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Regolamento REACH: gli obblighi nel settore delle costruzioni

Bologna, 20 Feb – Benché il settore delle costruzioni utilizzi una grande varietà di prodotti chimici in tutte le fasi del ciclo costruttivo – ad esempio dalla realizzazione delle strutture portanti degli edifici alla rifinitura di pavimenti e pareti o montaggio degli infissi – spesso in questo comparto il Regolamento REACH ( Regolamento 1907/2006), come rilevato anche in passato nell’intervista agli ingegneri Paolo Balboni e Giacomo Niboli, non è applicato.

Eppure Federchimica ha stimato che il comparto dell’edilizia “rappresenta circa il 9% della produzione dell’industria chimica in Italia con un valore di produzione vicino ai 5 miliardi di euro”. E l’impiego di sostanze chimiche nel comparto delle costruzioni “è in continuo aumento ormai da diversi anni e una inversione di tendenza non appare, al momento, plausibile né auspicabile per diversi motivi”.

 

A ricordarlo, soffermandosi sia sul rischio chimico in edilizia che sugli obblighi correlati al regolamento REACH, è un intervento di Augusto Di Bastiano (Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche – ECHA) al convegno bolognese “REACH_EDILIZIA – L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nell’ambiente da costruire e nell’ambiente costruito” (Ambiente Lavoro, 20 ottobre 2016).

 

Gli utilizzatori a valle nel settore delle costruzioni

L’intervento “L’impatto del Regolamento REACH sul settore delle costruzioni. Obblighi e buone prassi” ricorda innanzitutto che lo scopo di tutte le azioni normative europee in materia di sostanze chimiche, con particolare riferimento al Regolamento REACH, è quello di

“salvaguardare la salute umana e l’ambiente promuovendo l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie per ridurre i rischi da emissione e, laddove possibile, la sostituzione delle sostanze pericolose”. Riguardo all’applicazione del Regolamento ricordiamo la prossima scadenza per le aziende: il termine per la registrazione per le sostanze, in quantità comprese tra 1 e 100 tonnellate all’anno, sarà il 31 maggio 2018.

 

Riguardo al Regolamento REACH, Di Bastiano sottolinea che le aziende, i lavoratori e i professionisti operanti nel settore delle costruzioni sono considerati utilizzatori a valle (downstream users), dove un utilizzatore a valle “è un’azienda o un soggetto che utilizza sostanze chimiche:

  • per produrre miscele che sono utilizzate da altri soggetti della catena di approvvigionamento, oppure
  • per altri scopi che non prevedono successiva distribuzione della sostanza (es. produzione di articoli, attività professionali etc.)”.

In particolare “quando gli utilizzatori a valle sono aziende che operano in siti industriali, di piccole o grandi dimensioni, sono definiti utilizzatori industriali. Quando i lavoratori usano sostanze o miscele per attività non industriali, sono considerati utilizzatori professionali”. E i lavoratori del comparto delle costruzioni “possono rientrare sia nella categoria degli utilizzatori industriali (ad esempio lavoratori di aziende che producono sostanze, miscele e articoli per l’edilizia) che degli utilizzatori professionali (es. coloro che lavorano, con varie mansioni, nei cantieri edili, o i lavoratori autonomi)”.

 

I rischi da esposizione a sostanze chimiche

Si ricorda poi che i rischi da esposizione a sostanze chimiche nel settore delle costruzioni, “non sono limitati ai soli lavoratori edili, ma coinvolgono anche altre categorie di lavoratori, i consumatori la popolazione generale e l’ambiente. Tali rischi, infatti, riguardano l’intero ciclo di vita delle sostanze e in particolare:

  • I lavoratori delle aziende che producono sostanze usate nella formulazione di miscele o nella produzione di articoli utilizzati in edilizia;
  • I formulatori industriali di prodotti per edilizia (vernici, collanti, malte etc.);
  • Gli utilizzatori professionali (lavoratori impegnati in attività di cantiere);
  • La popolazione generale potenzialmente esposta alle sostanze rilasciate dai materiali e rivestimenti utilizzati in edilizia”.

Inoltre la filiera di settore, nelle costruzioni, “è molto articolata e le sostanze utilizzate appartengono a tutte le categorie di pericolo, da non pericolose (sostanze non classificate) a molto pericolose (sostanze CMR, PBT etc.)”. E chiaramente la “conoscenza di dettaglio del ciclo di vita delle sostanze e la valutazione dell’uso e della esposizione in tutte le fasi del ciclo di vita rivestono una particolare importanza per la definizione delle misure appropriate di gestione del rischio da parte del dichiarante e per le eventuali azioni di tipo normativo da parte delle Autorità”. In questo senso i dichiaranti, per poter effettuare la CSA (valutazione della sicurezza chimica) hanno bisogno “di ricevere informazioni corrette sugli usi e le condizioni di uso delle sostanze dagli utilizzatori a valle”.  L’esito della CSA viene utilizzato per redigere il rapporto sulla sicurezza chimica (CSR) che è parte integrante del fascicolo di registrazione.

 

Veniamo infine a fornire alcune informazioni sulla funzione e sugli  obblighi degli utilizzatori a valle nel settore delle costruzioni.

 

Gli obblighi degli utilizzatori di sostanze chimiche

Il relatore ricorda che gli obblighi principali degli utilizzatori di sostanze chimiche nel settore edile “sono gli stessi degli altri utilizzatori a valle.  In sintesi gli utilizzatori di sostanze chimiche devono:

  1. “fornire informazioni ai loro fornitori relativamente al proprio uso ed alle condizioni d’uso. Il dichiarante riceve queste informazioni dai vari attori nella catena di approvvigionamento, ne valuta il rischio e decide se includere tale uso tra gli usi identificati nel fascicolo di registrazione. Il fornitore deve comunicare il motivo di un eventuale rifiuto al suo cliente se ritiene che l’uso ponga dei rischi non accettabili per la salute umana o per l’ambiente”;
  2. “individuare e mettere in atto le misure di controllo del rischio indicate nella scheda dati di sicurezza. Questa operazione deve essere effettuata entro 12 mesi dalla ricezione di una SDS per una sostanza registrata”;
  3. “attuare le misure comunicate nello scenario d’esposizione”;
  4. “informare immediatamente il fornitore qualora disponga di nuove informazioni circa i pericoli della sostanza o se ritiene non adeguate le indicazioni sulla gestione dei rischi”.

 

Si ricorda che quando un utilizzatore a valle del comparto edile riceve uno scenario di esposizione, “deve anche verificare se lo scenario d’esposizione copre il proprio uso della sostanza e le relative condizioni di uso. Se l’uso e/o le condizioni d’uso della sostanza, in quanto tale o in una miscela, non sono coperti dallo scenario d’esposizione, sono disponibili diverse alternative, tra le quali:

  • attuare le condizioni d’uso descritte nello scenario d’esposizione ricevuto;
  • rendere noto l’uso / le condizioni d’uso al fornitore, allo scopo di dare al fornitore la possibilità di includerlo tra gli ‘usi identificati’ e ricevere uno scenario d’esposizione aggiornato;
  • sostituire la sostanza con una sostanza diversa per la quale non è necessario uno scenario d’esposizione o sono disponibili uno o più scenari d’esposizione che ne coprano le condizioni di utilizzo. In alternativa, modificare il processo in modo che non sia richiesta la sostanza;
  • trovare un altro fornitore che fornisca la sostanza o la miscela con uno scenario d’esposizione che ne copra l’uso;
  • elaborare una relazione sulla sicurezza chimica dell’utilizzatore a valle (DU CSR), verificando prima se sono applicabili esenzioni”.

 

In particolare la relazione sulla sicurezza chimica degli utilizzatori a valle (DU CSR) “non è necessaria nei seguenti casi:

  • la sostanza per la quale l’uso non è coperto non richiede la scheda dei dati di sicurezza(per esempio è una sostanza non classificata);
  • la relazione sulla sicurezza chimica per la sostanza non è richiesta in fase di registrazione (questa informazione può essere fornita dal fornitore);
  • la sostanza sia presente in una miscela a una concentrazione inferiore a quella per cui è necessaria una relazione sulla sicurezza chimica;
  • l’utilizzatore a valle usi la sostanza o la miscela in un quantitativo totale inferiore a una tonnellata all’anno;
  • l’utilizzatore a valle usi la sostanza per un’attività di ricerca e sviluppo orientata ai prodotti e ai processi (PPORD)”.

Si segnala che la relazione sulla sicurezza chimica dell’utilizzatore a valle “deve essere predisposta entro dodici mesi dalla ricezione della scheda di dati di sicurezza per una sostanza registrata”.

 

Inoltre gli utilizzatori di sostanze chimiche del comparto delle costruzioni che utilizzano sostanze soggette ad autorizzazione e/o restrizione “hanno l’obbligo e la responsabilità di:

  • adottare le misure indicate nella licenza di autorizzazione qualora si usi una sostanza inclusa nell’elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione (Allegato XIV di REACH);
  • verificare che l’uso della sua sostanza sia consentito (e verificare le condizioni) se la sostanza è inclusa nell’elenco delle sostanze sottoposte a restrizione (Allegato XVII di REACH)”.

E i formulatori di miscele utilizzate nel comparto delle costruzioni “devono fornire ai clienti le informazioni appropriate sui pericoli e le condizioni di uso sicuro della loro miscela”.

 

Rimandando ad una lettura integrale dell’intervento, che riporta ulteriori dettagli sull’applicazione del Regolamento REACH nel settore delle costruzioni, veniamo ad alcune conclusioni del relatore.

 

L’importanza dell’applicazione del Regolamento REACH

Si sottolinea che “l’aspetto chiave per una corretta ed efficace applicazione del Regolamento REACH è la comunicazione nella catena di approvvigionamento che richiede la collaborazione di tutti gli attori della catena stessa”. E tale aspetto ha rilevanza strategica “soprattutto nel comparto delle costruzioni, ove  vengono utilizzate moltissime sostanze chimiche di diversa natura e pericolosità e dove i rischi da esposizione non riguardano solo i lavoratori del comparto edile, ma anche i lavoratori delle aziende produttrici di materiali da costruzione, la popolazione generale e l’ambiente”. Inoltre – continua il relatore – gli usi di tali sostanze “differiscono notevolmente nelle varie fasi dei processi costruttivi e una corretta valutazione e gestione dei rischi da esposizione per la salute dei lavoratori che costruiscono le opere, della popolazione generale, che tali opere utilizza e dell’ambiente richiede conoscenze di dettaglio delle sostanze del funzionamento dell’intero comparto”.

 

In definitiva è proprio la conformità agli obblighi previsti dal Regolamento REACH che “garantisce l’uso sicuro delle sostanze utilizzate nel comparto delle costruzioni e tutela la reputazione dei produttori e, delle aziende che a vario titolo operano nelle costruzioni e degli utilizzatori finali nei paesi dell’Unione Europea offrendo loro vantaggi sotto il profilo delle attività rispetto ai produttori e agli utilizzatori finali non operanti nei paesi dell’UE”. È grazie a tale Regolamento che gli operatori delle costruzioni appartenenti ai paesi UE “hanno l’opportunità di dimostrare che essi producono ed applicano prodotti di alta qualità, realizzati ed utilizzati in condizioni sicure dal punto di vista della tutela dell’ambiente e della salute delle persone”.

 

Tiziano Menduto

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “REACH. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nei luoghi di vita e di lavoro”, pubblicazione che raccoglie gli atti dei due convegni “REACH  2016. TU2016, REACH e CLP. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP e le novità nella gestione del rischio chimico nei luoghi di vita e di lavoro” e “REACH edilizia. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nell’ambiente da costruire e nell’ambiente costruito” (formato PDF, 13.34 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ I regolamenti REACH e CLP e i luoghi di lavoro”.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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INAIL: 1029 MORTI SUL LAVORO IN ITALIA NEL 2017

Gli open data relativi ai 12 mesi dello scorso anno evidenziano un calo delle malattie professionali, incidenti in itinere ancora in aumento

 

Pubblicati dall’Inail i dati analitici delle denunce di infortunio e malattia professionale presentate all’Inail nel 2017. Di maggior rilievo risulta che, nello scorso anno, l’Istituto ha ricevuto 635.433 denunce di infortuni sul lavoro (-0,2% rispetto al 2016), 1.029 delle quali con esito mortale (+1,1%). Inoltre, nello stesso periodo risultano in diminuzione le malattie professionali (-3,7%).

Tra i motivi dell’incremento delle denunce mortali tra il 2016 e il 2017, rientrano senz’altro i cosiddetti incidenti plurimi, eventi, cioè, che hanno provocato la morte di almeno due lavoratori contemporaneamente. Nel 2017 si sono verificati, infatti, 13 incidenti plurimi rispetto ai sei del 2016, tra i quali si ricordano le due tragedie avvenute in gennaio in Abruzzo, a Rigopiano e Campo Felice. Questo per sottolineare che il confronto richiede grande cautela, in particolare rispetto all’andamento degli infortuni con esito mortale, soggetto all’effetto distorsivo di “punte occasionali” e dei tempi di trattazione delle pratiche e di consolidamento degli archivi. Dall’Istituto ricordano anche che i dati, riferiti alle sole denunce, sono provvisori, in attesa di quelli consolidati, che saranno diffusi nel mese di luglio in occasione della presentazione della Relazione annuale dell’Istituto, quando sarà disponibile anche l’informazione sugli esiti della definizione amministrativa (riconosciuti, negativi e in istruttoria), non presente nelle rilevazioni mensili.

Nella sezione “Open data” dell’Istituto presenti anche le denunce di infortunio e i confronti con l’anno precedente; questi indicano come la diminuzione dei casi rispetto allo stesso periodo del 2016 sia dovuta esclusivamente al calo degli infortuni avvenuti in occasione di lavoro (-0,7%), mentre quelli in itinere, nel tragitto casa-lavoro e viceversa, mostrano un incremento (+2,8%).

Le statistiche diffuse presentano anche l’andamento nelle diverse Regioni, come anche le divisioni per genere, dai quali particolare rilievo assume l’aumento delle denunce di infortunio nel Nord-Est (1.171 casi in più) e nel Nord-Ovest (+1.133), con gli incrementi più sensibili, sempre in valore assoluto, registrati in Lombardia (+1.708 denunce) ed Emilia Romagna (+1.177). L’analisi per classi di età evidenzia un sensibile aumento delle denunce per i lavoratori di età compresa tra i 55 e i 59 anni (+2.300 casi) e di quelli tra i 60 e i 69 anni (+2.900). Risultano, inoltre, in aumento solo le denunce dei lavoratori stranieri (+2.250 casi), mentre quelle degli italiani sono diminuite (-3.600).

Per quanto riguarda le denunce di malattia professionale, quelle protocollate dall’Inail nel 2017 sono state 58.129, ovvero 2.200 in meno rispetto allo stesso periodo del 2016 (-3,7%), a conferma del trend in diminuzione già emerso dalle rilevazioni precedenti.

In concomitanza con la pubblicazione degli open data Inail del 2017, sul sito dell’Istituto è disponibile anche il terzo numero del bollettino trimestrale sulle denunce di infortunio e malattie professionali, che esamina l’andamento del fenomeno infortunistico e tecnopatico rilevato tra gennaio e dicembre, confrontato con l’analogo periodo del 2016. Il bollettino è consultabile all’indirizzo https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/sala-stampa/comunicati-stampa/com-stampa-open-data-2017.html

 

Fonte: www.aifos.it

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Buone prassi e DPI nell’uso delle motoseghe portatili per potatura

Roma, 30 Gen – In questi anni abbiamo mostrato, attraverso i tanti articoli dedicati agli incidenti con motoseghe a catena portatile, come questa attrezzatura presenti diversi fattori di rischio per gli operatori che la utilizzano. Tuttavia l’uso delle motoseghe portatili per potatura presenta, rispetto alle tradizionali motoseghe a catena portatili, ulteriori rischi: queste macchine, generalmente ben bilanciate e con peso ridotto, “hanno la possibilità di essere impugnate con una sola mano” e sono inoltre utilizzate “anche da operatori ‘non professionisti’ e quindi probabilmente non adeguatamente formati ed esperti”.

 

A ricordacelo, fornendo informazioni sull’uso sicuro della macchina anche in relazione all’utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuali (DPI), è un documento prodotto nel 2003 dall’ex Ispesl (nel 2010 l’Istituto è stato incorporato nell’Inail).

Il documento – “Linee guida per l’uso in sicurezza delle motoseghe portatili per potatura” – riporta ancora oggi utili informazioni per la prevenzione degli infortuni fornendo anche regole di sicurezza da seguire “in ogni fase d’uso, dall’impugnatura alla messa in moto, dalle fasi di potatura al rifornimento, ponendo anche particolare attenzione alle varie operazioni di manutenzione che occorre effettuare”.

 

Il documento, che, ricordiamo, è antecedente al D.Lgs. 81/2008, ricorda che i rischi connessi all’utilizzo delle motoseghe portatili per potatura sono principalmente:

  • “contatto con la catena in movimento;
  • rottura della catena;
  • contraccolpo (impuntatura) per eccesso d’attrito o taglio mal eseguito;
  • proiezione di materiali inerti (schegge o parti della corteccia, o parti della macchina) contro l’operatore;
  • cadute dall’alto dell’operatore e della motosega;
  • scivolate e inciampate dell’operatore;
  • contatto traumatico con parti del fusto, o con rami in tensione improvvisamente liberati;
  • contatto con il tubo di scarico o altre parti surriscaldate;
  • elettrico per contatto con parti ad alta tensione;
  • incendio ed esplosione;
  • esposizione a rumore eccessivo;
  • esposizione a vibrazioni;
  • contatto o inalazione di fluidi, gas, vapori e polveri;
  • disergonomia per posizioni scomode”.

 

Le linee guida indicano che questi rischi “devono essere eliminati o, se non sussiste tale possibilità, almeno ridotti sia dotando la macchina degli opportuni requisiti di sicurezza previsti dalla normativa sia svolgendo in modo corretto (cioè in ‘sicurezza’) le operazioni legate alle varie fasi di uso della macchina e sia utilizzando l’equipaggiamento di protezione personale”.

 

In generale il documento segnala che per tutte le tipologie di lavorazioni occorre:

  • “evitare di lavorare in condizioni di tempo sfavorevoli,
  • usare sempre un abbigliamento protettivo idoneo;
  • evitare il taglio di rametti sottili e di cespugli (più rametti in una volta), poiché i rametti possono essere afferrati dalla catena, posti in rotazione e causare lesioni”.

Inoltre si deve sempre:

  • “fermare la catena agendo sul freno della catena e spegnere il motore prima di trasferirsi da un luogo all’altro;
  • trasportare la motosega mantenendo la lama e la catena in posizione posteriore. In caso di spostamenti lunghi usare il coprilama;
  • non abbandonare mai la motosega con il motore in moto e bloccare sempre la catena con il freno della catena. In caso di ‘parcheggi’ più prolungati, spegnere il motore;
  • fare particolare attenzione ai rami o ai fusti in tensione. Un ramo o un fusto in tensione potrebbe, sia prima sia dopo l’operazione di segatura, muoversi bruscamente all’indietro per riprendere la posizione originale”. Se la posizione, o quella della motosega, interferisce con il movimento del ramo, questo potrebbe colpire l’operatore o la motosega, facendo così perdere il controllo: “entrambe le situazioni possono sfociare in lesioni gravi alle persone”;
  • “tenere in considerazione che i gas di scarico sono velenosi e quindi usare la motosega in ambienti ben ventilati;
  • durante il lavoro con la motosega, non consentire a persone di avvicinarsi;
  • tenere animali o utensili ad una distanza di sicurezza”.

Si segnala poi che gli operatori “non devono assolutamente usare la motosega impugnandola con una sola mano quando hanno una posizione di lavoro non stabile”. E l’impugnatura con una sola mano “deve essere effettuata unicamente da personale specializzato in questo particolare metodo di lavoro ed unicamente per la potatura degli alberi. In tutte le altre operazioni la motosega è comunque concepita per essere utilizzata con due mani”.

In particolare quando si utilizza la motosega mediante l’impugnatura con una sola mano, “si hanno i seguenti ulteriori rischi:

  • il gruppo di taglio può facilmente scivolare o rimbalzare sul tronco o sul ramo durante l’operazione di taglio, il che aumenta il rischio di contraccolpo e/o il rischio di perdita di controllo della motosega con la conseguente possibilità che la catena colpisca l’operatore ed in particolare la mano ed il braccio non utilizzati per impugnare la motosega;
  • può verificarsi l’eventualità che l’operatore, per sua grave disattenzione, tagli un ramo o un pezzo di tronco che egli stesso utilizza come appoggio o appiglio (ad esempio quando per mantenersi in posizione stabile, si tiene ad un ramo impugnandolo con la mano libera) con il conseguente rischio di caduta e perdita del controllo della motosega”.

 

Rimandiamo alla lettura integrale del documento che riporta indicazioni in relazione a diversi aspetti rilevanti per la sicurezza degli operatori:

  • impugnatura;
  • Impugnatura con una sola mano;
  • contraccolpo (kick back);
  • operazioni di potatura e sramatura;
  • messa in moto;
  • rifornimento;
  • tecniche di taglio;
  • diramatura o sramatura;
  • manutenzione, regolazioni e pulizia;
  • controlli da effettuare;
  • istruzioni, marcatura CE e certificazione”.

 

Il documento si sofferma poi anche su due rischi non meccanici:

  • rischio vibrazioni: “nell’utilizzazione della motosega il ‘sistema manobraccio’ dell’operatore è sottoposto a vibrazioni. Le vibrazioni nascono fondamentalmente dal contatto discontinuo tra catena e legno durante il taglio, ma anche dalle oscillazioni del motore, dalle parti in movimento non bilanciate e da urti nei vari meccanismi (cuscinetti, ingranaggi)”;
  • rischio rumore: “l’uso di una macchina come la motosega può comportare una notevole esposizione dell’operatore al rischio rumore con molteplici possibili effetti sulla salute”.

Concludiamo questo breve approfondimento, sulla prevenzione degli infortuni nell’utilizzo delle motoseghe portatili per potatura, con alcune indicazioni sui dispositivi di protezione individuali.

 

Infatti per la protezione dai rischi residui presenti nell’ uso delle motoseghe “si deve effettuare una idonea scelta dei dispositivi di protezione personali acquisendo informazioni sulle attività e le fasi di lavorazione, sulle caratteristiche delle motoseghe impiegate, sulle modalità degli incidenti accaduti e la gravità dei relativi danni subiti”.

Questi, in generale, i dispositivi di protezione utilizzabili:

  • “pantaloni con imbottitura antitaglio per la protezione delle gambe;
  • giacca colorata per assicurare la visibilità dell’operatore;
  • ghette resistenti al taglio e calzature con suola antiscivolo, punta antischiacciamento e protezione antitaglio, rispettivamente per la protezione della parte inferiore della gamba e per la protezione dei piedi;
  • guanti antitaglio e, eventualmente, antivibranti rispettivamente per la protezione delle mani e lo smorzamento delle vibrazioni al ‘sistema manobraccio’;
  • casco con visiera per la protezione della testa da rami in caduta e per la protezione da proiezioni di materiali;
  • cuffia insonorizzante per la protezione dell’udito”.

 

RTM

 

Ispesl, “ Linee guida per l’uso in sicurezza delle motoseghe portatili per potatura”, DTS – VIII Unità Funzionale: Macchine, Impianti e Tecnologie di Sicurezza nel settore agricolo forestale, edizione ottobre 2003 (formato PDF, 1.18 MB).

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Appalti di forniture e servizi: costi della sicurezza e normativa

Milano, 30 Gen – A Milano sono presenti molti enti pubblici che quotidianamente affidano contratti di appalto per servizi e forniture. Si tratta di “situazioni che caratterizzano diversi settori, tra cui, a titolo di esempio, il settore sanitario, le acquisizioni di servizi e forniture informatiche, i servizi di conduzione e manutenzione impianti, alberghiero e ristorazione, pulizia e sanificazione dei luoghi di lavoro, ecc”.

Tuttavia tutte queste attività “che insistono in gran parte all’interno degli ambienti di lavoro possono determinare forti interferenze e aumentare il livello di rischio dei lavoratori”.

 

 

A ricordarlo è la presentazione ufficiale di un convegno, dal titolo “La sicurezza del lavoro alla luce del nuovo codice in materia di contratti pubblici relativi a servizi e forniture”,  che si è tenuto il 22 novembre 2017 a Milano presso il “ Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita” e che ha fornito diverse informazioni su vari aspetti come il ruolo del committente pubblico, il calcolo dei costi per garantire la sicurezza e la valutazione dei rischi interferenziali alla luce della normativa vigente.

 

Intervento sui costi della sicurezza negli appalti di forniture e servizi

Ci soffermiamo oggi in particolare sui problemi applicativi in materia di tutela della salute sul lavoro in relazione all’assegnazione degli appalti di forniture e servizi, attraverso l’intervento “Sicurezza appalti forniture e servizi”, a cura di Andreina Pirola (ATS Milano Città Metropolitana).

 

Chiaramente l’intervento parte da quanto contenuto nel Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, il Codice dei contratti pubblici, con riferimento anche alle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 19 aprile 2017, n. 56 “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”.

 

Ad esempio si indica quanto contenuto nel D.Lgs. 50/2016 riguardo ai costi della sicurezza.

 

Si segnala che nei contratti di lavori e servizi la stazione appaltante (SA), “al fine di determinare l’importo posto a base di gara, individua nei documenti della procedura i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel presente comma. I costi della sicurezza sono scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso”.

In riferimento al contenuto dell’art. 95 (Criteri di aggiudicazione dell’appalto) si segnala che nell’offerta economica “l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione:

  • delle forniture senza posa in opera,
  • dei servizi di natura intellettuale,
  • degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a)”.

E le stazioni appaltanti, “relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d)”.

 

Le diverse tipologie di oneri per la sicurezza

Nel Codice dei Contratti pubblici distinguiamo quindi “due tipologie di oneri per la sicurezza:

  1. Rappresentata da oneri non soggetti a ribasso, finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenza e quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI:
  2. Rappresentata dai costi specifici relativi all’attività dell’impresa concorrente (quindi oneri interni)”.

 

Riguardo poi agli oneri finalizzati all’eliminazione dei rischi da interferenze si segnala che devono essere “adeguatamente quantificati dalla stazione appaltante nel DUVRI (da allegare al CSA per essere recepiti nel contratto) e obbligatoriamente indicati nel bando di gara o, comunque, negli atti della procedura di selezione dei concorrenti, anche nell’ipotesi in cui siano pari a zero, a pena di legittimità della stessa. Non possono mai essere soggetti a ribasso d’asta da parte dei concorrenti trattandosi di costi necessari finalizzati alla massima tutela dell’integrità e salute dei lavoratori. La valutazione degli oneri non soggetti a ribasso d’asta e alla predisposizione del DUVRI risulta in capo al Servizio Prevenzione Protezione il cui Responsabile è il RSPP”.

Ricordiamo che sono rischi interferenti per i quali occorre la predisposizione del DUVRI:

  • “rischi derivanti da sovrapposizioni di più attività svolte ad opera di appaltatori diversi;
  • rischi immessi nel luogo di lavoro del committente dalle lavorazioni dell’appaltatore;
  • rischi esistenti nel luogo di lavoro del committente, ove è previsto che debba operare l’appaltatore, ulteriori rispetto a quelli specifici dell’attività propria dell’appaltatore;
  • rischi derivanti da modalità di esecuzione particolari (che comportano rischi ulteriori a quelli specifici dell’attività appaltata) richieste esplicitamente dal committente”.

 

Sono, invece, “aperti al confronto concorrenziale e soggetti a ribasso”, gli oneri concernenti i costi specificiconnessi con l’attività delle imprese.

Questi oneri “vanno indicati dai concorrenti nelle rispettive offerte affinché la stazione appaltante possa valutarne la congruità (nel procedimento di verifica delle offerte anomale) rispetto all’entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da appaltare”.

 

Sempre in relazione al D.Lgs. 50/2016 si riporta poi il comma 5 l’art. 97 (Offerte anormalmente basse):

 

5. La stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni. Essa esclude l’offerta solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa in quanto:

a) non rispetta gli obblighi di cui all’articolo 30, comma 3;

b) non rispetta gli obblighi di cui all’articolo 105;

c) sono incongrui gli oneri aziendali della sicurezza di cui all’articolo 95, comma 10, rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture;

d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16.

 

Rimandando alla lettura integrale dell’intervento che si sofferma anche sulla Commissione di aggiudicazione (art. 77) e su chi valuta l’anomalia dell’offerta (“il Codice non individua espressamente chi sia deputato a tale valutazione”, anche se si può fare riferimento alle Linee Guida Anac n. 3 relativamente al punto 5.3 ‘Valutazione delle offerte anormalmente basse’), concludiamo l’articolo con alcuni riferimenti giurisprudenziali.

 

Riferimenti giurisprudenziali sugli oneri per la sicurezza

Infatti il relatore, riguardo alla non indicazione degli oneri in offerta, segnala alcune sentenze:

  • “La mancata indicazione degli oneri di sicurezza economica in offerta è legittimo motivo di esclusione in quanto richiesto in modo espresso dalla Legge (TAR Salerno sez. I 6 luglio 2016 n. 1604);
  • La mancata indicazione degli oneri della sicurezza in offerta economica è causa di esclusione dell’impresa anche nel silenzio del bando di gara (Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 5873 del 30.12.2015);
  • È illegittima l’esclusione dell’impresa che non abbia indicato nella propria offerta economica gli oneri per la sicurezza aziendale ove la stessa non sia stata invitata dalla S.A. a regolarizzare l’offerta (Consiglio di Stato sez, III 9 gennaio 2017 n. 30)”.

 

Inoltre la Corte di Giustizia (26.06.2016 in C-27/15) ha chiarito che “nell’ipotesi in cui una condizione per la partecipazione alla gara, pena esclusione, non sia espressamente prevista dai documenti di gara e possa essere identificata solo con un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale, la SA può accordare all’escluso un termine per regolarizzare la sua omissione”.

 

 

RTM

 

 

Scarica i documenti da cui è tratto l’articolo:

“ Sicurezza appalti forniture e servizi”, a cura di Andreina Pirola (ATS Milano Città Metropolitana), intervento al convegno “La sicurezza del lavoro alla luce del nuovo codice in materia di contratti pubblici relativi a servizi e forniture” (formato PDF, 287 kB).

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Fattore umano e Valutazione dei rischi: riflessioni e domande aperte

Oltre ad essere un obbligo del Datore di Lavoro non delegabile, la Valutazione del Rischio deve essere documentata, di tutti i rischi e coerente con l’attività lavorativa di interesse. E soprattutto dal punto di vista della coerenza, può sembrare un’operazione semplice, ma in realtà potrebbe rivelarsi un processo ricco di insidie.

 

Come si può dimostrare la coerenza con l’attività lavorativa di interesse? In che modo una valutazione del rischio, oltre che essere documentata, può risultare veramente coerente con la situazione o le situazioni reali all’interno dell’azienda in questione?

 

Di sicuro si prendono in considerazione tutte le azioni di prevenzione per evitare che un evento avverso si manifesti, la domanda che un’organizzazione aziendale in questo caso si dovrebbe porre è “come possiamo agire affinché tali eventi non si manifestino?”. È chiaro che, spesso, le misure di prevenzione possono non risultare sufficienti, in quanto il sistema che ci circonda, ovvero la realtà aziendale, può risultare estremamente variabile; numerosi sono gli eventi che potrebbero comportare cambiamenti al sistema di riferimento, facciamo di seguito qualche esempio applicabile a tante aziende anche diverse tra loro, come ad esempio:

  • condizioni metereologiche
  • stato di strade o vie di transito
  • composizione delle squadre di lavoro
  • stato delle attrezzature di lavoro
  • carico di scaffalature
  • ritmi di lavoro
  • carichi di lavoro

 

L’organizzazione potrebbe non essere preparata a un cambiamento improvviso del sistema di riferimento, o comunque sottovalutarne l’importanza data la bassa statistica di accadimento dello stesso.

 

È questo il momento in cui la prevenzione non basta più, e deve subentrare nel sistema di partenza la protezione, che quindi fa “da scudo” per tutti gli eventi avversi che potrebbero comportare un danno ai lavoratori.

 

Iniziamo in modo implicito a mettere in discussione il concetto di criterio standard di valutazione del rischio. Il fatto che un evento sia poco probabile, implica necessariamente che non avrà ripercussioni forti sulla persona che ha subito l’infortunio, e quindi, di conseguenza, sull’azienda? Per contro, il fatto che un evento sia frequente, ma che nella sua frequenza non abbia mai portato a conseguenze gravi, implica che allora possa essere sottovalutato?

 

Ciò che spesso si tende a dimenticare, è che un evento considerato “probabile” deve essere innanzitutto calcolato su un numero di dati tendenti all’infinito (più dati si hanno a disposizione, più ci si può avvicinare a un risultato realistico), e soprattutto questi dati devono essere estrapolati da un sistema che non cambia, quindi invariabile. In assenza di variabilità in un sistema la statistica non sarebbe neanche necessaria: un singolo elemento o unità campionaria sarebbe sufficiente a determinare tutto ciò che occorre sapere sul sistema stesso. Ne consegue, perciò, che oltre a raccogliere informazioni sul sistema, non sarebbe sufficiente fornire semplicemente una misura della media dei dati raccolti, ma servirebbero informazioni sulla variabilità del sistema, che purtroppo non sempre sono possibili.

 

La vera valutazione del rischio, a mio avviso, non risiede nel calcolo statistico secondo il quale un determinato evento avverso andrà a manifestarsi, ma nella risposta che l’azienda sarà in grado di dare nel momento in cui questo evento avrà luogo. La vera sicurezza, la valutazione coerente di tutti i rischi, risiede nella risposta ai rischi stessi.

 

Considerando che un sistema possa essere più o meno variabile, considerando che quindi non tutto potrà essere come di principio ci si era immaginato, o come ci si aspettasse che fosse, la domanda che l’organizzazione aziendale dovrebbe porsi è “siamo veramente pronti di fronte a un evento che si sperava non succedesse mai”?

 

E provando a entrare ulteriormente nello specifico, i lavoratori, sono pronti a rispondere al rischio? Cos’è che influenza la singola risposta all’evento avverso della singola persona, che quindi, in un’ottica di gruppo, di squadra, di organizzazione, è la risposta significativa?

 

Partiamo in primo luogo dalla percezione del rischio da parte del singolo individuo, ovvero il lavoratore. Siamo in grado di integrare nella matrice standard di rischio, la prospettiva secondo la quale i singoli lavoratori “vivono” la sicurezza?

 

Di fronte a questa idea, o meglio, questa prospettiva, possono nascere per l’organizzazione aziendale ulteriori innumerevoli domande:

  • Abbiamo la certezza che tutti i lavoratori, dal primo all’ultimo, abbiano la giusta consapevolezza delle varie situazioni con cui possono interfacciarsi, e soprattutto la preparazione per poterle gestire?
  • Siamo sicuri che tutti i lavoratori, dal primo all’ultimo, sappiano realmente rispondere al rischio, qualora questo dovesse manifestarsi, indipendentemente dal fatto che questa manifestazione possa essere più o meno frequente?
  • Che strumenti diamo ai lavoratori per acquisire consapevolezza, percezione del rischio, e soprattutto risposta al rischio?
  • Come facciamo ad essere veramente sicuri che i lavoratori mettano in pratica tutte le misure di prevenzione e protezioni che emergono dalla valutazione dei rischi preliminare?

 

È ormai risaputo che l’infortunio sia un insieme di situazioni scorrette che decantano da tempo, non sempre necessariamente correlati a negligenze o mancanze dal punto di vista della prevenzione e dei sistemi di protezioni, ma proprio dalla variabilità delle condizioni di lavoro e dall’errore umano. Dove è preso quindi in considerazione l’errore umano? Un evento può essere poco probabile perché deriva da un’attenta analisi dei dati, e perché no anche da una riflessione approfondita sulla variabilità dell’ambiente di lavoro, ma si manifesta a fronte di un errore umano.

 

Purtroppo esistono tantissimi fattori fisiologici ad influenzare anche solo una singola azione di un lavoratore, che però inserita all’interno di un sistema variabile, può comportare un evento che causa l’infortunio al lavoratore stesso, o ad altri operatori che stanno lavorando nelle immediate vicinanze o nello stesso momento.

 

Prendiamo ad esempio fattori molto comuni, fattori che, purtroppo, possono risultare incalcolabili. Per quanto il singolo lavoratore possa avere la massima consapevolezza, il massimo rispetto delle procedure, e la massima preparazione sulla risposta al rischio, può capitare un qualsiasi imprevisto di tipo fisiologico per far accadere l’evento avverso, quale:

  • la stanchezza
  • la troppa confidenza
  • la fretta
  • una momentanea perdita di concentrazione, non necessariamente correlabile all’attività lavorativa che si sta svolgendo in quel momento

 

…e se si manifesta uno di questi fattori, come si risponde? L’organizzazione ha previsto una risposta al rischio di questo genere? Come rispondono i lavoratori?

 

E in fase preliminare, dove ricadono i fattori sopra elencati all’interno di un calcolo statistico? Come si fa a prevedere in qualche modo il fattore della stanchezza e del calo di concentrazione? Dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, possiamo trovare qualche risposta nella distribuzione dei carichi di lavoro, nella turnistica, nella collaborazione tra i componenti di squadre di lavoro ben assortite. Quindi in qualche modo possiamo dare un contributo al calcolo statistico inteso come un insieme di azioni preventive.

 

Ma stanchezza e calo di concentrazione, sono necessariamente correlate all’attività lavorativa specifica?

 

È ben inteso che fattori di questo tipo possono derivare non solo dal contesto lavorativo specifico, ma da situazioni puramente personali ed individuali, come ad esempio problemi di natura familiare o domestica, e che quindi indipendentemente dalla buona volontà, dalla preparazione, e dalla prontezza del lavoratore, possono penalizzare la sua individuale risposta al rischio.

 

E soprattutto, come è possibile calcolare o prevedere quale sarà il lavoratore o il gruppo di lavoratori che più risentono di questo fattori? I soggetti più predisposti, i lavoratori più vulnerabili, sui quali la risposta al rischio dovrà essere massima, dal momento che qualcos’altro potrebbe comportare un aumento statistico del verificarsi di un evento avverso?

 

Vengono davvero presi in considerazione questi quesiti, quando viene correlata una statistica per il calcolo del rischio a un’organizzazione aziendale?

 

 

 

Massimo Servadio

Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa e Psicologia della Sicurezza lavorativa

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Manomissione di cronotachigrafo: quale normativa si applica?

E’ un altro caso quello di cui si è occupata la Corte di Cassazione in questa sentenza di quelli nei quali si è potuto riscontrare una diversità di vedute dei giudici della Corte suprema e questa volta della stessa Sezione penale, diversità che, come si è avuto modo di dire in altre analoghe occasioni, crea disorientamento considerato che le decisioni prese dalla Corte di Cassazione fanno giurisprudenza e vengono comunemente prese a riferimento nei primi gradi di giudizio relativi a procedimenti penali in materia di salute e sicurezza sul lavoro. La sentenza in commento riguarda la manomissione del cosiddetto cronotachigrafo installato sui mezzi aziendali e i provvedimenti amministrativi o penali da applicare nei confronti di chi ha provveduto a farla e nell’emettere la stessa la Corte suprema è stata chiamata sostanzialmente ad esprimersi sul rapporto esistente fra l’art. 437 del codice penale e l’art. 179 del Codice della Strada e sull’applicazione o meno del principio di specialità di cui all’art. 9 della legge n. 689/1981 secondo il quale, in caso di concorso di una disposizione penale incriminatrice e di una disposizione amministrativa sanzionatoria, in riferimento allo stesso fatto, trova applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra.

 

Da ultimo la stessa Corte di Cassazione aveva avuto modo di precisare con la sentenza n. 13937 del 22/3/2017 Pres. Di Tomassi, consultabile sul quotidiano del 3/4/2017, che la manomissione di un cronotachigrafo su di un mezzo aziendale, oltre ad integrare la violazione dell’art. 179 del Codice della Strada costituisce anche una omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro ex art. 437 c.p.. Nella sentenza che ora si commenta invece la stessa Sezione I penale della Corte suprema, nel rigettare il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ha invece affermato che l’avvenuta applicazione dell’art. 179 del Codice della Strada, nella specifica ipotesi di un comportamento posto in essere da un conducente di un mezzo che abbia manomesso un cronotachigrafo, esclude la concorrente applicazione al medesimo soggetto della previsione incriminatrice di cui all’art. 437 del codice penale, in riferimento a quanto previsto dall’art. 9 della legge n. 689 del 1981.

 

Il caso, la sentenza del Tribunale e il ricorso in cassazione

Il GUP del Tribunale ha assolto, in rito abbreviato, l’autista di un autoarticolato imputato del reato di cui all’art. 437 cod.pen. accusato del reato di rimozione o omissione dolosa di cautele contro disastri o infortuni sul lavoro, per avere alterato il funzionamento del cronotachigrafo digitale esistente sul mezzo di trasporto, mediante l’apposizione di una calamita. Nella motivazione il GUP aveva evidenziato che era stata dimostrata dalla difesa l’avvenuta contestazione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 179 comma 2 e comma 9 del codice della strada e il relativo pagamento della sanzione e che l’imputato inoltre aveva ammesso di aver collocato lui stesso lo strumento di alterazione.

 

Il GUP aveva ritenuto applicabile al caso la previsione di legge di cui all’art. 9 comma l della legge n. 689 del 1981, in virtù della specialità della norma che prevede la sanzione amministrativa rispetto a quella contestata in sede penale. Lo stesso giudice aveva osservato, in particolare, che la norma del codice della strada si riferisce a ‘chiunque circola’ e prevede la specifica alterazione del cronotachigrafo come condotta con cui si realizza l’illecito, mentre la disposizione dell’art. 437 del codice penale è formulata in termini più generali (danneggiamento di impianti destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro) per cui la disposizione del codice della strada rappresenta un «cerchio di raggio minore inserito totalmente all’interno di un cerchio di raggio maggiore costituito dalla norma di cui all’art. 437». Secondo il GUP inoltre non vi sarebbe stata una effettiva diversità dei beni giuridici tutelati.

 

Avverso la sentenza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero territoriale. Lo stesso ha dedotto una erronea applicazione dell’art. 9 comma 1 della legge n. 689 del 1981 e delle altre disposizioni coinvolte nella operazione interpretativa. Il ricorrente ha affermato in particolare che l’alterazione del cronotachigrafo è concetto più ampio di quello di danneggiamento, posto che per realizzare un danneggiamento è necessario che l’alterazione si sia protratta per un tempo apprezzabile, sì da divenire danneggiamento funzionale e che non vi è coincidenza nei beni giuridici tutelati, atteso che la norma del codice della strada è tesa a garantire la corretta circolazione dei veicoli e la norma penale invece è posta a tutela della pubblica incolumità per cui ha contestata la ritenuta esistenza di un rapporto di specialità tra le due disposizioni.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha premesso che sul rapporto tra le due disposizioni in esame è già di recente intervenuta la stessa Sezione con la sentenza n. 47211 del 22/5/2016 che, per un caso analogo, ha negata la ricorrenza del rapporto di specialità tra le due disposizioni in virtù della diversità dei beni giuridici tutelati (sotto il profilo della sicurezza dei lavoratori, quanto alla direzione funzionale dell’art. 437 cod.pen.) e in riferimento alla ritenuta diversità strutturale tra le due fattispecie.

 

E’ esatto, ha evidenziato la Corte suprema, che il contenuto della disposizione incriminatrice di cui all’art. 437 del codice penale sia di maggiore «ampiezza» posto che include come destinatari, essenzialmente, tutti i soggetti su cui gravi un obbligo di prevenire, tramite impianti, apparecchi o segnali, disastri o infortuni sul lavoro ma ciò non è sufficiente ad escludere che lì dove la condotta sia posta in essere, come nel caso in esame, dal conducente del mezzo (soggetto cui è pacificamente applicabile la previsione di cui all’art. 179 del codice della strada) si venga a determinare una evidente interferenza nel raggio di azione delle due previsioni di legge aventi portata sanzionatoria.

 

In effetti, non va trascurato, ha aggiunto la Sez. I, che la previsione dell’art. 437 del codice penale tutela la pubblica incolumità con specifico riferimento all’ambiente di lavoro, imponendo l’adozione dei necessari strumenti preventivi circa il rischio di disastri o infortuni, il che direziona l’ambito applicativo della norma verso la regolamentazione delle attività produttive o comunque di impresa. Tale aspetto pone in rilievo in modo del tutto diverso la condizione del «datore di lavoro» che imponga la manomissione degli strumenti di controllo rispetto a quella del conducente del mezzo. Nel primo caso, il datore di lavoro che realizzi o imponga l’alterazione di un apparecchio avente finalità di prevenzione degli infortuni, risponde del reato di cui all’art. 437 del codice penale, atteso che tale condotta rientra nella previsione tipica della «rimozione» perché per rimozione (aspetto diverso dal danneggiamento, che implica una modifica dell’oggetto) può intendersi anche l’attività diretta a frustrare il funzionamento dell’apparecchio. La punibilità ex art. 437 del codice penale deriva dalla semplice attività di rimozione e prescinde, per stare al caso in esame, dal fatto che il soggetto agente circoli su strada con il mezzo di trasporto.

 

Lì dove, di contro, l’attività di ‘rimozione’, per stare alla nomenclatura penalistica, sia posta in essere dal soggetto che utilizza quale conducente, contestualmente, il mezzo, come nel caso in esame, non può negarsi che la previsione dell’art. 179 del codice della strada incorpori tutte le caratteristiche obiettive del fatto (ossia il circolare con un veicolo munito di cronotachigrafo alterato). In tale seconda ipotesi, dunque, in aderenza ai principi di tipicità e specialità è da ritenersi che l’unica disposizione applicabile sia per quanto sopra detto, quella dell’art. 179 del Codice della Strada.

 

“Va pertanto affermato”, ha così concluso la suprema Corte, “che l’avvenuta applicazione dell’articolo 179 del Codice della Strada nella specifica ipotesi di comportamento posto in essere dal conducente di un mezzo, che abbia posto in essere l’alterazione del cronotachigrafo, esclude la concorrente applicazione al medesimo soggetto della previsione incriminatrice di cui all’art. 437 del codice penale in riferimento a quanto previsto dall’art. 9 legge n. 689 del 1981”.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione I – Sentenza n. 2200 del 19 gennaio 2018 (u.p. 12 settembre 2017) – Pres. Di Tomassi – Est. Magi – Ric. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.  – L’applicazione dell’art. 179 del c.d.s., nel caso che il conducente di un mezzo alteri il cronotachigrafo, esclude la concorrente applicazione dell’art. 437 c.p. per avere danneggiato un impianto destinato a prevenire disastri o infortuni sul lavoro.

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Rilevare i quasi infortuni nelle residenze sanitarie assistenziali

Milano, 22 Gen – Nella rappresentazione grafica della piramide degli infortuni, gli infortuni lievi e gravi rappresentano una piccola parte di tutte le anomalie, le disfunzioni, gli incidenti e infortuni mancati o sfiorati che avvengono nei luoghi di lavoro. E come ricordato anche nel convegno “ Gli incidenti mancati e la consapevolezza del lavoratore”, organizzato da PuntoSicuro, la segnalazione e valutazione dei quasi infortuni possono migliorare sensibilmente le strategie di prevenzione aziendali.

 

Torniamo oggi a parlare di near miss con riferimento ad un incontro “Infortuni e quasi infortuni nel settore socio sanitario” che si è tenuto l’8 novembre 2017 a Milano, presso il Centro per la cultura della prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita, e che ha presentato alcuni risultati applicativi di una procedura per la rilevazione degli infortuni e dei quasi infortuni del settore socio sanitario, elaborata attraverso un Protocollo di intesa firmato nel maggio 2015 dalle sedi Inail di Milano, da ATS Milano e da UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale).

 

In “Le testimonianze della sperimentazione nelle RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale)”, a cura di Abele Carnovali e Massimo De Ambrogi (RSPP Fondazione Restelli e Piccola casa del rifugio), si segnala che nella sperimentazione nella Residenza Sanitaria Assistenziale si considera un mancato infortunio “anche ogni aggressione che un lavoratore subisce da parte di un ospite. È ormai consuetudine segnalare una sberla piuttosto che una stretta più forte del normale ad un braccio ecc. Non in tutte le strutture questo tipo di evento viene catalogato in questo modo essendo molto spesso imprevedibile e quindi di difficile risoluzione”.

 

Nelle slide relative all’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente, sono presenti diversi dati e grafici, anche in considerazione degli interventi correttivi attuati a seguito delle valutazioni. Dati da cui emerge come nella classificazione degli eventi le “aggressioni” siano la maggioranza degli eventi rilevati.

 

Alcune note degli autori:

– “il numero dei piccoli incidenti segue un percorso quasi parallelo e molto simile sia se si considerano le aggressioni subite dagli ospiti, sia che non le si consideri;

– una prima lettura di questi dati richiama un problema di stress lavorativo dei lavoratori: i lavoratori costretti a lavorare in condizioni di attenzione continua verso gli ospiti, incorrono maggiormente loro malgrado in incidenti che con gli ospiti non c’entrano”.

Nell’intervento si ricorda poi che dalla metà del 2016 è utilizzata la procedura proposta da Inail.

 

Veniamo ad alcune azioni correttive riguardo alle aggressioni.

 

Si indica che sono state “messe in atto tutte le indicazioni che gli esperti propongono:

– riunione del turno tra gli operatori;

– incontri settimanali tra operatori e preposti del nucleo;

– corsi di formazione specifici;

– procedure da attuare in caso di pazienti agitati del tipo: rimandare l’igiene personale o il bagno o gli interventi operativi previsti”.

Ma “nonostante tutto ciò questi ‘contatti’ avvengono”.

Segnaliamo che sono indicate anche le azioni correttive messe in atto in relazione al tema delle movimentazioni manuale.

 

Come arrivare ad una rilevazione puntuale dei quasi infortuni?

 

Nella relazione si indica che siamo di fronte ad un “ennesimo salto culturale che il decreto 81 ci pone”. Infatti “dopo aver iniziato a riconoscere (anche se la strada è ancora lunga) che i costi della ‘non sicurezza’ superano di gran lunga quelli del mantenimento in sicurezza di un’azienda, siamo ora di fronte alla sfida del coinvolgimento dei lavoratori. Coinvolgimento che deve essere il frutto volontario e condiviso delle scelte che un datore di lavoro trasmette ai propri dipendenti”.

È importante sottolineare in ogni occasione, coinvolgendo anche i RLS, “che la segnalazione di un mancato infortunio va a vantaggio dei lavoratori. All’inizio ci potrà essere un atteggiamento dubbioso, probabilmente dovuto alla vastità degli eventi da poter segnalare… Se all’atto della segnalazione chi la riceve (preposto, RLS, RSPP, DDL) riesce a dare una risposta puntuale e non evasiva, di elogio e non di rimprovero, di interesse e non di superficialità, il lavoratore si sentirà gratificato da un coinvolgimento nell’organizzazione della sicurezza”.

 

Si sottolinea dunque che la collaborazione dei lavoratori è un vantaggio dell’organizzazione sicurezza:

– “nessuno di noi può illudersi di essere ovunque; chi vive un reparto può e deve essere i nostri occhi;

– se sottolineiamo che lavorare in sicurezza è un diritto che non può cadere dal cielo ma anzi che i lavoratori possono contribuire a costruirlo, nel tempo quei frutti arriveranno”.

 

Riportiamo alcuni altri elementi segnalati nell’intervento per favorire la rilevazione dei quasi infortuni:

– “portare a conoscenza della procedura di segnalazione i preposti e a seguire presenziando agli incontri che i preposti avranno con i lavoratori a inizio o fine turno”;

– “parlarne nella formazione ai nuovi assunti”;

– riproporre queste informazioni “in ogni occasione di confronto; inserendole in quasi tutti i questionari relativi alla sicurezza”.

E durante gli incontri sottolineare che la segnalazione di un quasi infortunio “permette tre cose:

– il possibile intervento immediato se necessario all’eliminazione del problema;

– la consapevolezza che se quel lieve dolore accusato durante il lavoro, a casa dovesse peggiorare causando un’assenza dal lavoro successiva, i preposti chiamati in causa non avranno nessun dubbio nel confermarne la causa lavorativa;

– una ricerca statistica”.

 

Nell’intervento, che fornisce anche utili esempi e spunti per poter favorire la rilevazione dei  “near miss”, gli autori segnalano che riguardo alla RSA “l’obiettivo che ci troviamo davanti oggi è quello di coinvolgere dipendenti che non fanno parte della nostra organizzazione; lavoratori che hanno preposti diversi dai nostri, con datori di lavoro che magari non hanno la stessa visione dei nostri: i lavoratori delle ditte di lavori in appalto” (pulizie, lavanderia, cucina, giardinaggio, grandi manutenzioni, …).

Infatti ormai sempre più spesso ci si affida per diversi lavori a cooperative che entrano nelle strutture sanitarie: lo sforzo comune deve essere quello di coinvolgerli in queste attività di segnalazione…

 

E come indicato nella procedura INAIL il primo passo è quello di “sottoscrivere alla firma del contratto la clausola: ‘Resta inteso che in caso di eventi infortunistici o quasi infortuni durante lo svolgimento del servizio ai propri dipendenti, l’Appaltatore si impegna a comunicare tempestivamente al Committente l’evento successo utilizzando la procedura interna dell’Ente, relativa alla segnalazione di infortunio/quasi infortunio’”.

Sono riportate altre indicazioni e proposte:

– “convocazione dei datori di lavoro e i preposti di tutte le ditte ad una serie di incontri per sensibilizzarli al problema;

– passare del tempo insieme ai dipendenti, cercando di stimolarli nell’osservazione di situazioni che a loro sembrano inevitabili, ma che possono essere oggetto della prevenzione”.

E si indica che l’ostacolo maggiore “non sono i datori di lavoro ma, molto spesso, i dipendenti stessi che presi da una sorta di ‘martirio lavorativo’ ritengono inevitabili dei rischi che potrebbero essere previsti e risolti”.

 

In conclusione i relatori indicano che nella RSA sono ancora agli “inizi in questa fase di coinvolgimento”. E se il rischio zero è difficile da raggiungere, “certe situazioni che a volte riteniamo inevitabili non possono e non devono essere trascurate”, ci si deve impegnare “per ridurre al minimo anche l’inevitabile”.

 

 

 

Tiziano Menduto

 

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

“ Le testimonianze della sperimentazione nelle RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale)”, a cura di Abele Carnovali e Massimo De Ambrogi (RSPP Fondazione Restelli e Piccola casa del rifugio), intervento all’incontro “Infortuni e quasi infortuni nel settore socio sanitario” (formato PDF, 1.04 MB).

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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18/01/2018: Verifiche periodiche: pubblicato l’elenco dei soggetti abilitati

Il Decreto direttoriale n. 3 del 16 gennaio 2018,

Con il Decreto direttoriale n. 3 del 16 gennaio 2018, è stato adottato il sedicesimo elenco, di cui al punto 3.7 dell’Allegato III del Decreto interministeriale del 11 aprile 2011, dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro ai sensi dell’articolo 71, comma 11, del Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.

Il suddetto decreto consta in sei articoli:
all’articolo 1, viene rinnovata l’iscrizione per i soggetti che hanno regolarmente trasmesso la documentazione richiesta e per i quali la Commissione, di cui al d.i. 11 aprile 2011, ha potuto tempestivamente concludere la propria istruttoria;
agli articoli 2 e 3, sono apportate le variazioni alle iscrizioni già in possesso, di estensione, sulla base delle richieste pervenute nei mesi precedenti,  ovvero di riduzione delle abilitazioni, già concesse, di alcuni soggetti;
all’articolo 4, viene decretato l’inserimento ex novo, delle società ivi indicate, nell’elenco dei soggetti abilitati;
all’articolo 5, viene specificato che, con il presente decreto, si adotta l’elenco aggiornato, in sostituzione di quello adottato con il decreto del 1 dicembre 2017;
all’articolo 6, sono riportati, come di consueto, gli obblighi cui sono tenuti i soggetti abilitati.

L’elenco, adottato in allegato al d.d. n. 3 del 16 gennaio 2018, sostituisce integralmente il precedente elenco allegato al Decreto direttoriale del 1 dicembre 2017.

 

Fonte: Ministero del Lavoro

 

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MUD 2018: pubblicate le nuove istruzioni e la nuova modulistica

Il “Modello Unico di Dichiarazione Ambientale (MUD)” costituisce un insieme di dichiarazioni annuali riguardanti la produzione, la raccolta, il trasporto ed il trattamento di rifiuti.

I dati raccolti tramite il MUD sono utilizzati per alimentare il Catasto dei rifiuti, che assicura un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato in materia di produzione e gestione dei rifiuti urbani e speciali.

Quest’anno è stato pubblicato il DPCM 28 dicembre 2017 con le nuove istruzioni e la nuova modulistica, che sostituiscono quelle utilizzate l’anno scorso.

Il nuovo provvedimento introduce alcune modifiche, anche se non sono particolarmente significative. Le novità introdotte sono messe in evidenza per ciascuna comunicazione.

 

STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE E SOGGETTI OBBLIGATI

Il MUD resta articolato in 6 comunicazioni e restano immutati i soggetti obbligati:

  1. Comunicazione Rifiuti, che comprende la Comunicazione Rifiuti semplificata
  2. Comunicazione Veicoli Fuori Uso (VFU)
  3. Comunicazione Imballaggi (composta dalla Sezione Consorzi e dalla Sezione Gestori Rifiuti di imballaggio)
  4. Comunicazione Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)
  5. Comunicazione Rifiuti Urbani, assimilati e raccolti in convenzione
  6. Comunicazione Produttori di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE)

Scheda anagrafica: Il MUD è costituito da una scheda anagrafica che consente di identificare il dichiarante e va compilata per tutte le Comunicazioni presenti nel MUD, salvo che per la Comunicazione Rifiuti Semplificata e per la Comunicazione AEE. Una prima modifica, introdotta nel modello, riguarda la scheda anagrafica autorizzazioni (SA-AUT), che richiede la compilazione di nuovi dati da parte di tutti i soggetti in possesso di autorizzazione, anche in procedura semplificata, che svolgono attività di recupero o smaltimento rifiuti, e non più solo da parte dei gestori di veicoli fuori uso, gestori di RAEE, impianti di incenerimento, impianti di coincenerimento e discariche. I nuovi dati da inserire sono ad esempio: tipo di autorizzazione; ente che ha rilasciato l’autorizzazione e data di rilascio e scadenza; operazioni di recupero e smaltimento autorizzate; capacità complessiva autorizzata.

1) Comunicazione Rifiuti

Soggetti obbligati:

– Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti, compreso il trasporto di rifiuti pericolosi prodotti dal dichiarante;

– Commercianti ed intermediari di rifiuti senza detenzione;

– Imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti;

– Imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi;

– Imprese ed enti che hanno più di dieci dipendenti [1] e sono produttori iniziali di rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali e da attività di recupero e smaltimento di rifiuti, fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento dei fumi (così come previsto dall’articolo 184 comma 3 lettere c), d) e g).

Ricordiamo, a titolo puramente esemplificativo e non esaustivo, alcune casistiche particolari di esclusione dalla presentazione della Comunicazione Rifiuti:

– il “Collegato ambiente” (L. 221/2015), ha previsto l’esonero per i rifiuti pericolosi, compreso il CER 180103*, prodotti dalle attività del benessere (codici Ateco 96.02.01; 96.02.02 e 96.09.02) e per i rifiuti pericolosi prodotti dalle attività agricole (art. 2135 c.c.), che assolvono l’obbligo del MUD attraverso la compilazione e conservazione, in ordine cronologico, dei formulari di trasporto;

– le imprese e gli enti, a prescindere dal numero dei dipendenti, produttori iniziali di rifiuti non pericolosi, che derivano da attività agricole e agro-industriali, di demolizione, costruzione e scavo, commerciali, di servizio, sanitarie;

– per i soli rifiuti non pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che hanno fino a dieci dipendenti derivanti da lavorazioni artigianali, lavorazioni industriali, attività di recupero e smaltimento di rifiuti e produzione di fanghi derivanti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque, dalla depurazione delle acque reflue e dall’abbattimento di fumi;

– le attività non inquadrate in un’organizzazione di ente o impresa, produttrici iniziali di rifiuti sia pericolosi sia non pericolosi;

– i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che li conferiscono al servizio pubblico di raccolta, previa convenzione, limitatamente alla parte conferita;

– le imprese che producono sottoprodotti di origine animale (ai sensi del Regolamento UE 1069/2009) se avviati ad impianti di trasformazione e non allo smaltimento;

– i soggetti iscritti in categoria 3-bis dell’Albo Gestori Ambientali ai sensi del DM 65/2010 (distributori, installatori e centri di assistenza di Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche – RAEE), per la fase di raccolta, trasporto e raggruppamento presso il proprio esercizio dei RAEE;

– ecc.

 

Come novità segnaliamo i dati relativi alle autorizzazioni al recupero o allo smaltimento di rifiuti, che i gestori devono comunicare con la scheda SA-AUT.

 

1 – bis) Comunicazioni Rifiuti Semplificata:

I soggetti obbligati sono esclusivamente i soggetti che producono, nella propria Unità Locale (U.L.), non più di 7 rifiuti e, per ogni rifiuto, utilizzano non più di 3 trasportatori e 3 destinatari finali.

Non è consentita per il produttore che trasporta i propri rifiuti o che compila il modulo RE (rifiuto prodotto fuori dall’U.L.) o per i nuovi produttori (che effettuano pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che modificano la natura o la composizione dei rifiuti).
La Comunicazione Rifiuti Semplificata è stata interessata da novità significative che riguardano la compilazione e trasmissione, infatti non è più possibile compilarla manualmente e spedirla per posta.


Compilazione
: va compilata esclusivamente inserendo i dati nel portale mudsemplificato.ecocerved.it ottenendo un file in formato PDF stampabile. L’accesso al portale avviene tramite credenziali che vengono rilasciate dopo essersi registrati e non è necessaria la firma digitale.

Dopo la compilazione occorre stampare la dichiarazione in formato pdf e il dichiarante deve firmare la comunicazione con firma autografa o con firma digitale.


Trasmissione
: è necessario predisporre e spedire un unico file in formato pdf contenente:

  • la copia della Comunicazione Rifiuti Semplificata firmata dal dichiarante e prodotta dal sito mudsemplificato.ecocerved.it,
  • la copia dell’attestato di versamento dei diritti di segreteria (15,00 Euro per ogni Unità locale del dichiarante) alla CCIAA competente,
  • la copia del documento di identità del dichiarante,
  • se la comunicazione è firmata digitalmente, non è necessario inserire la copia del documento d’identità.

Il file unico deve essere spedito esclusivamente via PEC (posta elettronica certificata), all’indirizzo   comunicazioneMUD@pec.it.

Ogni mail trasmessa via PEC dovrà contenere una sola comunicazione MUD e dovrà riportare nell’oggetto esclusivamente il codice fiscale del dichiarante.

La spedizione può essere effettuata anche da casella PEC non intestata al dichiarante (ad esempio associazione di categoria, professionista o consulente).

 

2) Comunicazione Veicoli Fuori Uso

Sono obbligati i soggetti che effettuano le attività di trattamento (autodemolizione, rottamazione, frantumazione) dei veicoli fuori uso e dei relativi componenti e materiali.

Sono esclusi dalla Comunicazione VFU, in quanto compilano la Comunicazione Rifiuti, i gestori di veicoli diversi da quelli rientranti nel D.Lgs. 209/2003; i trasportatori dei veicoli fuori uso, soggetti e non soggetti al D.Lgs.209/2003; le Concessionarie, i gestori delle succursali di case costruttrici o di automercati che provvedono alla radiazione del veicolo in occasione della vendita di veicoli nuovi.

Come novità, nella scheda SA-AUT, i gestori di VFU devono comunicare anche una serie di informazioni relative alle autorizzazioni in loro possesso.

 

3) Comunicazione Imballaggi

– Sezione Consorzi: i soggetti obbligati sono il CONAI e i produttori di imballaggio che hanno organizzato autonomamente la gestione dei propri rifiuti di imballaggio su tutto il territorio nazionale o messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi (articolo 221, comma 3, lettere a, c).

La novità più significativa introdotta quest’anno riguarda una nuova scheda SBOP da compilare da parte del CONAI per comunicare le quantità di borse in plastica, suddivise per tipologia, immesse sul mercato.

 

– Sezione Gestori rifiuti di imballaggio: i soggetti obbligati sono gli impianti autorizzati a svolgere operazioni di recupero o smaltimento, compresa la messa in riserva (all. B e C della parte IV del D.Lgs. 152/2006) di rifiuti di imballaggio identificati con i CER dei gruppi 15 e 19. Questi gestori compilano la Comunicazione Imballaggi – Sezione Gestori e NON la Comunicazione Rifiuti.

Tra le novità segnaliamo i dati relativi alle autorizzazioni al recupero o allo smaltimento che i gestori di rifiuti di imballaggio devono comunicare con la scheda SA-AUT.

 

4) Comunicazione Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)

Sono obbligati i soggetti coinvolti nel ciclo di gestione dei RAEE rientranti nel campo di applicazione del D.Lgs. 49/2014, quali gli impianti di trattamento (messa in sicurezza, smontaggio, frantumazione, stoccaggio) e i centri di raccolta di Raee domestici, istituiti dai produttori o terzi che agiscono in loro nome.

Gli impianti di recupero e smaltimento per i RAEE compilano la Comunicazione RAEE e NON la Comunicazione Rifiuti.

Ricordiamo, a titolo puramente esemplificativo, alcune casistiche particolari di esclusione dalla presentazione della Comunicazione RAEE:

– gli Impianti di trattamento dei RAEE che non rientrano nel campo di applicazione del D.Lgs. 49/2014, che compilano la Comunicazione Rifiuti,

– i trasportatori di RAEE, che compilano la Comunicazione Rifiuti,

– i Comuni, per i RAEE domestici raccolti nei centri di raccolta da essi istituiti, che compilano la Comunicazione Rifiuti Urbani, assimilati e raccolti in convenzione,

– i luoghi di raggruppamento preliminare alla raccolta dei RAEE effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita oppure presso altro luogo, per i quali non vi è obbligo di MUD.

 

Nella scheda SA-AUT i gestori dichiarano nuovi dati, come ad esempio la tipologia di autorizzazione / comunicazione alle attività di gestione dei RAEE e la data di rilascio o di presentazione della comunicazione.

 

5) Comunicazione Rifiuti Urbani, Assimilati e raccolti in convenzione

Sono obbligati i soggetti istituzionali responsabili del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati, quali i Comuni e loro Consorzi e Comunità montane.

 

La novità per questa comunicazione riguarda la trasmissione che può avvenire, oltre che via telematica, anche via PEC.

I soggetti che non dispongono di firma digitale o non sono in grado di effettuare on line il versamento del diritto di segreteria adempiono all’obbligo con la seguente procedura:

– compilano la Comunicazione inserendo i dati nel portale www.mudcomuni.it,

– stampano la Sezione anagrafica prodotta automaticamente dalla procedura sul sito www.mudcomuni.it, firmata dal legale rappresentante del dichiarante o suo delegato. La comunicazione MUD in formato cartaceo dovrà riportare la firma autografa del dichiarante,

– trasformano il documento cartaceo firmato in un documento elettronico in formato PDF, necessario per l’invio a mezzo PEC. L’unico file PDF che dovrà essere trasmesso a mezzo PEC, dovrà contenere:

  • la copia della Sezione Anagrafica firmata dal dichiarante,
  • la copia dell’attestato di versamento dei diritti di segreteria alla CCIAA competente,
  • la copia del documento di identità del sottoscrittore,
  • se la comunicazione è firmata digitalmente, non è necessario inserire la copia del documento d’identità

– trasmettono via PEC all’indirizzo comunicazioneMUD@pec.it  il file in formato pdf ottenuto. Ogni mail trasmessa via PEC dovrà contenere una sola comunicazione MUD e dovrà riportare nell’oggetto esclusivamente il codice fiscale dell’ente dichiarante.

 

6) Comunicazione Produttori di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE)

Soggetti obbligati:

  1. a) i produttori e gli importatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche iscritti al Registro Nazionale, ossia le imprese che, qualunque sia la tecnica di vendita utilizzata, compresa la comunicazione a distanza:
  • fabbricano e vendono AEE recanti il loro nome o marchio di fabbrica oppure commissionano la progettazione o la fabbricazione di AEE e le commercializzano sul mercato nazionale apponendovi il loro nome o marchio di fabbrica;
  • rivendono sul mercato nazionale, con il loro nome o marchio di fabbrica, apparecchiature prodotte da altri fornitori; i rivenditori non sono considerati “produttori” se l’apparecchiatura reca il marchio del produttore a norma del punto precedente;
  • importano o immettono per primi, nel territorio nazionale, AEE di un Paese terzo o di un altro Stato UE nell’ambito di un’attività professionale e ne operano la commercializzazione;
  • stabilite in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un paese terzo, vendono sul mercato nazionale AEE mediante tecniche di comunicazione a distanza direttamente a nuclei domestici o a utilizzatori diversi dai nuclei domestici

N.B.: per le AEE destinate all’esportazione il produttore è considerato tale solo ai fini di alcuni obblighi, fra i quali la comunicazione annuale;

  1. b) i sistemi collettivi di finanziamento (Apiraee – Cobat – Ecodom – Ecoelit – Ecoem – Ecolamp – Ecolight – Ecoped – EcoR’it – EsageRAEE – ERP – PvCycle – Remedia – Ridomus) e i produttori/importatori di AEE domestiche e professionali, non aderenti a sistemi collettivi o per i quali il sistema collettivo non invia i dati.

La Comunicazione Produttori di AEE va compilata e presentata esclusivamente tramite il sito www.registroaee.it/. Il portale non è al momento attivo.

 

Compilazione del MUD

Si compila un MUD per ogni unità locale.

Per unità locale si intende la sede presso la quale il dichiarante ha detenuto i rifiuti oggetto della dichiarazione, in relazione alle attività lì svolte: produzione, deposito preliminare, messa in riserva, recupero/smaltimento, deposito definitivo.

Per unità locale si intende inoltre la sede di un impianto di smaltimento, recupero / smaltimento e/o deposito definitivo a gestione comunale.

L’unità locale coincide con la sede legale, nei seguenti casi:

– soggetti che svolgono esclusivamente attività di trasporto,

– attività di intermediazione e commercio di rifiuti senza detenzione.

 

Vanno seguite disposizioni particolari per individuare l’unità locale nel caso di attività che producono il rifiuto fuori dall’U.L., quali ad esempio le attività di manutenzione alle infrastrutture (ai sensi dell’art. 230 del D. Lgs. 152/2006), le altre attività di manutenzione, le attività di bonifica dei siti contaminati effettuate dai soggetti iscritti nella categoria 10 dell’Albo Gestori Ambientali, cantieri, impianti di trattamento mobili, ecc.

 

CODIFICHE E CLASSIFICAZIONI

Nel MUD 2018 non hanno subito modifiche:

– i codici delle attività economiche Ateco, che sono quelli in vigore nell’anno di riferimento della dichiarazione, quindi i Codici Ateco 2007,

– i Codici Rifiuti, nelle istruzioni si fa riferimento alla normativa aggiornata, ossia alla decisione 2014/955/CE,

– i Codici transfrontalieri del Regolamento CE n. 1013/2006.

 

DIRITTI DI SEGRETERIA

La presentazione del MUD è soggetta al pagamento di un diritto di segreteria, che è fissato per ogni U.L. Come l’anno scorso è così determinato:

– 15,00 Euro per la Comunicazione rifiuti semplificata, generalmente versato con bollettino di conto corrente postale (per le modalità verificare presso le singole CCIAA);

– 10,00 Euro per tutte le altre comunicazioni, versato con carta di credito o Telemaco Pay, ad eccezione della Comunicazione produttori di AEE che non è soggetta al versamento del diritto di segreteria.

N.B. La CCIAA competente per territorio è quella in cui ha sede l’unità locale, cui si riferisce la dichiarazione.

 

MODALITÀ DI PRESENTAZIONE

Restano immutate le modalità di presentazione del MUD 2018 per le seguenti Comunicazioni:

  • Comunicazione Rifiuti
  • Comunicazione Veicoli fuori uso
  • Comunicazione RAEE
  • Comunicazione Imballaggi

La presentazione per queste Comunicazioni deve avvenire esclusivamente via telematica e si effettua tramite il portale ( http://www.mudtelematico.it/); non sono ammessi supporti informatici diversi (es. supporti magnetici).

Lo stesso soggetto dichiarante che sia obbligato a compilare due o più delle suddette Comunicazioni relativamente alla medesima U.L. dovrà necessariamente presentarle creando un unico file, che può essere prodotto con il software messo a disposizione da Unioncamere o con altri software che rispettino le specifiche dell’Allegato 4 del DPCM 28/12/2017.

Il file può contenere le dichiarazioni relative a più unità locali, sia appartenenti ad un unico soggetto che appartenenti a più soggetti dichiaranti (dichiarazione multipla).

Più Comunicazioni incluse in un unico invio telematico, relative alla stessa unità locale dello stesso soggetto dichiarante, versano un unico diritto di segreteria complessivo pari a 10 Euro.

Per la trasmissione telematica i soggetti devono essere in possesso di un dispositivo contenente un certificato di firma digitale (Smart Card o Carta nazionale dei Servizi o Business Key) valido al momento dell’invio.

Le associazioni di categoria, i professionisti e gli studi di consulenza possono inviare telematicamente i MUD compilati per conto dei propri associati e dei propri clienti apponendo cumulativamente ad ogni invio la propria firma elettronica sulla base di espressa delega scritta dei propri associati e dei clienti (i quali restano responsabili della veridicità dei dati dichiarati) che deve essere mantenuta presso la sede delle medesime associazioni e studi.

 

Le modalità di compilazione e presentazione delle altre Comunicazioni sono le seguenti:

– Comunicazione rifiuti semplificata: a partire da quest’anno dovrà essere compilata mediante l’applicativo messo a disposizione da Ecocerved accessibile all’indirizzo mudsemplificato.ecocerved.it/ e spedita via PEC con firma autografa o digitale;

– Comunicazione Produttori AEE: compilata e inviata tramite il sito www.registroaee.it;

– Comunicazione Rifiuti Urbani e assimilati in convenzione: compilata e trasmessa telematicamente tramite il portale www.mudcomuni.it oppure, a partire da quest’anno, trasmessa tramite PEC utilizzando i moduli generati da procedura telematica;

– Comunicazione Imballaggi – Sezione Consorzi: compilata su apposito software da richiedere ad Ecocerved mediante una mail all’indirizzo softwaremud@ecocerved.it  e trasmessa telematicamente attraverso il sito www.mudtelematico.it.


TERMINE PER LA PRESENTAZIONE

Resta invariata la scadenza prevista entro il 30/4 di ogni anno, con riferimento all’anno precedente, pertanto quest’anno la scadenza è fissata al 30/4/2018, con riferimento ai dati del 2017.

Il nuovo modello sarà da utilizzare fino alla piena entrata in operatività del Sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).

 

Segnaliamo infine che:

– sono disponibili nel portale di Ecocerved le informazioni aggiornate in base al nuovo DPCM 28 dicembre 2017;

– il software per la compilazione del MUD 2018, realizzato da Unioncamere, verrà reso disponibile a metà febbraio 2018;

– il sistema per l’invio telematico (http://www.mudtelematico.it/) verrà reso disponibile a partire dal 29 gennaio 2018.

 

Interpreta©

 

Scarica la normativa di riferimento:

Decreto Presidente Consiglio dei Ministri 28 dicembre 2017 – Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018

[1] Il conteggio dei dipendenti va effettuato considerando l’impresa o l’ente nel suo complesso.

Si contano i dipendenti occupati a tempo pieno nell’anno cui si riferisce la comunicazione; il numero è aumentato delle frazioni lavorative annue, in dodicesimi, per i lavoratori stagionali e per quelli a tempo parziale e per i lavoratori a termine rientranti nel ciclo produttivo e nell’organigramma. I lavoratori part time sono computati in base all’orario di lavoro svolto. Il titolare e i soci si contano solo se dipendenti dell’impresa, cioè solo se a libro paga.

Non si contano apprendisti, collaboratori non dipendenti e familiari, lavoratori interinali (ora lavoratori somministrati), tirocini formativi e stages, contratti di inserimento e di reinserimento.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

Generic

Inail: l’impiego dei parapetti di sommità come protezione collettiva

Roma, 22 Gen – Sappiamo che le attività sulle coperture degli edifici espongono i lavoratori a rischi elevati, con particolare riferimento al rischio di cadute dall’alto, e che la percentuale di infortuni mortali imputabile a cadute oltre il bordo non protetto della copertura è ancora molto elevata.

A questo proposito il D.Lgs. 81/2008 prevede che i lavori che si svolgono nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili devono essere eseguiti in condizioni e che i rischi vanno eliminati e, ove ciò non sia possibile, ridotti alla fonte. E per svolgere questi lavori in sicurezza è indispensabile “la determinazione preliminare della natura e della entità dei rischi, la pianificazione delle attività, l’adozione di idonee metodologie di lavoro insieme alla scelta delle attrezzature, delle opere provvisionali e dei dispositivi di protezione collettiva e dei dispositivi di protezione individuale più idonei”. Inoltre ‘il datore di lavoro in relazione al tipo di attrezzature di lavoro adottate (…), individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. I predetti dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini’ (art. 111). E ‘nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai due metri, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose’ (art. 122).

 

A ricordare questi aspetti normativi è la presentazione di un recente documento prodotto dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’ Inail, con il coordinamento scientifico di Luigi Cortis e Luca Rossi.

Il documento, dal titolo “I parapetti di sommità dei ponteggi. Possibile impiego come protezione collettiva per lo svolgimento delle attività in copertura”, presenta uno studio che ha avuto l’obiettivo di individuare “precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose” che possano essere impiegate nei lavori su copertura con particolare riferimento ai parapetti di sommità dei ponteggi, cioè ai parapetti di sommità con funzione di sistema di protezione dei bordi.

 

In particolare nel presente studio – prendendo spunto dalla UNI EN 13374:2013 e da altri documenti e relazioni Inail – vengono “dapprima definiti i requisiti prestazionali del ponteggio utilizzato come dispositivo di protezione collettiva (DPC) per i lavoratori che svolgono la loro attività in copertura”; successivamente sono definiti i “requisiti geometrici del parapetto di sommità con funzione di sistema di protezione dei bordi sia per quanto riguarda gli elementi costituenti sia le principali distanze fra il ponteggio e l’opera da servire. Inoltre vengono eseguiti dei test di impatto su campioni di ponteggio ad altezza ridotta per la valutazione della loro efficacia nei confronti dell’arresto di cose e/o persone che cadano o scivolino lungo una superficie inclinata.  L’esecuzione di prove sperimentali secondo tale procedura ha avuto anche lo scopo di misurare le azioni sui montanti e sugli ancoraggi del ponteggio durante l’impatto, utili per una successiva valutazione dell’intero ponteggio da realizzare”.

 

Si segnala poi, nell’introduzione del documento, come sia proprio la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 29 del 2010 a chiarire la possibilità di “impiegare i ponteggi come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture e quindi in posizione diversa dall’ultimo impalcato del ponteggio”. Nella circolare si indica che ‘… è possibile l’impiego di ponteggi di che trattasi come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture e quindi anche in posizione diversa dall’ultimo impalcato del ponteggio, a condizione che per ogni singola realizzazione ed a seguito di adeguata valutazione dei rischi venga eseguito uno specifico progetto. Da tale progetto, eseguito nel rispetto del già citato articolo 133 e quindi firmato da ingegnere o architetto abilitato a norma di legge all’esercizio della professione, deve tra l’altro risultare quanto occorre per definire lo specifico schema di ponteggio nei riguardi dei carichi, delle sollecitazioni, del montaggio e dell’esecuzione, naturalmente tenendo conto della presenza di lavoratori che operano, oltre che sul ponteggio, anche in copertura”.

 

Rimandando alla lettura del documento e a eventuali futuri articoli l’approfondimento in merito ai contenuti della circolare, al tema della valutazione, ai requisiti e ai risultati delle prove sperimentali, ci soffermiamo oggi sulla già citata norma UNI EN 13374:2013.

 

Nel documento si indica che la UNI EN 13374:2013 “Sistemi temporanei di protezione dei bordi – Specifica di prodotto – Metodi di prova” è la norma tecnica che “riguarda i sistemi temporanei di protezione dei bordi, comunemente denominati parapetti provvisori e non si applica ai sistemi di protezione laterale sui ponteggi come esplicitamente espresso al primo paragrafo della stessa”.

La norma in particolare classifica i parapetti provvisori “in base ai requisiti prestazionali da soddisfare, che sono quelli di:

– sostenere una persona che si appoggi alla protezione e fornire un appiglio mentre si cammina di fianco alla protezione;

– arrestare una persona che stia camminando o cadendo verso la protezione;

– arrestare una persona che stia scivolando o cadendo lungo una superficie inclinata;

– arrestare una persona che stia scivolando o cadendo lungo una superficie molto inclinata”.

E il parapetto si considera di classe A se “garantisce il soddisfacimento dei primi due requisiti; è di classe B se garantisce anche il terzo; è di classe C se garantisce il quarto”.

 

Inoltre, continua il documento Inail, la UNI EN 13374:2013:

– “individua delle classi minime di utilizzo dei parapetti in funzione dell’altezza di caduta e dell’inclinazione della copertura (Allegato A della UNI EN 13374:2013);

– stabilisce per ogni classe dei requisiti minimi geometrici per l’altezza del montante e dello spazio libero fra i correnti del parapetto”.

Inoltre individua per ogni classe i carichi statici e/o dinamici da considerare nel progetto:

– “le classi A e B, devono fornire resistenza a carichi statici verticali e orizzontali perpendicolari e paralleli al parapetto; la verifica può essere effettuata attraverso calcoli o prove sperimentali di tipo statico;

– la classe B, deve fornire resistenza anche ad azioni dinamiche moderate;

– la classe C, deve fornire resistenza ad elevate forze dinamiche”.

 

Si indica poi che la verifica della resistenza alle azioni dinamiche (classi B e C) “deve avvenire attraverso prove sperimentali di tipo dinamico, nelle quali deve essere considerato il metodo di fissaggio alla struttura e il materiale base previsti dal fabbricante”. E le prove sperimentali risultano “fondamentali per la verifica della capacità di assorbimento dell’energia cinetica dovuta alla caduta e quindi della efficacia del dispositivo nei confronti dell’arresto caduta.  Verifica che risulterebbe notevolmente complessa da effettuare solo con il calcolo, a causa dei molti fattori da tenere in conto in un sistema articolato, quali ad esempio rigidezza e resistenza dei componenti, attriti, giochi etc”.

Nel documento che vi invitiamo a leggere sono poi riportate anche informazioni relative ai test di impatto su prototipi assemblati e fissati alla struttura di supporto.

 

In definitiva seppure la norma UNI EN 13374 “non si applichi ai sistemi di protezione laterale sui ponteggi come esplicitamente espresso al primo paragrafo della stessa, può fornire al progettista dei riferimenti tecnici per la progettazione del ponteggio utilizzato anche come dispositivo di protezione per lavori su coperture”. E infatti “sono gli stessi i requisiti prestazionali del ponteggio utilizzato anche come protezione per i lavori su coperturerispetto a quelli definiti nella UNI EN 13374 per i sistemi di protezione dei bordi”.

 

E in conclusione, sulla base di queste osservazioni, è ragionevole “far riferimento alla UNI EN 13374 per:

– la definizione dei requisiti geometrici minimi riguardo allo spazio fra i correnti e all’altezza della protezione rispetto al bordo della copertura da proteggere;

– la valutazione dell’entità dei carichi statici e dinamici da considerare nel progetto come azioni aggiuntive per il particolare utilizzo del ponteggio ed opportunamente combinate con i carichi già considerati nell’autorizzazione ministeriale;

– la definizione delle prove sperimentali da eseguire per la verifica della resistenza alle azioni dinamiche dovute al possibile impatto del lavoratore”.

E “analogamente ai sistemi temporanei di protezione dei bordi UNI EN 13374” e con riferimento agli obiettivi dello studio, “per i ponteggi utilizzati anche come dispositivi di protezione per i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture, la problematica della verifica dell’efficacia nei confronti dell’arresto caduta rimane la stessa e i test di impatto risultano fondamentali”.

 

L’indice del documento:

 

Premessa

Introduzione

 

1 Definizioni

 

2 Riferimenti

 

3 Requisiti

3.1 Requisiti prestazionali

3.2 Requisiti geometrici e limiti di posizionamento

 

4 Prove sperimentali

4.1 Obiettivi

4.2 Disposizione e procedimento di prova

4.2.1 Configurazioni di prova

4.2.1.1 Schema CD

4.2.1.2 Schemi CS

4.2.1.3 Schema CSR

4.2.2 Attrezzature e apparecchiature di prova

4.2.2.1 Struttura metallica rigida

4.2.2.2 Sacco sferoconico

4.2.2.3 Rullo cilindrico

4.2.2.4 Sistemi di sollevamento e sgancio

4.2.2.5 Sistema di misura dei dati

4.2.2.6 Sistema di acquisizione, registrazione ed analisi dei dati

4.2.2.7 Convenzioni

4.2.3 Descrizione delle prove con sacco sferoconico

4.2.3.1 Prove sul montante di sommità

4.2.3.2 Prova sui correnti

4.2.3.3 Prova sulla tavola fermapiede

4.2.3.4 Prova sulla protezione continua (rete)

4.2.4 Descrizione delle prove con rullo cilindrico

4.2.4.1 Prova sul montante di sommità

4.2.4.2 Prova sul traverso

4.2.4.3 Prova sul corrente intermedio

4.2.4.4 Prova sulla tavola fermapiede

4.2.4.5 Prova sulla protezione continua (rete)

4.3 Risultati

4.3.1 Risultati delle prove con il sacco sferoconico

4.3.1.1 Prove sul montante di sommità

4.3.1.2 Prove sui correnti

4.3.1.3 Prove sulla tavola fermapiede

4.3.1.4 Prove sulla protezione continua

4.3.2 Risultati delle prove con rullo cilindrico

4.3.2.1 Prove sul montante di sommità

4.3.2.2 Prove sul traverso

4.3.2.3 Prove sul corrente intermedio

4.3.2.4 Prove sulla tavola fermapiede

4.3.2.5 Prove sulla protezione continua

 

5 Conclusioni

 

Bibliografia

 

 

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’Inail, “ I parapetti di sommità dei ponteggi. Possibile impiego come protezione collettiva per lo svolgimento delle attività in copertura”, a cura di Francesca Maria Fabiani, Luigi Cortis, Luca Rossi, Davide Geoffrey Svampa con la collaborazione di Carlo Ratti e Calogero Vitale, Collana Cantieri, edizione 2017 (formato PDF, 8.89 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ I parapetti di sommità dei ponteggi. Possibile impiego come protezione collettiva”.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Voucher per la digitalizzazione delle Pmi

Concesso dal MISE un voucher di circa 10 mila euro finalizzato alla digitalizzazione dei processi aziendali

22/01/2018

Il MISE promuove una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.

Il voucher è utilizzabile per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che consentano di: migliorare l’efficienza aziendale; modernizzare l’organizzazione del lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme di flessibilità del lavoro, tra cui il telelavoro; sviluppare soluzioni di e-commerce; fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare; realizzare interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT.

Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla pubblicazione sul sito web del Ministero del provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher adottato su base regionale.

Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.

 

Fonte: www.corrieredelleconomia.it

Generic

Morti per esalazioni di gas: come prevenire questi infortuni?

Milano, 22 Gen – Giovedì è morto anche il quarto operaio, Giancarlo Barbieri, coinvolto nel gravissimo incidenteche è avvenuto a Milano alla Lamina spa, azienda di produzione per laminazione a freddo di nastri di alta precisione in acciaio e titanio.

 

PuntoSicuro, che si occupa per lo più di aspetti tecnici, di prevenzione in materia di sicurezza e salute sul lavoro, raramente interviene direttamente sui recenti fatti di cronaca in materia di infortuni. Il ruolo di commento e approfondimento del nostro giornale diventa difficile quando la magistratura sta ancora lavorando, quando sia ancora difficile dipanare cause e responsabilità.

Tuttavia ci sono tipologie di incidenti – come fu per quello relativo all’ incendio alla Thyssenkrupp e come è per questo di Milano – che possono e devono far scaturire utili riflessioni che, al di là degli aspetti meramente tecnici, ci permettano di comprendere la situazione della sicurezza in Italia.

 

E per raccogliere qualche considerazione “competente” abbiamo chiesto aiuto ad Adriano Paolo Bacchetta, coordinatore di spazioconfinato.it e tra i principali esperti nazionali in tema di “ambienti sospetti di inquinamento o confinati”. Non è stato semplice coinvolgerlo, nessuno ama rispondere su temi che evolvono giornalmente, che potrebbero mutare a seconda dei riscontri che ci saranno. Tuttavia abbiamo ottenuto alcune risposte che ci permettono di offrire qualche spunto di riflessione ai nostri lettori.

 

Partendo dai pochi dati certi e di là dalle tante ipotesi che si possono fare riguardo al gravissimo incidente alla Lamina, cerchiamo di fare qualche breve riflessione. Intanto mi pare che quanto è avvenuto riguardi un ambiente confinato e non deve essere la prima volta che infortuni di questo tipo avvengono durante operazioni di manutenzione o pulizia di forni…

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Non è mia abitudine commentare ‘a caldo’ un evento drammatico, come quello successo a Milano, tenuto conto del rincorrersi delle notizie parziali e, talvolta, contraddittorie provenienti degli organi d’informazione. Questo anche perché gli accertamenti tecnici degli inquirenti sono ancora in corso.

Fatto salvo il commosso sentimento di cordoglio per le vittime e i loro familiari, ogni considerazione potrebbe essere certamente passibile di errori, anche grossolani, derivanti dalla limitata disponibilità d’informazioni circostanziate.

Tuttavia, volendo aderire alla richiesta di formulare qualche ipotesi preliminare che, come detto, potrà essere confermata o smentita in futuro quando si avranno informazioni di dettaglio, bisogna rilevare che sul sito web della Lamina S.p.A. si legge che all’interno dello stabilimento è operativo un forno statico di ricottura a campana “Ebner” con raffreddamento ad acqua in cascata, che permette la ricottura degli acciai ad alto e medio tenore di carbonio e del titanio. Non ho dati sul tipo, modello e caratteristiche specifiche del forno in questione ma, in generale, si può dire che questo è un sistema di ricottura tra i più frequenti e di notevole impiego nei cicli di lavorazione a freddo, soprattutto quando vi sia la necessità di trattare grosse quantità di materiale. La letteratura indica che la struttura di questi forni è usualmente rappresentabile come una base su cui sono sovrapposti a strati i rotoli di materiale (coils) che devono essere sottoposti a ricottura e un sistema a due campane che isola gli stessi coils dall’ambiente esterno, in modo da poter generare nel volume interno un’atmosfera controllata, ovvero in cui l’ossigeno è a bassissime concentrazioni (o praticamente assente). Questo consente di evitare alterazioni del materiale derivanti da fenomeni di ossidazione, possibili in caso di processi di ricottura della durata di diverse ore, oltre ad assicurare un’elevata qualità superficiale dei nastri e l’ottenimento di caratteristiche meccaniche ottimali dopo la ricottura. I gas indicati sul sito aziendale come in uso per controllare l’atmosfera interna, sono argon o azoto.

Io non ho visitato direttamente i luoghi ma, considerata la particolare forma del forno (in tal senso anche la foto presente sul sito web aziendale) e delle normali modalità di apertura e movimentazione verticale delle campane, oltre al riferimento agli organi di stampa che hanno parlato di “forno interrato”, posso immaginare che si tratti di un’installazione in buca, in altre parole una vasca a cielo libero cui si accede normalmente sul fondo mediante una normale scala fissa e avente una profondità idonea a contenere l’intero sviluppo verticale del forno o, almeno, una sua parte (dalle notizie di stampa si dovrebbe trattare di una vasca profonda circa 2 metri e di un forno alto circa 4 metri, condizione che prevede che lo stesso sporga rispetto al piano di calpestio. Questo sarebbe anche coerente con l’immagine pubblicata sul sito web aziendale). Potrei ovviamente sbagliarmi, ma credo che la rappresentazione che ho fatto in precedenza sia ragionevole e pertanto, se quanto ipotizzo fosse corretto, il personale non dovrebbe essere “entrato nel forno” come riportato in un primo tempo nei lanci delle agenzie di stampa (in letteratura non ho trovato indicazioni riguardanti forni Ebner di questa potenzialità con portelli d’ispezione accessibili o passi d’uomo sulle campane), ma potrebbe essere sceso nella vasca a cielo libero al cui interno è installato il forno. Le testimonianze di alcuni dipendenti della Lamina riferiscono che, quando non hanno visto uscire i colleghi, altri due si sono affacciati, e questo sarebbe coerente con l’ipotesi di una vasca interrata con parapetto perimetrale (in tal senso ritorno a citare la foto presente sul sito web aziendale)”.

 

Da quello che lei ha potuto comprendere dalle diverse ricostruzioni dell’incidente, al di là dall’allarme che non sarebbe entrato in funzione, quali potrebbero essere le carenze in materia di sicurezza. O meglio, visto che le informazioni in nostro possesso non sono ancora molte, quali sono negli infortuni avvenuti in passato in questa tipologia di spazi le carenze più frequenti?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Come giustamente osserva, la situazione è ancora priva di certezze. L’effettiva presenza di sensori, la loro tipologia e corretto funzionamento, saranno certamente punti salienti degli accertamenti tecnici da parte degli inquirenti. Resta però il fatto che, i testimoni presenti, hanno raccontato che non erano presenti odori e che, quando hanno cercato di portare soccorso ai colleghi, sentivano ‘mancare l’aria’. Questo dovrebbe rafforzare l’ipotesi della presenza di un’atmosfera sotto ossigenata per il rilascio accidentale di uno dei gas tecnici utilizzati per l’inertizzazione dell’interno delle campane (azoto o argon). Probabilmente, come ho già detto, tutto potrebbe essere quindi da ricondurre non tanto all’ingresso all’interno di un’apparecchiatura (entrata nel “forno interrato”), ma all’accesso all’interno di una vasca interrata a cielo libero, in cui potrebbe essersi creata un’atmosfera con una ridotta percentuale di ossigeno. In generale, l’analisi degli incidenti occorsi in passato, individua nella presenza di un’atmosfera pericolosa (sotto-ossigenazione o presenza di gas/fumi/vapori tossici), la causa d’incidenti nel 52,2% dei casi (elaborazione dati IN.FOR.MO 2014 – scheda “Gli ambienti confinati”). Sempre in conformità a questa elaborazione, seguono con il 24,4% le cadute dall’alto o in profondità dell’infortunato, con il 10% le cadute dall’alto di gravi e nel restante 13,4% sono ricomprese tutte le altre cause. Per quanto riguarda i luoghi, l’analisi dei dati indica che cisterne/serbatoi/autoclavi sono gli ambiti in cui si sono verificati il 28,8% degli incidenti: A seguire con il 22,2% le vasche, quindi i pozzi/pozzetti con il 15,5%, i silos con l’11,1%, le camere/cavedi con il 10% e per finire, con il 12,2 % altri luoghi (canalizzazioni, condotte, stive, celle frigo, ecc.). A riguardo, mi sono recentemente occupato dell’analisi di alcuni casi studio riguardanti incidenti occorsi in silos (o sili) di materiale incoerente dove, oltre al problema dell’atmosfera interna (sotto-ossigenazione o presenza di una miscela di anidride carbonica e ossidi di azoto per fermentazione naturale degli insilati tagliati da poco), le altre cause sono state il seppellimento (engulfment) per il distacco improvviso dalle pareti di ampie porzioni di materiale, il cesoiamento degli arti a causa del contatto dell’operatore con la coclea di fondo oppure, in alcuni casi, anche l’esplosione. La casistica è varia, come pure lo sono le cause. È però vero che, nel complesso, è possibile identificare gli ambiti e le cause maggiormente ricorrenti, in modo che sia possibile valutare e, se del caso, adottare adeguate misure di prevenzione e protezione. Questo, però, non significa che sia possibile categorizzare i luoghi e le attività all’interno di una sorta di “griglia decisionale”, che consenta di poter definire in modo automatico la classificazione di un ambiente mettendo semplicemente una crocetta in corrispondenza di qualche casella presente in generiche checklist preconfezionate. Tutto dipende dall’effettuazione di una corretta e adeguata valutazione dei rischi. A riguardo, ricordo che la normativa 29 CR OSHA 1926.21(b)(6)(ii) identifica come Confined Space (ai fini della somministrazione di un’adeguata informazione/formazione sui rischi e addestramento all’utilizzo dei DPI e applicazione delle procedure di emergenza), anche una vasca a cielo libero avente una profondità maggiore di quattro piedi, ovvero circa 1,22 metri”.

 

Ci troviamo poi spesso ad affrontare anche il tema degli infortuni tra i soccorritori. In ogni azienda il soccorso negli spazi confinati o, comunque, negli ambienti sospetti di inquinamento (ex art.66, D.Lgs. 81/2008), immagino debba essere ben pianificato. Qual è, da questo punto di vista, la sua esperienza nei tanti convegni e corsi realizzati sulla sicurezza di questi ambienti?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “L’intervento di emergenza è una fase di notevole complessità, sia da un punto di vista tecnico, sia da un punto di vista strettamente umano. Non può sfuggire che tra i primi soccorritori che hanno tentato l’accesso, c’era il fratello maggiore di uno dei lavoratori coinvolti. Il coinvolgimento emotivo, in questi casi, è purtroppo decisivo nella definizione del numero delle vittime. Questo lo abbiamo già visto nei casi del depuratore di Mineo, del Truck Center di Molfetta e in tutti gli eventi che hanno preceduto o seguito queste terribili disgrazie. Affermata sia l’importanza dell’attività di cooperazione, coordinamento e informazione reciproca delle imprese, ai fini della sicurezza in questi particolari luoghi di lavoro, è fondamentale identificare tutti i rischi (reali o potenziali), così da poter eseguire un’approfondita e corretta valutazione, disporre un addestramento efficace del personale operativo, prevedere l’impiego di strumentazione/attrezzature/DPC/DPI idonei e pianificare sia le attività ordinarie sia gli scenari di emergenza, codificando le operazioni da porre in essere, per garantire la tutela della salute e sicurezza degli addetti chiamati a operare in questi particolari ambienti di lavoro. Da quanto sopra, si evince come la gestione delle fasi di soccorso ha bisogno di una specifica attenzione, in modo da poter predisporre una procedura adeguata e specificatamente applicabile al particolare ambito in cui si è chiamati a operare. Questo significa che, in fase di progettazione dell’intervento, o meglio, in fase di definizione del contesto operativo specifico del reparto/impianto, il processo valutativo deve poter individuare tutti i rischi (reali o potenziali), compresi eventuali malfunzionamenti dei sistemi, che possano produrre conseguenze indesiderate, ovvero mettere a rischio gli addetti ed anche gli eventuali soccorritori. Evidentemente, la completezza dell’analisi richiede adeguate competenze aggiuntive rispetto alla sola conoscenza delle normative e/o pratica riguardo all’usuale applicazione delle misure di prevenzione e protezione per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

 

Non c’è, ancora oggi, una sottovalutazione da parte di tutti, lavoratori, operatori e aziende, dei gravi rischi correlati alle attività in un confined space, in un ambiente sospetto di inquinamento o confinato?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Teniamo conto che, ancora oggi, per alcuni il tema dominante è la “ricerca di una definizione” di ambiente sospetto di inquinamento o confinato. Stante l’articolazione del DPR 177/2011, l’indeterminazione in tal senso è massima. Questo, tuttavia, non dovrebbe essere particolarmente rilevante se, come necessario, ci si ponesse prioritariamente l’obiettivo dell’identificazione dei pericoli e valutazione dei rischi associati all’attività specifica, così come previsto dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i..

Ricordiamo che il DPR 177/2011, non ha aggiunto nulla al necessario e fondamentale Risk Assessment. Ha però introdotto adempimenti, per molti versi spesso difficili da applicare. Basti pensare all’informazione/formazione obbligatoria prevista all’art. 2 c1 lettera “d” (che attende da anni una specifica definizione in termini di contenuti e modalità di somministrazione), alla certificazione dei contratti (con la querelle sull’estensione anche agli appalti principali e non solo ai subappalti), all’informazione preliminare della durata di un giorno (da somministrare al personale dell’appaltatore prima dell’accesso nei luoghi nei quali devono svolgersi le attività lavorative), alla definizione del come valutare e attestare il requisito di esperienza triennale, all’effettivo ruolo del rappresentante del datore di lavoro committente, solo per citarne alcuni. Resta comunque il fatto che l’elaborazione di adeguate procedure operative, da non confondersi con quanto spesso predisposto ricercando talvolta più la (apparente) conformità al disposto normativo, che la reale efficacia dell’azione di prevenzione, rappresenta certamente un potente strumento di controllo dei rischi associati ad attività con elevato livello di rischio potenziale, quale quello che caratterizza le operazioni in spazi confinati. Peraltro, tale potenzialità si esprime appieno solo se sono eseguite correttamente le varie fasi di elaborazione di questi documenti, al fine di controllare i punti critici, e se gli operatori seguono puntualmente le istruzioni ricevute. L’elaborazione di una procedura, è prioritariamente un processo bottom-up che dev’essere adeguatamente guidato. Infatti, se da una parte solo chi opera direttamente può essere realmente consapevole delle problematiche che si riferiscono alla propria attività, dall’altra l’ausilio dell’expertise di qualcuno, prioritariamente un soggetto interno alla struttura aziendale, in possesso di adeguate conoscenze ed esperienza, consente d’integrare la sua professionalità nel processo d’identificazione dei pericoli e valutazione dei rischi, agevolando la predisposizione di tutte le attività di contrasto all’insorgenza di possibili condizioni impreviste durante le operazioni.

La stesura di una procedura è però solo l’atto iniziale di un processo che deve vedere nella puntuale e dettagliata informazione/formazione degli addetti, il principale strumento per il trasferimento delle conoscenze e delle corrette modalità operative. Non è, infatti, un caso il preciso riferimento presente nell’art. 3 del DPR 177/2011 ove si stabilisce che la procedura di lavoro deve essere adottata ed efficacemente attuata. Quindi, è evidente la necessità del pieno coinvolgimento degli addetti prima, durante e dopo l’elaborazione delle specifiche procedure aziendali. Non bisogna inoltre dimenticare che nel più generale contesto del Risk Management, la corretta gestione delle operazioni deve vedersi orientata non solo verso la protezione dei lavoratori direttamente operanti, ma anche nei confronti di tutti quelli che, in caso di emergenza, potrebbero essere chiamati a intervenire per portare soccorso”.

 

Infine facciamo un riferimento al più volte da lei citato, anche su PuntoSicuro, Dpr 177/2011. Possiamo dire brevemente se, a suo parere, questo DPR è servito in questi anni (ne sono passati sette) a ridurre il numero d’infortuni o ad aumentare, comunque, la sicurezza negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati?

 

Adriano Paolo Bacchetta: “Come più volte sottolineato, il punto di partenza della strategia di contrasto alla base delle prescrizioni presenti nel testo legislativo, era la constatazione che le dinamiche e le conseguenze degli infortuni che si sono drammaticamente succeduti negli anni in occasione di attività in questi specifici ambienti di lavoro, richiedevano un rapido innalzamento delle tutele a garanzia della salute e sicurezza degli operatori impegnati. Da qui la decisione di disporre che, in simili situazioni, potessero operare solo soggetti adeguatamente formati, addestrati ovvero consapevoli sia dei rischi delle attività previste, sia (in particolare) di quelli derivanti specificatamente dagli ambienti nei quali si svolgeva l’attività lavorativa.

In questi anni, ovvero dall’entrata in vigore del DPR 177 nel 2011, ci sono però stati diversi incidenti fotocopia. Per esempio, tra gli ultimi, l’incidente di Bomporto dove, nell’agosto del 2017, un lavoratore è entrato per pulire un’autocisterna con la quale aveva trasportato del vino e non è più uscito. E la lista d’incidenti analoghi sarebbe, purtroppo, lunga. Fermo restando l’obiettivo di garantire un adeguato livello di sicurezza in queste particolari attività, sarebbe opportuno valutare quali sia il reale impatto di alcune disposizioni introdotte con il D.P.R. 177/2011in termini di applicabilità ed efficacia. La predisposizione di una corretta programmazione, la pianificazione di tutte le fasi operative (con particolare riferimento agli interventi in caso di emergenza), oltre alla garanzia sia di un’adeguata attività d’informazione e formazione di tutto il personale (compreso il datore di lavoro), il possesso d’idonei dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro adeguati alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati e il necessario addestramento al loro corretto utilizzo, rappresentano certamente condizioni imprescindibili per la sicurezza dei lavoratori. Ma questo, in pratica, era già presente tra gli obblighi di cui al D.Lgs, 81/08 e s.m.i.. Resta quindi da capire se, e come, gli altri adempimenti introdotti possano realmente essere funzionali all’elevazione del livello di sicurezza originariamente ipotizzato dal Legislatore e, quindi, dire se il Decreto abbia, in qualche modo, raggiunto lo scopo.

In conclusione, appare più che mai necessario e urgente sia rivedere il quadro normativo di riferimento, al fine di dirimere i molti problemi interpretativi e applicativi del Decreto, sia ricondurre la discussione su un piano prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborate una specifica norma di riferimento, da sviluppare sulla base di linee guida, standard e Best Practices presenti a livello nazionale e internazionale”.

 

 

Intervista a cura di Tiziano Menduto

 

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Fonte: puntosicuro.it