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I rischi psicologici provocati dal terremoto

Che tipo di assistenza psicologica è necessaria dopo un terremoto? Cosa accade quando una persona soffre del Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)?
 

Quali sono gli effetti e i rischi psicologici provocati dal terremoto?

Le calamità naturali come il terremoto che ha colpito l’Italia Centrale nei giorni scorsi sono eventi che superano l’ambito della normale esperienza e che quindi, dal punto di vista psicologico, rappresentano traumi tali da indurre stress in chiunque li abbia vissuti. Come è comprensibile, essere travolti da un evento di questo tipo mette a durissima prova le nostre capacità di adattamento e la nostra salute psicologica, sebbene le reazioni di stress vengano considerate una reazione normale a eventi eccezionali.

Fondamentalmente, i rischi per la sfera psicologica sono legati all’insorgenza di patologie, spesso gravi, conseguenti alla cronicizzazione della paura, che diventa angoscia quando l’evento sismico non si esaurisce in breve ma si protrae nel tempo.

Una simile sollecitazione emotiva innesca una serie di effetti tipicamente legati all’esposizione cronica di stress, quali modificazioni dei livelli ormonali (cortisolo e catecolamine, nelle donne anche gli estrogeni), alterazioni del sonno e, nel lungo termine, variazioni cardiovascolari associate a un maggior rischio di sviluppare ipertensione, tachicardia e talvolta infarto del miocardio. Tutto questo crea una via preferenziale per l’insorgenza di patologie come la depressione e il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS).

Inoltre è necessario distinguere tra la percezione dello stress degli adulti e dei bambini, dato il differente approccio con cui vivono un’esperienza così traumatica e le diverse terapie a cui dovranno essere sottoposti.
Quali emozioni innesca il terremoto nelle popolazioni che lo subiscono?

Il terremoto produce nelle persone uno choc emozionale intenso, tipicamente scatenando ansia, paura e attacchi di panico. L’ansia è generalmente un’emozione a due facce: da un lato può spingere l’individuo a dare il massimo mediante una serie di processi dinamici neurali, fisiologici, comportamentali e cognitivi che portano all’adattamento; dall’altro può limitare l’esistenza dell’individuo stesso inducendo alterazioni neurali, fisiologiche, comportamentali e cognitive che aumentano la vulnerabilità a manifestare patologie.

Alcuni studi hanno dimostrato come, anche in situazioni drammatiche come sopravvivere ad un terremoto, le vittime possano sperimentare emozioni positive, altrettanto intense e persistenti di quelle negative. E’ noto infatti che l’esposizione ad eventi avversi provoca una vasta gamma di reazioni psicopatologiche; tuttavia, non è così chiaro come l’esistenza di emozioni positive possa in qualche modo ridurre o mediare l’impatto del trauma. Studi specifici sull’adattamento allo stress hanno dimostrato come i fattori di personalità relativamente stabili, ad esempio la felicità e l’ottimismo, possano mediare gli effetti negativi dello stress. A questo proposito, evidenze sperimentali indicano che, di fronte ad eventi di vita negativi, persone che in precedenza hanno avuto esperienze positive, attingevano da questo “bagaglio emotivo” per poter esercitare un tale controllo psicologico in modo da adattarsi allo stress, ed esibendo una minor vulnerabilità a sviluppare le classiche patologie stress-correlate.

Inoltre, per meglio comprendere l’impatto di un terremoto sulla sfera emotiva, è necessario conoscere le alterate funzioni cerebrali evidenti già nelle prime fasi dell’adattamento al trauma. Studi in modelli animali dell’impatto dello stress acuto e cronico, hanno evidenziato cambiamenti fisiologici e morfologici in molte regioni cerebrali, in particolare nell’amigdala, nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale. Questi risultati sono coerenti con quanto riscontrato in uno studio umano condotto nei sopravvissuti al terribile terremoto di magnitudo 8.0 che sconvolse una zona della Cina nel 2008, in cui si monitorò la funzionalità cerebrale per mezzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI). Rispetto ai controlli, i sopravvissuti mostravano, già 25 giorni dopo l’evento, un’iperattività a livello del sistema limbico e della corteccia pre-frontale e un’attenuata connettività funzionale nelle aree limbiche frontali e nelle regioni striatali, notoriamente coinvolte nel processa mento delle emozioni.

L’esposizione a fattori di stress di natura così intensa, oltre a modificazioni di funzionalità cerebrale, innesca, nel giro di pochi minuti, anche alterazioni a livello molecolare, in particolare a carico delle proteine c-fos e NGF e predisponendo così allo sviluppo della sintomatologia depressiva e del Disturbo Post Traumatico da Stress.

 

Che tipo di assistenza psicologica è necessaria?

Innanzitutto occorre fare una prevenzione primaria, in cui si mette l’individuo in condizioni di conoscere le proprie emozioni e saper controllare gli effetti che queste hanno sul comportamento e sulla salute psicologica, attraverso una formazione specifica con l’aiuto di corsi e tecniche da attuarsi ovviamente in periodi precedenti al disastro. Riuscire ad educare la nostra mente e il nostro corpo mediante ad esempio la meditazione, ci permetterebbe di controllare le nostre emozioni, le nostre ansie e paure in modo da essere in grado di adattarci anche a situazioni drammatiche quali sono gli eventi sismici.

Ad una prevenzione primaria, deve seguire una prevenzione secondaria, in cui vengono programmati interventi di sostegno psicologico, successivi all’evento sismico, per sostenere le persone colpite dalla reazione acuta di stress (attacco di panico), evitando così che questo si trasformi in un disturbo post-traumatico da stress, ad esempio mediante centri di ascolto post-emergenza.

Dal momento che ad un evento traumatico è spesso connesso un particolare livello di stress. Cosa accade quando una persona soffre del Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)?

Numerosi dati della letteratura confermano come un disastro naturale, produca un elevato stress con conseguenze a lungo termine, di carattere sia fisiologico che psicologico, e sintomi residui post-traumatici soprattutto nei soggetti più giovani. In particolare, studi recenti mostrano come l’esposizione ad un evento traumatico aumenti maggiormente la vulnerabilità a sviluppare il Disturbo Post Traumatico da Stress nelle donne rispetto agli uomini. Questo dato è supportato anche da evidenze sperimentali ottenute in una ricerca condotta negli individui sopravvissuti all’attacco terroristico alle Torri Gemelle e ai terremoti in Molise nel 2002 e dell’Abruzzo nel 2009 che mostra come circa la metà dei soggetti studiati sviluppavano questa patologia. E’ importante tenere conto le differenti modalità individuali di risposta al trauma, e il fatto che ogni reazione soggettiva deve essere analizzata anche in termini oggettivi sulla base delle caratteristiche del trauma stesso, quali ad esempio l’imprevedibilità e l’intensità. Ovviamente, più un trauma è grave e persiste nel tempo, più intense e durature saranno le conseguenze sull’individuo. Generalmente, la persona affetta da DPTS tende a “rivivere” l’evento traumatico, perdendo improvvisamente il contatto con la realtà e arrivando a provare un disagio ed un terrore molto intensi. Talvolta, si possono manifestare delle vere e proprie amnesie legate all’evento sismico, correlando questo senso di evitamento ad una certa difficoltà di provare emozioni (amnesia emotiva); nelle situazioni più gravi si possono verificare comportamenti di autolesionismo e tentativi di suicidio legati alla visione totalmente negativa del futuro.

Solitamente, queste reazioni psicofisiologiche possono manifestarsi mesi o anni dopo l’evento traumatico, sebbene mediamente la comparsa dei primi sintomi si registra a partire dal secondo e terzo mese successivo al trauma.

L’intervento precoce sui sopravvissuti a un trauma come il terremoto, indipendentemente dalla presenza di una diagnosi di DPTS, dovrebbe essere quindi un obiettivo primario nell’ambito di un programma di Salute Pubblica, attuando una terapia immediata per evitare negli anni l’instaurarsi di patologie psicosomatiche (cardiovascolari, immunitarie, gastroenteriche, nervose e metaboliche) e psicologiche (ansia, depressione e schizofrenia) stress-correlate.

 

Quali sono i consigli per affrontare tale disturbo?

Sicuramente non bisogna far passare troppo tempo, ma occorre cominciare una terapia il prima possibile dall’insorgenza dei sintomi. In particolare, in questi casi viene utilizzata la terapia cognitivo-comportamentale, che prevede l’inizio della cura nei primi giorni successivi al trauma. L’obiettivo è quello di aiutare ad elaborare la tragedia e a “incanalare” le emozioni, in modo da arrivare lentamente a non viverle più. Di solito viene effettuata direttamente “sul posto” da un’équipe di psicologici specializzati negli interventi immediati; nonostante la terapia, in alcuni soggetti il trauma psicologico può persistere o addirittura peggiorare trasformandosi in cronico.

La triste storia degli ultimi anni, dai terremoti che hanno colpito l’Aquila, l’Emilia Romagna fino a quello dei giorni scorsi, e dato il rischio sismico in buona parte dell’Italia, ci portano a non poter, né a dover non prendere in considerazione l’importante ruolo dello psicologo dell’emergenza sia in condizioni di calamità naturali che in quelle legate ad attacchi terroristici. La Psicologia dell’emergenza rappresenta un ampio insieme di contributi diversi della psicologia, dalla Psicologia clinica, Psicologia sociale, fino alla Psicologia di comunità e della salute, finalizzata a comprendere i processi  psicologici, sia psicofisiologici,  cognitivi,  emotivi, che  comportamentali, attivati in tali condizioni. Tutto questo ovviamente senza trascurare gli esiti nel breve e nel lungo termine che andranno inevitabilmente ad incidere sulle capacità di adattamento e sul benessere delle persone e delle comunità colpite. Gli interventi dovranno essere indirizzati sia alle persone coinvolte direttamente nell’evento, che i soccorritori che a loro volta hanno vissuto in prima persona o meno gli eventi critici verificatisi.

 

In generale, dal punto di vista psicologico, le due categorie più a rischio sono soprattutto i bambini e gli anziani; in questo caso, si devono predisporre delle strategie da adottare individualmente. Nel caso dei bambini, per esempio, si continua con la psicoterapia, che viene praticata anche sui genitori e sugli insegnanti, in modo da creare una vera e propria rete attorno al piccolo, per aiutarlo nella guarigione. È un lavoro da portare avanti con delicatezza, ma senza perdere tempo. Ci sono studi che, nei bimbi vittime di traumi importanti, hanno evidenziato il pericolo di un ritardo nello sviluppo fisico e cognitivo, difficile da recuperare se non si interviene subito.

 

Fonte: Istituto fisiologia clinica Ifc-Cnr di Pisa

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

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I requisiti dei luoghi di lavoro: altezze, porte e scale fisse

Un volume dedicato alle PMI e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza. Focus su alcuni requisiti dei luoghi di lavoro: altezze degli ambienti, porte, portoni, locali sotterranei, scale fisse a gradini e parapetti.
Milano, 7 Sett – Nei mesi scorsi abbiamo presentato un volume, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia ( OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), che vuole favorire una corretta applicazione delle disposizioni di legge, con particolare riferimento ai titolari e lavoratori delle imprese artigiane.

E proprio per facilitare la conoscenza della normativa il volume “ Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare” non si sofferma solo  sulla prevenzione dei rischi e sulla gestione dei rischi, ma presenta anche precise indicazioni sullecaratteristiche dei luoghi di lavoro.

 

 

La pubblicazione segnala che, per conoscere i requisiti dei luoghi di lavoro, le fonti legislative sono costituite essenzialmente dal Decreto legislativo 81/2008 (artt. 63 e seguenti e allegato IV) e, per quanto riguarda il settore alimentare, dalle norme contenute nel cosiddetto “pacchetto igiene” (un insieme di testi legislativi emanati dall’Unione Europea) con particolare riferimento all’allegato II del Regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari.

 

Nel volume viene riportato un breve sunto di quelli che sono i principali aspetti da conoscere, con particolare attenzione al comparto artigianale.

Ci soffermiamo oggi in particolare su altezzeportescale e parapetti.

 

Cominciamo parlando di altezze, in relazione agli ambienti di lavoro in locali chiusi.

I luoghi e aree di lavoro non devono avere un’altezza inferiore a 3 m.

Mentre “per i locali destinati o da destinarsi a uffici, indipendentemente dal tipo di azienda, e per quelli delle aziende commerciali, i limiti di altezza sono quelli individuati dalla normativa urbanistica vigente”. In “linea di massima”, il documento indica:

– “Luoghi e aree adibite esclusivamente ad uffici = non inferiore a 2,70 m;

– Depositi, magazzini e corridoi = non inferiore a 2,40 m”.

 

E riguardo a porte e portoni?

Queste le indicazioni:

– “ambienti di lavoro frequentati da non più di 25 persone = 1 sola porta (per ogni singolo locale) di larghezza minima 80 cm;

– ambienti di lavoro frequentati da più di 25 persone e da meno di 50 = 1 sola porta (per ogni singolo locale) di larghezza minima 120 cm;

– ambienti di lavoro frequentati da più di 50 persone = 2 porte (per ogni singolo locale) di cui una di larghezza minima 80 cm ed una di larghezza minima di 120 cm;

– le porte ed i portoni che si aprono nei due sensi devono essere trasparenti ad altezza occhi;

– sulle porte trasparenti deve essere applicato un segno indicativo di ingresso posto all’altezza degli occhi”.

 

In merito al tema dei locali sotterranei, già affrontato in altri articoli di PuntoSicuro, si indica che:

– “è vietato destinare al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei;

– in deroga alle disposizioni di cui al comma 1, possono essere destinati al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei, quando ricorrano particolari esigenze tecniche. in tali casi il Datore di Lavoro provvede ad assicurare idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e di microclima”.

 

Le indicazioni per le scale fisse a gradini:

– “pedata e alzata devono essere dimensionate in modo regolare, e in particolare devono essere rispettate le seguenti indicazioni: alzata minima cm 16, massima cm 18; l’altezza massima della alzata è consentita solo per casi particolari e comunque solo per progetti di ristrutturazione; pedata di altezza tale che la somma di essa con due alzate non sia inferiore a cm 63 (Regolamento locale di igiene tipo Regione Lombardia);

– per il collegamento di più alloggi le scale devono essere interrotte almeno ogni 10 alzate con idonei pianerottoli (Regolamento locale di igiene tipo Regione Lombardia);

– la larghezza deve essere adeguata alle esigenze del transito, e comunque non inferiore a m. 1,20 riducibili a m 1 per le costruzioni fino a due piani e/o ove vi sia servizio di ascensore (Regolamento locale di igiene tipo Regione Lombardia);

– la scala deve essere dotata di illuminazione e i gradini non devono essere scivolosi;

– se la scala ha un lato aperto, esso deve essere protetto con un parapetto; se non vi sono lati aperti ci deve essere almeno un corrimano”.

 

E sempre con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle scale, concludiamo questa breve e non esaustiva carrellata di requisiti, parlando di parapetti.

 

In particolare è richiesto un parapetto:

– “in ogni piano rialzato o piattaforma, su tutti i lati aperti eccezion fatta – ovviamente – per il lato di accesso alla scala;

– su tutti i lati aperti di: impalcature; passerelle; ripiani; rampe di accesso; balconi; posti di lavoro sopraelevati”.

Detto parapetto “deve essere conforme alle seguenti regole:

– altezza pari ad almeno 1 m;

– dotato di almeno due correnti, di cui quello più basso fissato a metà distanza fra quello superiore e il pavimento;

– costruito in materiale rigido e resistente;

– può inoltre avere un arresto al piede costituito da una fascia continua alta almeno 15 cm”.

Ricordiamo che indicazioni sulle caratteristiche dei parapetti per la prevenzione degli infortuni nei lavori in quota nei cantieri temporanei o mobili (Titolo IV, D.Lgs. 81/2008) si possono trovare all’articolo 126 e nell’allegato XVIII del D.Lgs. 81/2008.

 

Segnaliamo infine che il volume dedicato a imprese artigiane e PMI si sofferma anche su altri requisiti dei luoghi di lavoro: illuminazione, areazione, pavimenti, pareti e servizi igienici.

 

 

 

Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia, “ Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, 2014 (formato PDF, 4.20 MB).

 

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui luoghi di lavoro

 

 

 

RTM

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Fonte: puntosicuro.it

 

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Valutare lo stress lavoro-correlato nel settore manifatturiero

Disponibile una scheda della Regione Lombardia per la valutazione del rischio stress lavoro correlato e dei rischi psicosociali nel settore manifatturiero: fattori di rischio e misure di prevenzione.
Milano, 04 Ago – La Regione Lombardia, in collaborazione con INAIL e nell’ambito del progetto CCM 2013 del Ministero della Salute, ha prodotto alcune schede sul tema dello Stress lavoro-correlato e dei rischi psico-sociali in nove diversi settori di attività.

Dopo aver presentato le schede per la Grande Distribuzione Organizzata e per il settore telecomunicazioni, riportiamo oggi la scheda dedicata alle attività manifatturiere.

Segnaliamo che i testi sono stati realizzati da operatori della U.O. Medicina del Lavoro, A.O  San Gerardo di Monza.

 

 

STRESS LAVORO-CORRELATO E RISCHI PSICOSOCIALI – SETTORE AZIENDE MANIFATTURIERE

 

Il settore manifatturiero comprende l’insieme di tutte le attività relative alla produzione di beni/manufatti a partire da materie prime e/o semilavorati. Sulla base del Rapporto Annuale 2013 dell’ISTAT la popolazione lavorativa del settore manifatturiero industriale è di circa 6 milioni 300 mila occupati di cui 20,6 % di genere femminile.

Tale attività comporta l’utilizzo di attrezzature e macchine specifiche per le varie attività (metalmeccanico, legno, chimica, plastica, edilizia, ecc.). In particolare l’introduzione progressiva di nuove macchine e/o tecnologie ha determinato dei cambiamenti nei modelli integrati del lavoro umano ed in particolare nell’ organizzazione del lavoro, sempre più improntata sulla ricerca della qualità, che hanno prodotto profonde modificazioni nelle attività lavorative, con impatto sua sulle condizioni di lavoro che sui livelli di salute e sicurezza dei lavoratori.

Si riporta di seguito una serie di fattori di rischio organizzativo potenzialmente presenti in questo settore indicando, per ognuno di essi, alcune misure correttive di carattere generale utili alla prevenzione e/o riduzione del rischio da stress lavoro-correlato.

 

CONTENUTO DEL LAVORO
FATTORI DI RISCHIO SLC MISURE DI PREVENZIONE e/o GESTIONE DEL RISCHIO
Non adeguato controllo dei rischi fisici, chimici, biologici ed ergonomici legati alle tecnologie in uso sulla base della valutazione aziendale dei rischi – Messa in atto di adeguate misure tecniche, organizzative e procedurali sulla base delle risultanze della valutazione dei rischi aziendali
Attività monotone e ripetitive, processi di lavoro a cicli brevi(lavori in catena di montaggio, lavori di assemblaggio, lavori nell’industria alimentare, ecc.) Con necessità di adeguarsi ad alcune procedure (procedure di qualità, auto-valutazione della qualità, soluzione autonoma di problemi imprevisti, necessità di apprendere velocemente nuove nozioni) – Riprogettare il lavoro e l’ambiente di lavoro secondo criteri ergonomici;

– Stabilire programmi di lavoro flessibili con sufficienti periodi di recupero;

– Costituire squadre di lavoro affiatate, valutando esperienza, capacita e attitudini dei lavoratori

Adattamento difficoltoso dei lavoratori alle innovazioni tecnologiche ed organizzative ed alle tecnologie industriali digitali nei processi manifatturieri(“Industria 4.0”, “Smart Industry” o “Advanced Manufacturing”)  – Attivare adeguati percorsi formativi e di apprendimento all’uso delle nuove tecnologie, finalizzati a potenziare le capacità dei lavoratori,con particolare attenzione ad alcune categorie dilavoratori (anziani, disabili, ecc.);

– Definire profili di rischio specifici in relazione alle pratiche d’uso delle nuove tecnologie inriferimento ai livelli organizzativi (operatori, quadri,middle-management, ecc) ed alle differenze digenere, età e provenienza culturale;

– Procedere a definire la policy aziendalerelativa all’assegnazione dei device mobili ed al loro corretto uso

Elevato ritmo di lavoro e pressione lavorativa, legati alle scadenze, pause brevi e/o poco frequenti, elevato caricodi lavoro  – Ridistribuire le risorse umane in relazioneall’andamento dei volumi di attività;

– Monitorare frequentemente il carico di lavoro, lespecifiche mansioni assegnate ed i turni stabiliti;

– Inserire pause adeguate attive e/o passive (perdurata e frequenza) durante il turno di lavoro;

– Prevedere adeguata formazione e addestramento al fine di garantire ai lavoratori idonee competenze e conoscenze

Lavoro su turni (compresa turnazione notturna), orari prolungati e protratti, lavoro straordinarioinadeguatagestione  – Programmare mensilmente il calendario dei turni, se possibile con la consultazione dei lavoratori ; Predisporre una turnazione in ritardo di fase (mattina – pomeriggio – notte); .

– Pianificare lo schema di turnazione/la rotazione oraria dei turni tenendo conto delle condizioni di lavoro e della tipologia dei compiti; .

– Limitare il ricorso al lavoro straordinario(compatibilmente con le necessità organizzative con eventuali emergenze)

Elevato grado di attenzione e concentrazione richiesto dalle attività svolte (es. sale di controllo impianti chimici o termici, lavori ad alta precisione) – Favorire un’equa distribuzione dei carichi di lavoro fra gli operatori con criteri trasparenti e condivisi;

– Nell’ambito della sorveglianza sanitaria prevedere accertamenti mirati per gli operatori con esiti di patologie neuropsichiche/cerebrovascolari volti a monitorare le capacità cognitive (memoria, attenzione, concentrazione, tempi di reazione)

 

CONTESTO LAVORATIVO
FATTORI DI RISCHIO SLC MISURE DI PREVENZIONE e/o GESTIONE DEL RISCHIO
Difficile interfaccia casa-lavoro, determinata dal lavoro a turni, soprattutto in relazione alla turnazione notturna – Potenziare il sistema di welfare aziendale(es. asilo nido aziendale e/o convenzioni con asili nido in zone limitrofe alla sede di lavoro, centro ricreativo, per i figli dei lavoratori, che organizzi attività soprattutto nel periodo estivo e/o durante le vacanze natalizie, servizio di dopo scuola);

– Programmare mensilmente il calendario dei turni, se possibile con la consultazione dei lavoratori;

– Limitare il ricorso al lavoro straordinario,compatibilmente con le necessità organizzative e/oeventuali emergenze

Scarsa discrezionalità su ritmo e carico di lavoro da parte del lavoratore, scarsa autonomia decisionale Introdurre, dove possibile, sistemi dipianificazione/ gestione autonoma del lavoro da parte dei lavoratori
Scarse prospettive di carriera Introdurre sistemi premianti in relazione alraggiungimento di obiettivi
Scarso coinvolgimento dei lavoratori e scarso senso di appartenenza all’organizzazione  – Garantire la presenza di un sistema di comunicazione aziendale

 – Ascoltare i suggerimenti e le propostefornite dai lavoratori e programmare momenti di comunicazione dell’azienda a tutto il personale

 – Favorire il dialogo fra lavoratori e/o RLS e il sistema di sicurezza interna (RSPP e/o Medico Competente), in particolare in relazione a suggerimenti e criticità circa le postazioni di lavoro, le attrezzature, le modalità di lavoro, ecc;

– Prevedere periodici incontri all’interno dei vari reparti

 

 

Regione Lombardia, “ Stress lavoro-correlato e rischi psicosociali. Settore aziende manifatturiere”, scheda realizzata nell’ambito del progetto CCM 2013 in collaborazione con INAIL, Dipartimento di Medicina, Epidemiologia,Igiene del Lavoro e Ambientale (DiMEILA), testi a cura di Simona Boneschi, Veronica Viganò, Raffaele Latocca. U.O. Medicina del Lavoro, AO San Gerardo Monza (formato PDF, 130 kB)

 

 

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Imparare dagli errori: quando non si mette in sicurezza il tetto

Esempi di infortuni tratti da Suva: un infortunio grave avvenuto durante l’esecuzione dei lavori sulla copertura di un edificio in costruzione. La dinamica dell’incidente, le riflessioni sulle cause e le regole di prevenzione.
Brescia, 4 Ago – Una delle tipologie di incidenti di lavoro più diffuse in ogni paese europeo è lacaduta dall’alto nei lavori in quota, ad esempio da opere provvisionali, come i ponteggi, o da coperture, come i tetti delle case. Tipologie di incidenti – sia con riferimento ai rischi sui ponteggi che ai rischi sulle coperture – più volte analizzate in “ Imparare dagli errori”, la rubrica di PuntoSicuro dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi.

Anche oggi ci soffermiamo su questo tema e lo facciamo con riferimento non al nostro sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi, ma alla scheda di un infortunio, avvenuto in territorio elvetico, pubblicata sul sito di Suva, istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, e correlata alla campagna “ Visione 250 vite”.

La scheda – dal titolo “Cade dal tetto: mancava la protezione laterale” – racconta di un infortunio grave avvenuto durante l’esecuzione dei lavori sulla copertura di un edificio in costruzione.

 

 

Il caso

Un lavoratore, falegname qualificato, “sta lavorando sul tetto spiovente di un edificio in costruzione. Arriva presto sul posto per svolgere dei lavori preliminari. L’intenzione è di sollevare sul tetto una paletta di tegole con una gru.

All’improvviso la paletta si mette a oscillare”. Il lavoratore “cerca di fermarla con la mano libera, ma perde l’equilibrio. Cade oltre il bordo del tetto e dopo un volo di 5 m finisce a terra privo di sensi”.

 

Perché l’incidente è avvenuto?

La scheda di Suva indica che:

  1. il lavoratore sta operando sul tetto “dove manca in parte la protezione laterale del ponte da lattoniere. In questo caso tutti gli addetti ai lavori avrebbero dovuto dire STOP. Dalle indagini è emerso che la parete di protezione da copritetto con il ponte da lattoniere era stata rimossa perché lagru a torrea rotazione bassa era troppo vicina al ponteggio”.

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  1. “Il falegname è in piedi sul tetto spiovente che ha un’inclinazione di 40 gradi. In una mano tiene il telecomando della gru e contemporaneamente tenta di stabilizzare il carico. In quel mentre perde l’equilibrio”.

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  1. Il lavoratore non è in possesso dell’abilitazione da gruista. Non avrebbe dovuto manovrare quella gru.

 

Dunque, riepilogando, questi sono i principali fattori causali dell’infortunio:

– il lavoratore perde l’equilibrio e cade dal tetto;

– la parete di protezione da copritetto è stata in parte rimossa;

– il lavoratore manovra la gru pur non possedendo l’idonea abilitazione.

 

Prevenzione

Per favorire la prevenzione degli infortuni correlati all’attività sulle coperture degli edifici, la scheda propone degli approfondimenti tratti dal documento “ Nove regole vitali per chi lavora su tetti e facciate”.

 

Ricordiamo brevemente le regole:

Regola1 – Realizzare accessi sicuri

Regola 2 – Mettere in sicurezza le zone con rischio caduta (regola rilevante per il caso in questione)

Regola 3 – Impedire le cadute verso l’interno dell’edificio

Regola 4 – Mettere in sicurezza le aperture nel tetto

Regola 5 – Garantire superfici di copertura resistenti alla rottura

Regola 6 – Lavorare sulle facciate solo con attrezzature sicure

Regola 7 – Ispezionare i ponteggi

Regola 8 – Utilizzare correttamente le imbracature anticaduta

Regola 9 – Proteggersi dalle polveri di amianto

 

Riguardo alla seconda regola, la regola rilevante in questo caso, riprendiamo brevemente i suggerimenti contenuti nel documento “Nove regole vitali per chi lavora su tetti e facciate. Vademecum”:

– “Lavoratore: lavoro sui tetti solo se i bordi sono messi in sicurezza. Metto in sicurezza le zone con rischio di caduta o segnalo le irregolarità al mio superiore e metto in guardia i colleghi;

– Superiore: faccio sempre mettere in sicurezza come si deve le aperture a bordo tetto. Se manca un dispositivo anticaduta, sospendo immediatamente i lavori”.

 

Nella regola si indica che “la migliore protezione contro le cadute dall’alto è mettere in sicurezza l’intero perimetro del tetto. Questo protegge tutte le persone che si trovano in quel momento sul tetto (protezione collettiva)”.

In particolare la messa in sicurezza del bordo tetto “deve impedire la caduta dall’alto delle persone in caso di inciampo, piede in fallo o scivolamento su un tetto a falda. La protezione deve essere sufficientemente stabile in modo da trattenere la persona”.

 

Sono riportate poi alcune indicazioni, tratte dalla normativa elvetica, per i tetti piani:

– “ponte da lattoniere con piani di calpestio resistenti ai carichi dinamici, montaggio al massimo ad 1 m al di sotto del bordo tetto”;

– “protezione laterale corretta che corre lungo tutto il bordo tetto”.

E per i tetti spioventi:

– lato gronda: ponte da lattoniere con piani di calpestio resistenti ai carichi dinamici, montaggio al massimo ad 1 m al di sotto del bordo tetto. Se il tetto ha un’inclinazione di 25 gradi bisogna montare anche una parete di protezione da copritetto; in caso di lavori su tetti esistenti è possibile realizzare una parete di ritenuta sul tetto al posto di un ponte da lattoniere;

–  lato frontone: ponte da lattoniere (come descritto precedentemente); installazione di un parapetto e di un corrente intermedio”.

 

Segnalando che ci sono alcune differenze nella normativa tra Svizzera e Italia, rimandiamo, infine, alla lettura di alcuni articoli di PuntoSicuro relativi alla prevenzione dei lavori in quota, agli infortuni, alle protezioni collettive/individuali e a quanto contenuto nelle nostre leggi di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro:

– Definizioni, chiarimenti e normativa sui lavori in quota;

– La sicurezza nei percorsi di accesso alle coperture;

– Una lista di controllo per la sicurezza nei cantieri edili;

– La prevenzione delle cadute da lucernari, tetti e coperture;

– Imparare dagli errori: i rischi dei lavori sulle coperture;

– Imparare dagli errori: morire sul lavoro cadendo dal tetto;

– Sicurezza in edilizia: lucernari, parapetti e bocche di lupo;

– Dispositivi di protezione anticaduta e D.Lgs. 81/2008.

 

 

N.B.: Gli eventuali riferimenti legislativi contenuti nei documenti di Suva riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati possono comunque essere utili per tutti i lavoratori.

 

 

Suva, “ Cade dal tetto: mancava la protezione laterale”, dinamica di un incidente correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite” (formato PDF, 1.42 MB).

 

Suva, “ Nove regole vitali per chi lavora su tetti e facciate. Vademecum”,  edizione maggio 2012 (formato PDF, 1.61 MB).

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

 

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Spazi confinati: l’applicazione del decreto 81/2008

Un intervento sulle attività di ricerca dell’Inail e sull’applicazione del D.Lgs. 81/2008 nel campo degli ambienti sospetti di inquinamento e/o confinati. Accessi, generatori di vapore, gas negli scavi, applicazioni di resine e locali sotterranei.
Modena, 4 Ago – Al di là del  Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 che prevede un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito degli   ambienti confinati e sospetti di inquinamento, la principale normativa applicabile per la prevenzione degli incidenti nei cosiddetti “spazi confinati” è ancora il Decreto Legislativo 81/2008.

 

A ricordarlo e a riportare i risultati di alcune ricerche Inail per individuare le criticità e gli ambienti a rischio è un intervento al Quinto convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati, dal titolo “ Confined Spaces: new perspective in Confined Spaces Safety”, un evento organizzato nell’ambito del progetto “ A Modena la sicurezza sul lavoro in pratica” dal Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla Sicurezza e Prevenzione dei Rischi C.R.I.S. in collaborazione con l’Associazione organismo di ricerca  European Interdisciplinary Applied Research Center for Safety di Parma.

 

 

In “Le attività di ricerca dell’INAIL nel campo degli ambienti sospetti di inquinamento e/o confinati”, intervento a cura dell’Ing. Luciano Di Donato (I° Tecnologo DIT Inail – ROMA Laboratorio Macchine ed Attrezzature di Lavoro), si riporta (riguardo al tema della verifica delle imprese) il testo della Lettera circolare del 27 giugno 2013 (DG Attività ispettiva del Ministero del Lavoro) sul precetto e sanzione relativa alla mancata verifica idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi.

 

Si sottolinea poi, come indicato nelle premesse dell’articolo, che in materia di spazi confinati la legislazione applicabile è il D.Lgs. 81/2008 (TU) che indica, ad esempio, che è “vietato consentire l’accesso dei lavoratori in pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, senza che sia stata previamente accertata l’assenza di pericolo per la vita e l’integrità fisica dei lavoratori medesimi, ovvero senza previo risanamento dell’atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei”. E “quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera, i lavoratori devono essere legati con cintura di sicurezza, vigilati per tutta la durata del lavoro e, ove occorra, forniti di apparecchi di protezione” (art. 66, D.Lgs. 81/2008).

 

Inoltre sempre l’articolo 66 indica che “l’apertura di accesso a detti luoghi deve avere dimensioni tali da poter consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi”.

Si ricorda poi il contenuto dell’Allegato IV del TU (punto 3.1) e le indicazioni riguardo alle dimensioni dei passi d’uomo e aperture di accesso alle strutture di alcune norme tecniche (Norma UNI EN 124 punto n. 7.3, UNI EN 547 – Sicurezza del Macchinario e le misure antropometriche indicate dalla Norma UNI EN 547-3:2009). A questo proposito si ricorda “che una persona adulta occupa mediamente lo spazio di una elisse avente asse maggiore di 60 cm e asse minore di 45 cm. Tali dimensioni vanno aumentate qualora si preveda di utilizzare bombole o DPI che aumentino gli ingombri”. E le dimensioni vanno poi, dunque, “verificate in relazione alla necessità di ‘consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi’ (D.Lgs 81/08 art. 66 e allegato IV punto 3.1) e alle esigenze di utilizzo di specifiche attrezzature per il salvataggio (autorespiratori, barelle, ecc.)”.

 

Sono riportati poi numerosi riferimenti legislativi, anche con riferimento alla visita interna di generatori e la verifica di integrità: “l’importanza dell’identificazione precoce di eventuali difetti, deriva dalla considerazione che nei generatori di vapore, l’elevata energia immagazzinata, la notevole temperatura di lavoro delle lamiere del corpo a pressione, fanno sì che un’eventuale anomalia possa rapidamente evolvere in una rottura, con conseguente pericolo di scoppio per il fortissimo aumento di volume dovuto all’improvvisa vaporizzazione dell’acqua.  Una caldaia a vapore ha il potenziale di una bomba: se si riporta su un grafico in ascisse il contenuto d’acqua e in ordinate la quantità di esplosivo in grado di generare l’equivalente effetto distruttivo, indicando con le linee inclinate nel diagramma le varie pressioni di esercizio, ci si può rendere conto dell’elevato potere distruttivo potenziale di questi sistemi”.

Si ricorda poi l’art. 121 sulla presenza di gas negli scavi: “quando si eseguono lavori entropozzi, fogne, cunicoli, camini e fosse in genere, devono essere adottate idonee misure contro i pericoli derivanti dalla presenza di gas o vapori tossici, asfissianti, infiammabili o esplosivi, specie in rapporto alla natura geologica del terreno o alla vicinanza di fabbriche, depositi, … condutture di gas, che possono dar luogo ad infiltrazione di sostanze pericolose”. E quando “sia accertata o sia da temere la presenza di gas tossici, asfissianti o la irrespirabilità dell’aria ambiente e non sia possibile assicurare una efficiente aerazione ed una completa bonifica i lavoratori devono essere provvisti di idonei D.P.I. delle vie respiratorie, ed essere muniti di idonei D.P.I. collegati ad un idoneo sistema di salvataggio, che deve essere tenuto all’esterno dal personale addetto alla sorveglianza (in continuo collegamento con gli operai all’interno ed in grado di sollevare prontamente all’esterno il lavoratore)”.

 

Il relatore si sofferma poi sui risultati di 5 anni di osservazioni relativi a 149 accessi e 236 imprese (Osservatorio sul Lavoro di Roma) e riporta alcune indicazioni relative a specifiche situazioni.

 

Ad esempio “quando si applicano delle resine e in particolare quando dalla valutazione del rischio si è accertato che l’ambiente è confinato, va studiata con particolare attenzione la scheda di sicurezza”. Inoltre:

– “utilizzare un prodotto con un basso grado d infiammabilità (bassa percentuale di solventi);

– predisporre una ventilazione aspirante per impedire accumuli pericolosi;

– evitare quindi resine ad alto contenuto di solventi molto infiammabili (ad esempio resine stireniche e isoftaliche);

– evitare di utilizzare perossidi (i perossidi sono sostanze comburenti e quindi sono sostanze chimiche che possono dar luogo ad ossidazioni violente). evitare quindi resine isoftaliche;

– valutare e quindi evitare qualunque fonte di innesco;

– predisporre un estintore o un sistema antincendio adeguato alla tipologia di intervento;

– utilizzare i DPI di III categoria se previsti dall’analisi dei rischi; Per i rischi a lungo termine

– utilizzare resine che hanno basse percentuali di sostanze cancerogene e/o mutagene (quali ad esempio lo stirene gruppo 2° iarc) e fibre di vetro (si consultino documenti legislativi di riferimento e linea guida ad es. su fav del 25/03/2015).

 

Sono poi riportate specifiche informazioni sulle attività nelle piscine e vasche di compenso ed è ricordato, infine, il contenuto dell’art. 65 (TU) sui locali sotterranei o semisotterranei.

 

Articolo che indica che è “vietato destinare al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei”. In deroga a queste disposizioni, “possono essere destinati al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei, quando ricorrano particolari esigenze tecniche. In tali casi il datore di lavoro provvede ad assicurare idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e di microclima”.

E l’organo di vigilanza “può consentire l’uso dei locali chiusi sotterranei o semisotterranei anche per altre lavorazioni per le quali non ricorrono le esigenze tecniche, quando dette lavorazioni non diano luogo ad emissioni di agenti nocivi”, sempre che siano rispettate le norme del D. Lgs. 81/2008 e si sia provveduto ad assicurare le condizioni indicate sopra (e riportate nel comma 2 dell’art. 65).

 

 

“ Le attività di ricerca dell’INAIL nel campo degli ambienti sospetti di inquinamento e/o confinati”, a cura dell’Ing. Luciano Di Donato (I° Tecnologo DIT Inail – ROMA Laboratorio Macchine ed Attrezzature di Lavoro), intervento al V convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati “Confined Spaces: new perspective in Confined Spaces Safety” (formato PDF, 3.51 MB).

 

 

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Tiziano Menduto

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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Un disegno di legge per ridisegnare la normativa sulla sicurezza

Depositato nella Commissione Lavoro del Senato un disegno di legge che ridurrebbe il Testo Unico sulla sicurezza da 306 a 22 articoli. Le proposte, i principi generali, le modifiche in materia di responsabilità e le prime reazioni delle parti sociali.

Roma, 4 Ago – Ormai da alcuni anni la filosofia che guida il legislatore in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro è quella della razionalizzazione e semplificazione delle norme e degli adempimenti. Molti provvedimenti, ad esempio il cosiddetto “Decreto del fare” o il “ Jobs Act”, hanno previsto infatti semplificazioni e modifiche che hanno cambiato “qui e là” qualche articolo del D.Lgs. 81/2008, ad esempio allargando qualche esonero, introducendo qualche deroga, standardizzando e agevolando l’elaborazione di qualche documento.

Tuttavia c’è chi ritiene che la terapia che necessita alla nostra normativa sulla sicurezza vada ben al di là di qualche taglio o qualche modifica.

 

Infatti nello scorso mese di luglio è stato depositato dai senatori Maurizio Sacconi e Serenella Fucksia, in Commissione Lavoro del Senato, un nuovo disegno di legge (DDL) tendente al riordino e alla semplificazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Un disegno di legge che, sollevando, come vedremo, alcune perplessità e critiche, propone per il futuro una semplificazione drastica: se il DDL fosse approvato la normativa in materia di salute e sicurezza del Testo Unico passerebbe dagli attuali 306 articoli e 51 allegati a 22 articoli e 5 allegati.

Una proposta che prevede anche la possibilità per “medici del lavoro o altri professionisti esperti in materia di sicurezza sul lavoro”, di verificare l’avvenuto adempimento in azienda degli obblighi in materia di salute e sicurezza e certificare, sotto la propria responsabilità, la correttezza delle misure di prevenzione e protezione adottate dalla singola azienda.

E cambiamenti non mancherebbero poi anche nelle responsabilità del datore di lavoro. Secondo i due proponenti la colpa in materia di salute e sicurezza è “colpa di organizzazione” con la conseguenza che ‘essa viene meno ove l’imprenditore dimostri di aver provveduto ad organizzare la sua azienda in modo corretto e attento rispetto alle esigenze di tutela dei propri lavoratori’.

 

Per illustrare più nel dettaglio il disegno di legge “Disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori” riportiamo alcune parti significative presenti nella presentazione del DDL.

 

Si indica che la disciplina sulla salute e sicurezza durante il lavoro è stata “prodotta nel presupposto della produzione industriale seriale fortemente meccanizzata e di mansioni lavorative standardizzate, venendo applicata in modo tendenzialmente omologo a tutti i luoghi produttivi di beni come di servizi”.

 

E si sottolinea che la normativa di salute e sicurezza vigente in Italia “si caratterizza per la sua eccessiva complessità, legislativa e di attuazione”, già bene esemplificata dal numero degli articoli del d.lgs. n. 81/2008, “a sua volta neppure esaustivo rispetto alle disposizioni vigenti”. Complessità ancora più preoccupante – continuano i due senatori – “ove si consideri che il ‘testo unico’ (come già il d.lgs. n. 626/1994) non prevede alcuna ‘modularità’ delle disposizioni applicabili alle aziende rispetto alle peculiarità dei settori e delle attività di riferimento imponendo in modo indistinto a tutti i datori di lavoro l’adozione – tendenzialmente assistita da sanzione penale – delle stesse misure di tutela, progettate avuto riguardo al modello di una impresa manifatturiera, strutturata e organizzata in modo tradizionalmente gerarchico”.

Secondo i proponenti è evidente ed improcrastinabile “indirizzare la normativa vigente in materia di salute e sicurezza verso una maggiore pertinenza rispetto alle dinamiche e ai rischi infortunistici di settore e tenendo conto delle diversità delle organizzazioni di lavoro”.

Insomma appare necessario “abbandonare definitivamente l’approccio formalistico” a favore di uno “pratico e sostanziale, che concepisca le regole di prevenzione in modo coerente con la gravità dei rischi propri delle imprese dei diversi settori di riferimento e che favorisca un approccio normativo fondato sulla sostenibilità degli obblighi di legge da parte degli studi professionali, degli uffici in generale e delle Piccole e Medie Imprese, cui non è logico né corretto chiedere gli stessi adempimenti imposti ad aziende con processi complessi e con numero elevato di lavoratori, senza alcuna considerazione dei dati infortunistici di riferimento”.

 

Prima di entrare nel dettaglio di qualche articolo riprendiamo i principi generalipresentati nel DDL:

  1. “introduzione del principio del rispetto dei livelli di regolazione minimi previsti dalla legislazione comunitaria di riferimento, eliminando quelle parti delle normative italiane (leggi, decreti, altre fonti) che rispetto ai livelli di regolazione delle direttive comunitarie siano ulteriori e non giustificati da esigenze di tutela dei lavoratori;
  2. riconoscimento del principio per il quale ildatore di lavoroè tenuto ad adottare le misure di prevenzione e protezione che rappresentano lo ‘stato dell’arte’ in materia di prevenzione di infortuni e malattie, in quanto elaborate da soggetti competenti e, se necessario, ‘validate’ da soggetti pubblici;
  3. identificazione di principi essenziali di sicurezza, tratti dalle direttive europee e contenuti nelle ‘norme tecniche’, nelle ‘buone prassi’ e nelle ‘linee guida’, che costituiscano i livelli inderogabili – applicati unitariamente a livello nazionale – della tutela dei lavoratori rispetto agli infortuni e alle malattie professionali e il parametro di valutazione dell’adempimento degli obblighi delle aziende, con conseguente abrogazione delle disposizioni ‘di dettaglio’ (tuttora vigenti, spesso risalenti agli anni ’50) di cui ai Titoli II e seguenti del d.lgs. n. 81/2008;
  4. possibilità per i soggetti obbligati di rivolgersi a soggetti ‘esperti’ in materia di salute e sicurezza sul lavoro i quali, sotto la loro responsabilità professionale, possano ‘certificare’ la correttezza della progettazione e realizzazione delle misure di prevenzione e protezione in azienda, anche previo accesso al patrimonio informativo di cui alSistema Informativo Nazionale per la Prevenzione(SINP);
  5. incentivazione, con un meccanismo di ‘bonus-malus’ a valere sui premi INAIL, della adozione ed efficace attuazione in azienda delle misure di prevenzione di infortuni e malattie professionali;
  6. complessiva rivisitazione della normativa vigente, eliminando ripetizioni e sovrapposizioni, anche con riferimento all’apparato sanzionatorio, garantendo la semplificazione della normativa nonché l’effettiva e corretta modulazione dei precetti, anche sanzionatori”.

 

Prima di raccogliere qualche breve commento sul disegno di legge entriamo nel dettaglio di qualche articolo.

 

Ad esempio riguardo alle responsabilità il comma 4 dell’articolo 6 evidenzia come la responsabilità penale e civile del datore di lavoro è esclusa ‘nel caso in cui siano intervenuti fatti dovuti a circostanze a lui estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le cui conseguenze sarebbero state comunque inevitabili, nonostante il datore di lavoro si sia comportato in modo diligente’.

 

Certo resta ferma la necessità che il datore di lavoro vigili sulle condotte altrui (comma 5), adempimento che egli può però ottemperare anche attraverso una corretta organizzazione aziendale, ‘per mezzo dei dirigenti e dei preposti e attraverso idonee procedure, anche disciplinari’”. E la responsabilità penale del datore di lavoro è esclusa (comma 6) in caso di infortunio occorso a seguito di grave negligenza del dirigente, del preposto o del lavoratore, ‘ove sia dimostrato il diligente comportamento del datore di lavoro, consistente nella adozione ed efficace attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge e di cui alla normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro’.

 

L’articolo 7, “centrale nella logica e nella filosofia” della proposta, impone al datore di lavoro di perseguire l’adozione ed efficace attuazione delle “ migliori soluzioni tecniche e organizzative disponibili” e presenta l’attività di supporto e sostegno garantita dai medici del lavoro o da altri professionisti esperti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, chiamati a verificare l’avvenuto adempimento in azienda degli obblighi in materia di salute e sicurezza rilasciando una apposita “certificazione” avente valore legale di presunzione rispetto agli obblighi di legge (comma 3, articolo 7). E al fine di consentire la necessaria selezione dei certificatori, la legge prevede la necessità di iscrizione ad un elenco presso il Ministero del lavoro, previa verifica del possesso di determinati requisiti professionali e di esperienza. Secondo i proponenti tale meccanismo di affidamento a soggetto terzo della certificazione “permetterà una notevolissima riduzione della documentazione di riferimento per la dimostrazione dell’avvenuto adempimento degli obblighi da parte del datore di lavoro favorendo una visione sostanziale e non burocratica della materia e riducendo sensibilmente i costi di gestione degli adempimenti meramente documentali”.

 

In definitiva quella del nuovo disegno di legge è sicuramente una visione in materia di sicurezza e salute sicuramente molto diversa da quella sottesa non solo dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma più in generale da tutta l’attuale normativa in materia di SSL.

 

È evidente che stiamo parlando di una proposta. Una proposta che attende l’esame da parte della Commissione e che potrebbe o non potrebbe mai giungere al voto, almeno in questa forma e senza modifiche.

 

Rimandando a futuri approfondimenti sul tema, riprendiamo brevemente una breve notache esprime l’opinione sul DDL da parte di Sebastiano Calleri, Responsabile nazionale salute e sicurezza nei luoghi di lavoro Cgil.

 

Secondo Calleri quella del disegno di legge è una “riproposizione di posizioni già note e diffuse in passato, molte di stampo ideologico ed alcune di segno contrario perfino a riforme già in atto, come quelle dell’articolo 117 della Costituzione”.

Secondo il dirigente Cgil tale proposta “dispone innanzitutto l’abrogazione del TU 81, per sostituirlo con testo che propone modifiche pericolosissime non solo in merito alle responsabilità oggettive dei Datori di Lavoro (introducendo anche la ‘responsabilità’ in qualche modo esimente di lavoratori e preposti), ma attraverso un sistema del tutto diverso basato sul principio della certificazione della corretta applicazione delle norme da parte di professionisti presunti ‘terzi’ ma retribuiti dai datori di lavoro stessi”.

 

Inoltre resta non conosciuto, all’interno dell’articolato del DDL – continua Calleri – “il ruolo assegnato ad esempio all’Inail e al nuovo ispettorato unico all’interno del sistema prevenzionistico”.

 

È probabile che questa proposta sarà seguita nei prossimi mesi da vari commenti di tecnici, politici e parti sociali, commenti che speriamo di poter pubblicare per offrire un ventaglio il più possibile allargato delle opinioni e delle soluzioni proponibili in materia di sicurezza.

 

Speriamo che il DDL e il dibattito che potrebbe sollevare saranno comunque una buona occasione per riflettere seriamente su come migliorare la sicurezza in Italia, su come adattarla al complesso e variegato mondo lavorativo e su come realizzare norme che siano prima di tutto efficaci nel tutelare la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

 

Senato della Repubblica, Disegno di legge d’iniziativa dei Sen. Maurizio SACCONI, Serenella FUCKSIA “ Disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori” (formato PDF, 438 kB).

 

 

Tiziano Menduto

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Caldo estivo: bilancio termico, ambienti e misure di sicurezza

Un documento presenta alcune informazioni sul microclima nei luoghi di lavoro. La normativa, le definizioni, il bilancio termico, i meccanismi di termoregolazione, gli ambienti termici, la valutazione dei rischi e le misure di sicurezza.
Udine, 5 Ago – Con riferimento alla stagione estiva, all’aumento delle temperature nei luoghi di lavoro, esterni e interni, e al conseguente disagio o “ discomfort ambientale”, torniamo a parlare di microclima negli ambienti lavorativi.

Per farlo prendiamo spunto da un materiale pubblicato in rete dall’ Università degli Studi di Udine, una dispensa con un contributo dell’Ing. Gino Capellari (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Ateneo) per un corso di formazione per i Rappresentanti del Lavoratori per la sicurezza e i referenti per la prevenzione e sicurezza dei dipartimenti.

 

Dal contributo dal titolo “Luoghi di lavoro, microclima, aerazione ed illuminazione” riprendiamo alcune informazioni relative al microclima.

 

Innanzitutto ricordiamo cosa dice la legge.

 

Sono riprese alcune indicazioni dell’Allegato IV del Decreto legislativo 81/2008 (1.9 Microclima):

– aerazione: “nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far si che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente ottenuta preferenzialmente con aperture naturali e quando ciò non sia possibile, con impianti di areazione”;

– temperatura dei locali: “la temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori”;

– umidità: “nei locali chiusi di lavoro delle aziende industriali nei quali l’aria è soggetta ad inumidirsi notevolmente per ragioni di lavoro, si deve evitare, per quanto è possibile, la formazione della nebbia, mantenendo la temperatura e l’umidità nei limiti compatibili con le esigenze tecniche”.

 

Si sottolinea poi che con “microclima” si intende il “complesso dei parametri fisici (temperatura, aerazione, umidità…) che caratterizzano l’ambiente di lavoro e che assieme a parametri individuali (attività metabolica e abbigliamento) determinano gli scambi termici fra l’ambiente stesso e gli individui che vi operano”.

E che la ‘macchina’ umana è una macchina termica – alimentata da ‘combustibili’ (alimenti) – che “tende a mantenere più costante possibile la propria temperatura interna (soprattutto quella degli organi più importanti: sistema nervoso centrale, cuore, polmoni, visceri…) per cui deve dissipare il calore metabolico prodotto in eccesso”.

 

Nel documento, che vi invitiamo a visionare integralmente. è presentata l’equazione relativa al bilancio termico (BT) e sono riportate alcune utili definizioni:

– Benessere termico (BT=0): “condizione microclimatica in cui la persona non è costretta ad attivare meccanismi di termoregolazione e non percepisce né sensazione di caldo né di freddo (condizione di soddisfazione della situazione termica)”;

– Discomfort termico (BT>0 o BT<0): “condizione microclimatica che dà luogo alla sensazione di caldo o di freddo (richiede intervento meccanismi di termoregolazione)”;

– Stress termico (BT>>0 o BT<<0): “condizione microclimatica nella quale l’organismo non riesce più a mantenere costante la T interna; può causare effetti negativi per la salute (colpo di calore, esaurimento, congelamento, assideramento)”.

 

Quali sono i meccanismi di termoregolazione?

Questi sono alcuni meccanismi di difesa verso il caldo:

– “vasodilatazione cutanea;

– traspirazione;

– sudorazione attiva;

– diminuzione attività motoria”.

 

Vengono poi presentati i vari ambienti termici:

– Ambienti termici moderati: “ambienti nei quali è richiesto un moderato grado di intervento al sistema di termoregolazione”, il possibile rischio è il disagio;

–  Ambienti termici severi caldi: “ambienti nei quali è richiesto un notevole intervento del sistema di termoregolazione umano per diminuire il potenziale accumulo di calore nel corpo (meccanismi di difesa: vasodilatazione dei vasi sanguigni cutanei, sudorazione). In certe condizioni non si riesce a mantenere le condizioni omeoterme per cui si ha aumento della temperatura corporea anche a livello di nucleo”. I rischi riguardano gli stress termici con: “disidratazione e crampi da calore; colpo di calore (da blocco del sistema di termoregolazione) che può essere accompagnato da perdita di conoscenza e preceduto da cefalea, vertigini, incoordinazione motoria e disturbi addominali; edema e collasso cardio-circolatorio (da instabilità del sistema cardiocircolatorio) con transitoria anossia celebrale e con perdita di conoscenza”;

– Ambienti termici severi freddi.

 

In particolare ci soffermiamo sulle  caratteristiche  degli ambienti termici moderati:

– “condizioni microclimatiche omogenee e costanti nel tempo;

– assenza di scambi termici localizzati tra soggetto ed ambiente che abbiano rilevanza sul bilancio termico complessivo;

– attività fisica modesta e sostanzialmente omogenea per i diversi soggetti;

– sostanziale uniformità del vestiario indossato”.

 

Nel documento sono poi riportate alcune indicazioni relative alla valutazione del microclima, ad esempio attraverso centralina microclimatica che “misura di tutti i parametri che nel loro insieme definiscono la qualità degli ambienti dal punto di vista termico:

– misura parametri fondamentali (temperatura aria, umidità relativa, velocità dell’aria);

– elabora indici microclimatici tramite software (inserendo tipologia attività e vestiario)”.

Si riportano anche altre informazioni per la valutazione nei vari ambienti con riferimento anche alle norma tecniche, ad esempio la UNI EN ISO 7730, “Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale”.

 

L’autore si sofferma anche sulle misure di sicurezza.

 

Queste alcune misure di sicurezza tecniche:

– Isolamento termico di pareti e superfici vetrate esterne: “realizzare edificio a regola d’arte;

– Installazione/ Potenziamento impianti: Installare/ potenziare impianti riscaldamento/ condizionamento/ ventilazione”.

E, ad esempio, per gli ambienti severi caldi possono essere utili:

– Segregazione  – Compartimentazione: “allontanare e/o separare fisicamente gli operatori dalla sorgente termica, ponendola in altro ambiente”;

– Coibentazione: “rivestire la sorgente di materiale coibente che, riducendo le differenze di temperatura tra sorgente ed operatore e sorgente ed aria, riduce lo scambio termico radiante”;  – Riduzione dell’emissività: rivestire le superfici di una sorgente con materiale a bassa remissività (a base metallica) riduce il carico radiante emesso;

– Schermatura sorgente: adozione di schermi, assorbenti e/o riflettenti nei confronti della radiazione termica ed eventualmente trasparenti rispetto alla radiazione luminosa interposti tra sorgente ed operatore;

– Adozione di sistemi localizzati di aspirazione aria: Installare sistemi di prelievo ed espulsione dall’ambiente dell’aria che fuoriesce dalla sorgente o che la lambisce;

– Cabine controllo climatizzate: installare cabine a microclima controllato in cui possano stazionare gli operatori”.

 

Il documento riporta poi anche indicazioni relative alle misure organizzative:

– generali: “programmare verifiche periodiche e regolare manutenzione degli impianti, con particolare attenzione alla pulizia dei filtri”;

– per attività in ambienti severi: “ruotare gli operatori che svolgono attività” (in relazione al

“tempo esposizione”); “prevedere frequenti pause delle attività lavorative, che permettano di ridurre il valor medio del dispendio energetico; prevedere frequenti periodi in aree/zone di stazionamento con microclima moderato; mettere a disposizione bevande; sorveglianza sanitaria operatori (sentito il MC)”.

 

Ricordando l’importanza di “assumere una quantità maggiore di liquidi, durante i periodi molto caldi e secchi”, concludiamo segnalando alcune misure di sicurezza comportamentali a seconda dei vari ambienti e in relazione al vestiario:

– ambienti moderati: “piccoli aggiustamenti del livello di vestiario possono influire sul livello di benessere”;

– ambienti severi caldi: la permeabilità all’acqua dei vestiario determina fortemente l’entità della cessione del calore all’ambiente;

– ambienti severi freddi: la scelta del vestiario consente di evitare sia il fastidio da freddo ed il rischio di ipotermia, che la secrezione di eccessiva quantità di sudore”.

 

 

Università degli Studi di Udine, “ M3.2.2 – Luoghi di lavoro, microclima, aerazione ed illuminazione”, a cura dell’Ing. Gino Capellari (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Ateneo) contenuto in una dispensa dei Servizi Integrati di prevenzione e protezione per un corso di formazione per i Rappresentanti del Lavoratori per la sicurezza e i referenti per la prevenzione e sicurezza dei dipartimenti, versione 2012 (formato PDF, 1.98 MB).

 

RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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Regolamento europeo DPI: il rumore e la prevenzione degli annegamenti

Indicazioni sui requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei DPI riportati nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425. Focus sui requisiti dei DPI per la protezione dal rischio rumore e per la prevenzione dal rischio annegamento.
Strasburgo, 5 Ago – Il nuovo  Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale, che abroga la Direttiva 89/686/CEE e che si applicherà – con alcune eccezioni – dal 21 aprile 2018 (è in questa data che sarà abrogata la Direttiva 89/686/CEE), riporta nell’allegato II i requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei DPI.

 

In precedenti articoli abbiamo presentato i requisiti generali, i requisiti supplementari comuni a varie tipologie di DPI e alcuni requisiti supplementari specifici per i  dispositivi di protezione individualedestinati alla protezione da impatto meccanico, da lesioni meccaniche e dalla compressione statica di una parte del corpo.

 

Ci soffermiamo oggi sui requisiti supplementari per i DPI destinati alla prevenzione dal rischio di annegamento e alla protezione dal rischio rumore, sempre con riferimento a quanto riportato nell’Allegato II del nuovo regolamento.

 

Partiamo dalla “protezione dagli effetti nefasti del rumore”.

Si indica brevemente che i DPI destinati a prevenire gli effetti nefasti del rumore “devono essere in grado di attenuare il rumore, in modo che l’esposizione dell’utilizzatore non superi i valori limite” fissati nella direttiva 2003/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 febbraio 2003, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore)”.

 

Ciascun esemplare di DPI destinato alla protezione dal rischio rumore deve inoltre “avere un’etichetta recante il livello di riduzione acustica fornito dallo stesso. Laddove non sia possibile apporre l’etichetta al DPI, essa deve essere apposta sull’imballaggio”.

 

Veniamo invece alla “protezione contro i liquidi”, ad esempio con riferimento agli annegamenti che, come abbiamo visto in un articolo di presentazione di un nuovo documento Inail sugli impianti natatori, sono un fenomeno a bassa incidenza ma ad elevata letalità.

 

Riprendiamo dall’allegato le indicazioni relative alla “prevenzione degli annegamenti”:

– i DPI destinati a prevenire gli annegamenti “devono poter far risalire in superficie, il più presto possibile e senza nuocere alla sua salute, l’utilizzatore eventualmente privo di forze o di conoscenza, immerso in un ambiente liquido, e tenerlo a galla in una posizione che gli consenta di respirare in attesa dei soccorsi”;

– i DPI possono avere una galleggiabilità intrinseca totale o parziale o ottenuta gonfiandoli con un gas, liberato automaticamente o manualmente, o gonfiandoli con il fiato”.

 

Si indica poi che nelle condizioni prevedibili di impiego:

  1. a) “i DPI devono poter resistere, senza pregiudicare la loro idoneità al funzionamento, agli effetti dell’impatto con l’ambiente liquido e ai fattori ambientali inerenti a tale ambiente;
  2. b) i DPI gonfiabili devono potersi gonfiare rapidamente e completamente”.

 

Infine, qualora particolari condizioni prevedibili di impiego lo esigano, alcuni tipi di DPI devono “soddisfare una o più dei seguenti requisiti complementari:

  1. a) devono essere muniti di tutti i dispositivi per il gonfiaggio di cui al secondo comma e/o di un dispositivo di segnalazione luminosa o sonora;
  2. b) devono essere muniti di un dispositivo di ancoraggio e di imbracatura del corpo che consenta di estrarre l’utilizzatore dall’ambiente liquido;
  3. c) devono essere idonei ad un uso protratto per tutta la durata dell’attività che espone l’utilizzatore eventualmente vestito ad un rischio di caduta o che ne richiede l’immersione in ambiente liquido”.

 

L’allegato si sofferma anche sui sostegni alla galleggiabilità.

Infatti un indumento destinato ad “assicurare un grado di galleggiabilità efficace in funzione dell’impiego prevedibile, deve essere sicuro da portare e deve dare un sostegno positivo nell’ambiente liquido. Nelle condizioni prevedibili di impiego questo DPI non deve intralciare la libertà di movimento dell’utilizzatore e deve consentirgli in particolare di nuotare o di agire per sfuggire ad un pericolo o per soccorrere altre persone”.

 

Concludiamo con un breve riferimento ad altri DPI che hanno a che fare con l’acqua: leattrezzature per immersione.

 

L’allegato indica che il dispositivo per la respirazione “deve consentire di fornire all’utilizzatore una miscela gassosa respirabile, nelle condizioni prevedibili di impiego e tenuto conto, segnatamente, della profondità massima di immersione”.

 

Inoltre, qualora le condizioni prevedibili di impiego lo richiedano, “le attrezzature per immersione devono comprendere:

  1. a) una muta che protegga l’utilizzatore dal freddo” (si rimanda a quanto indicato nell’allegato sulla “protezione dal freddo”) “e/o dalla pressione risultante dallaprofondità di immersione” (si rimanda a quanto già indicato dal regolamento sulla “compressione statica” del corpo);
  2. b) “un dispositivo d’allarme destinato ad avvertire in tempo utile l’utilizzatore dell’imminente interruzione dell’erogazione della miscela gassosa respirabile”;
  3. c) “un dispositivo di salvataggio che consenta all’utilizzatore di risalire in superficie” (si rimanda a quanto già detto sulla prevenzione degli annegamenti).

 

Riguardo al precedente punto b) ricordiamo quanto già riportato dall’allegato sui requisiti per i DPI per interventi in situazioni estremamente pericolose: se il DPI è dotato di un “dispositivo di allarme che scatta in assenza del livello di protezione normalmente assicurato, tale dispositivo di allarme deve essere progettato e posizionato in modo da essere avvertito dall’utilizzatore nelle condizioni prevedibili di impiego”.

 

Segnaliamo, infine, che l’allegato II si sofferma anche sui requisiti per la protezione da diversi altri rischi: impatti, cadute, compressione statica, calore, freddo, elettricità, radiazioni, agenti chimici e biologici.

 

Regolamento (UE) 2016/425 del parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio (Testo rilevante ai fini del SEE).

 

Consiglio delle Comunità Europee – Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai dispositivi di protezione individuale.

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui dispositivi di protezione individuale

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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ABC della formazione: lavoratori a domicilio, somministrati e stagionali

Un intervento fa il punto della situazione relativa alla formazione alla sicurezza dei lavoratori. Focus sulla formazione di lavoratori a domicilio, stagionali, equiparati, autonomi e con contratto di somministrazione di lavoro.

Imola, 5 Ago – Nelle scorse settimane abbiamo dato il via ad una serie di articoli di promemoria sulle regole, specificità e scadenze che riguardano la formazione alla sicurezza di lavoratori, dirigenti e preposti.

Abbiamo affrontato le caratteristiche della  formazione di lavoratori e lavoratrici, abbiamo presentato le specificità della formazione per preposti e dirigenti e oggi continuiamo occupandoci di alcune particolari tipologie di lavoratori

Ci basiamo in particolare sui contenuti di un intervento al convegno “Sicurezza sul lavoro: la parola agli enti di controllo” che si è tenuto a Imola il 25 novembre 2015 nell’ambito delle Settimane della Sicurezza 2015 organizzate dall’ Associazione Tavolo 81 Imola.

Nell’intervento “ Formazione e addestramento: facciamo il punto”, a cura della Dott.ssa Paola Tarozzi (Tecnico della Prevenzione presso l’unità operativa Complessa Prevenzione e Sicurezza degli ambienti di Lavoro dell’ Azienda USL di Imola), si ricorda innanzitutto che gli Accordi Stato-Regioni in materia di formazione alla sicurezza si applicano a:

– “Lavoratori e lavoratrici (art.2 comma 1 lettera a) del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (applicazione obbligatoria);

– Dirigenti e preposti (art.2 comma d) ed e) del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (applicazione facoltativa);

– Soggetti di cui all’art.21 comma 1 del D.lgs. 81/08 e s.m.i. (applicazione facoltativa)”.

Ma cosa accade, ad esempio, per la formazione alla sicurezza dei lavoratori a domicilio (art.3 comma 9 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.)?

 

Articolo 3 – Campo di applicazione

(…)

9. Fermo restando quanto previsto dalla legge 18 dicembre 1973, n. 877, ai lavoratori a domicilio ed ai lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli articoli 36 e 37. Ad essi devono inoltre essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III.

(…)

 

Come indicato dalla normativa, il datore di lavoro è “tenuto a fornire ai lavoratori a domicilio un’adeguata informazione e formazione nel rispetto di quanto previsto dall’ Accordo Stato-Regioni n. 221 del 21 dicembre 2011”.

A questo proposito l’intervento cita l’ Interpello n. 13/2013 del 24 ottobre 2013 in risposta ad un quesito posto alla Commissione per gli interpelli (art. 12, D.Lgs. 81/2008). Un interpello in cui si indica che nel lavoro a domicilio il datore di lavoro è ‘tenuto a fornire un’adeguata informazione e formazione nel rispetto di quanto previsto dall’accordo Stato-Regioni del 21/12/2011’ e si segnala che ‘il domicilio non è considerato luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 62 del D.Lgs. n. 81/2008’.

Veniamo invece alla formazione in caso di contratto di somministrazione di lavoro.

La relatrice segnala alcuni riferimenti:

– Faq del 30 marzo 2010 al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;

– Art.23 comma 5 del D.Lgs. 276/2003;

– Accordi Stato-Regioni n.221/2011 e n.153/2012.

In riferimento a quanto contenuto negli accordi si indica che il somministratore e l’utilizzatore, “nel rispetto delle disposizioni, eventualmente esistenti, del CCNL del caso di specie, hanno facoltà di regolamentare in via contrattuale le modalità di adempimento degli obblighi di legge, in particolare possono ‘concordare che la formazione generale sia a carico del somministratore e quella specifica di settore a carico dell’utilizzatore’. In difetto di accordi tra somministratore e utilizzatore in fase contrattuale, la formazione dei lavoratori va effettuata dal somministratore unicamente in riferimento alle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale i lavoratori vengono assunti. Ogni altro obbligo formativo è a carico dell’utilizzatore”.

Ricordiamo poi il Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della  legge 10 dicembre 2014, n. 183” che – come indicato in un contributo di Cinzia Frascheri – ha abrogato quanto disposto all’art.3, comma 5 del d.lgs.81/2008, ma non quanto contenuto negli Accordi Stato-Regioni citati.

 Riguardo alla formazione di altri soggetti ricordiamo che ai lavoratori (art.2 comma 1 lettera a del D.Lgs.  81/2008) sono equiparati, ad esempio, all’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e al partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali “si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione”. E ai lavoratori sono equiparati anche i soggetti “che svolgono stage o tirocini formativi presso un’azienda o uno studio professionale” (Faq del 1 ottobre 2012 al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).

Veniamo poi ai soggetti di cui all’art. 21 comma 1 del D.Lgs.  81/2808 e s.m.i.

Ad esempio:

– “componenti dell’impresa familiare;

– lavoratori autonomi;

– coltivatori diretti del fondo;

– soci delle società semplici operanti nel settore agricolo;

– artigiani e piccoli commercianti”.

Questi soggetti “hanno facoltà di partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con oneri a proprio carico, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali”.

Infine l’intervento si sofferma sul comparto agricoltura e sui lavoratori stagionali di cui all’Art.3 comma 13 del D.Lgs. 81/2008 per cui gli Accordi Stato-Regioni “non si applicano”.

E si fa riferimento al decreto interministeriale del 27 marzo 2013 in relazione a:

– “lavoratori stagionali che svolgono la propria attività, presso la stessa azienda, per un numero di giornate ≤ 50 nell’anno, limitatamente a lavorazioni generiche e semplici, non richiedenti specifici requisiti professionali;

– lavoratori occasionali che svolgono prestazioni di lavoro accessorio (voucher), di cui al D.Lgs.

276/2003 e s.m.i., di carattere stagionale nelle imprese agricole”.

In questo caso il datore di lavoro “adempie all’obbligo di formazione consegnando al lavoratore appositi documenti, certificati da ASL/Enti Bilaterali e Organismi paritetici del settore agricolo che contengano indicazioni idonee a fornire conoscenze per l’identificazione, la riduzione e la gestione dei rischi nonché a trasferire conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda”. E ai lavoratori stranieri “deve essere garantita la comprensione della lingua utilizzata nei documenti relativi alla formazione”.

 

“ Formazione e addestramento: facciamo il punto. Formazione lavoratori preposti dirigenti”, prima parte dell’intervento della Dott.ssa Paola Tarozzi (Tecnico della Prevenzione presso l’unità operativa Complessa Prevenzione e Sicurezza degli ambienti di Lavoro dell’Azienda USL di Imola) al convegno “Sicurezza sul lavoro: la parola agli enti di controllo” che si è tenuto a Imola nell’ambito delle Settimane della Sicurezza 2015 (formato PDF, 908 kB).

 

CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO – 21 dicembre 2011 – Accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per la formazione dei lavoratori ai sensi dell’articolo 37, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

 

Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 – Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (15G00095)

 

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Ministero della Salute – Ministero delle Politiche Agricole, Alimentali e Forestali – Decreto interministeriale del 27 marzo 2013 – semplificazione in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo (ai sensi dell’articolo 3, comma 13, del decreto legislativo n. 81/2008).

 

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Fonte: puntosicuro.it

 

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Buone prassi per l’esecuzione in sicurezza di lavori in autostrada

Un intervento riporta indicazioni sul personale di cantiere e linee di indirizzo per l’esecuzione in sicurezza di attività in autostrada in presenza di traffico veicolare. Le istruzioni operative per lo sbandieramento e la marcia in corsia di emergenza.
Roma, DATA – I cantieri stradali sono un contesto operativo complesso, un contesto con difficoltà di filtro degli accessi nei luoghi di lavoro, con una grande presenza di terzi da tutelare e la necessità di molte competenze che possono sovrapporsi. E proprio per dare un supporto nell’affrontare e gestire questa complessità, torniamo a presentare alcuni interventi al seminario tecnico “ La gestione della sicurezza nei cantieri stradali. Quadro normativo ed esperienze sul campo” (26 Marzo 2015, Roma), organizzato dall’ Ordine degli Ingegneri della Provincia di Romae dall’Associazione AIIT.

 

 

In un recente articolo del nostro giornale abbiamo presentato alcune criticità nella gestione della sicurezza nei cantieri stradali, come raccolte nell’intervento “La sicurezza dei lavoratori nei cantieri stradali: esperienza di un RPSS”, a cura di Gianpaolo Primus (MILANO SERRAVALLE MILANO TANGENZIALI S.p.A.).

Tuttavia l’intervento presenta anche delle “buone pratiche di settore e norme comportamentali omogenee” tratte dal documento “Linee di indirizzo per l’esecuzione in sicurezza di attività in autostrada in presenza di traffico veicolare” a cura di FISE ACAP(Associazione delle Società Concessionarie di Autostrade Private). Pratiche che sono state elaborate nell’interesse di “favorire il miglioramento continuo della sicurezza dei lavoratori in un contesto operativo complesso. Vengono pertanto definiti i criteri minimi da adottarsi rivolti ad integrare le azioni di prevenzione nel quadro più generale della valutazione e riduzione dei rischi professionali”.

 

Il documento, che riporta le norme di riferimento per la circolazione in autostrada e le varie norme comportamentali sulla sicurezza, presenta diverse schede sulle varie attività.

 

Ad esempio riguardo all’effettuazione della presegnalazione mediante sbandieramento, sono riportate alcune istruzioni operative per la sicurezza degli operatori:

– “mettersi sul lato della strada nel punto che offre maggiori condizioni di sicurezza, visibilità e fuga in caso di pericolo;

– posizionarsi in modo da essere visti senza mettere a rischio la propria incolumità;

– effettuare la segnalazione a debita distanza rispetto all’evento da segnalare;

– non effettuare movimenti improvvisi, ma con cadenza regolare”.

 

Sono riportate poi indicazioni anche in relazione alla marcia in corsia di emergenza.

Ricordiamo che le fermate, la marcia e qualsiasi manovra sulla corsia di emergenza o sulle banchine devono essere – come riportato nel documento FISE ACAP – ‘effettuate a velocità moderata previa attivazione dei dispositivi di segnalazione supplementari del veicolo. Tutte le manovre sono eseguite in modo tale da generare il minimo ingombro possibile e, in corsia di emergenza, esclusivamente all’interno della striscia continua e per limitate percorrenze’.

 

Vediamo le istruzioni operative presentate nell’intervento riguardo alla marcia sulla corsia di emergenza, ricordando che tale marcia “è consentita, solo per effettive esigenze di servizio, al personale dotato di apposita autorizzazione, previa adozione delle cautele necessarie alla sicurezza propria e del traffico”:

– “azionare i dispositivi di sicurezza/segnalazione di cui è dotato il veicolo;

– effettuare la manovra esclusivamente all’interno della striscia continua;

– percorrere la corsia di emergenza a velocità moderata;

– azionare, se in dotazione al mezzo, il pannello a messaggio variabile con apposito pittogramma e le frecce di emergenza;

– prestare attenzione ai veicoli che si immettono impropriamente (e non) nella corsia di emergenza;

– prestare attenzione ad eventuali veicoli fermi o ostacoli presenti in corsia d’emergenza;

– prestare attenzione ai pedoni scesi dai veicoli eventualmente in coda”.

 

Nelle slide sono riportate poi vari disegni esplicativi relativi alle manovre di accesso ed uscita dai cantieri.

Riprendiamo, a titolo esemplificativo, l’immagine relativa alla manovra di ingresso e uscita dai cantieri in caso di chiusura della prima corsia (corsia di marcia):

 

 

Rimandandovi ad una lettura integrale delle slide (che riportano anche altre buone prassi) e del documento FISE ACAP, concludiamo riportando alcune indicazioni del relatore relative alledisposizioni per il personale di cantiere.

 

Si indica che “tutto il personale con accesso al cantiere deve essere stato formato ed informatosui rischi e sulle conseguenti disposizioni e norme di prevenzione da adottare per operare in sicurezza nell’ ambiente autostradale e più in generale in presenza di traffico con riferimento agli specifici interventi che è chiamato a svolgere”.

E riguardo all’autorizzazione a manovre (art. 176 D. Lgs. 30.4.92 n° 285 Nuovo Codice della Strada) “il personale delle Imprese esecutrici non potrà essere ammesso nelle aree di lavoro se non in possesso delle ‘Autorizzazioni a manovre’ rilasciate dalla Società. Le ‘Autorizzazioni a manovre’ dovranno essere in possesso delle persone autorizzate ed esibite su richiesta da agenti della Polizia Stradale o dai Funzionari della Società”.

In particolare le Autorizzazioni a manovre consentono, “esclusivamente sulla sede stradale di competenza della Società, per effettive esigenze di servizio, i seguenti comportamenti e manovre (effettuate sempre con in funzione i dispositivi luminosi di sicurezza):

  1. Inversione del senso di marcia;
  2. Inversione del senso di marcia e attraversamento dei piazzali delle autostazioni;
  3. Sosta in corsia di emergenza;
  4. Retromarcia in corsia di emergenza;
  5. Transito in corsia di emergenza;
  6. Attraversamento a piedi della carreggiata;
  7. Percorrenza a piedi della carreggiata;
  8. Traino di veicoli in avaria”.

Tali comportamenti e manovre “devono essere eseguiti con l’adozione di tutte le cautele atte a scongiurare qualsiasi pericolo di incidente ed a evitare turbative al traffico”.

 

Concludiamo questa presentazione riportando alcune indicazioni sul responsabile di cantiere.

 

Si indica che per ciascun cantiere, “l’Impresa dovrà assicurare la presenza costante per ogni turno di lavoro di un Responsabile di Cantiere, il cui nominativo e il relativo recapito telefonico cellulare dovrà essere fornito al Direttore Lavori ed al Centro Operativo. A tale figura spetterà l’integrale applicazione delle norme in argomento. In cantiere dovranno essere sempre presenti i seguenti documenti:

– Buone Prassi per l’esecuzione in sicurezza di attività in Autostrada in presenza di traffico veicolare;

– “Autorizzazioni a manovra” da conservare personalmente da ogni addetto;

– Piano di Sicurezza e Coordinamento o Piano di Sicurezza sostitutivo del Piano di Sicurezza e Coordinamento e relativi Piani Operativi di sicurezza, se previsti;

– Notifica preliminare agli Enti Competenti, se prevista;

– Ulteriori autorizzazioni scritte ricevute dalla Società;

– Ordinanza emessa dalla Società, se prevista”.

E infine il Responsabile di Cantiere dovrà “garantire in qualsiasi momento la sua presenza e dovrà essere anche a disposizione della Polizia Stradale, della Direzione Lavori, del Coordinatore per l’Esecuzione o altri collaboratori della Società regolarmente incaricati”.

 

 

“ La sicurezza dei lavoratori nei cantieri stradali: esperienza di un RPSS”, a cura di Gianpaolo Primus (MILANO SERRAVALLE MILANO TANGENZIALI S.p.A.), intervento al seminario tecnico dal titolo “La gestione della sicurezza nei cantieri stradali. Quadro normativo ed esperienze sul campo” (formato PDF, 2.99 MB).

 

FISE ACAP, “ Linee di indirizzo per l’esecuzione in sicurezza di attività in autostrada in presenza di traffico veicolare”, versione 2015 (formato PDF, 1,31 MB).

 

 

Tiziano Menduto

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Il testo del nuovo accordo sulla formazione Nuovo accordo del 7 luglio: i corsi, l’aggiornamento e l’e-learning

Un commento di Rocco Vitale sul nuovo accordo approvato in Conferenza Stato Regioni il 7 luglio 2016: i corsi, i nuovi moduli, le metodologie, gli apprendimenti e i crediti formativi.
In relazione all’interesse suscitato dai nostri lettori sull’argomento pubblichiamo insieme la seconda parte del commento di Rocco Vitale, presidente di AiFOS, al nuovo Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni. Accordo approvato in Conferenza Stato-Regioni il 7 luglio scorso. Il commento che si basa sui testi che sono arrivati in Conferenza Stato-Regioni e che non dovrebbero avere avuto sensibili modifiche di contenuto rispetto al testo approvato ieri (ad oggi il testo definitivo non è stato ancora pubblicato). Ricordiamo, per concludere, che nella prima parte del commento di Vitale sono stati trattati i seguenti argomenti: titoli di studio, esoneri, soggetti formatori e requisiti dei docenti.

 

Link alla prima parte del commento di Rocco Vitale…

 

Organizzazione dei corsi

Nella sostanza rimangono i medesimi del vecchio accordo ma con un preciso ruolo obbligatorio del soggetto formatore e, non più, come prassi all’organizzatore.

Infatti, per ciascun corso il “soggetto formatore dovrà”:

– indicare il responsabile del progetto formativo, il quale può essere un docente dello stesso corso;

– indicare i nominativi dei docenti;

– ammettere un numero massimo di partecipanti ad ogni corso pari a 35 unità;

– tenere il registro di presenza dei partecipanti;

– verificare la frequenza del 90% delle ore di formazione previste, ai fini dell’ammissione alla verifica dell’apprendimento.

 

L’Accordo prevede che ai corsi dei Moduli A, B e C possono partecipare un numero massimo di 35 unità (mentre nel precedente Accordo il numero massimo era di 30) e viene anche definito che le 35 unità si riferiscono ai corsi di aggiornamento.

 

Metodologia di insegnamento e apprendimento

Viene superato quanto previsto dai vecchi accordi in quanto le nuove indicazioni metodologiche riguardano sia la progettazione che la realizzazione del percorso formativo e degli aggiornamenti. Tali norme sono riportate nell’Allegato IV che rappresentano unaseria e qualificante novità dell’Accordo.

 

Allo stesso tempo si richiamano i requisiti e le specifiche per lo svolgimento della formazione su salute e sicurezza in modalità e-Learning che devono rispondere a quanto definito nell’Allegato II (che sostituisce integralmente il precedente Allegato I dell’Accordo del 21 dicembre 2011).

 

Articolazione, obiettivi e contenuti del percorso formativo

Si tratta dell’articolazione degli argomenti formativi dei Moduli A, B e C che prevedono  sostanziali modifiche rispetto a quanto indicato nei precedenti Accordi. Cambia completamente il Modulo B. I Moduli A e B sono per RSPP e ASPP mentre il Modulo C è solo per la funzione di RSPP.

 

Modulo A:

– viene abolito l’Allegato A1 relativo ai contenuti minimi del corso che, oltre ad una migliore e puntuale definizione degli obiettivi formativi, modifica i contenuti stessi Modulo escludendone, rispetto al precedente, alcuni rischi specifici che verranno trattati nel Modulo B;

– la durata complessiva rimane di 28 ore a cui vanno aggiunte le ore per le verifiche di apprendimento finale,

– la fruizione del Modulo A è consentita anche in modalità e-Learning

 

Modulo B:

– sono aboliti i prospetti 1 e 2 e l’Allegato A2 dell’Accordo del 26 gennaio 2006,

– è previsto un Modulo B comune a tutti i settori produttivi della durata di 48 ore e, di fatto, vengono aboliti i moduli declinati B1, B2, B3, B4, B5, B6, B7, B8 e B9,

– il modulo B è propedeutico ai moduli di specializzazione,

  • i moduli B di specializzazione sono:

– Modulo B-SP1: agricoltura – pesca della durata di 12 ore,

– Moduli B-SP 2: cave – costruzioni della durata di 16 ore,

– Modulo B-SP3: sanità – assistenza sociale residenziale della durata di 12 ore,

– Modulo B-SP4: chimico – petrolchimico delle durata di 16 ore

  • le ore per le verifiche di apprendimento finale sono da aggiungere ai singoli corsi.

 

Modulo C:

– Viene abolito l’Allegato A3 relativo ai contenuti minimi del corso che, oltre ad una migliore e puntuale definizione degli obiettivi formativi, modifica i contenuti stessi Modulo introducendo una unità didattica relativa al “Benessere organizzativo compresi i fatturi di natura ergonomica e da stress lavoro correlato.

– La durata complessiva rimane di 24 ore

– La verifica dell’apprendimento è obbligatoria

 

 

 

La valutazione degli apprendimenti

Sostanzialmente rimangono quelli previsti dai precedenti accordi ma sono definiti in maniera più semplice e coerenti tra i diversi moduli. La parte relativa agli attestati è comune a tutti i moduli a differenza dell’accordo precedente che per ogni Modulo ne definiva le caratteristiche.

 

La formazione pregressa

Si riferisce a coloro che hanno svolto i percorsi formativi previsti dall’Accordo del 26 gennaio 2006 ed in particolar modo rispetto alla nuova articolazione del Modulo B.

 

Per tutti coloro che non cambiano settore produttivo e continuano ad operare esclusivamente all’interno di esso non dovranno integrare il proprio percorso formativo per adeguarsi alle previsioni del nuovo accordo.

 

L’accordo riporta una tabella di corrispondenza ai fini del riconoscimento dei crediti formativi ovvero delle ulteriori ore integrative previste esclusivamente in caso di passaggio ad altro settore produttivo.

 

Accordo Stato-Regioni

del 26 gennaio 2006

Credito riconosciuto sul

presente accordo Stato-Regioni

CORSO FREQUENTATO Modulo B Comune Modulo B Specialistico
Modulo B1 – 36 ore TOTALE Credito totale per SP1
Modulo B2 – 36 ore TOTALE Credito totale per SP1
Modulo B3 – 60 ore TOTALE Credito totale per SP2
Modulo B4 – 48 ore TOTALE
Modulo B5 – 68 ore TOTALE Credito totale per SP4
Modulo B6 – 24 ore
Modulo B7 – 60 ore TOTALE Credito totale per SP3
Modulo B8 – 24 ore
Modulo B9 – 12 ore

 

L’Accordo, di fatto, abolisce le Tabelle A4 e A5 dell’accordo del 26 gennaio 2006 sui riconoscimenti dei crediti professionali e formativi pregressi.

 

Il nuovo Accordo prevede che, in fase di prima applicazione e per un periodo non superiore a 5 anni dall’entrata in vigore, la frequenza del Modulo B comune o di uno o più Moduli B di specializzazione, può essere riconosciuta ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento, degli RSPP e ASPP formati ai sensi dell’ Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006.

 

L’aggiornamento

Cambia completamente il sistema di aggiornamento per RSPP e ASPP previsto nell’Accordo che abolisce il sistema precedente di collegare gli aggiornamenti a diverse classi di attività. Le ore dell’aggiornamento risultano:

– RSPP: 40 ore nel quinquennio

– ASPP: 20 ore nel quinquennio

 

Gli “aggiornamenti” equivalgono ai corsi con il massimo di 35 partecipanti e la tenuta del registro delle presenze. Allo stesso tempo viene confermato come, per tutto il monte ore, l’aggiornamento può essere svolto in modalità e-Learning.

Importante novità è costituita dal fatto che il 50% delle ore di aggiornamento può essere ottemperato anche per mezzo di partecipazione a convegni o seminari che, ovviamente, devono avere contenuti coerenti con le tematiche previste dall’Accordo. Non è previsto, giustamente, alcun vincolo sul numero massimo dei partecipanti ma una evidenza della presenza tramite la tenuta di un registro.

 

Anche l’aggiornamento dei lavoratori, preposti, dirigenti, datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori può essere ottemperato per mezzo di partecipazione a convegni e seminari nella misura non superiore al 50% del totale delle ore previste.

 

Alcune tipologie di corsi non sono validi per l’aggiornamento di RSPP e ASPP. Ad esempio i corsi per dirigenti e preposti, prevenzione incendi e Primo soccorso. Anche i corsi di specializzazione del Modulo B non possono essere considerati aggiornamento.

 

Sono, invece, da ritenersi validi, ai fini dell’aggiornamento, la partecipazione ai corsi per formatore e per coordinatore e viceversa.

 

In relazione al numero dei partecipanti ai convegni l’Allegato XIV del D. Lgs. 81/2008 fissa per i “Coordinatori” la validità della formazione tramite convegno qualora il numero dei partecipanti non superi le 100 unità. L’Accordo modifica l’Allegato escludendone il numero delle 100 unità.

 

Decorrenza dell’aggiornamento

L’aggiornamento ha decorrenza quinquennale e deve essere calcolato dalla data di conclusione del Modulo B comune. Per coloro che sono esonerati dal Modulo B l’obbligo di aggiornamento decorre:

– dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008 e cioè dal 15 maggio 2008;

– dalla data di conseguimento della laurea, se avvenuta dopo il 15 maggio 2008.

 

Qualora i RSPP e ASPP non completino l’aggiornamento entro il quinquennio non possono esercitare le loro funzioni. Dovranno completare l’aggiornamento per il monte ore richiesto e, al raggiungimento, potranno tornare ad esercitare la funzione sospesa. Il quinquennio successivo decorre, naturalmente, dalla scadenza precedente.

 

I RSPP e ASPP potranno completare l’aggiornamento del quinquennio precedente utilizzando le regole previste dall’Accordo. Ad esempio per tutti coloro il cui quinquennio scadeva nel 2011 l’aggiornamento potrà essere rispettivamente di 40 o 20 ore complessive. (viene abolito l’aggiornamento di 40, 60, 100 e 28 ore).

 

Attestazioni

L’Accordo semplifica la lettura del precedente accordo uniformandone gli elementi comuni che devono essere presenti in ciascun attestato:

  1. denominazione del soggetto formatore;
  2. dati anagrafici del partecipante al corso;
  3. specifica della tipologia di corso seguito con indicazione del corso frequentato e indicazione della durata (nel caso dei Moduli B è necessario indicare: Modulo B comune e/o Moduli di specializzazione);
  4. periodo di svolgimento del corso;
  5. firma del soggetto formatore.

 

Viene, inoltre, previsto che presso il soggetto formatore deve essere conservato per almeno 10 anni il “Fascicolo del corso” contenente: dati anagrafici del partecipante; registro del corso recante: elenco dei partecipanti (con firme), nominativo e firma del docente o, se più di uno, dei docenti, contenuti, ora di inizio e fine, documentazione relativa alla verifica di apprendimento.

 

Corsi in modalità e-Learning

Nella premessa all’Accordo si precisa che per lo svolgimento dei corsi di formazione e di aggiornamento in modalità e-Learning è da ritenersi valida solo se espressamente prevista da norme e Accordi Stato-Regioni e dalla Contrattazione collettiva, ove previsto, con le modalità disciplinate dal presente accordo: nel rispetto delle disposizioni di cui all’allegato II.

 

L’Allegato II, sostituisce completamente l’Allegato I dell’Accordo del 21 dicembre 2011, e definisce i requisiti specifici per lo svolgimento della formazione e dell’aggiornamento in modalità e-Learning. Nell’Allegato II sono definite le specifiche di carattere organizzativo e tecnico, i profili di competenza per la gestione didattica e tecnica nonché i criteri per la redazione del documento progettuale di ogni corso. Deve essere redatta, per ogni corso, una scheda progettuale. Detta scheda dovrà essere resa disponibile al discente che all’atto dell’iscrizione dovrà dichiarare la presa visione e accettazione.

 

L’Allegato VI precisa che la formazione specifica dei lavoratori a basso rischio possa essere effettuata in modalità e-Learning mentre è espressamente vietata per gli addetti al primo soccorso e per gli addetti alla prevenzione incendi.

Gli attestati di frequenza devono essere consegnati o trasmessi, anche su supporti informatici, personalmente ai discenti e non quindi, all’azienda o al datore di lavoro.

 

Crediti formativi ed esoneri per contenuti analoghi

Si tratta dell’attuazione dell’articolo 32, comma 1, lettera c) della Legge 98/2013 che ha introdotto il comma 5-bis all’art. 32 del D. Lgs. 81/2008. Come noto, tale norma, prevede credito formativo qualora i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, a corsi già svolti e documentati.

 

L’Allegato III stabilisce, in una dettagliata tabella, gli esoneri che possono essere totali o parziali per tutti i soggetti della sicurezza sia per i corsi di formazione che per i corsi di aggiornamento.

 

Indicazioni metodologiche per la progettazione ed erogazione dei corsi

Rappresenta, sicuramente, la parte più importante, significativa e qualitativa dell’Accordo. A differenza del vecchio accordo che dedicava poche righe, ovvie, su come garantire un equilibrio tra lezioni frontali ed esercitazioni e favorire metodologie di apprendimento basate sul problem solving abbiamo un testo sul quale riflettere, studiare ed applicare non quale mero assolvimento formale ma che incide sostanzialmente sulla formazione.

 

Dopo aver tracciato i profili delle competenze del RSPP e ASPP, quale destinatario di una formazione manageriale di base, i bisogni formativi sono sintetizzati in tre aree: gestionale organizzativa, tecnica e relazionale. Le medesime che riguardano la qualificazione del formatore previste nel D.I. 6 marzo 2013.

Le indicazioni riguardano essenzialmente la progettazione del Modulo B, che rappresenta il cuore del corso, quale elemento di competenze e conoscenze integranti il Modulo A ed il successivo Modulo C.

 

Il progetto formativo è il mezzo per tradurre il bisogno formativo in una coerente risposta operativa. Il progetto formativo deve essere definito per ciascuna unità didattica per la quale devono essere definiti gli obiettivi specifici ed i risultati attesi nonchè i contenuti e la durata. La strategia formativa e la metodologia didattica costituiscono la struttura del progetto con precisi riferimenti ai lavori di gruppo, casi di studio e simulazioni. Infine dal progetto formativo ne dovrà scaturire il documento progettuale caratterizzato dalle specifiche del percorso formativo, quelle di realizzazione fino al controllo e la verifica.

 

L’importanza delle verifiche in itinere e quella finale rappresentano la prima evidenza dell’apprendimento. Nella prova finale vengono introdotte la simulazione ed il project work che può essere realizzato anche durante il percorso formativo.

 

Soppressione della “collaborazione” con gli  Enti Bilaterali

Come detto in premessa l’Accordo del 7 luglio 2016, pur direttamente rivolto ai RSPP e ASPP, modifica anche alcuni aspetti specifici di accordi precedenti al fine di uniformarne la disciplina. Tra le novità più significative si segnala una modifica all’Accordo del 21 dicembre 2011 sulla formazione dei lavoratori circa le modalità per la collaborazione con gli organismi paritetici (c.12, art. 37, D.Lgs. 81/2007) contenuti nella nota in premessa

 

Il nuovo Accordo riprende la formulazione della legge e toglie qualsiasi riferimento agli “enti bilaterali” e, pertanto, detta collaborazione va richiesta solo agli organismi paritetici ove esistenti sia nel territorio che nel settore nel quale opera l’azienda. In mancanza valgono le norme già note.

 

L’Accordo chiarisce inoltre, in riferimento alle Linee Applicative dell’Accordo del 25 giugno 2012, che  devono intendersi soppressi i riferimenti agli enti Bilaterali contenuti nel paragrafo “Collaborazione degli organismo paritetici alla formazione” riconducendo, di fatto, tale collaborazione esclusivamente agli organismi Paritetici.

 

Rocco Vitale, presidente di AiFOS

 

Ricordiamo ancora che il commento non si basa sulla versione ufficiale dell’accordo, che sarà disponibile nei prossimi giorni, ma sulla bozza dell’accordo arrivato in Conferenza Stato-Regioni.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Il testo del nuovo accordo sulla formazione

Disponibile il testo arrivato il 7 luglio in Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione definitiva. Come è stata modificata la formazione per la sicurezza sul lavoro? come progettare i corsi?
Brescia, 11 Lug – Come abbiamo ricordato nei giorni scorsi, la giornata del 7 luglio 2016caratterizzata dall’approvazione del nuovo Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano  – accordo “finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni” (nel testo finale il nome dell’accordo potrebbe avere minimi cambiamenti) – si può considerare, nel bene e nel male (a seconda dei punti di vista),  una giornata in cui è stata parzialmenteriformulata la normativa sulla formazione alla sicurezza in Italia. Una normativa che non riguarda perciò, come doveva essere all’inizio, solo i percorsi formativi di RSPP/ASPP ma tutti i lavoratori e quasi tutte le figure che si occupano di gestione della sicurezza.

Sappiamo, ad esempio, che il nuovo accordo modifica il modo di intendere gli accreditamenti, amplia la valenza del D.I. del 6 marzo 2013 sulla qualificazione dei docenti, allarga e precisa la possibilità di utilizzare la metodologia e-learning,…

 

Sono tanti gli aspetti rilevanti del nuovo accordo approvato. E sicuramente questi aspetti non potranno essere analizzati seriamente finché non sarà pubblicato il documento approvato dalla Conferenza Stato Regioni, che ad oggi (8 luglio) non è ancora disponibile.

 

Tuttavia PuntoSicuro è in possesso del testo che è entrato fisicamente il 7 luglio in Conferenza, che è stato appoggiato sugli scranni della sede della Conferenza, che è servito alle Regioni e alle Province autonome per approvare l’Accordo. Testo che, quasi certamente, non ha avuto modifiche di contenuto rispetto a quanto approvato e che, per questo motivo, abbiamo deciso di rendere pubblico permettendo ai nostri lettori di conoscere meglio le prossime novità in materia formativa.

Ricordiamo che il testo non è ancora in vigore, ma lo sarà dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e dopo una breve “vacatio legis”, il tempo che intercorre tra la pubblicazione e l’entrata in vigore.

 

Contestualmente alla pubblicazione del “testo non definitivo”, abbiamo poi scelto di dare rilevanza a qualcosa che nei primi commenti spesso sfugge. Commenti che si soffermano sui nuovi percorsi formativi, sul sistema dei crediti e dell’accreditamento… Che non danno sufficiente rilievo ad un aspetto rilevante: il tentativo (riuscito o meno, questo è da vedere) di migliorare la qualità della formazione in Italia.

E sappiamo, proprio perché da questo giornale ne abbiamo parlato più volte pubblicandointerviste a esponenti della Consulta CIIP e proposte delle parti sociali, quanto sia importante il tema della qualità della formazione, qualità che, purtroppo, a volte è carente con le conseguenze comprensibili sulla tutela della salute e sicurezza.

 

Diamo dunque rilevanza, pubblicandone qualche stralcio, all’interessante Allegato IV degli accordi, allegato che contiene le “Indicazioni metodologiche per la progettazione ed erogazione dei corsi”. Un allegato pensato per i corsi RSPP/ASPP ma che può ben dare spunti per la progettazione di corsi a tutti i lavoratori, dando indicazioni per una idonea analisi dei bisogni formativi.

 

Nelle “Indicazioni metodologiche per la progettazione ed erogazione dei corsi” sono affrontati inizialmente i profili di competenza degli ASPP/RSPP e sono poi riportate indicazioni sui bisogni formativi.

 

Riguardo a questi ultimi si indica che le competenze professionali del ASPP/RSPP “si incentrano in sintesi su tre aree di competenza: una gestionale/organizzativa, una tecnico-specifica, e una relazionale strettamente integrate tra loro, per le quali si possono in sintesi indentificare i seguenti bisogni formativi:

– conoscenza della normativa di salute e sicurezza sul lavoro e dell’organizzazione della prevenzione (ruoli, responsabilità, processi);

– capacità di individuare e valutare adeguatamente i rischi e di collaborare a definire e a programmare adeguate misure di prevenzione e protezione in relazione ai diversi contesti lavorativi sia dal punto di vista tecnico, organizzativo e procedurale;

– capacità relazionali, comunicative, per adempiere al meglio alla promozione della salute e sicurezza anche in situazioni potenzialmente conflittuali e nel rispetto delle esigenze di tutte le parti in gioco”.

In particolare il modulo B del nuovo percorso formativo per RSPP/ASPP “dovrà essere progettato al fine di:

– sviluppare nel concreto conoscenze, comportamenti e abilità tecnico-professionali improntati alle norme e ai principi di sicurezza e di igiene;

– evidenziare le peculiarità delle diverse realtà aziendali comprese nei vari settore produttivi al fine di stimolare una corretta individuazione dei pericoli e delle possibili misure di prevenzione e protezione adeguate;

– sviluppare capacità di problem-solving e adeguati metodi di approccio ai problemi dell’igiene e della sicurezza;

– fornire strumenti operativi per la valutazione e la gestione delle diverse tipologie di rischi

– evidenziare il ruolo dei comportamenti aziendali in relazione alla sicurezza

– sviluppare relazioni orientate a sostenere la prevenzione dei rischi”.

 

Rimandando ad una lettura integrale del testo, parliamo ora di progetto formativo.

 

Si indica che “declinati i profili di competenza e i bisogni formativi generali degli RSPP e ASPP e considerando le competenze di base acquisite con la frequenza del Modulo A propedeutico, è necessario strutturare il percorso formativo mediante la progettazione, che traduce il bisogno formativo in una coerente e pertinente risposta formativa, tenendo presente l’ambito dell’obiettivo generale, riportato nel d.lgs. 81/2008, di ‘trasferimento di conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e all’identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi’”.

 

In particolare il progetto formativo deve rispondere ad una “serie di requisiti quali:

– conformità, intesa come rispondenza ai vincoli normativi e legislativi, alle specifiche e ad eventuali standard di riferimento;

– coerenza, intesa come adeguatezza dal punto di vista metodologico, tecnico, e delle scelte progettuali, organizzative e gestionali in rapporto agli obiettivi formativi;

– pertinenza, intesa come adeguatezza di risposta alle finalità della formazione nel campo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;

– efficacia, intesa come capacità dei progetto di realizzare i risultati attesi dal punto di vista didattico e delle competenze professionali, con particolare riferimento al ruolo che il soggetto destinatario della formazione riveste nel contesto dell’organizzazione aziendale”.

 

E seguendo un approccio modulare “nella progettazione dovranno essere definiti con dettaglio, per ciascuna unità didattica:

– gli obiettivi specifici e i risultati attesi;

– i contenuti e la durata;

– la strategia formativa e le metodologia didattica;

– gli strumenti didattici di supporto e il materiale didattico;

– le modalità e i criteri di verifica dell’apprendimento;

– le modalità di verifica della qualità formativa (mediante questionari di gradimento)”.

 

Rimandando ad altri approfondimenti il tema della strategia formativa, del documento progettuale e delle verifiche, concludiamo questa presentazione dell’allegato IV dei nuovi accordi sottolineando che è necessario, in merito al progetto formativo, “identificare gli obiettivi specifici relativi alla singola unità didattica; tipicamente gli obiettivi vengono declinati mediante parole chiave come trasferireillustrarefar conoscerefar acquisire,fornirefavoriredefiniredelineare etc”.

E strettamente correlati agli obiettivi sono i ‘risultati attesi’ dall’azione formativa “che dovranno essere coerenti con tali obiettivi, conseguibili con la partecipazione al percorso formativo. Il raggiungimento dei risultati attesi dipende in buona misura dalla coerenza e adeguatezza progettuale, in termini di contenuti didattici e strategia formativa. I risultati attesi non dovranno limitarsi alla semplice acquisizione di nozioni, ma dovranno riflettere gli aspetti relativi al sapere agire, alla soluzione dei problemi e agli aspetti relazionali durante le attività che si è chiamati a svolgere”.

 

 

“ Schema di Accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni”, versione 7 luglio 2016 (formato PDF, 3.54 MB).

 

Ricordiamo che questa non è la versione ufficiale dell’accordo, che sarà disponibile nei prossimi giorni, ma è il testo dell’accordo arrivato in Conferenza Stato-Regioni per l’approvazione.

 

Tiziano Menduto

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Fonte: puntosicuro.it