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I quesiti sul decreto 81: più ruoli in uno stesso cantiere?

Sulla possibilità di svolgere contestualmente le attività di direttore tecnico di cantiere, di direttore dei lavori e di coordinatore per l’esecuzione dei lavori. A cura di Gerardo Porreca.
Quesito

Possono essere svolte contestualmente in un cantiere temporaneo o mobile le attività di direttore tecnico di cantiere, di direttore dei lavori e di coordinatore per la sicurezza in esecuzione? E se sì non si possono in tal caso verificare dei contrasti fra le eventuali decisioni che deve assumere il direttore dei lavori per quanto riguarda l’organizzazione del cantiere rispetto all’operato proprio del direttore tecnico di cantiere e del coordinatore della sicurezza che tutelano altri interessi di natura diversa?

 

 

Risposta

E’ un quesito questo che ritorna sul tema della compatibilità fra le varie attività tecniche e di sicurezza che vengono svolte nei cantieri temporanei o mobili quali quella del direttore dei lavori, del direttore tecnico di cantiere e del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE), un tema ricorrente in quanto evidentemente si tende a concentrare in un unico soggetto lo svolgimento delle diverse attività e del quale ci si è già occupati in passato in risposta ad altri quesiti. E’ questa comunque l’occasione di sintetizzare le osservazioni che sono state svolte in quelle circostanze e di richiamare i limiti e gli obblighi che le disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro hanno voluto imporre in merito.

 

Il direttore tecnico del cantiere è un soggetto che opera per conto del datore di lavoro di un’impresa esecutrice al quale la stessa ha affidata la direzione della organizzazione tecnica del cantiere, soggetto che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., è  considerato un dirigente così come definito nell’art. 2 comma 1 lettera d)  dello stesso decreto. I coordinatori per la sicurezza nella fase di progettazione e di esecuzione dei lavori sono quei tecnici ai quali il committente di un’opera edile affida la progettazione della sicurezza del cantiere da installare per l’esecuzione dell’opera edile stessa con l’obbligo di redigere il piano di sicurezza e di coordinamento nonché di controllare l’attuazione dello stesso e l’applicazione nel cantiere delle disposizioni in materia di salute e di  sicurezza sul lavoro.

 

Il direttore dei lavori è invece una figura professionale scelta dal committente, in base alle opere da eseguire ed al titolo professionale richiesto dalle normative vigenti per l’esecuzione di tali opere, con lo scopo di seguire la corretta esecuzione delle opere in cantiere e di sorvegliare che vengano rispettati il progetto e la regola dell’arte. Quest’ultimo verifica, attraverso visite periodiche in cantiere, che tutte le indicazioni del progetto siano attuate correttamente impartendo, anche per iscritto, le necessarie disposizioni alle imprese esecutrici. La direzione dei lavori però non comprende, a meno che non viene specificatamente indicato nell’incarico, la gestione della sicurezza nel cantiere per la quale i responsabili sono invece, ciascuno per la parte di propria competenza, il committente, il responsabile dei lavori, il coordinatore in fase di esecuzione nonché i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti delle imprese esecutrici. Il direttore dei lavori non ha l’obbligo della formazione specifica in materia di salute e di sicurezza sul lavoro nei cantieri edili, obbligo che è invece posto a carico della figura dei coordinatori per la sicurezza alla luce dell’art. 98 comma 2 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i..

 

(…)

 

 

La risposta completa è disponibile per gli abbonati in area riservata:

 

 

Ing. Gerardo Porreca – I quesiti sul decreto 81 – Sulla possibilità di svolgere contestualmente le attività di direttore tecnico di cantiere, di direttore dei lavori e di coordinatore per l’esecuzione dei lavori.

 

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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L’importanza della postazione di lavoro nel lavoro d’ufficio

Un documento si sofferma sulla tutela della salute e sicurezza nelle attività d’ufficio. Focus sulla postazione di lavoro con riferimento a piano di lavoro, sedile, schienale, schermo, tastiera e mouse. La corretta postura al videoterminale.
Roma, 16 Nov – Nelle scorse settimane ci siamo soffermati più volte sul tema della tutela della salute e sicurezza negli uffici attraverso i contenuti del documento “ La sicurezza in ufficio”, prodotto dall’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione dell’ Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e pubblicato sul portale dell’Ateneo.

 

Un documento che sottolinea come per gli uffici sia necessaria una corretta applicazione dei principi dell’ergonomia, la disciplina che ha per oggetto il rapporto tra l’uomo e la prestazione lavorativa, e una idonea progettazione dell’ambiente e della postazione di lavoro.

 

 

E dopo aver affrontato, in un precedente articolo, alcuni importanti parametri fisici (illuminazione, qualità dell’aria indoor e microclima) che possono influire nel rapporto uomo/lavoro, arriviamo oggi a parlare direttamente della collocazione e progettazione della postazione di lavoro (scrivania, sedile, PC, telefono, stampanti, fax, …).

 

Il documento ricorda che la postazione di lavoro “deve essere collocata, in modo da tener conto di superfici finestrate e di lampade o di superfici riflettenti che potrebbero creare fenomeni di riflesso o di abbagliamento diretto o indiretto, responsabili dell’affaticamento visivo”. In un precedente articolo ci siamo già soffermati sulle differenze tra abbagliamento diretto (ad esempio per la presenza di finestre, superfici luminose o lampade non schermate), abbagliamento indiretto (ad esempio per il riflesso dovuto alla presenza di superfici lucide riflettenti) e abbagliamento per contrasto tra superfici illuminate e ambienti scuri (ad esempio con riferimento ad un segnale luminoso in un ambiente buio).

 

La pubblicazione dell’Ateneo riporta poi i principali requisiti che devono possedere i vari elementi della postazione.

 

Iniziamo dal piano di lavoro:

– “deve avere una superficie a basso indice riflettente ed essere stabile;

– deve avere una dimensione sufficiente per permettere una disposizione flessibile dello schermo, della tastiera e del materiale accessorio;

– l’altezza da terra deve essere indicativamente compresa tra 70 e 80 cm, per consentire l’alloggiamento e il movimento degli arti inferiori, nonché l’ingresso del sedile e dei braccioli, se presenti;

– la profondità deve assicurare un’adeguata distanza visiva dallo schermo”.

 

Altri elementi da analizzare sono il sedile, lo schienale e il poggiapiedi.

 

Il sedile deve:

– “essere stabile;

– avere un’altezza regolabile indipendentemente dallo schienale;

– essere dotato di un meccanismo girevole per facilitare i cambi di direzione;

– permettere all’utilizzatore libertà nei movimenti e una posizione comoda;

– avere dimensioni della seduta adeguate alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore;

– avere un meccanismo girevole per facilitare i cambi di posizione e deve poter essere facilmente spostabile secondo le necessità dell’utilizzatore”.

E in particolare lo schienale deve:

– “assicurare un adeguato supporto alla regione dorso-lombare dell’utente;

– essere adeguato alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore, con altezza e inclinazione regolabili;

– consentire all’utilizzatore delle regolazioni per fissare lo schienale nella posizione selezionata;

– sia lo schienale che la seduta, devono avere bordi smussati ed essere costituiti da materiali traspiranti e pulibili”.

 

Si ricorda poi che il poggiapiedi deve “essere messo a disposizione di coloro che lo desiderano, per poter assumere una postura adeguata agli arti inferiori”. E non deve “potersi spostare durante l’uso”.

 

Riportiamo le indicazioni su schermo/monitor, tastiera e mouse.

 

Si indica che lo schermo deve poter garantire:

– “una buona definizione dell’immagine;

– un’immagine stabile, senza sfarfallamento o tremolio;

– un’orientabilità e inclinabilità per essere adeguata alle esigenze dell’utilizzatore;

– una forma chiara e una grandezza sufficiente dei caratteri, con adeguato spazio tra di essi;

– un corretto contrasto di luminosità tra i caratteri e lo sfondo dello schermo;

– il contrasto deve essere facilmente regolabile per l’adattamento alle condizioni ambientali;

– l’assenza di riflessi o riverberi che possono causare disturbi all’utilizzatore durante lo svolgimento della propria attività”.

 

Inoltre la tastiera deve:

– “essere separata dallo schermo e facilmente regolabile;

– essere dotata di un meccanismo che consenta di variare la pendenza per consentire al lavoratore una posizione tale da non provocare affaticamento alle braccia e alle mani;

– avere una superficie opaca per evitare i riflessi;

– i simboli dei tasti devono presentare sufficiente contrasto ed essere leggibili”.

E il mouse o gli eventuali altri dispositivi di puntamento “devono essere posti sullo stesso piano della tastiera, in posizione facilmente raggiungibile e disporre di spazio adeguato per il loro uso”. Mentre i documenti di lavoro devono essere posti “in modo tale da ridurre al minimo i movimenti della testa e degli occhi (la tastiera, il documento e il video devono essere vicini tra loro e circa alla stessa distanza dagli occhi)”. E l’eventuale supporto per i documenti “deve essere stabile e regolabile”.

 

Riguardo i requisiti della postazione di lavoro, il documento riporta, in conclusione, alcune utili indicazioni sulla corretta postura al videoterminale (VDT) che possono favorire la prevenzione dei disturbi all’apparato muscolo scheletrico:

– “spalle rilassate e schiena dritta;

– spazio del piano di lavoro davanti alla tastiera sufficiente a consentire l’appoggio di mani e avambracci (distanza della tastiera dal bordo della scrivania di circa 20 cm);

– schienale regolato in modo da fornire il corretto sostegno della zona dorso lombare;

– altezza del piano di seduta che consenta il pieno appoggio a terra dei piedi;

– eventuale pedana poggiapiedi;

– gambe piegate in modo da formare un angolo di circa 90°;

– parte superiore dello schermo all’altezza degli occhi e sguardo perpendicolare al monitor ad una distanza compresa tra i 50 e i 70 cm”.

Nel documento, che vi invitiamo a visionare integralmente, sono riportate immagini esplicative e indicazioni sulla normativa vigente per i videoterminalisti.

 

Si indica, infine, che l’impiego prolungato di computer portatili “necessita della disponibilità di una tastiera e di un mouse o altro dispositivo di puntamento esterni, nonché di un idoneo supporto che consente il corretto posizionamento dello schermo”.
Università degli Studi di Roma – La Sapienza, “ La sicurezza in ufficio”, documento a cura dell’Ufficio Speciale Prevenzione e Protezione dell’Ateneo, Collana “Cultura della sicurezza”, Quaderno informativo n.  16, Edizione 2014 (formato PDF, 6.78 MB).

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sulla prevenzione dei rischi negli uffici

 

 

RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it

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I rischi per la salute degli operatori dei corpi di polizia

Un argomento trattato al congresso SIMLII: i rischio nelle Forze di Polizia.
 

In relazione ai rischi per la salute degli operatori dei corpi di polizia, riportiamo un approfondimento pubblicato sulla Newsletter dell’Inca CGIL – Numero 30/2016, che presenta un argomento trattato al congresso SIMLII.

 

 

Congresso SIMLII: i rischi per la salute degli Operatori dei Corpi di Polizia

Al recente Congresso Nazionale della SIMLII la Medicina del lavoro è tornata, dopo oltre un decennio dal 2004 , ad affrontare il tema dei rischi per la salute nelle Forze di Polizia. Per far questo si  è partiti da una analisi della letteratura scientifica che indica come le forze di polizia siano state oggetto prevalentemente di studi episodici, a carattere descrittivo o di indagini trasversali su campioni di convenienza. Sono molto scarsi gli studi longitudinali o quelli condotti su campioni randomizzati. Tuttavia, l’efficacia di queste indagini, pur limitata, è sufficiente ad illustrare un quadro di sicuro interesse per la medicina del lavoro.

 

In  molti paesi, i poliziotti  non sono sottoposti a sorveglianza sanitaria ma solo ad una visita medica all’assunzione. Anche se la selezione all’ingresso garantisce un significativo  “effetto lavoratore sano”, lo stato di salute dei poliziotti si deteriora più rapidamente  di quello della popolazione generale. Si registra un rischio significativamente  elevato di disturbo  da stress post-traumatico, di stress cronico, di sindrome metabolica, di malattie cardiovascolari e di depressione.

 

Benché durante il servizio gli operatori segnalino solo raramente problemi di salute mentale, l’uscita dal servizio avviene  soprattutto per malattie  mentali (come ricordato nel 2011 da Sommerfield). Paradossalmente, però,  i poliziotti generalmente non cercano aiuto medico-psichiatrico ed infatti la frequenza di visite specialistiche richieste da poliziotti è significativamente  inferiore  a quella della popolazione generale e per lo più finalizzata a curare sintomi come l’eccessiva stanchezza o la difficoltà di dormire piuttosto che a diagnosticare o trattare disturbi mentali /o di comportamento.

 

Non sorprende in questo quadro che i poliziotti siano una categoria ad alto rischio di suicidio. Questo ultimo aspetto è uno dei più stigmatizzati e dei meno studiati  pur se disponiamo di dati che fotografano la realtà di singoli paesi a partire da quelli francesi. La Polizia italiana  è l’unica tra quelle  dei grandi paesi europei ad avere reso noti i dati (vedi Carrer e Garbarino. “Lavorare in Polizia. Stress e burnout “. Franco Angeli Editore 2015),

 

Tra il 1999 ed il 2012 si contano 137 suicidi, un numero  prossimo a quello degli agenti uccisi  da criminali o deceduti in servizio che sono stati nello stesso periodo 147. Il tasso  di suicidi nella polizia è più alto di quello  della popolazione generale italiana. Oltre il 90% dei casi fa uso dell’arma di ordinanza. Alla base di ogni caso di suicidio vi è sempre una  sofferenza così lacerante  da far ritenere che la morte possa essere preferibile alla vita.

 

Altri temi importanti nell’ambito delle forze dell’ordine sono dati dalla sindrome metabolica, cioè l’associazione  di dislipidemia, ipertensione, obesità ed intolleranza glucidica ed il rischio cardiovascolare  ad essa associato,  i disturbi del sonno e dell’eccessiva sonnolenza diurna  e dallo stress. Nell forze dell’ordine,  più che in altri settori lavorativi, si deve continuamente verificare non solo lo stato di salute dei lavoratori ma anche la loro  capacità di rispondere in modo efficace  ed in piena sicurezza a stimoli esterni che possono essere previsti solo stocasticamente.

 

Su questa base è stato proposto di sottoporre gli operatori di polizia ad una sorveglianza sanitaria con controlli periodicamente programmati e con uno spiccato orientamento alla promozione della salute. L’introduzione della valutazione del rischio, a seguito del recepimento delle direttive comunitarie,  ha portato ad un sensibile ampliamento del numero degli Operatori dei Corpi di Polizia (OCP) sorvegliati più ancora che dello spettro delle attività tutelate. Oggi un cospicuo numero di OCP è sottoposta a sorveglianza sanitaria obbligatoria, anche se i rischi professionali, in virtù dei quali tale sorveglianza sanitaria è istituita, sono, nella grande maggioranza dei casi, l’attività al videoterminale, il rischio chimico correlato all’attività dei gabinetti di polizia scientifica ed il rumore (vedi grafico sottostante). Si tratta dunque di rischi comuni a grande parte della popolazione lavorativa sorvegliata ai sensi del D.Lgs 81 senza riferimento alle specificità del settore.

 

Un simile approccio, si legge nel testo SIMLII, “non appare quindi ancora adeguato a quelli che sono considerati in tutto il mondo i rischi professionali principali per gli OCP, con particolare riferimento allo stress, e alle possibili ricadute soprattutto in termini di disturbi psichici, di malattie cardiovascolari e di problemi muscoloscheletrici, cognitivi e comportamentali, fortemente correlati al fenomeno infortunistico”.

 

Il rischio infortunistico, di entità rilevante e prioritariamente riconducibile agli ineliminabili contenuti dell’attività lavorativa, può essere incrementato da altri fattori, quali il lavoro a turno e notturno, lo stress correlato ad eventi critici acuti e cronici, l’invecchiamento della popolazione lavorativa, la fatica, il non corretto collocamento in una determinata mansione. Inoltre, anche relativamente a mansioni che comportano l’esposizione a fattori di rischio espressamente previsti dalla normativa vigente, vi è spesso una intrinseca difficoltà nel definire con sufficiente precisione intensità e durata dell’esposizione. Difatti, determinati compiti possono comportare livelli di rischio molto diversi, in rapporto all’impegno concreto e alle dinamiche che ne possono derivare.

 

 

Fonte: INCA

 

 

 

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Imparare dagli errori: come proteggere il corpo dalle lesioni da taglio

Esempi di infortuni correlati al mancato o errato uso di indumenti di protezione da puntura o taglio per il corpo. Infortuni durante l’uso di coltelli e di seghe portatili a catena. Le dinamiche degli infortuni e le protezioni per il corpo.
 

Brescia, 17 Nov – Sono diversi gli ambiti lavorativi in cui si utilizzano coltelli (ad esempio mattatoi, lavorazione di carne e pesce, ristorazione, settore cartario, tessile e del pellame, …) e che espongono, pertanto, i lavoratori al rischio di lesioni da taglio e da punta. E lesioni da taglio, con conseguenze gravi e mortali, possono essere provocate, anche in altri settori lavorativi, da attrezzature da lavoro come la motosega.

 

Ne parliamo nella seconda puntata dedicata alla protezione del corpo del lungo viaggio di “ Imparare dagli errori”, la rubrica che PuntoSicuro dedica al racconto e all’analisi degli infortuni, attraverso le conseguenze dell’uso errato o mancato dei dispositivi di protezione nei luoghi di lavoro.

 

Come sempre le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

 

I casi

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto in un supermercato.

Un’addetta al banco salumeria di un supermercato è intenta a disossare un prosciutto.

Con la mano sinistra tiene il prosciutto e con la mano destra impugna il coltellino da disosso. Mentre agisce con forza con il coltellino per liberare la carne dall’osso improvvisamente le sfugge il coltello che la ferisce all’addome, “causandole un emiperitoneo da ferita penetrante in addome con prognosi riservata”.

È stato successivamente rilevato che la lavoratrice non indossava il previsto grembiule a maglia metallica.

 

Questi i fattori causali:

– alla lavoratrice “per un movimento incoordinato le sfuggiva il coltello”;

– “mancato utilizzo del grembiule a maglia metallica”.

 

Il secondo caso riguarda un infortunio avvenuto durante l’uso di una motosega.

Un lavoratore, mentre si trova ad operare lungo un pendio, scivola azionando inavvertitamente il comando di avvio della lama della motosega già accesa che tiene in mano.

La lama motosega lo ferisce alla coscia sinistra procurandogli una vasta ferita lacero contusa. La motosega, del tipo a motore a combustione, è dotata di “comando a uomo presente” che è entrato in funzione quando l’infortunato ha lasciato la presa.

Durante l’operazione “l’infortunato non indossava, per cause imprecisate, la salopette antitaglio fornitagli dal datore di lavoro. Forse la salopette era bagnata o l’infortunato non ha ritenuto di indossarla in quanto inizialmente si è occupato di fare pulizia e non di effettuare tagli”.

 

Questi i fattori causali rilevati:

– il lavoratore “non spegneva la motosega e nella caduta avviava involontariamente la lama;

– mancanza di tuta protettiva antitaglio”.

 

La prevenzione

Per avere qualche suggerimento relativo alla prevenzione negli ambiti lavorativi in cui si usano coltelli e in cui c’è il rischio di lesioni possiamo fare riferimento al progetto multimediale Impresa Sicura – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail – che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. Progetto che ha prodotto, tra le altre cose, anche una raccolta dettagliata di informazioni sui Dispositivi di Protezione Individuale nel documento “ ImpresaSicura_DPI”.

 

Nel documento si forniscono informazioni per la scelta degli indumenti di protezione da puntura o taglio per il corpo; ad esempio “grembiuli di protezione, pantaloni e giubbetti, con livello di prestazione 1 nelle attività lavorative leggere, laddove non occorrono movimenti energici di taglio verso il corpo, e con livello di prestazione 2 dove si utilizzano coltelli a lama stretta per azioni di taglio in cui la punta del coltello non è diretta verso il corpo, come, ad esempio, nei mattatoi e nelle operazioni di disossamento e nelle industrie di lavorazione”.

I DPI con livello di prestazione 2 “sono indicati quando si utilizzano coltelli a lama larga in azioni in cui la punta del coltello potrebbe essere diretta verso il corpo”.

 

Si indica poi che i protettori del corpo per gli utilizzatori di coltelli devono essere:

– innocui: “in particolare devono essere privi di componenti duri o appuntiti e di superfici ruvide che possano causare abrasioni, contusioni, irritazioni, punture o tagli a un utilizzatore che venga a contatto con essi”;

– ergonomici”.

In particolare il materiale degli indumenti di protezione contro la puntura o il taglio dei coltelli è “progettato per resistere alla penetrazione dei coltelli a mano. Generalmente è una maglia di catena metallica, ma possono essere anche piastre, sempre metalliche, collegate tra loro. Il materiale può essere anche diverso, ma la funzione rimane la stessa”.

Inoltre gli indumenti protettivi assicurano la:

– protezione del busto e della coscia;

– protezione degli arti superiori e delle mani (2a Categoria)”.

 

Si segnala poi che i grembiuli e i corpetti che proteggono il busto sono DPI di 3a Categoria e si individuano le seguenti tipologie:

– grembiule semplice: “copre la parte anteriore del corpo, dal torace alle gambe. Le bretelle sono regolabili in altezza, non ci sono estremità libere non fissate e i mezzi di regolazione sono inamovibili. Nel caso di grembiuli con livello di prestazione 2 le bretelle devono essere sufficientemente larghe e regolabili al fine di rendere meno pesante il grembiule;

– grembiule diviso: la superficie di protezione è divisa verticalmente nella regione della coscia e limitata a ciascuna è appropriato in caso di movimenti frequenti con piegamento del busto o dei piedi e delle gambe;

– pantaloni di protezione: capo di abbigliamento indossato sotto la cintura e provvisto di due gambali separati; è appropriato per lavoratori che indossano ginocchiere (es: posa dei pavimenti);

– giubbetto di protezione: capo di abbigliamento indossato sul busto che copre il torace almeno fino alla cintura, le spalle e in parte la zona alta delle braccia; è appropriato per lavoratori che utilizzano coltelli lavorando a livello della parte superiore del torace e più in alto”.

 

Il documento fornisce infine anche informazioni sulla protezione per gli utenti di seghe portatili a catena, note con il nome di “motoseghe”, utilizzate nei settori agricolo e forestale.

 

Benché nessun dispositivo di protezione individuale “può garantire al 100% una protezione da taglio di una sega a catena portatile”, l’esperienza ha comunque dimostrato che “è possibile progettare dispositivi di protezione che offrano un certo grado di protezione, come gli indumenti a:

– protezione delle gambe e del corpo con tuta antitaglio (il tessuto intasa la catena) o pantaloni o ghette;

– protezione delle mani con guanti antitaglio ed eventualmente antivibrazioni per lo smorzamento delle vibrazioni al ‘sistema mano-braccio’”.

 

 

Sito web di INFOR.MO.: nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 995 e 1199.

 

 

 

Tiziano Menduto

 

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Fonte: puntosicuro.it

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L’impianto del nuovo accordo RSPP: esonero, docenti e attestazioni

Un intervento presenta l’impianto del nuovo Accordo del 7 luglio 2016 sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Focus sulle fonti normative, sui titoli di studio per l’esonero dai corsi, sui requisiti dei docenti e sulle attestazioni.
 

Bari, 17 Nov – Sicuramente una delle novità normative più rilevanti del 2016 è rappresentato dal nuovo “ Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni”, approvato il 7 luglio 2016 in sede di Conferenza Stato-Regioni. Un accordo che deve la sua rilevanza anche alle modifiche che riguardano anche i percorsi formativi di altri protagonisti, oltre a RSPP e ASPP, della sicurezza aziendale.

 

In attesa di sapere quali potrebbero essere le future precisazioni/modifiche dell’accordo, parzialmente anticipate in una recente nostra intervista a Donato Lombardi, una delle persone che ha coordinato il lavoro di revisione del precedente accordo del 2006, è bene riepilogare le novità dell’accordo e approfondire anche alcuni aspetti meno conosciuti.

 

 

Per farlo facciamo riferimento ad un convegno organizzato dal sito porreca.it, con la collaborazione di Aias e Consorzio Silea Isforp, sul tema “Formazione, Giurisprudenza, Appalti Pubblici e Antincendio. Novità e aggiornamento tecnico-normativo”. Convegno che si è tenuto a Bari il 12 settembre 2016 e che ha presentato un aggiornamento tecnico-normativo in particolare su tre temi: le innovazioni introdotte in materia di formazione degli operatori di sicurezza, gli appalti pubblici e le novità in materia antincendio.

 

Ci soffermiamo oggi in particolare sull’intervento – a cura dell’Ing. Gerardo Porreca, esperto in materia di salute e sicurezza sul lavoro e collaboratore da molti anni del nostro giornale – dal titolo “L’impianto del nuovo Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.

 

Rimandando ad un prossimo articolo l’analisi delle “disposizioni integrative e correttive alla disciplina della formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro” (contenute nel Punto 12 dell’Accordo), presentiamo oggi alcuni aspetti e alcune novità relative alla formazione degli RSPP e ASPP.

 

L’intervento si sofferma su fonti e precedenti normativi, a partire, ad esempio dal D.Lgs. 626/1994 e dal D.Lgs. 195/2003, passando per i due accordi del 2006 (abrogati dal nuovo Accordo):

– Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome attuativo del D. Lgs. n. 195/2003 integrativo del D. Lgs. n. 626/1994 sulla formazione degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (l’Accordo del 26 gennaio 2006);

– Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome contenente le linee guida interpretative dell’Accordo in seno alla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 26/1/2006.  E si ricorda che il Punto 2.7 (Sperimentazione) dell’Accordo del 26 gennaio 2006 in cui si indicava che “in considerazione del processo molto impegnativo di formazione specialistica” si conveniva che le Regioni, in sede di autocoordinamento, avviassero una sperimentazione che consentisse di testare il nuovo impianto informativo per gli eventuali adeguamenti in sede Conferenza Stato-Regioni. Una sperimentazione che avrebbe avuto durata biennale.

Sono poi passati diversi anni, si è arrivati al Decreto legislativo 81/2008 – di cui Porreca riporta i vari punti che fanno riferimento alla formazione RSPP/ASPP e agli accordi Stato-Regioni – e si è ravvisata la “necessità di procedere ad una revisione dell’Accordo sulla formazione degli RSPP e ASPP del 26/1/2006 in quanto non più coerente con:

– il D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.,

– gli Accordi sulla formazione dei datori di lavoro RSPP e dei lavoratori del 21/12/2011;

– l’Accordo sull’uso delle particolari attrezzature di lavoro del 22/2/2012”.

 

Entriamo nel dettaglio di alcuni punti del nuovo Accordo del 7 luglio 2016 entrato in vigore il 3 settembre 2016.

 

L’intervento si sofferma, ad esempio, sui titoli di studio validi ai fini dell’esonero dalla frequenza ai corsi di formazione (Punto 1 dell’Accordo) e ricorda che già l’art. 32 del D. Lgs. 81/2008 sui requisiti professionali degli RSPP e ASPP al comma 5 riporta “l’elenco delle lauree i cui possessori sono esonerati dalla frequenza dei moduli A e B dell’Accordo Stato-Regioni del 26/1/2006 fermo restando che gli stessi per svolgere l’attività di RSPP devono comunque frequentare il modulo C”. E nell’ultimo periodo del comma 5 si indica che ‘ulteriori titoli di studio possono essere individuati in sede di Conferenza Stato-Regioni’.

 

E in attuazione di quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5, si riportano le “ulteriori lauree che esonerano dalla frequenza dei moduli A e B:

– laurea magistrale conseguita in una delle seguenti Classi: LM-4, da LM-20 a LM 25, da LM 27 a LM- 35 di cui al decreto del MIUR del 16 marzo 2007,

– laurea specialistica conseguita nelle seguenti Classi: 4/S, da 25/S a 38/S di cui al decreto del MIUR del 28 novembre 2000,

– laurea magistrale conseguita nella Classe LM/SNT 4 di cui al decreto del MIUR del 8 gennaio 2009,

– laurea conseguita nella Classe L/SNT 4 di cui al decreto del MIUR del 19 febbraio 2009,

– laurea del vecchio ordinamento di Ingegneria ed Architettura, conseguiti ai sensi del Regio Decreto 30 settembre 1938, n.1652.

E costituiscono altresì titolo di esonero dalla frequenza dei Corsi (moduli A-B-C) previsti nell’Accordo del 7/7/2016:

– “il possesso di un Certificato universitario attestante il superamento di uno o più esami relativi ad uno o più insegnamenti specifici del corso di laurea nel cui programma siano presenti i contenuti previsti nell’Accordo del 7/7/2016;

– il possesso di un attestato di partecipazione ad un corso Universitario di specializzazione, perfezionamento o master i cui contenuti e le relative modalità di svolgimento siano conformi ai contenuti nell’Accordo del 7/7/2016”.

Ricordiamo che nell’Accordo è presente un “elenco delle classi di laurea per l’esonero dalla frequenza ai corsi di formazione di cui all’art. 32, comma 2 primo periodo, del d.lgs. n. 81/2008”.

 

La relazione si sofferma anche sull’individuazione dei soggetti formatori e il sistema di accreditamento (Punto 2) e riporta le novità relative ai requisiti dei docenti (punto 3).

Infatti ora i corsi devono essere tenuti da docenti in possesso dei requisiti previsti dal Decreto interministeriale del 6 marzo 2013, decreto emanato in attuazione dell‘articolo 6 comma 8 lettera m-bis del D.Lgs. 81/2008.

Inoltre (Punto 4) per ciascun corso il soggetto formatore dovrà:

  1. a) “indicare il responsabile del progetto formativo, che può essere individuato tra i docenti dello stesso corso;
  2. b) indicare i nominativi dei docenti;
  3. c) ammettere un numero massimo di partecipanti ad ogni corso, nel limite di 35 soggetti;
  4. d) tenere il registro di presenza dei partecipanti;
  5. e) verificare la frequenza del 90% delle ore di formazione previste, ai fini dell’ammissione alla verifica dell’apprendimento”.

 

Non ci soffermiamo sul punto centrale dell’Accordo, più volte affrontato nei nostri articoli, relativo all’articolazione, obiettivi e contenuti del percorso formativo, cioè alle novità dei tre moduli A, B e C, né sul riconoscimento della formazione pregressa e sull’aggiornamento (Punto 9 e 10).

 

Invece ricordiamo il Punto 11 relativo alle attestazioni.

Si indica che gli attestati “vengono rilasciati dai soggetti formatori che provvedono alla custodia/archiviazione, anche su supporti informatici, della documentazione relativamente a ciascun corso”. E gli attestati “devono prevedere i seguenti elementi minimi:

  1. a) denominazione del soggetto formatore;
  2. b) dati anagrafici del partecipante al corso;
  3. c) specifica della tipologia di corso seguito con indicazione del corso frequentato e indicazione della durata (nel caso dei Moduli B e necessario indicare: Modulo B comune e/o Moduli di specializzazione);
  4. d) periodo di svolgimento del corso;
  5. e) firma del soggetto formatore”.

Inoltre le Regioni e Province autonome “riconoscono reciprocamente gli attestati rilasciati nei rispettivi territori. Presso il soggetto formatore deve essere conservato per almeno 10 anni il ‘Fascicolo del corso’ contenente:

– dati anagrafici del partecipante;

– registro del corso recante un elenco dei partecipanti (con firme), il nominativo e firma del docente o, se più di uno, dei docenti, i contenuti, l’ora di inizio e di fine, la documentazione relativa alla verifica di apprendimento”.

 

Ricordando che torneremo sull’intervento di Porreca con un secondo articolo dedicato alle modifiche dei percorsi formativi di altri “attori” della sicurezza aziendale, a partire dagli stessi lavoratori, concludiamo segnalando le disposizioni transitorie dell’ Accordo del 7 luglio 2016.

Si indica che “in fase di prima applicazione e comunque non oltre dodici mesi dall’entrata in vigore dell’Accordo del 7/7/2016 (e cioè entro il 3/9/2017), possono essere avviati corsi di formazione per RSPP e ASPP rispettosi dell’accordo Stato-Regioni del 26/1/2006”.

 

 

“ L’impianto del nuovo Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016 sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”, a cura dell’Ing. Gerardo Porreca, esperto in materia di salute e sicurezza e Amministratore del sito porreca.it, intervento al convegno “Formazione, Giurisprudenza, Appalti Pubblici e Antincendio. Novità e aggiornamento tecnico-normativo” (formato PDF, 777 kB).

Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni  e le province autonome  di  Trento e Bolzano – Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Link alla registrazione video del convegno.

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

 

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Non è un DVR per vecchi

Sulla necessità di adeguare il documento di valutazione dei rischi ai fattori individuali.
 

La prevenzione degli infortuni sul lavoro, dei problemi di salute e delle malattie professionali, deve essere l’obiettivo principale di qualunque piano di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Nel contesto dell’ invecchiamento della forza lavoro è fondamentale la prevenzione durante l’intera vita professionale, perché la salute delle persone in età avanzata è influenzata, tra l’altro, dalle condizioni di lavoro negli anni precedenti. I giovani lavoratori di oggi sono i lavoratori anziani di domani. È essenziale, al di là del precetto normativo, adottare un approccio olistico alla gestione della salute e sicurezza sul lavoro, considerando il luogo di lavoro nel suo complesso nonché tenendo conto e occupandosi di tutti i fattori che possono avere un’influenza più o meno determinante. Questi includono la conciliazione tra vita professionale e familiare, la formazione e l’apprendimento permanente, lo sviluppo della carriera, la motivazione e la leadership. Un esempio di approccio olistico nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro è il concetto di capacità lavorativa. La capacità lavorativa è l’equilibrio tra le esigenze lavorative e le risorse individuali e tiene conto anche del contesto esterno al luogo di lavoro, compresa la famiglia e la società.

 

 

Il contenuto, il carico e l’organizzazione del lavoro, nonché l’ambiente di lavoro e la comunità influiscono sulle esigenze lavorative, mentre le risorse individuali dipendono da salute, capacità funzionali, competenze, valori, atteggiamenti e motivazione. La leadership può influire sia sulle esigenze di lavoro che sulle risorse individuali, attraverso la motivazione e la promozione di un atteggiamento positivo e di valori solidi. Pertanto, la leadership svolge un ruolo importante nel bilanciare le esigenze di lavoro e le risorse degli individui. Il concetto di capacità lavorativa suggerisce la necessità di una sinergia nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro tra le figure responsabili ed individuate dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i., che tenga conto di tutti gli aspetti che influiscono sul lavoro. La promozione di una buona capacità lavorativa richiede una buona leadership, la partecipazione dei lavoratori e la cooperazione tra il datore di lavoro o la dirigenza e i lavoratori e i loro rappresentanti.

 

Valutazione dei rischi sensibile alla diversità

La valutazione dei rischi è un primo passo indispensabile per prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La legislazione relativa alla salute e sicurezza richiede che i datori di lavoro svolgano valutazioni dei rischi e sottolinea l’esigenza di «adattare il lavoro all’individuo» e l’obbligo per il datore di lavoro di «predisporre una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro, inclusi i rischi riguardanti i gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari» e stabilisce che «i gruppi a rischio particolarmente esposti devono essere protetti dagli specifici pericoli che li riguardano». La diversità e la sua gestione sul posto di lavoro sono attualmente questioni importanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro: tant’è che per più rischi è riportato l’obbligo di una valutazione che tenga conto dei cosiddetti “fattori individuali di rischio”. La valutazione del rischio in funzione dell’età dovrebbe prendere in considerazione le

differenze tra gli individui, comprese le potenziali differenze nella capacità funzionale e nello stato di salute, oltre alle disabilità e alle problematiche legate al genere. Nel caso dei lavoratori giovani, occorre prendere in considerazione il loro sviluppo fisico e intellettuale, l’immaturità e la mancanza di esperienza. Nel caso dei lavoratori in età avanzata, occorre prestare maggiore attenzione alle situazioni che possono essere considerate a rischio maggiore, come il lavoro a turni, gli impieghi con un carico di lavoro fisico elevato e il lavoro in condizioni di caldo e freddo.

 

Tuttavia, i lavoratori più anziani non sono un gruppo omogeneo e le differenze di capacità funzionale e salute tra gli individui aumentano con l’età.

 

Nel processo di valutazione del rischio occorre tenere conto della diversità, concentrandosi sulla correlazione tra esigenze lavorative e capacità e stato di salute individuali. In questo modo, l’enfasi viene spostata dai gruppi specifici (di età) nel contesto professionale, al miglioramento delle condizioni di lavoro per tutti.

 

Adattare il lavoro alle singole capacità, competenze e allo stato di salute (oltre ad altri fattori di diversità tra i lavoratori, come il genere, l’età, le disabilità, lo status di migrante ecc.) dovrebbe essere un processo dinamico e costante basato sulla valutazione del rischio durante l’intero arco della vita lavorativa. Se ciò si realizza allora il documento di valutazione dei rischi avrà davvero un significato in termini di miglioramento e prevenzione. Ciò comporta la considerazione delle caratteristiche legate all’età, compresi i potenziali cambiamenti nelle capacità funzionali e nello stato di salute, comporta l’esigenza di una valutazione del rischio che rispetti le diversità tra i lavoratori e che sia reale e non di un ideale luogo di lavoro.

 

I cambiamenti nelle capacità funzionali possono essere affrontati, ad esempio, mediante l’utilizzo di attrezzature e di altre tecnologie di supporto per ridurre il carico di lavoro fisico; con un adeguato design ergonomico degli attrezzi, delle apparecchiature e dell’arredamento; con la limitazione delle manovre di sollevamento di carichi e delle attività fisiche impegnative; attraverso la formazione circa le tecniche adeguate di sollevamento e di trasporto; con una buona progettazione dell’ambiente di lavoro per ridurre al minimo la probabilità di cadute; con possibilità di recupero, ad esempio mediante pause più brevi e frequenti; tramite la ridefinizione del lavoro con la rotazione delle mansioni; con un’organizzazione del lavoro a turni, ad esempio utilizzando un «sistema di turni a rotazione rapida». Una corretta progettazione dell’ambiente di lavoro e dell’organizzazione del lavoro offre benefici a tutte le fasce d’età. Inoltre, nel contesto dell’invecchiamento della forza lavoro, sono sempre più importanti la riabilitazione e le politiche di sostegno per la ripresa del lavoro in seguito a malattia, quindi anche in questo ambito diventa elemento strategico la valutazione dei rischi per coloro che hanno una capacità lavorativa ridotta, o limitata proprio ai fini della ricollocazione.

 

I vantaggi di una valutazione dei rischi dinamica e “fatta bene”

È stato dimostrato che il lavoro produce effetti positivi per la salute fisica e mentale.

Pertanto, seguendo le pratiche di gestione della salute e sicurezza sul lavoro sopra delineate, la salute di tutta la popolazione attiva, da chi si avvicina per la prima volta al mercato del lavoro a chi si inoltra sulla via del pensionamento, può essere migliorata.

 

Inoltre, queste pratiche di gestione della salute e sicurezza sul lavoro possono produrre vantaggi significativi a livello organizzativo.

  • La forza lavoro sarà sana, produttiva e motivata, e ciò consente alle aziende di rimanere competitive e innovative.
  • Il prezioso patrimonio di competenze ed esperienza di lavoro può essere mantenuto all’interno di un’organizzazione attraverso il trasferimento di conoscenze e un maggiore potenziale di talenti e abilità.
  • Il calo dei tassi di assenza per malattia eassenteismodeterminerà una riduzione dei costi di disabilità al lavoro per le organizzazioni, consentendo una migliore produttività.
  • L’avvicendamento del personale registrerà una diminuzione.
  • L’ambiente di lavoro consentirà ai dipendenti di tutte le età di realizzare il loro potenziale.
  • Verranno sperimentate situazioni di maggiore benessere sul luogo di lavoro.

 

La gestione della sicurezza e salute sul lavoro, nel contesto dell’invecchiamento della forza lavoro, non solo migliorerà la salute e la vita quotidiana dei singoli lavoratori, ma consentirà anche di migliorare la produttività e la redditività di un’organizzazione.

 

Alcuni strumenti pratici

La gestione della salute e sicurezza sul lavoro nel contesto dell’invecchiamento della forza lavoro è agevolata dall’utilizzo di strumenti di gestione dell’età. Esistono diversi strumenti che consentono di prendere in considerazione a livello organizzativo i fattori legati all’età:

  • l’analisi del profilo e/o della struttura permette di valutare l’età della forza lavoro dell’organizzazione ora e in futuro a livello di reparto o di squadra. Lo scopo è aiutare a prevedere le tendenze per la pianificazione del turn-over del personale;
  • la valutazione delle competenze individua lacune nelle abilità e competenze dei lavoratori per la gestione delle prestazioni o lo sviluppo professionale e fornisce una base per la formazione personalizzata. Per i lavoratori più anziani, questo può significare adattarsi alle nuove tecnologie, favorendo la mobilità interna o fornendo altre opportunità di carriera;
  • gli strumenti di trasferimento delle conoscenze, quali le équipe composte da lavoratori di età diverse o i programmi di mentoring e coaching, aiutano un’organizzazione a mantenere la preziosa esperienza accumulata e le competenze dei lavoratori in età avanzata;
  • la rotazione e la ridistribuzione dei posti di lavoro possono essere utilizzate per ridurre le richieste e i carichi di lavoro. Per i lavoratori in età avanzata ciò significa la possibilità di rimanere nel mondo del lavoro in ruoli che meglio si adattano alle loro capacità.

 

La base ai fini della gestione della salute e sicurezza sul lavoro, è la valutazione dei rischi

La diversità e la gestione della diversità nel luogo di lavoro sono oggi questioni importanti nell’ambito della sicurezza e della salute sul lavoro. Occorre svolgere valutazioni dei rischi onnicomprensive, non solo per lavoratori “sani” generici, ma per tutti i lavoratori. La valutazione dei rischi dovrà soddisfare alcuni punti chiave, primo fra tutti considerare le diversità di genere, di età, di capacità lavorativa.

Prendere in considerazione l’intera forza lavoro, compresi addetti alle pulizie, receptionist, addetti alla manutenzione, lavoratori di agenzie interinali, lavoratori part-time ecc.

Adeguare il lavoro e le misure preventive ai lavoratori. Quello dell’adeguamento del lavoro ai lavoratori è un principio chiave del diritto dell’UE.

Tenere conto delle necessità di tutte le categorie che compongono la forza lavoro nella fase di progettazione e di pianificazione, invece di trovarsi a dover introdurre adeguamenti in caso di assunzione di lavoratori disabili, anziani o immigrati.

 

Una valutazione dei rischi improntata all’inclusione deve adottare un metodo partecipato, che coinvolga i lavoratori interessati e sia basato su un esame della situazione effettiva di lavoro e non ideale o idealizzata.

 

Fra gli esempi di buone pratiche in termini di inclusione nell’ambito della valutazione dei rischi si annoverano varie misure preventive (adeguamento del lavoro all’individuo, adeguamento al progresso tecnico, fornitura di appropriate istruzioni ai lavoratori, fornitura di una formazione specifica ecc.).

 

L’adozione di tali misure interconnesse è un fattore essenziale per il successo. Una valutazione dei rischi per le categorie di lavoratori maggiormente esposti, che elimini i rischi e affronti i pericoli all’origine, va a vantaggio di tutti i lavoratori indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla nazionalità e dalle caratteristiche fisiche. Ogniqualvolta un’impresa o un’organizzazione apporta modifiche all’ambiente fisico del luogo di lavoro, o acquista nuove attrezzature, è importante fare in modo che tali modifiche o acquisti siano adatti a tutte le categorie che compongono la forza lavoro. Gli esempi di buone pratiche in termini di inclusione nell’ambito della valutazione dei rischi dimostrano che, affinché un’azione preventiva sia efficace, è essenziale coinvolgere tutte le parti direttamente interessate: lavoratori e rappresentanti dei lavoratori, comitati aziendali, dirigenza, esperti di sicurezza e salute sul lavoro, contraenti o subappaltatori.

 

Dott.ssa Lisanna Billeri e Dott. Gianfranco Bianucci

Tecnici della prevenzione Unità Funzionale Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro

Az. USL Toscana Centro zona Valdinievole

 

Fonte: ASF Toscana (formato pdf)

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Fonte: puntosicuro.it

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Il comitato ISO/TC 292 sta cercando di migliorare la norma ISO 34001

La norma che offre indicazioni per verificare l’autenticità, l’integrità e l’affidabilità di prodotti e documenti aziendali è in corso di riesame e miglioramento. Di Adalberto Biasiotti.
 

I lettori sono certo già al corrente dell’esistenza della norma ISO 34001, che offre indicazioni per verificare l’autenticità, l’integrità e l’affidabilità di prodotti e documenti aziendali. Questa norma, alla luce dell’evoluzione dello scenario mondiale su queste critiche situazioni, è in corso di riesame e miglioramento.

 

 

Ecco il titolo esatto della norma: ISO/DIS 34001.4- Security and resilience – Security management system for organisations assuring authenticity, integrity and trust for products and documents.

Ricordo che il prefisso DIS significa DRAFT INTERNATIONAL STANDARD e  il documento elaborato dall’ormai noto ISO/TC 292.

La edizione precedente della norma trattava argomenti fondamentali che riepilogo brevemente: la gestione dei rischi legati a beni tangibili e intangibili dell’azienda e l’obiettivo era quello di mettere a disposizione uno strumento, in grado di garantire alla organizzazione l’autenticità, l’integrità e l’affidabilità dei suoi prodotti e documenti.

 

I rischi che venivano presi in considerazione erano i seguenti:

  • atti fraudolenti,
  • atti compiuti deliberatamente da un concorrente o un avversario commerciale
  • atti criminosi in genere,
  • negligenze intenzionali e
  • negligenze non intenzionali ma che possono avere conseguenze assai negative per l’organizzazione.

 

Come di consueto, le indicazioni della norma sono affatto generiche e devono essere tagliate a misura della specifica struttura che intende adottare queste linee guida.

In particolare, l’azienda deve rendersi conto che queste indicazioni coinvolgono le sue relazioni con soggetti terzi, come ad esempio fornitori, appaltatori, aziende di trasporto, clienti, e via dicendo. Quando l’azienda decide di affidare all’esterno un qualunque processo critico, coinvolto dei temi sopra illustrati, deve accertarsi che questo soggetto terzo sia in grado di rispettare la continuità logica delle misure di prevenzione e messa sotto controllo del rischio.

Anche se la norma mette in evidenza i rischi di origine informatica, essi non vengono presi in considerazione da questa norma, perché vengono già analizzati da altre norme specifiche, come ad esempio  ISO/IEC 27001.

Infine è bene chiarire ancora una volta che l’obiettivo primario della norma è quella di mettere sotto controllo rischi di origine antropica, sia endogeni, sia esogeni. Rischi di natura accidentale o incidentale non sono presi in considerazione in questa norma.

I lettori, che desiderano saperne di più sull’evoluzione di questa nuovo progetto di norma, devono seguire i lavori del già menzionato comitato tecnico ISO/TC 292.

 

Adalberto Biasiotti

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

 

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Crediti formativi: come attestare il lavoro di aggiornamento

Disponibile un servizio di attestazione degli aggiornamenti informali ottenuti attraverso la consultazione di documenti, riviste e banche dati normative. L’utilizzo dello strumento di attestazione e i crediti formativi per ingegneri e periti agrari.
 

Brescia, 9 Nov– Il nuovo Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, non fornisce solo precise indicazioni sulla formazione di RSPP e ASPP. L’ Accordo del 7 luglio 2016 contiene anche sensibili modifiche alla formazione degli altri “attori” che hanno ruoli in materia di sicurezza e mostra la strada che la formazione alla sicurezza dovrà intraprendere nel futuro per essere un efficace strumento di prevenzione.

 

 

Ad esempio nell’Accordo il Modulo A, uno dei moduli in cui si articola il percorso formativo per RSPP/ASPP, richiede espressamente che tali responsabili e addetti siano in grado di conoscere anche ‘la normativa generale e specifica in tema di salute e sicurezza e gli strumenti per garantire un adeguato approfondimento e aggiornamento in funzione della continua evoluzione della stessa’.

 

E sicuramente uno strumento idoneo che può garantire un idoneo e puntuale approfondimento e aggiornamento è proprio il nostro giornale, PuntoSicuro che dal 1999 è un autorevole fonte di informazioni tecniche attraverso gli articoli e di informazioni normative attraverso la Banca Dati.

 

L’importanza di questa tipologia di apprendimento informale, importante insieme agli apprendimenti formali e non formali per una costante a valida formazione continua, è riconosciuta da diversi ordinamenti professionali, come ad esempio l’ordine degli Ingegneri e dei Periti agrari.

 

Ad esempio si fa riferimento all’apprendimento informale nel Regolamento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri del 21 giugno 2013 per l’aggiornamento della competenza professionale degli iscritti agli albi degli ingegneri ex art. 7, comma 3, del D.P.R. 137/2012. Secondo tale regolamento l’ingegnere può maturare e autocertificare crediti formativi per attività informali di apprendimento, nei tempi previsti dalla normativa dell’ordine, ma tali attività di approfondimento e aggiornamento devono essere dimostrabili.

 

Esiste un modo per dimostrare l’aggiornamento delle proprie conoscenze attraverso attività informali di apprendimento che consistono nella consultazione di documenti, riviste e banche dati normative?

 

Proprio con questi obiettivi PuntoSicuro ha elaborato un sistema di attestazione cheoffre la possibilità di dimostrare la lettura di documenti tecnici e normativi.

 

Infatti per attestare l’accesso alle informazioni è disponibile:

– l’attestazione di lettura degli articoli: la lettura di ogni articolo può essere dimostrata con singoli attestati;

– l’attestazione di iscrizione alla newsletter giornaliera di PuntoSicuro: attestazione che permette di dimostrare la continua attività di ricerca di informazioni e novità.

Due servizi che sono rivolti a tutti gli abbonati alla Banca dati di PuntoSicuro.

 

Attraverso questi servizi si dà la possibilità agli iscritti ad ordini professionali che prevedono l’aggiornamento informale di conseguire crediti formativi e a tutti coloro che hanno a che fare con la gestione della sicurezza, di poter dimostrare il lavoro di aggiornamento e di conoscenza delle novità in ambito di salute e sicurezza.

 

Ricordiamo che le attestazioni di PuntoSicuro possono essere utilizzate per dimostrare quota di:

– aggiornamento delle conoscenze relative alle prescrizioni legali per l’azienda e aggiornamento delle conoscenze professionali del Responsabile/Addetto Qualità e/o Sicurezza (Sistemi di gestione per la Qualità o per la salute e sicurezza sul luogo di lavoro, con riferimento a Norma UNI EN ISO 9001, articolo 30 D.Lgs 81/2008, Norma OHSAS 18001, Linee guida UNI -INAIL);

– aggiornamento della competenza professionale degli ingegneri e dei Periti Agrari (Articolo 5, comma 1 e Allegato A del “Regolamento per l’aggiornamento della competenza professionale” degli ingegneri e Articolo 5, comma 1 e Allegato A del “Regolamento Formazione Continua del Perito Agrario”);

– aggiornamento delle conoscenze normative e tecniche al fine del miglioramento nel tempo delle misure di prevenzione e protezione (Articoli 2, 15 e 29 D.Lgs 81/2008);

– informazione dei lavoratori sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro (Articolo 36 D.Lgs 81/2008).

 

Qualche indicazione sulle modalità per ottenere l’attestazione di lettura:

– effettuare il login (inserendo username e password nell’apposito riquadro in alto a dx del sito) prima di cominciare a leggere gli articoli, in modo tale che il sistema possa registrare correttamente il tempo di lettura che verrà riportato nell’attestazione;

– selezionare l’articolo o il documento da leggere;

– cliccare su “Attestazione di lettura dell’articolo” o “Attestazione di lettura del documento” (ad esempio in caso di normative) presente alla fine del testo.

 

Per avere invece l’attestato di iscrizione e si è iscritti sia alla newsletter che alla Banca Dati di PuntoSicuro, è necessario aprire la newsletter ricevuta nella propria casella di posta elettronica e cliccare su “Attestazione di iscrizione al servizio”. Dopo aver effettuato il login, viene creato l’attestato in formato PDF che riporterà i dati dell’abbonato e l’attestazione dell’iscrizione alla newsletter quotidiana informativa.

 

Alcuni esempi di attestazione

Clicca qui per vedere un’anteprima dell’attestazione di lettura di un articolo.

Clicca qui per vedere un’anteprima dell’attestazione di iscrizione a ai servizi di PuntoSicuro.

 

Come ricordato anche in altri articoli, l’ attestazione di lettura di documenti e d’iscrizione ad una fonte informativa è un importante e innovativo sviluppo del processo di accesso alle informazioni e di aggiornamento delle conoscenze.

 

Qual è il futuro di questa modalità di accesso e riconoscimento dell’aggiornamento delle competenze?  Cosa ne pensano i professionisti e i vari attori della gestione della sicurezza nelle aziende di questo strumento?

 

Ricordiamo, in conclusione, che un luogo adatto per rispondere a questi quesiti è un altro strumento fornito dal nostro giornale: il Forum di PuntoSicuro che dà la possibilità a tutti gli iscritti di confrontarsi in materia di sicurezza sul lavoro, ambiente e security.

 

 

Link per avere informazioni sul servizio di attestazione di PuntoSicuro.

 

Link al Forum di PuntoSicuro.

 

Consiglio Nazionale Ingegneri – Regolamento per l’aggiornamento della competenza professionale degli iscritti agli albi degli ingegneri ex art. 7, comma 3 DPR n. 137/2012

 

Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano – Accordo 7 luglio 2016 – Accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

 

 

RTM

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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WCM: migliorare la sicurezza con il coivolgimento di tutti

Strumenti e metodi per migliorare la salute e la sicurezza dei lavoratori con l’integrazione della sicurezza nei processi produttivi: la World Class Manufacturing.
 

Pubblichiamo un estratto degli atti del 9° Seminario di aggiornamento dei professionisti Contarp (Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione di INAIL) “Reti, sinergie, appropriatezza, innovazione: professioni tecniche verso il futuro della salute e sicurezza sul lavoro”.

 

 

LA WORLD CLASS MANUFACTURING: STRUMENTI E METODI PER MIGLIORARE LA SALUTE E LA SICUREZZA DEI LAVORATORI

La World Class Manufacturing (WCM) è una metodologia produttiva basata sulla gestione integrata di tutti gli aspetti produttivi di un’organizzazione aziendale. Nel prefissarsi come obiettivo di business il miglioramento continuo delle performance produttive, tutto il sistema

aziendale ha come chiave strategica il coinvolgimento e la motivazione delle persone che lavorano e popolano la filiera produttiva, sposando l’assunto che solo l’impegno, la partecipazione e il coinvolgimento attivi di tutto il personale costituisca la leva vincente, essenziale

per il successo competitivo e produttivo dell’azienda. Tale impostazione, palesemente orientata ad abbracciare ogni singolo aspetto che possa concorrere ad aumentare o, viceversa, inficiare la qualità totale, prevede come primo e più rilevante asset quello relativo alla salute e sicurezza sul lavoro.

[…]

 

Il Pillar Safety

Volendo rendere evidente l’utilità di utilizzare la metodologia WCM per ottimizzare le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, si attinge al lavoro prodotto dalla Commissione Sicurezza dell’UNI, che ha redatto un Technical Report, l’UNI/TR 11542 “Sicurezza – World Class Manufacturing e l’integrazione della sicurezza nei processi produttivi – Indirizzi applicativi” per illustrare la metodologia del WCM e guidare gli operatori a sviluppare il sistema, in un’ottica finalizzata alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e nei luoghi di lavoro.

Poiché l’ottica che guida l’intero documento è appunto rivolta alle problematiche di salute e sicurezza sul lavoro, che sono trasversalmente connesse ed integrate alle altre funzioni aziendali espresse da tutti gli altri pillar, si è tracciata la road – map per l’implementazione del WCM prendendo come riferimento il pillar Safety, noto che l’applicazione è analoga per ogni altro pillar. Lo sviluppo del pillar Safety, come detto, si articola, analogamente e in coerenza con gli altri pillar, in sette step; quanto si vuole qui rilevare sono le due chiavi di lettura dello sviluppo.

 

L’una indica il livello d’iniziativa e di responsabilità, che va da un approccio affidato sostanzialmente alla alta direzione fino al completo trasferimento delle iniziative ai singoli dipendenti; si avrà dunque un livello:

1) manageriale: fino allo step 4 compreso, in cui le attività sono guidate e stimolate dal vertice aziendale;

2) individuale: nello step 5 dove le attività sono gestite individualmente e l’iniziativa d’azione coinvolge direttamente i singoli lavoratori;

3) di team: propria degli ultimi due step, ove le attività e l’iniziativa d’azione sono affidate a team, composti da gruppi di lavoratori, coadiuvati e supportati, ove necessario, da altre figure tecniche.

Si comprende così come si passa da una lunga fase iniziale di approccio top-down, di educazione alla prevenzione, a una fase successiva di tipo bottom-up, di totale partecipazione e coinvolgimento dei singoli.

 

L’atra chiave di lettura indica la tipologia di azione che si adotta per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro; classificandola in reattiva, preventiva o proattiva; si intende definire:

1) reattiva: la fase d’intervento in cui è essenziale capire le cause degli infortuni e degli incidenti e quindi analizzare i rischi al fine di porre immediato rimedio al ripetersi dei fenomeni infortunistici;

2) preventiva: la fase in cui si amplia il campo di azione a tutti gli eventi, anche meno importanti, e s’individuano i rischi residui, si sviluppano azioni di controllo generale, sono creati e applicati specifici standard, si avvia un programma di addestramento e formazione e si attribuiscono responsabilità a tutti i lavoratori, affidando loro compiti d’individuazione e controllo delle situazioni di possibile rischio;

3) proattiva: la terza fase, in cui s’instaura un’azione predittiva, attraverso il controllo preventivo di macchine, impianti e processi, affidata a team di lavoratori con la collaborazione eventuale di altri soggetti preposti, anche tecnici, in modo da portare ad una gestione partecipata e completa di ogni aspetto connesso alla sicurezza del luogo di lavoro.

Tutti i pilastri del WCM si sviluppano pertanto secondo una direttrice che porta progressivamente a spostare l’azione dal management a tutti i lavoratori, secondo un approccio sempre più proattivo, cioè finalizzato al reale coinvolgimento ed alla partecipazione attiva di tutti i lavoratori.

[…]

 

Leggi l’articolo integrale – La world class manufacturing: strumenti e metodi per migliorare la salute e la sicurezza dei lavoratori (formato pdf)

 

  1. MERCADANTE , A. TERRACINA

Inail – Direzione Generale – Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione.

 

  1. SPADA

UNI/CT 042/GL 62 – World Class Manufacturing e l’integrazione della sicurezza nei processi produttivi.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it101

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Interpello: la formazione degli addetti al soccorso stradale

La Commissione Interpelli risponde ad un quesito relativo all’applicazione del Decreto interministeriale 4 marzo 2013 anche per il personale addetto all’attività di soccorso stradale con carri attrezzi. È obbligatoria la formazione?
 

Roma, 9 Nov –  Sono diversi i quesiti e le richieste di chiarimenti inviati in questi anni alla Commissione Interpelli, prevista dall’art. 12 del D.Lgs. 81/2008, in relazione al Decreto interministeriale 4 marzo 2013 contenente i “Criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare”. Quesiti che hanno, ad esempio, riguardato la figura del Coordinatore per la Sicurezza ( Interpello n. 1/2015 del 24 giugno 2015) o il secondo allegato del decreto e i corsi di aggiornamento per gli operatori ( Interpello n. 15/2014 dell’11 luglio 2014).

 

Anche in un recente interpello pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro viene fornita una risposta ad un quesito, su questo decreto, inviato alla Commissione dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa ( CNA).

 

 

 

Si tratta dell’Interpello n. 17/2016 del 25 ottobre 2016, che ha per oggetto la “risposta al quesito relativo all’applicazione del Decreto interministeriale 4 marzo 2013 anche per il personale addetto all’attività di soccorso stradale con carri attrezzi”.

 

Il personale addetto alla gestione e alla conduzione dei carri attrezzi per attività di soccorso stradale è obbligato a frequentare il corso di formazione professionale previsto dal decreto del 4 marzo 2013?

 

Presentiamo il quesito inviato alla Commissione.

 

L’interpello indica che la Confederazione CNA ha avanzato un quesito “in merito alla possibilità di ‘fondatamente ritenere che il personale addetto alla gestione e alla conduzione dei carri attrezzi, in attività di soccorso stradale, non rientri nel campo di applicazione del Decreto Interministeriale 4 marzo 2013 e quindi non sia obbligato a frequentare il corso di formazione professionale, così come previsto dallo stesso Decreto’.

 

Dopo aver ricordato che il decreto interministeriale è un decreto attuativo del D.Lgs. 81/2008, con riferimento a quanto indicato dall’articolo 161, comma 2-bis, la Commissione fa alcune premesse normative.

 

Viene citato, ad esempio, l’articolo 1 del Decreto interministeriale del 4 marzo 2013:

 

Articolo 1 – Scopo e campo di applicazione

1. Il presente decreto interministeriale individua, ai sensi dell’articolo 161, comma 2-bis, del d.lgs. n. 81/2008, i criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare. L’applicazione dei criteri di cui al presente decreto non preclude l’utilizzo di altre metodologie di consolidata validità.

2. Le attività lavorative di cui al comma 1 fanno riferimento alle situazioni esplicitate nei principi per il segnalamento temporaneo di cui all’articolo 2 del disciplinare approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002, le cui previsioni sono fatte salve.

 

Riportiamo, a questo proposito, il punto 2 del “Disciplinare tecnico relativo agli schemi segnaletici, differenziati per categoria di strada, da adottare per il segnalamento temporaneo” approvato con Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002.

Nel disciplinare si indica in particolare che ‘sulle strade possono presentarsi anomalie, quali cantieri, incidenti, ostruzioni, degrado, etc., che costituiscono un pericolo per gli utenti (nel seguito del testo con la generica dizione ‘cantieri’ si intende una qualsiasi delle anomalie richiamate)’. E per ‘salvaguardare la loro sicurezza, e quella di chi opera sulla strada o nelle sue immediate vicinanze, mantenendo comunque una adeguata fluidità della circolazione, il segnalamento temporaneo deve: informare gli utenti; guidarli; convincerli a tenere un comportamento adeguato ad una situazione non abituale’.

 

L’interpello cita poi l’articolo 3 del decreto del 4 marzo 2013 che fa riferimento anche all’articolo 2 relativo alle procedure di apposizione della segnaletica stradale:

 

Articolo 3 – Informazione e formazione

1. I datori di lavoro del gestore delle infrastrutture e delle imprese esecutrici e affidatarie, ferme restando le previsioni del d.lgs. n. 81/2008, assicurano che ciascun lavoratore riceva una informazione, formazione e addestramento specifici relativamente alle procedure di cui all’articolo 2.

2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono individuati nell’allegato II.

 

Ricordiamo che l’Allegato II contiene lo “Schema di corsi di formazione per preposti e lavoratori, addetti alle attività di pianificazione, controllo e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgano in presenza di traffico veicolare”.

 

Infine, fatte queste premesse, la Commissione Interpelli fornisce le seguenti indicazioni.

 

Secondo la Commissione “l’attività di soccorso stradale rientra a pieno titolo tra le attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare di cui al Decreto interministeriale 4 marzo 2013, anche alla luce dell’esplicito richiamo alle situazioni incidentali all’interno del campo di applicazione del Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002”.

 

E pertanto, a giudizio della Commissione, i “lavoratori che svolgono attività di soccorso stradale con apposizione di segnaletica temporanea nei casi previsti dal Decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002 rientrano nel campo di applicazione del Decreto Interministeriale 4 marzo 2013”.

 

 

Commissione per gli interpelli – Interpello n. 17/2016 con risposta del 25 ottobre 2016 al quesito della CNA – Prot. n. 19852 – art. 12, d.lgs. n. 81/2008 e successive modifiche ed integrazioni – risposta al quesito relativo all’applicazione del Decreto interministeriale 4 marzo 2013 anche per il personale addetto all’attività di soccorso stradale con carri attrezzi.

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte:  puntosicuro.it

 

Generic

Sulla responsabilità penale dell’organo di vigilanza 231

Corte di Cassazione: indicazioni sulla responsabilità penale dell’OdV231 e del CdA per mancanza di misure idonee per il lavoro di aggancio dei materiali da issare a bordo di una nave. Commento dell’avvocato Rolando Dubini.
 

La Sentenza

Cassazione Penale, Sez. 1, ud. 20 gennaio 2016 (dep. maggio 2016), n. 18168 – Responsabilità penale dell’OdV231 e del CdA per mancanza di misure idonee per il lavoro di aggancio dei materiali da issare a bordo di una nave. Condizioni di sussistenza.

 

Il commento

La sentenza si occupa della responsabilità penale dell’ Organismo di vigilanza 231 per la prima volta in Italia.

 

I fatti riguardano un incidente, avvenuto nel corso del lavoro di ammagliatura nei cantieri navali di Monfalcone, che causava una grave invalidità ad un operaio, a motivo di due tubi i quali si sfilavano dal carico che una gru stava sollevando e cascavano sull’ammagliatore medesimo; il processo veniva instaurato nei confronti di una quantità di soggetti a diverso titolo: una parte del processo stesso aveva una suo primo sbocco nella sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e concerneva i soggetti oggi interessati, componenti del Consiglio di Amministrazione e dell’Organismo di Vigilanza della Fincantieri Cantieri Navali spa.

 

 

Ne conseguiva il giudizio per numerosi imputati e per diverse imputazioni (omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, lesioni personali colpose ed altro ancora), e si imputava ex art. 437 cod.pen. ai componenti del Consiglio di Amministrazione della “Fincantieri Cantieri Navali spa” di avere omesso di collocare apparecchi idonei al sollevamento dei materiali a mezzo gru o di averne messo in numero insufficiente, e segnatamente appositi accessori quali baie o ceste idonee al carico dei materiali sulla nave; inoltre si imputava ex art. 437 cod.pen. ai componenti dell’Organismo di Vigilanza di “Fincantieri Cantieri Navali spa” “di avere omesso di segnalare al consiglio di amministrazione e ai direttori generali e di non aver preteso che si ponesse rimedio ad una serie di carenze in tema di prevenzione dagli infortuni che venivano segnalati nei report in tema di sicurezza all’interno del cantiere, i quali ripetevano da tempo la mancanza di impianti, apparecchi e segnali, ma che l’Organismo di Vigilanza avrebbe recepito passivamente, senza segnalare alcunché al datore di lavoro, e, al contempo, non approfondendo gli aspetti di gestione delle attrezzature di lavoro e l’utilizzo di apposti accessori quali baie o ceste”.

La sentenza del GUP del tribunale di Gorizia dichiarava il non luogo a procedere.

La difesa dell’ OdV 231 ha sostenuto che “l’art. 437 cod. pen. punisce soltanto coloro che avevano l’obbligo giuridico di adottare cautele, obbligo che non incombe sul detto organismo in quanto non datore di lavoro, ma soltanto organo – di istituzione facoltativa – preposto alla valutazione dell’architettura astratta di presidi e controlli e non anche alla vigilanza puntuale e quotidiana delle modalità di svolgimento delle attività”.

 

La difesa ha concluso sostenendo che “sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’ Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi”.

Mentre il PM ricorrente ha ribadito “che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze”.

 

Occorre sottolineare che la decisione della Cassazione che conferma l’assoluzione non rappresenta affatto una adesione alle tesi difensive, in particolare sulla presunta assenza di poteri impeditivi dell’OdV 231 (che invece esistono, sono poteri impeditivi indiretti, non diretti, poiché se l’OdV segnala l’azienda può procedere con l’”impedimento” diretto) ma si muove su un profilo diverso in particolare per quanto riguarda l’OdV 231.

Non viene infatti sostenuta la tesi difensiva per la quale l’ OdV 231 non avrebbe potere impeditivo.

 

Si sostiene invece che “desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.

Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze. La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’ Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose”.

 

La Cassazione ha perciò rigettato il ricorso del Procuratore della Repubblica giudicandolo infondato e riscontrando come causa dell’infortunio una problematica di natura prevalentemente organizzativa: una volta accertata la presenza nel cantiere di ceste utili al sollevamento dei tubi fornite dal Datore di Lavoro, infatti, sarebbe stato compito dei soggetti responsabili dell’unità operativa disporne l’utilizzo posticipando eventualmente le operazioni nel caso in cui queste fossero già occupate in altre lavorazioni.

 

Qualcuno ha scritto che “tale giudizio si basa sul fatto che si ritiene incongruo attribuire responsabilità ad un soggetto (l’Organismo di Vigilanza) che non è dotato di poteri impeditivi autonomi tali di poter intervenire sulle modalità di conduzione dell’impresa.”, ma questo è completamente falso, la Cassazione non dice questo, questa era la tesi difensiva NON accolta dalla Cassazione, che dive cosa ben diversa. Secondo la Suprema Corte il Ricorso dell’Accusa “non precisa quali fossero le carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza”,lasciando così intendere che è perfettamente ipotizzabile una situazione nella quale l’OdV ignori dolosamente carenze e manchevolezzeMa anche colposamente, aggiungo.

 

Le funzioni affidate all’O.d.V. sono, proprio, quelle di prevenzione ed impedimento (indiretto) dei reati, e che tale obiettivo sia perseguito con l’attuazione dei Modelli di organizzazione e gestione. La fonte dell’obbligo impeditivo sarebbe da riscontrarsi negli artt. 6 lett a),b) e d) e 7 D.Lgs 231 del 2001, ovvero la posizione di garanzia dei componenti dell’Organismo di Viglianza risiederebbe direttamente nei Modelli di organizzazione e gestione, e verrebbe assunto in forza dell’incarico professionale da parte della società G. (Imputazione del reato agli enti collettivi e responsabilità penali dell’intraneo: due piani irrelati?, Dir. Pen. Processo, 9/2002, 1061 ss .).

 

I doveri di verifica, se omessi, rappresentano una posizione impeditiva di garanzia non adempiuta e capace di prevenire l’evento illecito, ma questa posizione è in contrasto con gli articoli 40 e 43 c.p. che prevedono la responsabilità penale colposa di chi possiede poteri impeditivi dell’illecito penale (reato presupposto), e la funzione di vigilanza dell’OdV rappresenta una funzione impeditiva, in quanto le segnalazioni che esso è obbligato a inviare all’organismo dirigente aziendale in caso di in osservanza del modello organizzativo sono idonee e finalizzate proprio a prevenire i reati.

 

Il ragionamento a tal riguardo si desume dalle seguenti sentenze, relative anche alla posizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, figura per molti versi analoga a quella dell’OdV 231.

I titolari della posizione di garanzia [ovvero i soggetti imputabili penalmente per avere omesso di eserciate il proprio potere di impedire i reati, anche in modo indiretto artt. 43 e 40 c.p.] devono essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi.

Il che non significa che dei poteri impeditivi debba essere direttamente fornito il garante, è sufficiente che gli siano riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari per evitare che l’evento dannoso venga cagionato, per la operatività di altri elementi condizionanti di natura dinamica. In conclusione può affermarsi che un soggetto è titolare di una posizione di garanzia, se ha la possibilità, con la sua condotta attiva di influenzare il decorso degli eventi indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico da lui preso in carico [Cassazione Penale, Sez. 4, 04 novembre 2010, n. 38991 (Montefibre)]

 

Secondo la Cassazione “…«occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie» [Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2006, n. 11351]. Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato, o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo”. Peraltro, “il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione è…esente da responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione delle norme di puro pericolo, qualora agisca come tale, ma non se il datore di lavoro lo investa di delega, ne faccia, ai fini prevenzionali o a determinati fini prevenzionali, il proprio alter ego, assumendo il delegato, in questo caso, gli stessi oneri del datore di lavoro e, quindi, le stesse, eventuali, responsabilità”…“con tutte le conseguenze in tema di procedibilità di ufficio” [Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2006, n. 11351]

 

La legge “prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica. La … normativa … comporta … che il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione [Cassazione – Sezione quarta penale – sentenza 6 dicembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6277 Presidente Morgigni – Relatore Licari Pm Febbraro – conforme – Ricorrente Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bolzano].

 

Massima

Per la configurabilità del reato di cui all’art. 437 cod.pen. (omessa collocazione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro), il pericolo presunto che la norma in esame intende prevenire non deve necessariamente interessare la collettività dei cittadini o, comunque, un numero rilevante di persone, potendo esso riguardare anche gli operai di una piccola fabbrica, in quanto questa norma prevede anche il pericolo di semplici infortuni individuali sul lavoro e tutela anche l’incolumità dei singoli lavoratori; per quanto riguarda l’elemento psicologico del reato in questione, è sufficiente la coscienza e volontà di omettere le cautele prescritte, nonostante la consapevolezza del pericolo per l’incolumità delle persone (Sez. 1, n° 11161 del 20.11.1996, Rv 206428).

È discutibile che le baie o ceste possano considerarsi uno degli “apparecchi” menzionati dall’art. 437 cod.pen.: tra le ipotesi delittuose previste dalla citata norma rientrano l’omissione dolosa di una apparecchiatura infortunistica o l’omissione del ripristino della stessa che, per precedente manomissione, abbia perso la sua efficacia di prevenzione. Sul punto questa Corte ha ritenuto che entrambe queste omissioni frustrano in egual misura e senza differenziazione di sorta il funzionamento di macchinari in relazione alla finalità antinfortunistica cui essi sono predisposti, rendendo possibile il verificarsi di un infortunio che sarebbe, per contro, impossibile in caso di normale funzionamento delle apparecchiature antinfortunio realizzate e poste sulla macchina stessa (Sez. 1, n° 28859 del dì 11.06.2009, Rv 244297) [fattispecie relativa ad un incidente, avvenuto nel corso del lavoro di ammagliatura nei cantieri navali di Monfalcone, che causava una grave invalidità ad un operaio, a motivo di due tubi i quali si sfilavano dal carico che una gru stava sollevando e cascavano sull’ammagliatore medesimo; il processo veniva instaurato nei confronti di una quantità di soggetti a diverso titolo: una parte del processo stesso aveva una suo primo sbocco nella sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e concerneva i soggetti oggi interessati, componenti del Consiglio di Amministrazione e dell’Organismo di Vigilanza della Fincantieri Cantieri Navali spa].

Tuttavia in caso di infortunio lavorativo causato dal mancato utilizzo di ceste per la sollevazione di tubi inox a mezzo di gru potrebbe prospettarsi la questione circa la natura – antinfortunistica o meno – delle ceste medesime e circa l’eventuale responsabilità del mancato utilizzo.

Qualora però risulti che le ceste in questione siano presenti nel cantiere navale, questo fattore assume un’efficacia dirimente.

Infatti, se le ceste non erano mancanti, l’utilizzo o meno delle stesse non attiene affatto al profilo della omessa collocazione di strumenti, apparecchi o congegni adeguati, ma soltanto al profilo organizzativo del lavoro concreto svolto nel cantiere navale.

Se le ceste sono presenti nel cantiere in quanto fornite dalla componente datoriale, spetta eventualmente ai soggetti responsabili di unità operative disporne l’utilizzo e che, se le suddette ceste fossero state impegnate al momento della lavorazione che è stata alla base dell’infortunio de quo, allora l’operazione doveva essere differita del tempo sufficiente a reperirne altre, e non al datore di lavoro o all’Organismo di vigilanza 231.

Nel reato di cui all’art. 437 cod.pen. il pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro deve avere il carattere della diffusività, nel senso che l’insufficienza deve avere l’attitudine di pregiudicare, anche solo astrattamente, l’integrità fisica delle persone gravitanti attorno l’ambiente di lavoro.

L’omissione, la rimozione o il danneggiamento doloso degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro, si inserisce in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici deve avere l’attitudine, almeno astratta, anche se non abbisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, intesa come un numero di lavoratori o, comunque, di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro: ma lo stabilire quando una collettività lavorativa realizzi in concreto la configurabilità del delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro costituisce un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, come appunto nel caso di specie (Sez. 1, n° 6393 del 02.12.2005, Rv. 233826).

Desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.

Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze. La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose [Fattispecie: In data 13.12.2010 si verificava un infortunio sul lavoro nel cantiere navale di Monfalcone, di proprietà “Fincantieri Cantieri Navali spa”: l’infortunato era un operaio con mansioni di ammagliatore, il quale doveva agganciare i materiali da issare a bordo di una costruzione navale (in particolare, un fascio di tubi inox che dalla banchina doveva giungere al ponte 5 a mezzo gru); a questo scopo egli legava due fasci di tubi con del filo di ferro ed ordinava di sollevare il carico; poi si accorgeva che il carico si muoveva ed ordinava di fermare l’operazione per poi provvedere ad assicurarlo di nuovo; ordinava di issare a bordo, ma il carico, al momento di essere girato dalla gru, iniziava ad oscillare al punto che da uno dei fasci si sfilavano due grandi tubi uno dei quali, cadendo, colpiva proprio l’operaio alla nuca ed alla schiena, procurandogli paraplegia completa degli arti inferiori con conseguenti lesioni gravissime, invalidità permanente e pericolo di vita. Ne conseguiva il giudizio per numerosi imputati e per diverse imputazioni (omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, lesioni personali colpose ed altro ancora)].

 

 

Rolando Dubini, avvocato in Milano

 

 

 

Cassazione Penale, Sez. 1, ud. 20 gennaio 2016 (dep. maggio 2016), n. 18168 – Responsabilità penale dell’OdV231 e del CdA per mancanza di misure idonee per il lavoro di aggancio dei materiali da issare a bordo di una nave. Condizioni di sussistenza.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

 

Articoli

Impianti eolici: i rischi delle manutenzioni

I rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori impegnati nella green economy: la manutenzione degli impianti eolici.
 

Sono disponibili sul sito di INAIL gli atti del 9° Seminario di aggiornamento dei professionisti Contarp (Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione di INAIL) “Reti, sinergie, appropriatezza, innovazione: professioni tecniche verso il futuro della salute e sicurezza sul lavoro”.

Pubblichiamo un estratto tratto dalla sessione “Nuovi cicli e rapporti lavorativi, nuove tecnologie, nuovi rischi

 

I RISCHI PER LA SALUTE E LA SICUREZZA DEI LAVORATORI IMPEGNATI NELLA GREEN ECONOMY: GLI IMPIANTI EOLICI

[…]

 

ANALISI DEI RISCHI

Gli impianti eolici sia a terra sia in mare, in condizioni di esercizio ordinario, non necessitano di presidio e sono in grado di funzionare in maniera autonoma; il controllo del funzionamento e la gestione dei sistemi è svolta da remoto. La presenza dei lavoratori nel sito avviene in occasione delle attività di manutenzione organizzate sulla base dei report e delle segnalazione di anomalie durante il funzionamento che arrivano alla centrale di controllo.

Il ciclo di vita di un impianto eolico è articolato nelle seguenti fasi:

  • COMMISSIONING (realizzazione del sito, installazione e montaggio delle macchine eoliche, collegamento alla rete elettrica)
  • ESERCIZIO (gestione del funzionamento dell’impianto e produzione di energia elettrica)
  • DECOMMISSIONING (smantellamento delle torri e ripristino alle condizioni iniziali dei luoghi).

 

Nella fase di ESERCIZIO, normale attività produttiva, sono indispensabili interventi di manutenzione distinti in: PROGRAMMATA (lubrificazione, ingrassaggio, sostituzione di componenti usurate) e SU GUASTO (riparazione/sostituzione delle parti danneggiate).

Tali operazioni sono condotte da personale specializzato che, per le modalità con cui devono essere svolte, può essere esposto a rischi, anche considerevoli, per la sicurezza e salute.

 

I rischi considerati nei prossimi paragrafi sono riferiti ad installazioni a terra; ulteriori situazioni di rischio e di sicurezza sul lavoro devono essere affrontate negli impianti in mare. Al largo delle coste dell’Europa settentrionale sono presenti numerose di queste installazioni e recentemente in Italia è stato sbloccato l’iter autorizzativo del parco eolico off-shore nel Golfo di Taranto.

 

Analisi dei rischi aggiuntivi connessi alla collocazione dell’impianto

All’ubicazione e alla configurazione del sito sono connessi rischi aggiuntivi che possono contribuire ad aggravare i rischi connessi alle attività svolte all’interno delle macchine eoliche.

Un parco eolico è collocato, in genere, in luoghi distanti dai centri abitati, raggiungibile con difficoltà per mancanza di strade adeguate e l’accesso è anche condizionato dal verificarsi di eventi meteorologici; la mancanza di copertura della rete telefonica e spesso anche dei collegamenti radio, può ulteriormente aggravare le condizioni di lavoro.

 

Le situazioni di emergenze che possono accadere in un parco eolico sono: salvataggio in quota di personale ferito all’interno della navicella/torre; interventi di primo soccorso (shock, fratture, traumi); incendio; condizioni meteo o eventi sismici che necessitano la messa in sicurezza della/e turbina/e; sabotaggio. Per ognuno di essi devono essere definite le modalità e le responsabilità della gestione delle situazioni di emergenza al fine di ridurre al minimo le conseguenze per i lavoratori ed i soccorritori.

La conoscenza del territorio e delle distanze dai più vicini centri di soccorso (ospedali e caserme VVF) sono informazioni necessarie per la progettazione del parco eolico. La condivisione degli scenari di rischio con gli enti preposti al soccorso e le condizioni di operatività in cui possono essere chiamati ad intervenire gli operatori del soccorso quando accedono ai luoghi (orografia, altitudine, punti di accesso, coordinate geografiche, distanze delle turbine rispetto agli accessi, ecc..) sono importanti al fine di svolgere il soccorso in condizioni di sicurezza.

 

Analisi dei rischi specifici dell’attività all’interno dell’aerogeneratore

I rischi specifici sono quelli a cui sono esposti i lavoratori che accedono all’interno della navicella: chimico, meccanico, elettrico, incendio, lavori in quota ed in spazi ristretti.

Rischio Chimico: la recente normativa collegata alla valutazione del rischio chimico negli ambienti di lavoro ha subito notevoli cambiamenti per il recepimento delle due direttive comunitarie: il Regolamento CE n. 1272/08 del 16 dicembre 2008 – Classification, Labelling and Packaging (CLP), entrato in vigore il 20 gennaio 2009, che introduce un nuovo sistema di classificazione, etichettatura ed imballaggio delle sostanze e delle miscele, ed il Regolamento europeo n. 1907/06 – Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of CHemical substances (REACH), relativo alla produzione, alla commercializzazione e all’utilizzo degli agenti chimici che coinvolge produttori, distributori e tutti gli utilizzatori di sostanze chimiche. La loro entrata in vigore ha reso necessario, in tutti i settori produttivi, una nuova valutazione dell’esposizione ad agenti chimici.

Nel settore eolico il rischio di esposizione a tali agenti è rilevante soprattutto nella fase di produzione delle pale eoliche; durante la quale i lavoratori possono essere esposti a resine epossidiche, stirene e solventi, vapori e polveri sia per inalazione degli stessi sia per esposizione cutanea.

Il rischio chimico sussiste anche nella fase di esercizio degli impianti; infatti, le attività di manutenzione, programmata o su guasto, possono portare il lavoratore, che già opera spazi ristretti, all’esposizione a fumi, polveri e sostanze chimiche tossiche. Numerose sono anche le parti di impianto soggette a lubrificazione e ingrassaggio periodico: riduttore, cuscinetti albero primario, cuscinetti per il controllo del passo, generatore elettrico, ingranaggi imbardata, ingranaggi aperti.

 

I prodotti per la manutenzione maggiormente utilizzati sono: lubrificanti, olii minerali, fluidi per impianti di raffreddamento, grassi, solventi, detergenti e vernici.

Le caratteristiche tossicologiche di tali sostanze sono fortemente legate alla loro natura ed al grado di contaminazione degli additivi contenuti, nonché, al processo lavorativo che può portare alla degradazione termica ed a trasformazioni chimiche.

Durante gli interventi di manutenzione possono generarsi fumi e nebbie costituite da miscele complesse di sostanze aerodisperse composte principalmente da oli minerali, idrocarburi policiclici aromatici, aldeidi, composti eterociclici di varia natura (PCB, N-nitrosammine, ecc.), metalli provenienti dagli utensili e dagli ingranaggi in movimento.

Nelle vernici sono, invece impiegati nanomateriali per ridurre gli effetti atmosferici sulle componenti delle turbine eoliche e permettere il controllo ed il monitoraggio da remoto.

L’uso di nanomateriali pone potenziali problemi di esposizione per i lavoratori coinvolti sia nella fasi di produzione sia nella fase di esercizio e di decommissioning dell’impianto.

La peculiarità dell’attività lavorativa, rende opportuno effettuare un’attenta valutazione del rischio chimico al passo con l’evoluzione normativa, attuare misure specifiche di protezione e di prevenzione e curare l’informazione, la formazione e l’addestramento dei lavoratori.

 

Rischio Meccanico: nella navicella la manutenzione programmata prevede interventi sui componenti meccanici dell’impianto ed i lavoratori sono quindi esposti a rischio impigliamento,

schiacciamento ed urto con parti in movimento. È necessario adottate misure tecniche e procedurali preventivamente discusse e approvate, idonee a ridurre al minimo possibile tali rischi. Esempi di interventi per la riduzione dei rischi sono: impedire l’avviamento accidentale delle parti temporaneamente ferme; applicare sistemi di frenatura efficaci, in caso di notevoli inerzie; prevedere dispositivi di comando manuale (ad esempio: azione mantenuta, a due mani, a spostamenti limitati, ecc.); pulsantiera di comando portatile e/o organi di comando localizzati in modo da poter sorvegliare gli elementi comandati.

Anche in questo caso la formazione, l’informazione adeguata e l’addestramento degli addetti sono essenziali.

Negli impianti di grandi dimensioni sono presenti ascensori di servizio per portare il personale e le attrezzature di lavoro dal piano di campagna alla navicella e paranco elettrico nella navicella per la movimentazione di attrezzature e parti di ricambio. Tali macchine devono essere gestite e mantenute secondo le normative vigenti.

 

Rischio Elettrico: l’accesso dei lavoratori alla navicella può verificarsi per manutenzioni di natura sia elettrica sia non elettrica. Nel primo caso, la sicurezza dal rischio elettrico ed, in particolare, nei confronti delle folgorazioni e dei possibili effetti termici connessi alla presenza dell’energia elettrica (innesco di incendi, ustioni) devono essere garantiti dalla realizzazione a regola d’arte dell’impianto elettrico a bordo dell’aerogeneratore e dalla corretta utilizzazione e manutenzione dello stesso.

Il primo obiettivo è conseguito attraverso la realizzazione dell’impianto elettrico dell’aerogeneratore in conformità alle norme tecniche (art. 81 d.lgs. 81/08). Si osserva che, nel caso in analisi, il d.m. 37/08 non è applicabile (ben diverso è il caso di impianti di autoproduzione fino a 20kW). Gli aerogeneratori rientrano nel campo di applicazione della Direttiva Macchine, recepita con il d.lgs. 17/10, ed il rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza previsti, anche in relazione al rischio elettrico, è assicurato dall’impiego delle norme tecniche armonizzate, attestato dalla dichiarazione CE di conformità, riportante l’indicazione delle norme adottate. La norma di riferimento per la progettazione delle turbine eoliche è la CEI EN 61400-1, che richiama, per l’equipaggiamento elettrico di bordo, la IEC 60204-1 (CEI 44-5), la CEI EN 60204-11 (CEI 44-15) per la parte in alta tensione e la IEC 60364 (CEI 64- 8) per gli impianti fissi “non quelli installati nelle macchine”.

Utilizzo e manutenzione corretta dell’impianto sono conseguiti attraverso l’adeguata formazione del personale e la predisposizione e l’attuazione di specifiche procedure, conformi all’art. 80, co. 3 e 3bis del d.lgs. 81/08. Le procedure devono tenere conto “delle disposizioni legislative vigenti, delle indicazioni contenute nei manuali d’uso e manutenzione delle apparecchiature ricadenti nelle direttive specifiche di prodotto e di quelle indicate nelle pertinenti norme tecniche”.

 

Le norme CEI EN 61400-1 e CEI EN 50308 forniscono indicazioni per l’esercizio e la corretta manutenzione; esse specificano i controlli da eseguire periodicamente per verificarne lo stato di conservazione e di efficienza ai fini della sicurezza. Tali indicazioni sono inserite nei manuali che il costruttore dell’aerogeneratore deve rendere disponibili ai sensi della Direttiva Macchine.

La verifica che tutti i passaggi sopra riportati siano effettivamente compiuti consente di ridurre ad un livello convenzionalmente accettabile il rischio elettrico per i lavoratori che accedono alla navicella ma che non devono intervenire direttamente su parti attive [1] non protette dell’impianto elettrico o in vicinanza di queste.

La gestione del rischio per i lavoratori che effettuano manutenzioni elettriche all’interno della navicella, che pertanto possono operare su parti attive non protette o nelle vicinanze, è conseguita, oltre a quanto indicato, con la specifica formazione dei lavoratori e attribuzione di profili professionali quali PES (Persona esperta in ambito elettrico) o PAV (Persona avvertita in ambito elettrico), in relazione ai tipi di intervento previsti, con l’eventuale attribuzione di idoneità all’esecuzione di lavori sotto tensione, con l’adozione di specifiche procedure di lavoro, l’individuazione di figure con precise responsabilità quali il RI (Persona designata alla conduzione dell’impianto elettrico) o il PL (Persona preposta alla conduzione del lavoro), l’impiego di idonee attrezzature di lavoro e DPI contro il rischio elettrico.

L’adozione delle norme tecniche CEI EN 50110-1 e CEI 11-27, consente di adempiere alle prescrizioni previste dagli artt. 82 e 83 del d.lgs. 81/08 in relazione ai cosiddetti lavori sotto tensione e ai lavori in prossimità di parti attive [2].

 

Per la protezione dal rischio di fulminazione, le misure adottate per i lavoratori che effettuano manutenzioni sia di natura elettrica sia di altra natura all’interno della navicella sono le stesse.

Tali misure consistono sostanzialmente nell’evitare la presenza di lavoratori all’interno della navicella durante i temporali oppure quando le condizioni meteorologiche possano determinare il verificarsi di scariche atmosferiche. La realizzazione di impianti di protezione contro le scariche atmosferiche in conformità alla norma IEC 61400-24 riguarda l’aerogeneratore.

 

Rischio Incendio: nelle turbine eoliche possono verificarsi incendi per fulminazione o errori tecnici e guasti. In tali casi, all’incendio partecipano lubrificanti, oli, parti elettriche in tensione oppure l’involucro stesso della navicella. Gli operatori sono esposti a tale rischio quando sono all’interno della navicella; pertanto, è fondamentale che siano mantenuti sempre efficienti i mezzi per la rilevazione e l’allarme, quelli per l’estinzione, la via di uscita, e che i lavoratori siano adeguatamente formati e addestrati contro l’incendio.

 

Rischio lavori in quota: gli interventi di manutenzione richiedono accessi alla parte sia interna sia esterna della navicella. La riduzione del rischio di caduta dall’alto può avvenire fornendo l’adeguata formazione ed addestramento all’utilizzo dei DPI di III categoria secondo standard formulati da organismi tecnici internazionali con l’intento di sviluppare una formazione comune e diffondere le migliori prassi tecniche e di sicurezza nelle operazioni di servizio e manutenzione dei generatori eolici.

 

Rischio da spazi ristretti: la navicella non è qualificabile come spazio confinato poiché l’ossigeno è sempre presente grazie alle aperture di ventilazione poste sulle pareti della struttura; tuttavia, le dimensioni dell’ambiente di lavoro (navicella, torre, pala) possono essere considerati come spazi ristretti. Interventi che richiedono “lavorazioni a caldo” oppure “accesso nella pala eolica” determinano uno scenario di rischio differente che deve essere opportunamente valutato.

I “lavori a caldo” svolti all’interno delle navicelle non prevedono operazioni che comporta no l’uso di fiamme libere ma lavorazioni che sviluppano calore o producono scintille ( saldatura).

Individuando le modalità e le attrezzature di lavoro adatte è possibile predisporre un “permesso di lavoro a caldo” ed applicare una procedura che prevede il controllo preventivo della navicella al fine di identificare e rimuovere eventuali elementi combustibili o infiammabili, ovvero segregarli opportunamente qualora non fosse possibile il loro spostamento, la presenza di idonei apprestamenti antincendio e l’uso di attrezzature idonee allo scopo. Al termine del lavoro deve essere eseguito un sopralluogo per accertare l’eventuale presenza di elementi caldi prodotti nel corso della lavorazione.

L’accesso nella pala eolica è necessario essendo la parte dell’impianto più esposta alle fulminazioni dirette dalle quali subisce un danno sotto forma di cricche più o meno profonde nella struttura. Con cadenza almeno annuale sono effettuate le manutenzioni, per contenere i danneggiamenti dovuti all’impatto del fulmine oppure per la necessità di raggiungere l’alloggiamento della scheda elettronica in cui sono registrate le fulminazioni che hanno colpito la pala.

La riduzione del rischio prevede l’adozione di procedure per l’accesso e l’addestramento degli addetti.

 

 

  1. I. BARRA, R. MAIALETTI

Inail – Direzione Generale – Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione

 

  1. PRINCIPE, G. TAMIGIO

Inail – Direzione Regionale Lombardia – Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione.

 

INAIL  – I rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori impegnati nella green economy: gli impianti eolici (formato PDF, 57 kB).

[1] Ai sensi della norma CEI 64-8, per parte attiva si intende un “conduttore o parte conduttrice in tensione nel servizio ordinario…”

[2] Il d.lgs. 81/08 considera i lavori sotto tensione e i lavori in prossimità di parti attive, senza definirli. Le definizioni sono presenti nelle norme tecniche applicabili, in particolare la CEI EN 50110-1 e la CEI 11-27.

 

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Fonte: puntosicuro.it