Le tematiche riguardanti i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” continuano ad essere oggetto di interesse da parte delle “Istituzioni”, delle “Parti Sociali”, dei Mass Media, dei professionisti “addetti ai lavori” tramite studi, convegni, incontri, dibattiti, articoli, con alterni risultati.
Il titolo è intenzionalmente “provocatorio” nei confronti dei Datori di Lavoro e dei Dirigenti, pubblici e privati, in quanto le tematiche che riguardano i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” partono dalla oggettiva constatazione che questi principali soggetti, con precisi poteri decisionali e di spesa e che organizzano e dirigono attività produttive secondo attribuzioni e competenze conferite, continuano ad ignorare e sottovalutare questi costi dovuti esclusivamente ad una cattiva gestione del “fenomeno infortunistico” (infortuni, malattie professionali, infortuni invalidanti, incidenti, infortuni mortali, etc.) aggravato dal fatto che le cicliche “Crisi economiche” sommate alla “Riduzione del fatturato” stanno comportando una drastica “Compressione del budget della salute e della sicurezza sul lavoro”.
Calando queste considerazioni in molte realtà industriali italiane, i Datori di Lavoro ed i Dirigenti rispetto ai “COSTI DELLA NON SICUREZZA” parlano più di “ costi della sicurezza” evidenziando il disinteresse e, nel contempo, la tendenza a comprimere il budget della salute e della sicurezza sul lavoro che, per contro, aumentando invece i rischi per i lavoratori e le responsabilità civili e penali dei Datori di Lavoro e dei Dirigenti stessi. Ed ecco perché i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” sono oggetto di un continuo studio, interesse e dibattito da parte di autori specializzati, di ricercatori, di Associazioni di categoria dei Datori di Lavoro e più di recente dall’INAIL, con il Progetto CO&SI (Costi e Sicurezza), per l’oggettivo interesse che il tema sviluppa nel campo della prevenzione. Purtuttavia questi evidenti risultati, soprattutto per quanto riguarda gli evidenti e certificati “ritorni economici”, stentano invece, ancora oggi, a decollare concretamente e a far parte di una vera progettualità all’interno delle aziende.
Questo in premessa, perché, per contro, è necessario calcolare realmente i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” partendo dal basso verso l’alto (botton up), dalla “singola” azienda e differenziando la stessa in micro, piccola, media e grande dimensione, in modo da conoscere, azienda per azienda, quali sono i reali costi individuali, anche in assenza del “fenomeno infortunistico”, e registrandoli, come da letteratura generale in materia, in “Costi diretti” e “Costi indiretti”.
In merito è bene fare cenno sul reale “valore macro economico” che invece è noto in materia di “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, ma il cui approccio registra ancora una certa resistenza culturale, una ignoranza del tema, a possibili mutamenti da parte delle “Istituzioni” e delle “Parti Sociali”, ad di sotto del quale il “Sistema Italia di prevenzione” non riesce ad andare, nonostante i rilevanti costi registrati dal PIL sia a livello mondiale che nazionale. Infatti l’ILO, l’agenzia delle Nazioni Unite, registra “ COSTI DELLA NON SICUREZZA” intorno al 4% del PIL mondiale pari a una cifra “monstre” di più 1.250.000 milioni di dollari, mentre il “Sistema Italia” registra un valore di 3.5% del PIL per un costo di 45 miliardi di EUR, vale a dire ben 87.000 miliardi di vecchie Lire che rende più accessibile la valutazione del danno. Una cifra alta, completamente ignorata, dovremmo dire pazzesca e anche amorale che non giustifica questa indifferenza delle “Istituzioni” e delle “Parti Sociali” che continuano, anno dopo anno, a disinteressarsi di questo “fenomeno infortunistico”, in particolare gli infortuni mortali, nonostante che questi costi riguardino sia le aziende private sia lo Stato. Ed ecco perché è apparso opportuno, ancora oggi, tradurre questi “COSTI DELLA NON SICUREZZA” anche in “Lire”, in quanto la cifra in gioco appare ancora oggi non allarmante per la sua gravità e non offre una precisa idea dell’enorme danno al “Sistema Italia di prevenzione”, incontrollabile da parte delle “Istituzioni” e dalle “Parti sociali” che non giustifica la sottovalutazione che si fa. Parimenti è difficile sapere dalle Associazioni di categoria dei Datori di Lavoro quali sono i “COSTI DELLA NON SICUREZZA” nel loro complesso e le ricadute di perdite economiche sulla “singola azienda” o “gruppi di aziende” con lavorazioni “omogenee” (cantieristiche, estrattive, alimentari, tessile, agrarie, etc.), nella considerazione che ci sono differenti e sostanziali differenze di approccio, in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, nel momento in cui sul territorio nazionale operano milioni di aziende che il sistema produttivo italiano ha classificato in aziende micro, piccole, medie e grandi dimensioni.
C’è da rilevare che mentre in microaziende (< di 10 dipendenti) e piccole aziende (< di 50) il Datore di Lavoro percepisce e registra immediatamente quello che la maggior parte degli studi, come è stato fatto cenno, indica in “Costi Diretti” (dovuti alla sostituzione del lavoratore che si è infortunato o si è ammalato per una malattia professionale, o quelli per il fermo macchina dovuto ad un incidente che riduce la produzione) e in “Costi Indiretti”(più difficili da conteggiare e quantizzare perché sono dovuti ai costi amministrativi per le registrazioni degli obblighi di legge, ai costi che si devono stimare per il minore rendimento del lavoratore che sostituisce il lavoratore infortunato, come anche la stima dei costi del cosiddetto clima aziendale o la stima del danno di immagine), per contro in aziende di medie (< di 250 dipendenti) e di grandi dimensioni (> di 250) non si percepisce affatto la dimensione del “fenomeno infortunistico”, a maggior ragione in aziende con lavoratori superiori a 10.000 dipendenti (un numero naturalmente puramente teorico, anzi empirico ed estraneo al rigore scientifico, ma volutamente indicativo) fondato su dati dell’esperienza e nella pratica quotidiana dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e dei Medici Competenti che gestiscono queste grandi “dimensioni” aziendali, con serie difficoltà organizzative per l’attuazione concreta in azienda del D.Lgs. 81, a supporto dei Datori di Lavoro e dei Dirigenti, difficoltà dovute prevalentemente al fatto che quasi mai i Responsabili e Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione ed i Medici Competenti, interni o esterni, sono in “numero sufficiente” rispetto non solo al numero dipendenti (come per il calcolo del numero “obbligatorio” dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza – RLS) ma anche al numero di Unità Produttive, al numero delle lavorazioni a basso, medio e alto rischio, alle dimensioni dell’azienda, al numero delle Aziende collegate, alle Sedi o agli Stabilimenti nazionali, europei ed internazionali e così via, e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti assegnati dal D.Lgs. 81 per presidiare, a supporto del Datore di Lavoro, dei Dirigenti e dei Preposti, tutte le aree di rischio.
Queste criticità riguardano il fatto che il sistema generale organizzativo e gestionale italiano sembra costantemente in una sorta di ciclico “punto di non ritorno” per cercare di contenere l’aumento del “fenomeno infortunistico”, e questo perché l’intero “Sistema Italia”, in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, è in una continua emergenza nazionale fluttuando ciclicamente di anno in anno fra risultati alti e bassi. Nel 2014 il “fenomeno infortunistico” era in diminuzione e la tendenza dei Mass Media è stata quella di rappresentare al meglio il calo significativo di questo fenomeno sottolineando con una certa enfasi che la cultura della prevenzione stesse migliorando: “Gli incidenti mortali del 2014 sono in netto calo e oltre la metà è avvenuta fuori dall’azienda, cioè in itinere o con un mezzo di trasporto. Gli infortuni registrati dall’INAIL sono stati 437mila, con un calo del 6,3% rispetto al 2013. Risultato finanziario positivo per 477 milioni”. Il tutto, in una sorta di marketing nebuloso per non fare conoscere la vera dimensione del fenomeno infortunistico a livello nazionale, quasi per cercare di tranquillizzare l’opinione pubblica di fronte all’aumento più in particolare del devastante aspetto degli “infortuni mortali”, fenomeno indicato come “morti bianche”, dove l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente: la vera piaga italiana dove invece ci sono delle precise responsabilità. Per contro nel 2017 i dati del “fenomeno infortunistico” registrati dall’INAIL sono stati alti (ed il primo semestre del 2018 registra questa tendenza) e in questo caso i Mass Media hanno espresso la speranza che venissero drasticamente ridotti, perché, anche per una questione etica e morale, le “morti bianche” riguardano il comportamento dell’uomo: “La ripresa delle morti sul lavoro. I decessi salgono del 5,2%. Tendenza invertita dopo anni di calo. Un effetto dell’economia che riparte, ma anche di investimenti in prevenzione fermi al palo”.
Insomma il “Sistema Italia” è ancora lontano, dal punto di vista culturale, etico e morale, a considerare gli infortuni mortali un “male assoluto” e la tendenza è quello di un continuo e periodico soprassalto, accompagnato sempre da una profonda indignazione, specie quando un ragazzo di 19 anni muore schiacciato da un grande sasso, mentre lavorava addirittura con il padre, per poi ricadere in una altrettanta e profonda rassegnazione e indifferenza pochi giorni dopo, a quello che è accaduto il giorno prima, nel momento in cui i Mass Media passano ad un’altra notizia di cronaca, nell’ottica continua che “lo spettacolo deve continuare” (“the show must go on”).
Chi scrive ha studiato per molti anni queste complesse tematiche, con buoni risultati, avendo lavorato per oltre trent’anni in un’azienda di grandi dimensioni del settore aeronautico e recentemente ha sviluppato uno Studio, con un altro collega, proprio sui “COSTI DELLA NON SICUREZZA” pubblicando un libro, una sorta di selfpublishing, con la speranza di cercare di favorire un cambiamento culturale e decisionale del Datore di Lavoro e dei Dirigenti (chi scrive è un Dirigente d’Azienda Industriale), sperando di fare affidamento, più in particolare, ad una “leva economica” che possa stimolare banalmente la decisione del Datore di Lavoro ad essere cosciente e consapevole che ci rimette di tasca propria, paga con proprio denaro, se non si interessa di salute e sicurezza sul lavoro, e che, a fianco di altre leve, la conoscenza di questi costi sono da ricercare esclusivamente nelle pieghe del “Bilancio d’esercizio”.
Per influenzare ed enfatizzare meglio l’approccio che chi scrive vuole dare ai “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, questo tema lo si deve mettere a confronto con gli obiettivi della più famosa Qualità Totale, la quale, come noto agli “addetti ai lavoro”, mette in evidenza che la ricerca della “qualità””, per essere concretamente applicata all’interno dell’azienda, deve uscire dagli angusti confini della fase produttiva di beni o di servizi, per estendersi invece a tutti gli aspetti del vissuto aziendale, fino a coinvolgere il “singolo individuo” andando dalle prime fasi di progettazione alla messa in esercizio della produzione, dall’organizzazione del magazzino alla distribuzione, dalla gestione delle risorse umane e così via. Adottare concretamente la Qualità Totale significa attuare una lotta senza quartiere agli sprechi e alle attività inutili, mettendo a punto processi caratterizzati da un’elevata efficienza e un bassissimo margine di errore. Il risultato? E’ noto un forte abbattimento dei costi e un innalzamento altrettanto straordinario della “qualità” per la produzione di beni o di servizi. Con l’applicazione della Qualità Totale l’azienda viene interamente rimodellata all’insegna della leggerezza, della rapidità, della precisione, della flessibilità. Il libro “Qualità Totale” di Alberto GALGANO ha dato un notevole contributo a far entrare questi concetti nel vocabolario della dirigenza italiana e rappresenta quindi una lettura utile per la migliore introduzione alla rivoluzione della “qualità”che tratta anche la possibile riduzione dei costi in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sottolineando l’aspetto che, dove l’organizzazione della sicurezza coincide con l’organizzazione dell’azienda, si fa concretamente prevenzione.
Il confronto quindi tra “Qualità Totale” e “COSTI DELLA NON SICUREZZA” altro non è che la condivisione di un obiettivo comune di promuovere ed attuare una lotta senza quartiere a sprechi e attività inutili ed essere l’occasione per i Datore di Lavoro e i Dirigenti, tramite soprattutto il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, di classificare le “USCITE” in “Costi Diretti e “Costi Indiretti, secondo la letteratura generale in materia accennati, nella considerazione che se il rapporto di 1 a 10 “stimato”, indica possibili errori, molto diversi da azienda a azienda, e come fatto cenno secondo in “singole” aziende di micro, piccole, medie e grandi dimensioni, perché questi costi dipendono esclusivamente da come vengono individuati, classificati, conteggiati e calcolati a seconda proprio le caratteristiche e le dimensione dell’azienda stessa.
C’è da prendere atto, invece, che questo approccio si azzera e conduce ad una sorta di bavaglio e ad una profonda frustrazione professionale dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione e dei Medici Competenti, nel momento in cui molti Datori di Lavoro, ignorando il processo di valutazione dei rischi, i contenuti del “Documento di Valutazione dei Rischi” ed i “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, continuano indisturbati, “quasi” in accordo con le “Istituzioni” e con le “Parti Sociali”, ad operare “consapevolmente” in situazioni ad alto rischio lavorativo (come emblematicamente l’inquinamento ambientale presente in molte realtà industriali) pienamente consapevoli delle conseguenze dell’accadimento di gravi malattie professionali (e di malattie di varia natura, anche oncologiche, per la popolazione esterna) a causa proprio della continua esposizione a questi noti e risaputi fattori ad alto rischio.
Pertanto, mentre è risaputo che si potrebbe operare in situazione lavorative “rischiose”, nel senso che, consapevoli della valutazione dei rischi, sono invece costantemente prese, giorno dopo giorno, misure di prevenzione e protezione per portare il rischio nei normali valori limiti di soglia previsti dalle leggi in materia, per contro si lavora invece intenzionalmente in situazioni di lavorazioni “rischiose” consapevoli dell’accadimento di malattia professionale, ma anche di infortuni, incidenti invalidanti e infortuni mortali. In molte realtà industriali, in queste cicliche crisi economiche, dove la richiesta dei Datori di Lavoro è molto chiara, nel momento in cui soprattutto il “Bilancio d’esercizio” è negativo, in quanto impone consapevolmente al sistema socio-produttivo: “diritto al lavoro”o “diritto alla salute”? Richiesta naturalmente contrapposta a quella dei Lavoratori, ma anche alle silenziose richieste dei Dirigenti e dei Preposti che lavorano negli stessi luoghi di lavoro, dove oramai prevale la “rassegnazione” e l’accettazione consapevole del “diritto al lavoro” a discapito del proprio “diritto alla salute”.
Il tutto quindi in una costante situazione anticostituzionale e in un silenzio assordante ed indifferente delle “Istituzioni” (vale a dire degli apparati dello Stato preposti allo svolgimento di “controlli”) e delle “Parti Sociali” ( cioè i soggetti del dialogo sociale e delle parti negoziali degli accordi interconfederali o dei contratti collettivi, quali le Associazioni Sindacali dei Datori di Lavoro e dei Lavoratori, il Governo o gli Enti locali), se non, come è stato già fatto cenno a discapito del “diritto alla salute”, in quelle dichiarazioni cicliche, tramite i Mass Media, in cui si denunciano, con “lacrime di coccodrillo”, le “morti bianche” sul lavoro, provando immediatamente dispiacere, ma per dimenticarle il giorno dopo, quando in realtà il “Sistema Italia” continua a privilegiare il “diritto al lavoro” a discapito del “diritto alla salute”.
Queste criticità sono descritte molto bene e a chiare lettere dalla “Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e delle sicurezza nei luoghi di lavoro” che, tramite il complesso delle audizioni e degli atti istruttori compiuti, ha dimostrato come “la superficialità dei controlli, l’incuria e la trascuratezza della Pubblica Amministrazione insieme a lungaggini burocratiche e confusioni su competenze amministrative”, protrattesi per decenni, hanno aggravato gli effetti delle condizioni generali “in spregio a qualsiasi tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori ed il persistente gravissimo pericolo per la salute della popolazione che non può consentire dilazione alcuna da parte delle autorità competenti”. Una vergognosa situazione ed indifferenza tutta italiana.
Per inquadrare meglio queste tematiche, e non riuscendo il “Sistema Italia” a calare questi dati in tutte le aziende, si dovrebbe cominciare a chiedere quali siano invece queste difficoltà, a livello di “Istituzioni”, “Parti sociali” e Associazione di categoria dei Datori di Lavoro, per fare calare invece lo studio di questi “COSTI DELLA NON SICUREZZA” a livello di “singole aziende”, e come è stato già fatto cenno anche in assenza del “fenomeno infortunistico”, nella considerazione che ci devono essere differenti approcci per le micro, piccole, medie e grandi aziende.
Avviandoci alle conclusioni, c’è da evidenziare che, da parte di chi scrive, l’occasione dello studio sui “COSTI DELLA NON SICUREZZA” è scaturito da una normale consulenza, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, richiesta da parte di un perspicace Direttore del Personale, di un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ed un Medico Competente con un’ampia visione degli aspetti organizzativi e gestionali, per un parere circa una serie di incidenti sul lavoro occorsi accidentalmente a più lavoratori che invece potevano avere un potenziale esito mortale, sulla base della dinamica analizzata direttamente dai Dirigenti e dai Preposti delle Unità Operative interessare, in stretta collaborazione appunto con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente.
In estrema sintesi e come contributo a questo articolo, è venuta fuori una richiesta, in qualità di “Consulente della Sicurezza sul Lavoro” in campo specifico aeronautico, di approfondire il classico argomento “quanto costa un infortunio e quanto costa prevenirlo”, ma più in particolare quali potevano essere i reali “COSTI DELLA NON SICUREZZA” sostenuti dall’azienda, riportati e nel contempo “nascosti” nei dati del Bilancio, nel momento in cui, da una prima analisi sommaria, era emerso che tutti i costi non erano gestiti “centralmente” dal “Servizio di Prevenzione e Protezione” in stretto collegamento con la Funzione “Amministrazione del Personale” e della Direzione Finanza.
L’analisi dei dati forniti e riguardanti il “fenomeno infortunistico” aziendale, ha consentito di inquadrare meglio la necessità dell’obbligatorietà del calcolo dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, in quanto, rispetto alla più ricorrente classificazione in “Costi Diretti” e “Costi Indiretti, una lettura invece molto più accurata dei singoli dati registrati nel “Bilancio di Esercizio” e più in particolare la ricerca, molte volte spasmodica, di questi dati nelle pieghe delle singole voci riportate nelle “Entrate” e nelle “Uscite” ha indotto a suggerire al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e al Direttore del Personale di considerare, distinti e separati i “Costi Assicurativi” (sia pubblici, come quelli dell’INAIL, che privati), i “Costi Diretti” (intesi come spese direttamente e indirettamente sostenute dall’azienda all’accadimento del singolo evento) ed i “Costi Preventivi (intesi come costi conseguenti all’adozione delle misure di prevenzione e protezione).
La proposta che è uscita da questo studio dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, è stata quella che è necessario ed opportuno affidare il coordinamento delle operazioni di introduzione e di gestione della procedura della cosiddetta “contabilità parallela” esclusivamente al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, in quanto è l’organo più direttamente interessato alla valutazione dell’aspetto economico del “fenomeno infortunistico”, cioè degli infortuni, degli infortuni invalidanti, delle malattie professionali, degli incidenti, degli infortuni mortali. L’azione di coordinamento del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione appare inoltre necessaria ed opportuna per evitare che si verifichino lacune o duplicazione di valutazione. Inoltre il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione farebbe in definitiva da “cerniera” per la presentazione del Rendiconto annuale dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, indicando al Datore di Lavoro ed ai Dirigenti, in occasione della riunione annuale, i macro e/o i micro obiettivi che concretamente possono essere conseguiti a livello di singole Unità Produttive e Operative.
Questa scelta organizzativa e gestionale nei confronti del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è scaturita “esclusivamente” da una complessa considerazione contabile per poter “agganciare” il Bonus – Malus dei “Costi Assicurativi” (in particolare i costi delle oscillazioni consentite per legge dal premio assicurativo INAIL) ad un “Livello di sicurezza” aziendale, in cui “convenzionalmente” (cioè un accordo tra chi scrive, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e il Direttore del Personale ) e in una scala di valutazione del “Livello di sicurezza” dallo “0%” al “100%”, si è inteso fatto coincidere il 60% di “Livello di sicurezza” con il “Tasso di Tariffa INAIL”, il 40% con il Malus, l’80% con il Bonus, mentre il 100% è stato chiamato convenzionalmente “Rischio Zero”inteso espressamente come quella condizione in cui negli ultimi “tre” anni, all’interno dell’azienda si fossero verificati “Zero Infortuni”, “Zero Malattie Professionali”, “Zero Infortuni Mortali” e che fossero state rispettate tutte le norme in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro vigenti.
In conclusione, e rimandando la trattazione di queste complesse tematiche a Corsi di Formazione ad hoc in materia di “COSTI DELLA NON SICUREZZA”, a parere di chi scrive, la presunzione dello Studio effettuato riguarda la novità di dover fare riferimento specifico alle oscillazioni Bonus-Malus del Premi assicurativi (in particolare al Premio INAIL) e prendere in serie considerazioni la complessa ricerca di dati di questi costi nelle pieghe del “Bilancio di Esercizio” delle singole aziende più in particolare tutti quei dati registrati nelle “Entrate” e nelle “Uscite” per calcolare in definitiva i Costi Totali, suddivisi in Costi Assicurativi, Costi Preventivi e Costi Diretti. Da evidenziare che, all’inizio della ricerca, questi costi nelle pieghe del Bilancio sono stati molto complessi e hanno richiesto al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione una nuova “lettura” del “fenomeno infortunistico” aziendale, con il supporto di funzioni aziendali che “apparentemente” non avevano collegamenti con l’intero processo di “valutazione di tutti i rischi” (ex D.lgs. 81) presenti nelle lavorazioni industriali svolte, ma che invece alla fine, e una volta a regime, sono risultati determinanti proprio per il supporto specialistico dato dalla funzione Amministrazione della Direzione del Personale, della Direzione Finanza, della Direzione Progettazione, della Direzione di Manutenzione ed altre Funzioni/Direzioni interessate per la raccolta dei dati per il calcolo dei “COSTI DELLA NON SICUREZZA”. Infine il tentativo di definizione di “Rischio Zero”, ma sarà oggetto di un altro articolo, potrebbe essere l’occasione di proporre un apposito “sistema premiale” (soprattutto INAIL) dove all’azienda “virtuosa” viene riconosciuto un residuale costo assicurativo.
Donato Eramo
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Fonte: puntosicuro.it