001 per il miglioramento della prevenzione in Italia.

 

Presentiamo oggi la tesi relativa ai “Modelli 231 e interazioni con i modelli per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro” realizzata dal Dott. Alberto Munno per il conseguimento della laurea triennale in Ingegneria Civile e Ambientale presso l’ Università di Napoli.

 

Vediamo oggi quanto indicato dalla tesi sulla costruzione del modello organizzativo.

 

L’autore indica che ogni Ente e/o società che vuole fruire dell’esimente, e garantirsi una corretta gestione aziendale, “deve essere dotato di un proprio ed esclusivo Modello ex D.Lgs. 231/2001”. E un punto essenziale della responsabilità da reato delle aziende è “che la eventuale colpa dell’impresa per un reato è una colpa di carattere organizzativo: se l’azienda viene dichiarata responsabile è perché non si è saputa concretamente organizzare per la prevenzione di quel reato”.

 

Ma come costruire il modello organizzativo (MOG)?

 

Partendo dal “pragmatismo che caratterizza il Decreto”, si indica che tale modello “debba essere predisposto ‘su misura’ della realtà organizzativa alla quale fa riferimento al fine di poter far fronte alle esigenze emergenti dalla reale struttura ed organizzazione dell’ente/società. I modelli generici costruiti a tavolino senza alcun confronto con la concreta realtà aziendale sono inefficaci sia a prevenire i reati sia a rappresentare l’esimente prevista dall’art. 6 del D.Lgs. n. 81/2008”.

In particolare la stesura del Modello deve avvenire “facendo tesoro dell’esperienza propria dell’Organizzazione dell’Ente, e quindi deve essere frutto di una attenta analisi dei processi aziendali al fine di determinare l’esposizione della società stessa ai reati presupposto contemplati nel D. Lgs. n. 231/2001 (art. 6). In concreto l’attività di individuazione dell’esposizione ai predetti reati, definita tecnicamente come mappatura delle aree (dell’attività aziendale) sensibili (al rischio di commissione di reati), va articolata anche tramite una attenta attività di intervista che coinvolga i soggetti chiavi dei processi esistenti nell’Organizzazione”. Ed infatti l’attività di intervista ha l’obiettivo di “analizzare ogni attività sensibile al rischio di commissione dei reati presupposto di cui al D.Lgs. 231/2001 verificando l’esistenza di procedure/protocolli aziendali adeguati ed efficaci e qualora esistenti, il rispetto dei seguenti parametri:

– tracciabilità delle operazioni;

– segregazione delle funzioni coinvolte nell’attività aziendali;

– rispetto dei poteri di firma”.

E devono essere sempre presenti – oppure devono essere implementate – “procedure idonee per le aree di attività aziendale “scoperte” nonché devono essere articolati correttivi sulle procedure già esistenti e non esaustive e/o congrue al contesto aziendale e/o alle esigenze di prevenzione”.

 

La tesi di laurea ricorda poi che il D.Lgs. 231/2001 richiede espressamente la “costituzione di un organismo, dotato di requisiti di:

1 Autonomia;

2 Professionalità;

3 Indipendenza;

al fine di:

– vigilare sull’effettività ed adeguatezza del Modello;

– valutare l’attualità del Modello;

– proporre i necessari adeguamenti e verifiche;

– ricevere le segnalazioni attinenti possibili illeciti o irregolarità aziendali”.

L’Organismo di Vigilanza(ODV) “deve essere anche dotato della necessaria continuità d’azione, per poter operare efficacemente, e ciò presuppone quindi una composizione mista, di membri interni ed esterni, e la necessità di evitare in esso la presenza di soggetti dotati di poteri operativi, privilegiando invece figure con elevata attitudine al controllo, dotate della necessaria professionalità ed esperienza”.

 

In questo breve articolo di promemoria di alcuni aspetti rilevanti dei modelli di organizzazione, gestione e controllo (i “modelli 231”), riprendiamo in conclusione quanto dice la tesi sugli elementi costitutivi di un modello.

 

Si indica che il modello 231 si articola come segue:

– Parte generale (identificante le caratteristiche strutturali dell’Organizzazione nonché le modalità di creazione del modello e della sua diffusione, formazione/informazione);

– Parte speciale (afferente le diverse tipologie di reati presupposto contemplati nel D.Lgs. 231/2001, e recante la mappatura dei rischi di commissione dei reati);

– Codice Etico-Comportamentale (indicante le regole di condotta proprie dell’Organizzazione);

– Sistema disciplinare (riportante i principi base del CCNL applicato, e le altre regole sanzionatorie a carico dei soggetti che collaborano senza essere dipendenti ecc.);

– Statuto dell’OdV;

– Regolamento dell’Odv,

– Sistema di Procure e deleghe;

– Organizzazione gerarchico-funzionale;

– Documento di analisi rischi (mappatura dei rischi).

 

Nella tesi di laurea si segnala, infine, che il modello di organizzazione, gestione e controllo, “non si pone quale strumento aziendale a sé stante ma risulta interattivo con il sistema di gestione qualità ed ambientale (ISO 9001, ISO 14001/ EMAS e/o di responsabilità sociale (SA 8000 o SCR), il sistema di controllo e gestione sicurezza (D. Lgs. 81/2008 – OHSAS 18001), il sistema Privacy (D. Lgs. 196/2003) ecc.)”.

 

 

L’indice della tesi:

 

Sommario

Introduzione: Il fenomeno infortunistico in Italia

 

Capitolo 1: Il Sistema previsto dal D.Lgs. n° 231/2001 e la sicurezza nei luoghi di lavoro

1.1 Cos’è il D.Lgs. n. 231/01

1.2 La costruzione del Modello

1.3 Costituzione dell’Organismo di Vigilanza (ODV)

1.4 Elementi costitutivi del Modello di Organizzazione, gestione e controllo

1.5 Interazione con gli altri sistemi aziendali

1.6 Efficacia del Sistema

1.7 Contenuti del Sistema di prevenzione e Codice Etico

1.8 Modelli di organizzazione e gestione idonei

 

Capitolo 2: Il Modello codificato per prevenire i reati relativi alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Strumenti a sostegno dell’implementazione ed efficacia del MOG

2.1 Il Modello di Organizzazione e Gestione (MOG)

2.2 La predisposizione del MOG e la prevenzione del rischio-reato

2.3 La metodologia del risk assessment e della verifica del rischio

2.4 Modello e Codice Etico

2.5 Il Sistema Disciplinare

2.6 L’Organismo di Vigilanza (OdV)

2.7 T.U. 81/2008, Modello Organizzativo e Sicurezza sul Lavoro

2.8 “Sistema 231” e “Sistema Sicurezza”

2.9 Documento di Valutazione dei Rischi e Modello Organizzativo

2.10 Art.30, T.U. n.81/2008 e certificazioni

2.11 I Sistemi di Gestione Aziendali – Generalità

2.12 Elementi fondamentali dei sistemi di gestione

2.13 Cenni sugli standard BS OHSAS 18001:2007 (Sicurezza e Salute sul Lavoro)

2.14 La prevenzione del reato-presupposto attraverso l’organizzazione

2.15 Il modello codificato per prevenire i reati relativi alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

2.16 Strumenti a sostegno dell’implementazione di un SGSL/MOG e loro efficacia

2.17 Risultati ed efficacia dell’adozione di un “SGSL”

 

Capitolo 3: Procedure semplificate per l’adozione dei MOG nelle PMI. Gli strumenti operativi

3.1 Politica aziendale di salute e sicurezza, obiettivi e piano di miglioramento

3.2 Piano di miglioramento

3.3 Rispetto standard tecnico strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici (art. 30, comma 1, lett. a), D.Lgs. 81/2008)

3.4 Attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti (art. 30, comma1, lett. b), D.Lgs. 81/2008)

3.5 Attività di natura organizzativa, quali gestione delle emergenze e di primo soccorso (art. 30, comma 1, lett. c), D.Lgs. 81/2008)

3.6 Gestione appalti

3.7 Riunioni periodiche di sicurezza e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza

3.7.1 Comunicazione e rapporto con l’esterno

3.7.2 Consultazione e partecipazione

3.8 Attività di sorveglianza sanitaria (art. 30, comma 1, lett. d), D.Lgs. 81/2008)

3.9 Attività di informazione e formazione dei lavoratori (art. 30, comma 1, lett. e), D.Lgs. 81/2008)

3.10 Attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori (art. 30, comma 1, lett. f), D.Lgs. 81/2008)

3.11 Acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge (art. 30, comma 1, lett. g), D.Lgs. 81/2008)

3.12 Periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure attuate (art. 30, comma 1, lett. h), D.L.gs. 81/2008)

3.12.1 Sorveglianza/monitoraggio o misurazione dell’adozione delle procedure/modelli

3.12.2 Indagine su infortuni, incidenti e situazioni pericolose

3.12.3 Non conformità, azioni correttive ed azioni preventive

3.13 Il MOG di cui al comma 1 dell’art. 30, del D.Lgs. 81/08 deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività di cui al comma 1 (art. 30, comma 2, D.Lgs. 81/2008)

3.14 Il MOG deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e del tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio (art. 30, comma 3, D. Lgs.81/2008)

3.15 Un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello (art. 30, comma 3, D. Lgs. 81/2008)

3.16 Il MOG deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate (art. 30, comma 4, D.Lgs. 81/2008)

3.17 Audit interno di sicurezza

3.17.1 Programmazione dell’audit

3.17.2 Identificazione degli auditor interni .

3.17.3 Conduzione dell’audit

3.18 Riesame .

 

4: Conclusioni

5: Bibliografia e Sitografia

 

 

“ Modelli 231 e interazioni con i modelli per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro”, tesi realizzata dal Dott. Alberto Munno per il conseguimento della laurea triennale in Ingegneria Civile e Ambientale presso l’Università di Napoli (formato PDF, 1.98 MB).

 

Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 – Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro su SGSL, Modelli organizzativi, decreto 231

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Bando Bric 2016

L’Inail indice una procedura valutativa per l’affidamento di ricerche in collaborazione finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di ricerca programmati dall’Istituto e al consolidamento della rete scientifica in attuazione del Piano di attività 2016-2018.

Avviso:
in data 15/12/2016 è stata pubblicata l’errata corrige al testo integrale del Bando Bric 2016.

Destinatari delle collaborazioni
Enti di ricerca pubblici e i relativi dipartimenti dotati di autonomia gestionale, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, università e dipartimenti universitari.

Le risorse finanziarie 
Per l’attivazione del sistema di collaborazioni è previsto un finanziamento, per l’esercizio 2016, pari ad € 9.260.400,00 a valere sulle risorse stanziate per la Missione ricerca nel bilancio di previsione dell’Inail.

Presentazione delle proposte
Le proposte progettuali dovranno essere presentate a firma del rappresentante legale dei destinatari istituzionali o di un suo delegato compilando il modulo di domanda di cui all’allegato 2 ed inviate, tramite posta elettronica certificata (Pec), all’indirizzo e-mail bandobric@postacert.inail.it entro e non oltre le ore 24 di lunedì 16 gennaio 2017.
La modalità di presentazione delle proposte è descritta nel bando integrale.

Contatti
Per informazioni ed assistenza sul presente Bando è disponibile il seguente indirizzo e-mail: helpbric@inail.it
Chiarimenti e informazioni sul presente Bando possono essere richiesti entro e non oltre il termine delle ore 12 del 16 gennaio 2017.

Criteri generali per l’affidamento di collaborazioni a titolo oneroso alle attività di ricerca dell’Inail – Piano delle attività di ricerca 2016-2018 – Ricerca Discrezionale.

Piano delle attività di ricerca 2016/2018 – Ricerca discrezionale

FAQ

Aggiornamento: 13 gennaio 2017 (.pdf – 65,1 kb)

ALLEGATI

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Ultimo aggiornamento: 13/01/2017

 

Fonte: www.inail.it

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Bando Isi agricoltura 2016. Prorogati i termini di scadenza del bando

E’ possibile accedere alla procedura informatica per la compilazione delle domande fino alle ore 18:00 del 28 aprile 2017.

Prorogati i termini delle scadenze relative al bando Isi Agricoltura 2016, con il quale Inail, come disposto dall’ultima legge di stabilità (208/2015), mette a disposizione 45 milioni di euro a fondo perduto per il sostegno al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nelle micro e piccole imprese operanti nel settore della produzione agricola primaria dei prodotti agricoli.

La proroga dei termini di scadenza dell’Avviso Isi Agricoltura 2016, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, serie generale n. 6, del 9 gennaio 2017, è consultabile sul sito dell’Istituto www.inail.it.

Le modifiche apportate sono le seguenti:

  • il termine di scadenza della chiusura della procedura informatica per la compilazione delle domande è prorogato alle ore 18:00 del 28 aprile 2017;
  • il termine di acquisizione del codice identificativo per l’inoltro online è prorogato al 5 maggio 2017;
  • la comunicazione relativa alle date di inoltro online è prorogata al 12 giugno 2017;
  • il termine per richiedere chiarimenti e informazioni sull’Avviso al Contact Center è prorogato alle ore 12:00 del 20 aprile 2017.

Per informazioni e assistenza, le imprese possono fare riferimento al Contact Center tramite il numero verde 803.164, gratuito da rete fissa, mentre per le chiamate da cellulare è disponibile il numero 06-164164 (a pagamento in base al piano tariffario del proprio gestore telefonico). Gli Avvisi regionali e provinciali, così come le risposte alle domande più frequenti, saranno pubblicate sul sito Inail.

 

Ultimo aggiornamento: 09/01/2017

Fonte: www.inail.it

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Formazione per la sicurezza: i tre apprendimenti

Non un onere, ma uno strumento per riesaminare nella sua interezza la cultura d’impresa e individuarne le disfunzionalità, spesso consistenti in comportamenti e atteggiamenti radicati e non esaminati criticamente. Di Renata Borgato.
 

È ormai ampiamente condivisa l’idea che la formazione alla sicurezza produca effetti veramente rilevanti solo attraverso modalità attive, scelte di volta in volta con riferimento ai destinatari, al contesto e agli obiettivi specifici.

A essa compete il compito di produrre un

  • protoapprendimento consistente nel far acquisire informazioni e schemi abitudinari  pianificabili e controllabili in contesti stabili e ben definiti
  • deuteroapprendimento consistente nella capacità di far riferimento a un livello non deliberato e non pianificabile riguardante il modo con cui si apprende.

Rafforzare le persone rende loro possibile anche accedere all’ apprendimento di terzo livello, che consiste nell’ imparare “ a disapprendere” , a disabituarsi, a cambiare.

La necessità di imparare a cambiare irrompe con sempre maggiore forza nella vita personale e lavorativa di ciascuno: ne è testimonianza il fatto che, nel non remoto 1972, Bateson [1] considerava il dover disapprendere come causa di conseguenze patogeniche mentre Bauman [2], nel 2001 lo definisce “un elemento centrale e indispensabile”.

Bauman infatti  sostiene “il problema degli uomini e delle donne post-moderni dipende dalla velocità con cui riescono a sbarazzarsi di vecchie abitudini piuttosto che con quella con cui ne acquisiscono di nuove. La cosa migliore è non preoccuparsi di costruire modelli; il tipo di abitudine acquisito con l’apprendimento terziario consiste nel fare a meno delle abitudini” [3].

Partendo da questo presupposto, la formazione alla sicurezza appare non come un onere, ma come uno strumento per  riesaminare nella sua interezza la cultura d’impresa e individuarne le disfunzionalità, spesso consistenti in comportamenti e atteggiamenti radicati e non esaminati criticamente.

 

Si supera così la logica angusta che spesso ha ispirato la formazione  alla sicurezza e la si inquadra nel contesto più ampio della vita aziendale, complesso intreccio di relazioni e dinamiche.

 

In quest’ottica le funzioni della formazione si moltiplicano e coinvolgono tutte le sfere del sapere. Riguardano cioè le conoscenze necessarie a svolgere il proprio lavoro, le capacità pratiche che esso richiede, gli atteggiamenti mentali appropriati allo svolgimento del proprio ruolo.

 

Alla formazione viene affidato il compito di contribuire all’adeguamento dei comportamenti e delle capacità dei singoli alle esigenze dell’organizzazione, ma anche di far emergere le interdipendenze esistenti tra i diversi soggetti presenti in azienda e la congruenza degli interessi comuni.

 

Per questo il miglioramento della prevenzione passa anche attraverso la capacità diffusa di gestire i conflitti in azienda, la leadership situazionale, la followership,  la gestione strategica del tempo, la comunicazione, i modelli di organizzazione, la creatività, l’etica e di cogliere come tutti questi fattori impattino sul benessere nel luogo di lavoro.

“Si tratta di argomenti che dovrebbero essere oggetto della formazione continua, basilari, che, assemblati come in un puzzlenella mente dei lavoratori, oltre a migliorare la persona, migliorano anche i livelli di sicurezza” [4].

 

Più che la sola trasmissione di saperi e di capacità, ci si aspetta che la formazione sappia allargare il campo degli interessi dei dipendenti. È più che mai attuale la  lezione di Kurt Lewin che, già negli anni 40, sosteneva che occorre dare alle persone strumenti che favoriscano un apprendimento che le stimoli ad approfondire successivamente quanto imparato attraverso il confronto e il dibattito.

 

Questa modalità favorisce una plasticità di pensiero che si adatta all’imprevedibilità della pratica lavorativa, in cui nulla può essere totalmente proceduralizzato e prescritto.

Risulta quindi  particolarmente utile proprio in un momento storico come questo in cui la richiesta di flessibilità anche nei modi di produrre aumenta e c’è un diffuso riconoscimento che la differenza nei risultati aziendali, anche in termini di sicurezza,  dipende in larga misura dal fattore umano.

 

Come scrive Harrison Owen “c’era un tempo in cui l’attività principale degli affari era il profitto e il prodotto. Ora c’è una nuova priorità, l’attività principale è di diventare una vera organizzazione che apprende. Ciò non significa che il profitto e il prodotto non siano più importanti, ma che, senza un apprendimento continuo, profitti e prodotti non saranno più possibili. Quindi sorge lo strano pensiero: l’affare degli affari è l’apprendimento – il resto viene di conseguenza [5]”.

 

 

Renata Borgato

Docente, formatrice e consulente aziendale

 

 

 

[1] G. Bateson (1972), Verso un’ecologia della mente, pag. 302 – 338

[2] Z. Bauman (2002), La società individualizzata, Il Mulino, Bologna, pag. 160

[4] M. Cicci (2014), in R. Borgato, F.Capelli, M. Castiglioni, Angeli, Milano, pag

[5] Owen H., Riding the Tiger, Abbot, Potomac, 1991, p. 1.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Buone pratiche per la sicurezza dei lavoratori temporanei nei cantieri

Un documento di Suva riporta vari suggerimenti sulla sicurezza e tutela della salute del personale temporaneo impiegato nei cantieri edili. Indumenti, DPI, circolazione, cadute, scale, lavori in quota, imbracature, macchine, …
 

Lucerna, 13 Gen – Il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro riguardo alla valutazione dei rischi ricorda che la valutazione deve esse svolta con riferimento anche ai rischi “connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro” (art. 28, D.Lgs. 81/2008).

 

Risulta infatti ormai evidente, con riferimento anche ai dati forniti annualmente dall’Inail, che i lavoratori “temporanei”, ad esempio i lavoratori forniti dalle agenzie di lavoro interinale, i lavoratori che prestano attività lavorativa di tipo “accessorio”, i lavoratori stagionali, … – risultino più esposti a infortuni e malattie professionali rispetto ad altri lavoratori con forme contrattuali più “sicure”.

E questa differenza, nella frequenza di infortuni, è ancor più visibile nei cantieri edili dove sono presenti molti fattori di rischi e molti lavoratori temporanei, spesso stranieri.

 

 

Proprio per questo motivo ci soffermiamo oggi sul nuovo aggiornamento di una interessante pubblicazione di Suva, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, dedicata al “lavoro temporaneo”.

 

Nel documento “Sicurezza e tutela della salute sui cantieri. Per il personale temporaneo” – realizzato con la collaborazione dell’Unione svizzera dei servizi del personale e del sindacato elvetico Unia e a cura di Christian Weber (Suva, Settore costruzioni) – vengono forniti alcuni suggerimenti importanti, alcune regole di base, destinate ai lavoratori temporanei sui cantieri. E sono fornite – ma chiaramente in questo caso valgono solo per la realtà elvetica – informazioni sull’assicurazione contro gli infortuni e sulle procedure/coordinate necessarie in caso di emergenza. Per i lavoratori stranieri sono poi allegate al documento le traduzioni di alcuni concetti e informazioni in diverse lingue: italiano, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, serbo e croato.

 

Veniamo, dunque, ai brevi e semplici suggerimenti rivolti direttamente ai lavoratori.

Ricordiamo che la pubblicazione, che vi invitiamo a leggere integralmente, riporta utili immagini e disegni esplicativi delle regole presentate.

 

Indumenti di lavoro:

– “indossare indumenti adatti al lavoro da svolgere, all’ambiente circostante e alle condizioni meteorologiche;

– non coprire le bande riflettenti degli indumenti;

– indossare preferibilmente biancheria traspirante in quanto è più confortevole”.

 

Dispositivi di protezione individuale:

– “il datore di lavoro o la persona di riferimento nell’impresa utilizzatrice vi fornisce i necessari dispositivi di protezione individuale;

– voi, da bravi professionisti, li usate;

– importante: sostituire i dispositivi di protezione difettosi”.

 

Circolazione sul cantiere:

– “vedere ed essere visti: stabilire un contatto visivo con il conducente;

– come «pedone» prestare attenzione ai mezzi in circolazione sul cantiere;

– non sostare nell’area di circolazione;

– attenzione: non sostare dietro i veicoli in retromarcia”.

 

Pericolo di inciampo:

– “evitare il disordine o togliere immediatamente di mezzo ogni intralcio;

– evitare qualsiasi ostacolo in cui si potrebbe inciampare”.

 

Scale a pioli:

– “non utilizzare scale difettose;

–  tener conto del giusto angolo di inclinazione (prova del gomito) e assicurarsi che la scala sia stabile;

– fissare le scale;

– mai salire sugli ultimi tre pioli”.

 

Scendere:

– “scendere, non saltare giù, anche se l’altezza è minima”.

 

Lavori in altezza:

– “usare ponteggi stabili o piattaforme aeree con parapetto;

– le pale caricatrici non sono piattaforme aeree”.

 

Dispositivi anticaduta:

– “i lati aperti e le aperture nel suolo devono essere coperti;

– mettere in sicurezza i punti pericolosi oppure avvisare il superiore;

– i dispositivi anticaduta servono a prevenire infortuni e lesioni gravi”.

 

Imbracatura di carichi:

– “chiedere precise istruzioni;

– verificare lo stato di cinghie, catene e ganci;

– usare solo gli accessori di imbracatura sui quali è indicati la portata massima;

– non superare la portata massima consentita;

– non sostare sotto i carichi sospesi”.

 

Impiego di macchine:

– “utilizzare solo le macchine e gli utensili che si conoscono perfettamente;

– non disattivare i dispositivi di protezione;

– pretendere istruzioni chiare e precise e consultare il manuale d’uso”.

 

Utensili manuali:

– “usare utensili adeguati;

– prestare attenzione agli utensili acuminati e taglienti”.

 

Apparecchi elettrici:

– “prima dell’uso verificare l’apparecchio, la presa e i cavi;

– rivolgersi ad uno specialista per la riparazione degli apparecchi difettosi;

– proteggere i cavi dalle sollecitazioni meccaniche”.

 

Prodotti chimici, sostanze tossiche:

– “prestare attenzione all’etichettatura e alle indicazioni riportate sull’etichetta;

– usare occhiali, guanti e maschera di protezione. Evitare il contatto con la pelle;

– conservare i prodotti sempre nell’imballaggio originale (attenzione a non scambiare le confezioni!)”.

 

Igiene:

– “lavarsi le mani prima dei pasti e di ogni pausa;

– lavarsi le mani solo con prodotti che rispettano il ph della pelle;

– l’applicazione di creme aiuta la pelle a rigenerarsi”.

 

Droghe e alcol:

– “non assumere alcol o altre sostanze che creano dipendenza né prima né durante il lavoro;

–  le sostanze che creano dipendenza pregiudicano la concentrazione e la capacità di giudizio delle persone, e questo non fa che aumentare il pericolo di infortunio”.

 

Alimentazione sana:

– “Un’alimentazione sana ed equilibrata consente di vivere meglio e di sentirsi più in forma, a vantaggio anche del rendimento sul lavoro;

– La ricetta è semplice: ridurre il consumo di grassi animali, farina bianca, zucchero e alimenti industriali. Integrare l’alimentazione con frutta, verdura, prodotti integrali e olio di qualità”.

 

E, infine, si ricorda che, in caso di emergenza è necessario sapere come comportarsi: chi avvisare, come e dove dare l’allarme.

 

N.B.: Gli eventuali riferimenti legislativi e alcune indicazioni contenute nel documento originale riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati possono essere comunque di utilità per tutti i lavoratori.

 

 

Suva, “ Sicurezza e tutela della salute sui cantieri. Per il personale temporaneo”, a cura di Christian Weber (Suva, Settore costruzioni), opuscolo realizzato con la collaborazione dell’Unione svizzera dei servizi del personale e del sindacato elvetico Unia, edizione ottobre 2015 (formato PDF, 2.88 MB).

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Imparare dagli errori: quando non si utilizzano calzature di sicurezza

Esempi di infortuni correlati al mancato uso di indumenti di protezione individuale per i piedi. La dinamica degli infortuni, le calzature antinfortunistiche, i requisiti per la sicurezza e le categorie in base alla protezione.
Brescia, 01 Dic – Sono molti gli ambienti e le attività lavorative dove i piedi hanno la necessità di essere protetti da dispositivi di protezionee sono molti i rischi a cui i nostri piedi possono essere soggetti: schiacciamento, scivolamento, urti, tagli, umidità, temperatura, … E non bisogna dimenticare anche i vari rischi elettrici, chimici e biologici che possono richiedere specifiche protezioni e idonee calzature di sicurezza.

 

E dunque non potevamo non riservare alla protezione dei piedi almeno una tappa nel lungo viaggio di “ Imparare dagli errori”, la rubrica dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, attraverso le conseguenze dell’uso errato o mancato dei dispositivi di protezione nei luoghi di lavoro.

 

Come sempre le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

 

I casi

Il primo caso riguarda un infortunio con frattura ad un piede.

Un lavoratore al termine del suo turno di lavoro sta aiutando un collega nel posizionamento di una valvola a sfera sul banco prova.

Dopo averla posizionata e aver messo in pressione il banco che blocca la valvola, il lavoratore sale sul macchinario e inizia a rimuovere l’imbracatura.

A quel punto la valvola si muove verso il basso andando a schiacciare il piede del lavoratore. L’operatore, infatti, aveva tolto le fasce di imbracatura salendo sulla macchina e non indossava scarpe antinfortunistiche.

 

Questi i fattori causali:

– “l’operatore ha tolto le fasce di imbracatura salendo sulla macchina”;

– “mancato uso scarpe antinfortunistiche”.

 

Il secondo caso riguarda un infortunio con frattura di un dito del piede.

Un lavoratore nell’intento di raddrizzare un cavalletto metallico di circa 200 kg utilizza un sollevatore magnetico a comando manuale, accessorio del carro ponte elettrico.

Dopo aver agganciato il sollevatore al carro ponte, cerca di sollevare il cavalletto per farlo ruotare e rimetterlo in piedi.

Durante la manovra di sollevamento il carico perde il contatto con il sistema a magnete permanente e, sganciandosi, cade sul piede dell’infortunato che al momento dell’evento non indossa le scarpe antinfortunistiche.

 

Questi i fattori causali rilevati:

– “l’infortunato agganciava il carico in modo errato”;

– “non indossava le scarpe antinfortunistiche”.

 

La prevenzione

Anche in questo caso per avere qualche suggerimento relativo alla prevenzione degli infortuni e alla protezione dei piedi, possiamo fare riferimento al progetto multimediale Impresa Sicura – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail – che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. Progetto che ha prodotto, tra le altre cose, anche una raccolta dettagliata di informazioni sui Dispositivi di Protezione Individuale nel documento “ ImpresaSicura_DPI”.

 

Nel documento è, ad esempio, presentata la struttura interna ed esterna delle calzature di sicurezza e si ricorda che per evitare la contaminazione delle scarpe o degli stivali da materiale chimico o biologico, è possibile anche “l’utilizzo di sovrascarpe/sovrastivalimonouso, antiscivolo e antistatici, generalmente dotati di elastico o di lacci da legare sopra la tuta alla caviglia o al polpaccio”. E in commercio “si trovano anche sovrascarpe/sovrastivali di protezione contro altri rischi quali il calore, il freddo”. Inoltre quando “è necessario proteggere i polpacci si utilizzano stivali ma anche ghette. Le ghette, a differenza degli stivali, sono un accessorio costituito solo dal gambale; ha il vantaggio di poter essere indossato e tolto senza coinvolgere la calzatura e quindi può essere utilizzato solo quando serve”.

 

Il documento diporta poi nel dettaglio i vari requisiti richiesti per le calzature antinfortunistiche con riferimento alla sicurezza, alla salute/comfort e all’estetica.

 

Queste sono alcune possibili caratteristiche relative alla sicurezza:

– “tomaio resistente allo strappo e alla flessione;

– fodere resistenti allo strappo e all’abrasione;

– suola resistente all’abrasione, alle flessioni, all’idrolisi, agli idrocarburi;

– resistenza al distacco della tomaio/suola;

– resistenza alla corrosione dei puntali metallici”;

– “protezione da rischio di scivolamento;

– resistenza del battistrada agli oli minerali;

– protezione delle dita del piede con puntale in acciaio resistente all’impatto fino a 200 Joule”.

 

Si indica che le calzature antinfortunistiche si differenziano poi “in relazione alle esigenze specifiche di utilizzo ed alle caratteristiche corrispondenti richieste”. E dunque la scelta del corretto dispositivo di protezione dei piedi “dipende dalla mansione del lavoratore, dalle caratteristiche delle stesse e dai rischi presenti nei luoghi di utilizzo”. Sono infatti disponibili calzature di materiale diverso e con caratteristiche diverse, “quindi il termine generico ‘calzature antinfortunistiche’ non è indicativo della esclusività del dispositivo di protezione”.

 

Sono individuate due classi principali, in base al materiale del corpo della calzatura:

– Tipo I: Calzature di cuoio o altri materiali, escluse le calzature interamente in gomma o in polimero;

– Tipo II: Calzature interamente in gomma o in polimero.

 

E, infine, le classi I e II si possono distinguere in “3 categorie (di sicurezza, di protezione, da lavoro, cui corrispondono le sigle S, P, O derivanti dalle definizioni in inglese) in base alle caratteristiche di protezione, definite da norme tecniche separate”: la differenza fra i tre tipi “è data, in sostanza, dal diverso grado di protezione del puntale (assente in quelle da lavoro ed in grado invece di assorbire la caduta di un peso di 20 kg da un’altezza di 1 metro, in quelle di sicurezza)”. Inoltre, poiché gli scivolamenti e le cadute sono tra le maggiori cause di infortunio sul lavoro “tutte le calzature antinfortunistiche (classe I o II) devono essere resistenti allo scivolamento”.

 

Nel documento sono poi riportati anche i requisiti di protezione aggiuntivi alle dotazioni di base minime, requisiti che possono essere necessari per proteggere da alcuni rischi specifici.

 

 

Sito web di INFOR.MO.: nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 3589 e 3614.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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L’applicazione del DLgs 81/08 ai lavori relativi agli allacciamenti del gas Per l’esecuzione di questa particolare tipologia di lavori ci si può trovare di fronte a due differenti regimi ai fini della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro del personale impegnato e di terzi. Di Carmelo G. Catanoso.

Per garantire la sicurezza e la tutela della salute del personale delle imprese durante l’esecuzione degli appalti di lavori, servizi e forniture, il legislatore ha previsto due regimi di tutela:

  • art. 26 del Titolo I del D. Lgs. n° 81/2008,
  • Capo I  del Titolo IV (cantieri temporanei o mobili) del D.Lgs. n° 81/2008.

Come noto, la differenza per l’applicazione dei due regimi di tutela, deriva dall’esecuzione o meno di lavori edili o d’ingegneria civile.

 

 

In riferimento alle attività riguardanti i cantieri temporanei o mobili e cioè quei luoghi dove sono eseguiti lavori edili o d’ingegneria civile, la direttiva 92/57/CEE, altresì conosciuta come “direttiva cantieri”, aveva individuato un elenco non esauriente (vedi tabella) di tredici distinte tipologie di “lavori edili o di genio civile” (allegato I).

 

Tabella 1
Allegato I – Dir. 92/57/CEE
Elenco non esauriente dei lavori edili o di genio civile
  1. Scavo
  2. Sterro
  3. Costruzione
  4. Montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati
  5. Ristrutturazione ed equipaggiamento
  6. Trasformazione
  7. Rinnovamento
  8. Riparazione
  9. Smantellamento
  10. Demolizione
  11. Conservazione
  12. Manutenzione – Lavori di verniciatura e di pulizia
  13. Risanamento

 

Il legislatore italiano, nel recepire la direttiva 92/57/CEE e probabilmente con il fine di aumentare il livello di tutela, ha trasformato il citato elenco, dopo i precedenti passaggi con il D. Lgs. n° 494/1996 e il D. Lgs. n° 528/1999, nell’attuale allegato X al D. Lgs. n° 81/2008.

 

Tabella 2
Allegato X – D. Lgs. n° 81/2008
Elenco dei lavori edili o di ingegneria civile (art. 89 comma 1, lett. a))
  1. I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle linee elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro.
  2. Sono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile.

 

Come si può facilmente notare, questo elenco più che aumentare il livello di tutela, aumenta la confusione su cosa debba essere considerato “lavoro edile o d’ingegneria civile”.

Prova ne è che negli anni, si è provato ad intervenire più volte per dirimere i dubbi interpretativi [1].

Lo stesso D. Lgs. n° 81/2008 con l’art. 88 comma 2 lett. g-bis) ne esclude espressamente l’applicazione ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile di cui all’allegato X.

Per verificare l’applicazione integrale del Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008 alla citata tipologia di lavori (impianti elettrici, gas, acqua, ecc.), è necessario verificare la sussistenza di due condizioni.

 

La prima condizione, necessaria ma non sufficiente, è se nell’esecuzione di un intervento (ad esempio, la realizzazione di un allacciamento aereo del gas) dovranno essere eseguiti di “lavori edili o d’ingegneria civile” (Tabella 2).

 

La seconda condizione è che in cantiere deve essere prevista la presenza, anche non contemporanea, di più imprese esecutrici con il conseguente obbligo di nomina dei coordinatori della sicurezza per la progettazione (CSP) e per l’esecuzione (CSE) come previsto dall’art. 90 commi 3, 4 e 5 del D. Lgs. n° 81/2008.

 

Facendo riferimento all’esempio citato, non può rientrare nel novero dei “lavori edili o d’ingegneria civile” un allacciamento aereo di una tubazione in quanto si tratta della realizzazione di impianti di distribuzione gas che non richiedono la costruzione, trasformazione, demolizione, smantellamento, ecc. di alcuna opera fissa, permanente o temporanea. Questo perché, in genere, si tratta del fissaggio della condotta con piccole staffe e tasselli.

Il fatto che l’impresa esecutrice debba eseguire lavori in quota rischio di caduta dall’alto (da una h> 2 metri rispetto ad un piano stabile) con un proprio ponteggio o trabattello, esponendo il personale a rischi di caduta dall’alto, non fa certamente rientrare l’attività tra i “lavori edili o d’ingegneria civile”.

Infatti, va ricordato che il Capo II del Titolo IV, si applica sia nel settore delle costruzioni che a tutte le altre attività lavorative che prevedono l’esecuzione di “lavori in quota” come previsto dall’art. 105 comma 1 (ultimo periodo) del D. Lgs. n° 81/2008 che recita “Le norme del presente capo si applicano ai lavori in quota di cui al presente Capo e ad ogni altra attività lavorativa”.

 

Può anche verificarsi il caso che l’impresa esecutrice debba eseguire lavori in quota effettuando il nolo a caldo di una Piattaforma di Lavoro Elevabile ( PLE). In questo caso, non risulta nemmeno soddisfatta la seconda condizione prima citata. Infatti, in questa situazione, va evidenziato che il datore di lavoro dell’azienda proprietaria della PLE e che ha noleggiato all’impresa esecutrice la propria attrezzatura di lavoro, non risulta obbligato al raggiungimento di uno scopo specifico in quanto si limita esclusivamente a mettere a disposizione dell’impresa esecutrice la PLE e l’addetto al suo utilizzo. Ad esempio, nel caso del fissaggio della tubazione sulla facciata di un edificio per un allacciamento aereo, l’operatore della PLE agisce come semplice conduttore incaricato di sollevare in altezza l’addetto all’intervento dipendente dell’impresa esecutrice. Pertanto, non riscontrandosi alcuna attività autonoma per l’esecuzione del lavoro (elemento fondamentale che caratterizza l’appalto o il subappalto), la cui organizzazione rimane sempre nelle mani dell’impresa che deve eseguire il lavoro, non si è di fronte ad una seconda impresa esecutrice e la seconda condizione non è soddisfatta.

Sull’argomento del “nolo a caldo” si è espressa più volte la Cassazione Penale, ribadendo che essendo la prestazione lavorativa dell’operatore alla PLE accessoria rispetto alla messa a disposizione dell’attrezzatura di lavoro ( PLE) e mancando totalmente l’autonomia nell’esecuzione della prestazione, l’azienda proprietaria della PLE non è qualificabile come “impresa esecutrice”. [2]

 

Fatte queste preliminari considerazioni è opportuno evidenziare quali debbano essere le modalità di gestione dei lavori relativi, ad esempio, ad un allacciamento gas.

Quindi, nel caso di un comune allacciamento aereo del gas da parte di una delle tante aziende multiutility che operano sul territorio nazionale, vediamo innanzi tutto, come vanno gestiti i lavori non ricadenti nel campo di applicazione del Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008 in quanto non sono effettuati “lavori edili o d’ingegneria civile”.

Qui si possono presentare almeno tre situazioni.

 

Il primo caso è quello in cui l’impresa che esegue il lavoro di allacciamento aereo è un’impresa esecutrice che opera per conto dell’azienda multiutility con un contratto aperto.

L’intervento viene eseguito presso l’abitazione di un privato cittadino e cioè in un luogo di cui l’azienda multiutility non ha la disponibilità giuridica; pertanto, appare evidente che l’art. 26 del D. Lgs. n° 81/2008 non è applicabile nei confronti del proprio appaltatore [3].

Ciò però non significa che l’azienda multiutility si debba disinteressare totalmente delle modalità esecutive dell’intervento da parte dell’impresa esecutrice di rete. L’azienda multiutility deve fornire all’impresa di rete, oltre le specifiche tecniche per la realizzazione dell’intervento, anche le informazioni specifiche riguardanti le peculiarità del luogoin cui dovrà essere realizzato l’intervento utilizzando quanto raccolto dal preventivista durante la visita preliminare propedeutica al futuro intervento. Sarà l’impresa esecutrice che, sulla base delle specifiche tecniche e delle informazioni sul particolare contesto in cui sarà chiamata ad operare nonché in base a quanto previsto all’interno del proprio DVR per questa tipologia di lavorazione, ad organizzarsi per eseguire l’intervento nel pieno rispetto delle specifiche tecniche e delle norme per la tutela della salute e della sicurezza del proprio personale e per i terzi.

 

Il secondo caso è quello in cui l’azienda multiutility esegue i lavori di allacciamento aereo direttamente con il proprio personale sempre presso l’abitazione di un privato cittadino. In questo caso, essendo fuori dal campo di applicazione del Titolo IV (non si effettuano lavori edili o d’ingegneria civile), sarà, comunque, l’azienda multiutility che, sulla base delle specifiche tecniche e delle informazioni sul particolare contesto in cui sarà chiamata ad operare (sempre raccolte dal preventivista) nonché in base a quanto previsto all’interno del proprio DVR per questa tipologia di lavorazione, ad organizzarsi per eseguire l’intervento nel pieno rispetto delle specifiche tecniche e delle norme per la tutela della salute e della sicurezza del proprio personale e per i terzi eventualmente presenti.

 

Il terzo caso è quello in cui il personale dell’azienda multiutility opera [4] insieme al personale dell’impresa esecutrice presso l’abitazione di un privato cittadino dove deve essere eseguito l’allacciamento aereo. Anche in questa situazione, si è fuori dal campo di applicazione del Titolo IV in quanto non si effettuano lavori edili o d’ingegneria civile. In questo caso, essendo a casa di un privato cittadino, non vi è neanche la disponibilità giuridica del luogo dove si effettuano i lavori e, pertanto l’art. 26 del D. Lgs. n° 81/2008 non è formalmente applicabile da parte dell’azienda multiutilitynei confronti del proprio appaltatore. Resta, però, il fatto, che nello stesso luogo operano due imprese ed è, quindi, necessario stabilire e formalizzare delle regole operative condivise che garantiscano la sicurezza degli addetti e di terzi occasionalmente presenti. Naturalmente, come nei casi precedenti, sia l’impresa esecutrice che l’azienda multiutility dovranno organizzare l’intervento nel pieno rispetto delle specifiche tecniche e delle informazioni specifiche riguardanti le peculiarità del luogoin cui dovrà essere realizzato l’intervento, utilizzando quanto raccolto dal preventivista durante la visita preliminare propedeutica al futuro intervento.

 

Quando invece non siamo più di fronte ad un privato cittadino ma ad un committente dell’intervento che è anche datore di lavoro (ad esempio, il datore di lavoro di una piccola officina metalmeccanica), ci si può trovare di fronte a due differenti situazioni.

 

La prima situazioneè quella in cui l’allacciamento non comporta l’esecuzione di lavori edili o d’ingegneria civile. Pertanto, il Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008 non è applicabile. Ovviamente, risulta pienamente applicabile l’art. 26 e, pertanto, l’attività della o delle imprese esecutrici (azienda multiutility e/o impresa appaltatrice) dovrà essere governata attuando quanto previsto dai commi 1 e 2 del citato articolo e stabilendo le regole di convivenza lavorativaall’interno del Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali ( DUVRI) predisposto dal datore di lavoro committente dell’intervento, in modo da eliminare, ove possibile, o ridurre al minimo i rischi interferenziali.

 

La seconda situazione è quella in cui devono essere eseguiti lavori di allacciamento di una tubazione del gas che, ad esempio, comporta scavi o significative demolizioni di parti di strutture in muratura o in cemento armato o la costruzione delle stesse, ecc.; in questo caso si è palesemente di fronte a “lavori edili o d’ingegneria civile”.

Accertata l’esecuzione di questa tipologia di lavori, possono concretizzarsi due casi che comportano l’applicazione completa o meno del Capo I del Titolo IV.

 

Nel caso in cui vengano eseguiti “lavori edili o d’ingegneria civile”, per ricadere nell’obbligo di applicazione completa del Capo I del Titolo IV, andrà valutato il soddisfacimento della seconda condizione prevista dal legislatore e cioè se per la realizzazione dell’intervento, sarà presente, anche non contemporaneamente almeno una seconda impresa esecutrice (può essere anche l’azienda multiutility con il proprio personale che opera per l’esecuzione dell’intervento). [5]

In caso affermativo, si ricadrà nella piena applicazione del Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008 con nomina del CSP/CSE da parte del datore di lavoro committente, la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento ( PSC), la trasmissione di questo alle imprese esecutrici e la successiva redazione dei Piani Operativi di Sicurezza (POS) da parte di queste ultime nonché la redazione del Fascicolo.

 

Il secondo caso è quello in cui sono eseguiti lavori edili o d’ingegneria civile da un’unica impresa(impresa esecutrice o azienda multiutility) all’interno di un’azienda dove c’è un datore di lavoro committente dell’intervento. In questo caso il datore di lavoro committente dovrà applicare quanto previsto dall’art. 26 come nella prima situazione esaminata.

L’impresa esecutrice, effettuando lavori edili o d’ingegneria civile, dovrà redigere il proprio POS in riferimento ai lavori da effettuare sulla base di quanto previsto nel DUVRI.

Per completezza, si ricorda che la presenza di un “nolo a caldo” non costituisce condizione necessaria, come evidenziato precedentemente, per qualificare il noleggiatore come “impresa esecutrice” e, pertanto, non si ricade nel caso in cui il datore di lavoro committente debba procedere alla nomina del CSP/CSE con la redazione del PSC

 

Infine, quando l’impresa (impresa esecutrice o azienda multiutility), si troverà a dover eseguire il proprio intervento all’interno di un cantiere edile già governato da un PSC (ad esempio, l’allacciamento all’interno di una costruenda palazzina residenziale), l’azienda multiutility dovrà richiedere il PSC, prendere atto delle prescrizioni in esso contenuto, redigere il proprio POS (o farlo redigere all’impresa esecutrice), sottoporlo alla verifica d’idoneità da parte del CSE e partecipare (azienda multiutility o impresa esecutrice) alla riunione periodica di sicurezza propedeutica al proprio ingresso in cantiere per l’esecuzione dell’intervento.

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

[1] Circolare del Ministero del Lavoro n° 41/1997 – D. Lgs. n° 528/1999. – D. Lgs. n° 106/2009

[2] Corte di Cassazione Penale sez. III  n° 6923/1997, Cassazione Penale sez. IV sentenze n° 23604/2009, n° 34327/2009, n° 41791/2009 e n° 109/2012.

[3] art. 26 comma 1 del D. Lgs. n° 81/2008 – “Il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo ….:”

[4] Con il termine “opera” s’intende l’esecuzione di un’attività operativa (saldature, ecc.) e non la semplice presenza di personale dell’azienda multiutility addetto alla verifica dell’esecuzione dei lavori secondo quanto previsto dal contratto e dal capitolato.

[5] L’esecuzione di lavori in quota (h> 2 metri) o di qualunque altro dei lavori comportanti rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori indicati all’Allegato XI del D. Lgs. n° 81/2008, non costituisce condizione necessaria per la nomina del CSP/CSE – La nomina del CSP/CSE sussiste solo nei casi in cui sono presenti in cantiere, anche non contemporaneamente, almeno due imprese.

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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Rischio chimico: luoghi di lavoro e aspirazione localizzata

Un manuale prodotto dall’ULSS 9 di Treviso si sofferma sulla valutazione del rischio chimico. Focus sulla conformità dei luoghi di lavoro, su quanto richiesto dalla normativa e sulla progettazione dell’aspirazione localizzata.
 

Treviso, 15 Nov – Se gli infortuni dovuti ad agenti chimici non sono generalmente molto numerosi, tuttavia, quando accadono, “spesso sono molto gravi o mortali e possono coinvolgere diverse persone e l’ambiente esterno all’azienda”. E le malattie professionali da agenti chimici sono “potenzialmente gravi o mortali anche quando non si tratta di agenti cancerogeni”.

È evidente che una corretta valutazione dei rischi chimici è indispensabile “perché i pericoli derivanti dagli agenti chimici non sono immediatamente evidenti e percepibili; occorre evitare sia il timore ingiustificato sia la sottostima del rischio per attuare le misure preventive adeguate e necessarie”.

 

 

A ricordare in questo modo l’importanza della valutazione del rischio e a fornire una guida con utili informazioni per i datori di lavoro è il “ Manuale di autodifesa del datore di lavoro”, un documento elaborato dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) dell’ Azienda ULSS 9 di Treviso (ad oggi sono disponibili tre capitoli).

Nel capitolo 9.1 del manuale è infatti affrontato il tema della “valutazione del rischio chimico”, un tema che dovrà poi essere integrato con il capitolo, quando disponibile, relativo agli agenti cancerogeni, anch’essi compresi tra gli agenti chimici.

 

Nel capitolo si indica innanzitutto che quella offerta dall’ULSS di Treviso “non è una nuova linea guida”: lo scopo è quello di “aiutare l’azienda a gestire una questione molto complicata con riferimento alla principale fonte normativa che è costituita dal DLgs 81/08”.

Ed infatti è necessario essere certi che il risultato “soddisfi completamente i requisiti minimi della valutazione secondo TUTTI i dettami dell’art. 223” (Titolo IX – Sostanze pericolose). In caso contrario “vi è la concreta possibilità di non individuare tutti i pericoli e di non valutare correttamente i rischi con le evidenti conseguenze per i lavoratori esposti. Inoltre, quasi ogni indicazione dell’art. 223 comporta specifiche sanzioni se non viene effettuato quanto previsto”. E dunque la prima cosa che deve fare il datore di lavoro è “quella di controllare se il contenuto della valutazione risponde ad ogni comma del art. 223 sopracitato”.

A questo scopo nel capitolo è presente una breve check list per effettuare una prima autovalutazione.

 

Il manuale segnala che prima di iniziare la valutazione è necessario verificare la conformità dei luoghi di lavoro al titolo II del D.Lgs. 81/2008 e il rispetto dei principi generali di prevenzione (riferimento normativo: art. 63 comma 1, art. 64 comma 1 lett. a) – Allegato IV – Artt. 15 -18 – 224 del DLgs. 81/08).

 

A questo proposito, dopo aver riportato le sanzioni previste, il manuale sottolinea che le lavorazioni che espongono ad agenti chimici “devono essere svolte in locali adeguati”.

E a questo scopo, pur richiamando alla lettura integrale del testo di legge, segnala le norme più rilevanti:

– Art. 66 per quanto riguarda i luoghi confinati (sospetti di inquinamento);

– Allegato IV punto 2 – Presenza nei luoghi di lavoro di agenti nocivi, con particolare riferimento a: Uso di recipienti a tenuta e dotati di buona chiusura (2.1.1); Limitazione delle quantità depositate in ambiente di lavoro (2.2.1); Separazione dei lavori nocivi (2.1.4); Aspirazione localizzata di gas, vapori, odori e fumi (2.1.5); Aspirazione localizzata delle polveri (2.2.3); Docce di sicurezza (2.1.11.2);

– Allegato IV punti 3 e 4 per le problematiche di canalizzazioni, vasche etc e antincendio, esplosione: Evitare i pericoli di caduta dei lavoratori in contenitori di agenti chimici (3.4.1 – 3.4.2 – 3.4.3); Identificazione delle tubazioni contenenti liquidi o gas nocivi o pericolosi (3.6.2).

Si indica che “l’adozione delle misure previste nell’allegato IV è obbligatoria, a prescindere dall’esito della valutazione dei rischi poiché riguarda requisiti minimi dell’ambiente di lavoro. In particolare, deve essere assicurata la ventilazione generalizzata evitando correnti fastidiose per i lavoratori. Si ricorda anche che l’ aspirazione localizzatadeve essere coordinata con eventuali sistemi generali di ventilazione, assicurando il reintegro con apporto di aria salubre dall’esterno ed evitando interferenze tra questi impianti (un impianto di estrazione dell’aria ambientale interferisce con l’aspirazione localizzata riducendone l’efficacia)”.

 

Inoltre – continua il documento – “devono essere attuate, per quanto pertinenti, le previsioni generali dell’art. 15, quelle degli obblighi del datore di lavoro ex art. 18 (sanzionati) e quelli dell’art. 224 propri del rischio chimico”.

Ricordiamo brevemente che l’art. 224 del D.Lgs. 81/2008 richiede:

– progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;

– fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e relative procedure di manutenzione adeguate;

– riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti;

– riduzione al minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione;

– misure igieniche adeguate;

– riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione delle necessità della lavorazione;

– metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto sul luogo.

 

Il manuale segnala che ai fini preventivi, occorre poi “considerare la possibilità di cambiare la forma o lo stato fisico di un agente chimico in modo che risulti meno disperdibile (ad esempio manipolazione di un solido polverulento per via umida, sotto forma di pasta o gel, in pellet, incapsulato in involucro idrosolubile, colorazione con ‘master’ nel settore della plastica)”. E ovviamente “occorre anche valutare la sostituzione degli agenti chimici più pericolosi (con particolare riguardo a quelli persistenti, bioaccumulabili, tossici – PBT e vPvB); in alternativa considerare le lavorazioni in un processo chiuso (isolato, non comunicante con l’esterno) o confinato (es. cabina)”.

 

Rimandando ad una lettura integrale dei capitoli disponibili del manuale, ci soffermiamo infine su quanto indicato in relazione all’aspirazione localizzata.

 

Si indica che per progettare un’ aspirazione localizzata occorre:

– “definire le fasi del ciclo produttivo nelle quali sono presenti le emissioni. Si faccia attenzione al fatto che non sempre le emissioni sono visibili ad occhio nudo; polveri e nebbie con diametro inferiore a 10µm sono visibili solo se in concentrazione superiore a 10 mg/m3; alcuni gas potrebbero essere incolori ma anche quelli colorati si vedono soltanto in concentrazione elevata;

– localizzare l’emissione, individuare la direzione dell’emissione e scegliere il punto di captazione dell’impianto di aspirazione in riferimento alla posizione probabile dei lavoratori; i lavoratori non devono trovarsi lungo il flusso dell’aria dal punto di emissione al punto di captazione;

– localizzare anche i punti, anche se non vi si posizionano stabilmente i lavoratori, in cui avviene l’eventuale evaporazione in ambiente di solvente o altre emissioni dopo la lavorazione (ad esempio, incollaggio, verniciatura, saldatura);

– definire le caratteristiche fisiche dell’emissione (fase, velocità, temperatura);

– in caso di aspirazione di agenti chimici infiammabili o esplosivi, occorre tenere conto della normativa sulle atmosfere esplosive (ATEX) nella progettazione dell’impianto di aspirazione;

– definire la possibilità che vi sia una diffusione per aerodispersione o una contaminazione superficiale (polvere che si deposita sulle superfici);

– identificare quali sono i fattori rilevanti che provocano l’emissione e, se possibile, ridurli alla fonte (ad esempio, contenitori di collanti o vernici con apertura ridotta per limitare l’evaporazione del solvente);

– progettare un impianto adeguato sulla base dei parametri evidenziati. Per catturare gli inquinanti, la velocità dell’aria diretta verso la bocchetta di captazione deve essere superiore alla velocità con cui viene emesso l’inquinante. Per raggiungere questo scopo è fondamentale una progettazione corretta delle cappe di aspirazione. La velocità di cattura ottimale dipende da fattori ambientali e dal tipo di inquinante. Le particelle grandi emesse ad alta velocità sono più difficili da catturare mentre gas, fumi e particelle piccole e a bassa velocità seguono più facilmente il movimento dell’aria. La cappa deve essere posizionata il più vicino possibile al punto di emissione; la cappa deve chiudere il più possibile il punto di emissione senza ostacolare il processo produttivo. Le cappe non chiuse richiedono, a parità di efficacia, grandi quantità di aria (e costi maggiori) e sono disturbate da correnti d’aria presenti per altri motivi nel locale di lavoro. L’aspirazione dall’alto è idonea in caso di emissioni da processi a caldo e a condizione che il flusso non intercetti le vie aeree dell’operatore; in questo caso l’estensione della cappa deve essere calcolata in modo che sia più ampia di metà della distanza tra sorgente e cappa. Se possibile, è bene applicare una flangia sul bordo aspirante della cappa (riduce del 25% l’aria necessaria eliminando flussi dalle zone laterali dove non è necessario intervenire). L’angolo tra la zona di ingresso della cappa e il condotto di scarico non deve superare 45°. Nella progettazione bisogna tenere conto delle perdite di carico e della velocità minima per il trasporto nei condotti;

– definire, se possibile, i punti e i criteri di controllo successivo di alcuni parametri da misurare (ad esempio, integrità delle tenute, caduta di pressione nei filtri, efficienza di captazione, indice di decontaminazione, emissione totale)”.

 

Il manuale, che ricorda anche le varie norme tecniche di riferimento per la funzionalità dei sistemi di aspirazione localizzata, indica che gli impianti di ventilazione “devono essere sottoposti a regolare manutenzione e la funzionalità dell’aspirazione deve essere verificata: la norma UNI EN 1093-4 ‘Rendimento della captazione di un impianto di aspirazione’ tratta la valutazione mediante l’uso di traccianti. In alternativa, un metodo semplice è quello di effettuare la misura in prossimità del punto di emissione della velocità dell’aria diretta verso il punto di captazione utilizzando un anemometro e confrontare il valore misurato con la tabella”.

 

La parte del capitolo dedicata all’aspirazione localizzata riporta, in conclusione, una tabella relativa alla velocità di cattura, con riferimento alle varie sostanze da captare, e ricorda che i fumi o le polveri captate dall’impianto possono:

– “essere emessi all’esterno dell’ambiente di lavoro (avendo cura che non possano rientrare nell’ambiente interno attraverso porte e finestre) con o senza depurazione preventiva”;

– “essere riciclati, dopo depurazione, all’interno” (“questo metodo è largamente sconsigliabile in quanto non vi è mai garanzia assoluta di depurazione ed è comunque necessaria una continua manutenzione degli apparati filtranti”).

 

 

 

ULSS 9 Treviso, “Manuale di autodifesa del datore di lavoro”:

Capitolo 0.0 – Il manuale (formato PDF, 99 kB);

Capitolo 1.3 – Burocrazia e valutazione dei rischi (formato PDF, 116 kB).

Capitolo 9.1 – La valutazione del rischio chimico – agg. 9.3 del 04/02/2016 (formato PDF, 364 kB).

 

 

Link al work in progress del manuale di autodifesa…

 

 

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RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Come gestire nelle aziende l’invecchiamento del lavoratore

Un intervento si sofferma sull’ergonomia nell’approccio multiplo alla gestione dell’invecchiamento nel lavoro. La sfida dell’invecchiamento lavorativo e le modifiche funzionali nei lavoratori. Focus su funzioni cognitive e stress lavoro correlato.
 

Bologna, 15 Nov – Nel nostro Paese assistiamo all’acuirsi di alcuni fenomeni correlati al tema dell’invecchiamento: la popolazione invecchia sempre di più, con una compensazione solo parziale data dall’immigrazione, si incrementa l’età di pensionamento e la conseguente anzianità lavorativa, con esposizione a rischi lavorativi più prolungata. E bisogna tener conto dei fattori economici (riduzione ed erosione della pensione; costo vita; disoccupazione coniuge o progenie, produttività e costo del lavoratore anziano) e della scarsità di posti di lavoro in generale e in particolare adatti a lavoratori anziani.

 

 

A descrivere in questo modo il tema dell’invecchiamento della forza lavoro in Italia è un intervento al convegno, organizzato da CIIP e SIE, dal titolo “Invecchiamento e lavoro”. Convegno che si è tenuto a Bologna il 20 ottobre 2016 durante la manifestazione Ambiente Lavoro e che ha fornito al nostro giornale lo spunto anche per una lunga intervista a più relatori del convegno che pubblicheremo nelle prossime settimane.

 

Ci soffermiamo in particolare oggi sull’intervento “L’ergonomia nell’approccio multiplo alla gestione dell’invecchiamento nel lavoro”, a cura di Rinaldo Ghersi (SIE, Coordinatore gruppo di lavoro invecchiamento CIIP).

 

Nell’intervento, che presenta molti aspetti delle attività del gruppo di lavoro invecchiamento CIIP (ad esempio è in fase di elaborazione un e-book), vengono riportati vari esempi di un approccio multiplo al tema dell’invecchiamento (ergonomia, sorveglianza sanitaria, normativo, gestione aziendale, …).

In particolare il gruppo di lavoro Ciip riconosce la necessità, “qualora si intenda affrontare la problematica, dell’approccio multiplo, ove ciascun soggetto agisca in modo adeguato secondo le proprie competenze. In diversi casi la proposta ed attuazione di soluzioni migliorative delle condizioni di lavoro, pur necessarie e d’obbligo, potranno infatti non essere sufficienti”.

 

E la sfida relativa a questi temi, anche con riferimento alla campagna europea 2016-2017 “ Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età”, di cui PuntoSicuro è media partner, riguarda diversi aspetti:

– “cambiare l’atteggiamento verso l’invecchiamento;

– introdurre l’aggiornamento permanente;

– formare i dirigenti sulle problematiche dell’invecchiamento;

– adattare il lavoro all’età e renderlo più flessibile;

– adattare i servizi sanitari alle esigenze di una popolazione che invecchia”.

Il tutto su “uno sfondo di leggi contro la discriminazione dell’anziano (ndr: assunzioni, licenziamenti…) e di una cultura diffusa ai vari interlocutori”.

 

Insomma la nuova sfida è “adattare il lavoro di fronte al deterioramento dello stato di salute: chi ha bisogno di cure è il lavoro più che il lavoratore” e “occorre una gestione del fattore invecchiamento nei posti di lavoro come compito della gestione del personale, dei dirigenti e supervisori”.

 

Successivamente la relazione si sofferma sull’ergonomia nell’approccio multiplo e sottolinea che se “in un ambiente ed in una organizzazione del lavoro non si tiene conto delle esigenze dell’organismo umano, aumenteranno nel tempo:

– il numero di persone con disturbi, impedimenti o malattie lavoro correlabili;

– i problemi per chi ha impedimenti o disturbi dovuti ad altre cause o all’età con possibili ripercussioni su collocabilità, produttività, reddito, costi aziendali e sociali”.

Se l’approccio ergonomico “tende a progettare o a riprogettare ambienti, attrezzature, metodi ed organizzazioni del lavoro adatte a tutti i lavoratori indipendentemente dall’età”, “non sempre e non dovunque ciò è fattibile o sufficiente. Per questo in diversi Paesi esistono norme o prassi per individuare mansioni adatte al ricollocamento dei lavoratori anziani (ad esempio, ultra45 o ultra55enni)”, per “addestrare il lavoratore anziano oppure per utilizzarlo come formatore di giovani”.

 

Viene presentato un esempio francese e riportate alcune indicazioni tratte da una griglia INSR per “l’identificazione di rischi in una mansione o posto di lavoro che potrebbero dare problemi ai lavoratori anziani o comunque influire sul normale invecchiamento dei giovani” e tratte dalla “Tabella orientativa sulle principali modifiche funzionali nell’invecchiamento fisiologico in età lavorativa” curata dal gruppo di lavoro CIIP sulla scorta di vari materiali.

 

Le indicazioni si soffermano in particolare su capacità visiva, funzione uditiva, apparato locomotore muscolatura, strutture muscolo-tendinee, articolazioni, apparato cardiovascolare, apparato respiratorio, sistema nervoso, disturbi del sonno, termoregolazione, funzioni cognitive, resistenza allo stress, …

 

Ad esempio si indica che le funzioni cognitive “si riducono con l’età soprattutto oltre i 65 ma possono essere compensate da memoria a lungo termine, conoscenze acquisite ed esperienza senza riduzione di prestazione lavorativa”. Si ha poi un “aumento di tempi di reazione”, una riduzione della memoria di lavoro e a breve termine e dell’attenzione solo in attività difficili soprattutto se nuove e alla sera”. Ed è “più facile dimenticare impegni a breve”.

Alcuni orientamenti preventivi o migliorativi sul lavoro:

– “curare i tempi per pensare a compiti complessi e per imparare compiti nuovi come l’informatica”;

– valorizzare le conoscenze acquisite;

– evitare gli open space;

– ridurre multitasking, semplificare;

– curare l’informazione mirata per professionalità evitando inutili sovraccarichi informativi”.

 

Riguardo allo stress e all’impatto dei fattori psicosociali si indica, invece, che la “percezione di stress lavoro correlato cresce fino a 50-55 anni e poi decrescerebbe” (“ma non sempre”).

I lavoratori anziani hanno “maggiori difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti” e sono “più preoccupati da rapporti precari”. Inoltre gli impegni familiari con minori o con anziani avanzati o malati hanno maggior impatto sullo stress percepito”.

 

Questi alcuni orientamenti preventivi o migliorativi tratti dalle slide dell’intervento:

– “misure generali di riduzione dello stress lavoro correlato per tutte le età senza stigmatizzare gli anziani;

– curare flessibilità, maggior autogestione di ritmi e pause, consenso al part time, allontanamento su richiesta dai turni notturni;

– valorizzazione dell’esperienza;

– formazione del lavoratore anziano adeguata all’adulto, in gruppo e in piccole tappe”;

– “curare il clima intergenerazionale”.

 

Rimandando alla lettura integrale delle slide relative all’intervento, che si soffermano anche su altri aspetti, riportiamo alcune conclusioni dell’autore.

 

Si indica che la gestione dell’invecchiamento sul lavoro “è complessa, richiede tempo, si può affrontare con la prevenzione primaria e secondaria ma ciò non è sempre sufficiente: dovremmo farlo sempre presente con i nostri interlocutori pur non abdicando dai nostri ruoli”. E purtroppo nei luoghi di lavoro il problema “è spesso ignorato, ritenuto irrisolvibile, affrontato a volte con appalti, contratti a termine o licenziamenti per vari motivi”.

E occorre, in definitiva, un impegno per affrontare questo tema “proponendo ed attuando miglioramenti di condizioni di lavoro, in generale ed in modo mirato, ove necessari, anche e forse soprattutto in tempi di recessione”.

 

 

“ L’ergonomia nell’approccio multiplo alla gestione dell’invecchiamento nel lavoro”, a cura di Rinaldo Ghersi (md phd eur.erg, SIE, Coordinatore gruppo di lavoro invecchiamento CIIP), intervento al convegno “Invecchiamento e lavoro” (formato PDF, 5.9 MB).

 

 

Tiziano Menduto

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Privacy: tutte le violazioni devono essere segnalate

Nel nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati, una loro violazione è un peccato gravissimo. Di Adalberto Biasiotti.
 

Mentre il precedente decreto legislativo italiano 196/2003 prevedeva la segnalazione all’autorità garante di una violazione o perdita dei dati, solo per particolari categorie di dati, il nuovo regolamento europeo non ammette eccezioni. Tutte le violazioni o perdite devono essere segnalate, a pena di gravi sanzioni. Esaminiamo in profondità un aspetto tecnologico, che molti sistemi informativi, contenenti dati personali, debbono affrontare.

 

 

Tutti sappiamo che una regola fondamentale, nel trattamento informatico dei dati, anche personali, è legata alla costante disponibilità di copie di backup. Tali copie possono essere chiamate in causa rapidamente, in caso di anomalie nel sistema informativo principale.

Per ragioni di spazio, molte di queste copie sono disponibili su nastri magnetici, o meglio su cassette, ad altissima capacità di archiviazione.

 

È del tutto normale che queste cassette, mano a mano che vengono utilizzate o che la loro necessità d’uso diminuisce, vengano immesse sul mercato dell’usato a prezzi competitivi. Ovviamente la condizione essenziale per questa operazione è che i dati siano stati precedentemente cancellati, e qui potrebbero nascere problemi non indifferenti.

 

L’operazione di cancellazione di una cassetta può richiedere molto tempo ed è possibile che il titolare del trattamento, che vuole seguire questo percorso di recupero, non abbia né il tempo né la voglia di provvedere ad una accurata cancellazione, prima che la cassetta venga immessa sul mercato dell’usato.

 

Per questa ragione le autorità governative degli Stati Uniti si sono preoccupate del fatto che  preziosi dati personali, perfino afferenti alla difesa, potessero essere accessibile a soggetti non autorizzati, perché le cassette, su cui i dati erano riversati, non erano state cancellate con sufficiente accuratezza.

 

Ecco perché è stato affidato ad un gruppo di specialisti l’incarico di effettuare delle indagini a campione, per verificare se le regole vigenti in termini di cancellazione dei dati su supporti magnetici venivano rispettate da tutte le aziende governative e gli enti federali coinvolti.

Ma gli ispettori sono andati ancora più in là, perché non si sono accontentati di verificare se i dati erano stati cancellati, ma hanno anche verificato se le tecniche di cancellazione adottate era sufficientemente avanzate, da impedire, con artifizi vari, il recupero dei dati, che si presumevano cancellati.

 

A questo proposito, ricordiamo ai lettori che il NIST – national Institute of standards and technology ha pubblicato delle linee guida proprio mirate a dare precise indicazioni sulle modalità con cui devono essere cancellati in modo affidabile i supporti magnetici.

Usando questi riferimenti, gli ispettori si sono messi all’opera, acquistando sul libero mercato cassette   e supporti magnetici provenienti da diverse agenzie governative e verificandone le condizioni.

 

Come noto, la prima operazione è quella di smagnetizzare il supporto, con una operazione chiamata “degaussing”. In alternativa, una altra tecnica di cancellazione si chiama “overwriting”, vale a dire sovrascrittura di dati esistenti con altri dati.

I test condotti dagli specialisti informatici non hanno consentito di recuperare dati, utilizzando apparecchiature di normale disponibilità in commercio, nonché apparecchiature diagnostiche specializzate, utilizzate anche in fase di analisi criminologiche di sistemi informativi.

 

Per la verità, qualche volta è stato possibile recuperare dei dati, ma essi erano alterati in modo tale da non essere praticamente utilizzabili e quindi il dettato circa la irrecuperabilità di dati, aventi un qualunque valore per l’utente, è stato rispettato.

 

Gli ispettori hanno tuttavia sottolineato il fatto che essi hanno utilizzato apparecchiature oggi correntemente disponibili, ma l’esperienza ha già insegnato, in passato, che con il passare del tempo vengono messi a disposizione strumenti sempre più efficienti ed efficaci, che potrebbero riuscire a “schiodare” anche dei nastri, che con le tecniche odierne risulterebbero del tutto cancellati.

 

Ecco la ragione per la quale gli ispettori hanno raccomandato di tenere sempre sotto pressione i responsabili informatici, in modo che le regole vigenti in tema di cancellazione dei dati siano sempre rispettate, ma hanno anche raccomandato di tenere sott’occhio la evoluzione tecnologica  di questa famiglia di apparati, perché ciò che  è difficile oggi, potrebbe diventare più facile  tra non molto.

 

Nel frattempo, mi auguro che i lettori abbiano fatto buon uso di questa notizia, effettuando rapidamente una verifica sulle procedure che essi utilizzano per la cancellazione dei dati su supporti magnetici, prima di rimetterli sul mercato, onde evitare che il titolare del trattamento possa domani essere esposto a gravissime responsabilità, ove la cancellazione dei dati non sia avvenuta nel rispetto della regola d’arte.

 

Adalberto Biasiotti

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it