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Lavoratori anziani: l’approccio ergonomico all’invecchiamento sul lavoro

Milano, 12 Gen – Partendo dalla considerazione che l’invecchiamento umano si possa considerare un processo complesso che è in relazione con vari aspetti (medici, psicologici, sociali, …), più volte nei nostri articoli abbiamo ricordato l’importanza di un approccio multiplo alla gestione dell’ invecchiamento sul lavoro.

 

Per tornare a parlare di gestione dell’invecchiamento, di approccio multiplo, cercando di approfondirne alcuni aspetti, possiamo fare riferimento anche al libro “Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro”, un libro curato dal gruppo “Invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione ( CIIP).

 

Nel paragrafo del libro “L’approccio multiplo all’invecchiamento attivo sul lavoro nelle realtà italiane”, a cura di Rinaldo Ghersi (Coordinatore del Gruppo di Lavoro Ciip “Invecchiamento e lavoro” – medico del lavoro, ergonomo eur. erg Società italiana di Ergonomia e Fattori Umani), si segnala che già nella campagna europea del 2012 “ Invecchiamento attivo e solidarietà tra le generazioni” si “indicava un orizzonte di azioni multiple, evidenziando i seguenti campi d’azione prioritari:

– cambiare l’atteggiamento verso l’invecchiamento;

– introdurre l’aggiornamento permanente;

– formare i dirigenti sulle problematiche dell’invecchiamento;

– adattare il lavoro all’età e renderlo più flessibile;

– adattare i servizi sanitari alle esigenze di una popolazione che invecchia su uno sfondo di leggi contro la discriminazione dell’anziano (assunzioni, licenziamenti)”.

 

L’approccio multiplo è dunque lo strumento “che meglio orienta verso la gestione di un problema complesso”. E per avvicinarsi in modo utile e concreto a questo tipo di gestione/approccio, l’Aging E-book affronta l’argomento individuando alcuni approcci prioritari di ordine generale.

 

Ci soffermiamo oggi sull’approccio ergonomico, con riferimento al contributo (paragrafo 1.3.2) di Rinaldo Ghersi e Olga Menoni (Ergonoma, Terapista della riabilitazione Clinica del Lavoro L. Devoto, Milano).

 

Si riporta una definizione (Nuovo Zingarelli) dell’Ergonomia come “disciplina che studia le condizioni e l’ambiente di lavoro per adattarli alle esigenze psicofisiche del lavoratore”.

Mentre l’International Ergonomic Associations (San Diego 2000) precisa la definizione: “disciplina scientifica che si occupa di comprendere le interazioni tra i fattori umani e gli altri elementi di un sistema; professione che applica teoria, principi, dati e metodi nella progettazione con la finalità di ottimizzare il benessere umano ed il funzionamento generale di un sistema”.

Ed è la seconda definizione che sembra affermare “una interpretazione dell’ergonomia che si propone molteplici obiettivi in gran parte condivisi con la Medicina del Lavoro:

– la prevenzione di disagi, disturbi o malattie correlate al lavoro (nell’ottica della tutela della salute come definita da OMS dall’ art. 2.1. o D.lgs. 81/08);

– l’adattamento delle condizioni di lavoro per ‘ogni età’ secondo lo slogan della campagna europea, quindi la maggior collocabilità dell’anziano sia ‘fisiologico’ che ‘con malattia’;

– il mantenimento quali-quantitativo della produttività con l’invecchiamento”.

E dal punto di vista degli autori questi obiettivi “possono davvero essere quelli dell’approccio ergonomico all’invecchiamento sul lavoro, pur sapendo che in diverse condizioni non sarà da solo sufficiente per risolvere i problemi, come abbiamo visto nei fondamenti dell’approccio multiplo”.

 

Si segnala poi che si possono fare sinteticamente alcuni distinzioni tra “diversi tipi o campi di azione dell’ergonomia:

– ergonomia fisica: “è quella più nota e divulgata, in buona parte oggetto di leggi e norme: movimentazione manuale dei carichi, sovraccarico biomeccanico degli arti superiori ed inferiori, posture, illuminazione e fatica visiva, microclima, rumore, vibrazioni … Le fonti legali e normative (ISO, EN, UNI) in questo campo sono abbastanza note ma non totalmente diffuse ed applicate”. Vengono poi presentate diverse metodologie di valutazione, ma “nessuno dei metodi citati definisce modalità differente di valutazione rispetto all’età; per la MMC si fa cenno ad una riduzione di tolleranza ai carichi a partire in generale dei 45 anni”. E un aspetto spesso ancora sottovalutato – “soprattutto ma non solo per l’anziano” – è l’importanza di “un’alternanza tra posture in piedi, assisa e in deambulazione, oppure la dotazione di sgabelli adeguti alla persona per la postura semiassisa, sempre per gli ambienti e lavorazioni ove ciò è indicato e possibile”;

– ergonomia cognitiva e mentale: “l’anziano spesso compensa con l’esperienza il decremento di memoria a breve e l’aumento dei tempi di reazione. In questo ambito molto è stato fatto, ma non abbastanza. I metodi anche semplificati di progettazione centrata sull’utente, di verifica di usabilità, di analisi organizzativa e degli errori umani di infortuni avvenuti o possibili non sono ancora abbastanza diffusi”. Il contributo riporta alcune normative tecniche di riferimento: ad esempio ISO 10075 “Principi ergonomici relativi al carico di lavoro mentale”, ISO 6385 sulla progettazione dei sistemi di lavoro, ISO 9241/2010 sull’interazione uomo o donna/sistema, ISO EN 14915 su ergonomia del software;

– ergonomia organizzativa: organizzazione lavorativa è un tema “cruciale sia per i professionisti ergonomi che per gli operatori della prevenzione”. Tutti i metodi di valutazione del rischio “dovrebbero contenere una parte consistente di analisi organizzativa indirizzata ad identificare delle strategie preventive o di riprogettazione dell’ambiente di lavoro rivolte anche agli aspetti organizzativi. Per il settore sanitario è un tema prioritario oggi e probabilmente anche domani: orari di lavoro, turni reali, gestione, carichi, riposi e ferie, reperibilità, richiamo in servizio dalle ferie, formazione ed addestramento, ruoli, relazioni, …”. Probabilmente – continua il contributo – occorrono “più ricerche-azione nelle nostre realtà, verificando ed adeguando in modo non scolastico né burocratico alle distinte specificità metodi altrove costruiti o sperimentati, valorizzando realmente le risorse umane compreso l’anziano e facendo tesoro delle esperienze positive che pur esistono”.

 

Il contributo si sofferma poi su “ergonomia ed evidenze”, con riferimento al fatto che nella letteratura medica si trovano “tentativi di applicare alla gestione dell’invecchiamento sul lavoro metodi di valutazione ‘evidence based’, nati in altri campi per altri scopi (Marradi et al., 2010)”.

Si fa particolare riferimento ad una revisione sistematica (Cloostermans et al., 2015) “sull’efficacia degli interventi individuali e sul lavoro per sfavorire l’abbandono del lavoro da parte dell’anziano”, revisione che richiama la necessità di “cominciare a costruire la ‘impiegabilità sostenibile’ non oltre i 40-45 anni, privilegiando l’approccio sul ‘lavoratore che invecchia’ più che sul ‘lavoratore vecchio’. Lo studio sottolinea l’importanza della possibilità per il lavoratore anziano di autogestire frammenti del proprio lavoro come l’alternanza tra lavoro e brevi pause e alcune modalità di lavoro”.

Ricordiamo che una “revisione sistematica” si può considerare sinteticamente come uno strumento secondario di ricerca scientifica che ha l’obiettivo di riassumere dati provenienti da strumenti di ricerca primari.

 

Riguardo poi alle relazioni tra ergonomia ed evidence based medicine (o prevention) gli autori del contributo ritengono “pienamente condivisibile il principio di eliminare o di non adottare misure preventive di comprovata inefficacia (Ars Toscana, 2014) così come il ricercare e documentare indicatori di efficacia di interventi migliorativi, mentre siamo scettici sullo scartare o rinviare a priori misure preventive, spesso già raccomandate in norme tecniche o previste da leggi, quando la loro efficacia non è stata ancora comprovata da strumenti di valutazione di efficacia o di qualità degli studi nati in laboratorio o nella sperimentazione clinica controllata, non sempre adeguati alla prevenzione di disagi o patologie”.

Gli autori riportano ulteriori indicazioni e indicano, infine, che ciascun medico competente segue per anni “collettivi di lavoratori addetti a mansioni simili o distinte”. E questa “forma di ‘monitoraggio sia trasversale che longitudinale’, naturalmente se accurato e documentato, non dovrebbe essere sottovalutato come ‘narrazione episodica’ cara a chi si occupa di evidence based medicine”. Il monitoraggio del medico competente può “fornire indicazioni verso le misure di prevenzione utili, almeno altrettanto utili di una buona rassegna bibliografica sul tema, quando e dove esista”. L’ideale, si conclude, è dunque quello di “unire entrambi le fonti”.

 

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

CIIP, “ Aging E-book, il Libro d’argento su invecchiamento e lavoro” (formato PDF, 2.6 MB).

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Assicurazione infortuni domestici

La legge 493/1999 stabilisce che è obbligato ad assicurarsi contro gli infortuni in ambito domestico colui che:

  • ha un’età compresa tra i 18 e i 65 anni compiuti
  • svolge il lavoro per la cura dei componenti della famiglia e della casa
  • non è legato da vincoli di subordinazione
  • presta lavoro domestico in modo abituale ed esclusivo.

L’ambito domestico coincide con l’abitazione e le relative pertinenze (soffitte, cantine, giardini, balconi) dove risiede il nucleo familiare dell’assicurato. Se l’immobile fa parte di un condominio, si considerano come ambito domestico anche le parti comuni (androne, scale terrazzi, ecc.).
Rientrano anche tra i luoghi tutelati le residenze temporanee scelte per le vacanze, a condizione che si trovino nel territorio italiano. Non è tutelato, invece, l’infortunio in itinere.
Matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela, vincoli affettivi e coabitazione sono i criteri che definiscono, ai sensi della legge 493/1999, il nucleo familiare rispetto ad altre esperienze di vita insieme.

In base ai requisiti assicurativi indicati, si devono assicurare:

  • gli studenti anche se studiano e dimorano in una località diversa dalla città di residenza e che si occupano dell’ambiente in cui abitano
  • tutti coloro che, avendo già compiuto i 18 anni, lavorano esclusivamente in casa per la cura dei componenti della famiglia (ad esempio ragazzi e ragazze in attesa di prima occupazione)
  • i titolari di pensione che non hanno superato i 65 anni
  • i lavoratori in mobilità
  • i cittadini stranieri che soggiornano regolarmente in Italia e non hanno altra occupazione
  • i lavoratori in cassa integrazione guadagni
  • i soggetti che svolgono un’attività lavorativa che non copre l’intero anno (lavoratori stagionali, lavoratori temporanei, lavoratori a tempo determinato); l’ assicurazione, in questo caso, deve ricoprire solo i periodi in cui non è svolta attività lavorativa. Tuttavia, il premio assicurativo non è frazionabile e la quota va versata per intero, anche se la copertura assicurativa è valida solo nei periodi in cui non è svolta altra attività lavorativa.

Nell’ambito di uno stesso nucleo familiare possono assicurarsi più persone (ad esempio: madre e figlia).
E’ escluso dall’obbligo assicurativo:

  • colui che ha meno di 18 anni o più di 65 anni
  • il lavoratore socialmente utile (Lsu)
  • il titolare di una borsa lavoro
  • l’iscritto a un corso di formazione e/o a un tirocinio
  • il lavoratore part time
  • il religioso

E’ esonerato dal pagamento del premio assicurativo contro gli infortuni in ambito domestico colui che ha un reddito al di sotto di una determinata soglia. In tal caso il premio è a carico dello Stato.
In particolare, è escluso dal pagamento chi contemporaneamente:

  • ha un reddito personale complessivo lordo fino a 4.648,11 euro annui
  • fa parte di un nucleo familiare il cui reddito complessivo lordo non supera i 9.296,22 euro annui.

Chi possiede i requisiti di legge ma non paga l’assicurazione, è soggetto ad una sanzione da parte dell’Inail, graduata in relazione al periodo di trasgressione e per un importo non superiore, comunque, all’equivalente del premio (12,91 euro).
Sono a disposizione degli assicurati Contact center, Inail sms e associazioni di categoria che forniscono tutte le informazioni necessarie a risolvere dubbi su aspetti normativi e procedurali.

Requisiti di obbligatorietà, esoneri e modalità di iscrizione.

Tempi e modi del ricorso al Comitato amministratore del Fondo autonomo speciale per l’assicurazione contro gli infortuni domestici.

Numero 06.6001 sia da rete fissa sia da rete mobile.

ALLEGATO

(.pdf – 3,6 mb)

 

Ultimo aggiornamento: 08/01/2018

 

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Sicurezza: le proroghe e le novità della legge di bilancio 2018

Roma, 12 Gen – In questi anni è stato spesso al decreto milleproroghe, un decreto che entrava in vigore subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e doveva essere convertito dal Parlamento entro 60 giorni dalla pubblicazione, che erano affidate le tante e continue proroghe in materia di sicurezza. Invece quest’anno il decreto milleproroghe ci è stato risparmiato, ma le proroghe hanno trovato altre forme di veicolazione: la legge di bilancio, una legge, prevista dall’articolo 81 della nostra Costituzione, con la quale viene approvato il bilancio dello Stato. Una legge, tra l’altro, che, in quanto tale, non deve essere successivamente convertita dal Parlamento.

 

Approvata nella seduta del 23 dicembre 2017 in Senato, la legge di Bilancio 2018 – Legge 27 dicembre 2017, n. 205“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” – è stata successivamente pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2017 e, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il primo gennaio 2018.

 

Ci soffermiamo, come sempre, su alcune delle proroghe che possono interessare i nostri lettori e che riguardano i temi della tutela della sicurezza, salute e ambiente in ambito lavorativo.

 

Non poteva mancare la solita proroga relativa alla prevenzione incendi nelle attività ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto.

Nella lettera i) del comma 1122 della Finanziaria si precisa che “le attività ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 95 del 26 aprile 1994, ed in possesso dei requisiti per l’ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio, approvato con decreto del Ministro dell’interno 16 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 30 marzo 2012, completano l’adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi entro il 30 giugno 2019, previa presentazione, al Comando provinciale dei Vigili del fuoco entro il 1º dicembre 2018 della SCIA parziale, attestante il rispetto di almeno quattro delle seguenti prescrizioni, come disciplinate dalle specifiche regole tecniche: resistenza al fuoco delle strutture; reazione al fuoco dei materiali; compartimentazioni; corridoi; scale; ascensori e montacarichi; impianti idrici antincendio; vie d’uscita ad uso esclusivo, con esclusione dei punti ove è prevista la reazione al fuoco dei materiali; vie d’uscita ad uso promiscuo, con esclusione dei punti ove è prevista la reazione al fuoco dei materiali; locali adibiti a deposito”.

 

Altre proroghe ricorrenti riguardano poi un altro tema, il SISTRI ( Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti).

 

La legge (commi 1134-1135) contiene un nuovo rinvio al 31 dicembre 2018 e alcune semplificazioni.

 

Riportiamo integralmente i due commi 1134 e 1135:

 

  1. All’articolo 11 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, sono apportate le seguenti modificazioni:
  2. a) ai commi 3-bis e 9-bis, le parole: «e comunque non oltre il 31 dicembre 2017», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «e comunque non oltre il 31 dicembre 2018»;
  3. b) al comma 9-bis, quarto periodo, dopo le parole: «nonchè nel limite massimo di 10 milioni di euro» e’ inserita la seguente: «annui» e le parole: «nel corso dell’anno 2017» sono sostituite dalle seguenti: «nel corso degli anni 2017 e 2018».

 

  1. Al capo I del titolo I della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo l’articolo 194 è aggiunto il seguente:

«Art. 194-bis (Semplificazione del procedimento di tracciabilità dei rifiuti e per il recupero dei contributi dovuti per il SISTRI). – 1. In attuazione delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e per consentire la lettura integrata dei dati riportati, gli adempimenti relativi alle modalità di compilazione e tenuta del registro di carico e scarico e del formulario di trasporto dei rifiuti di cui agli articoli 190 e 193 del presente decreto possono essere effettuati in formato digitale.

  1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare puo’, sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, l’Agenzia per l’Italia digitale e l’Unioncamere, con proprio decreto, predisporre il formato digitale degli adempimenti di cui al comma 1.
  2. E’ consentita la trasmissione della quarta copia del formulario di trasporto dei rifiuti prevista dal comma 2 dell’articolo 193, anche mediante posta elettronica certificata.
  3. Al contributo previsto dall’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 30 marzo 2016, n. 78, si applicano i termini di prescrizione ordinaria previsti dall’articolo 2946 del codice civile.
  4. Per il recupero dei contributi per il SISTRI dovuti e non corrisposti e delle richieste di rimborso o di conguaglio da parte di utenti del SISTRI, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare stabilisce, con proprio decreto di natura non regolamentare, una o piu’ procedure, nel rispetto dei seguenti criteri:
  5. a) comunicazione di avvio del procedimento con l’invio del sollecito di pagamento, prima di procedere alla riscossione coattiva del credito vantato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per i contributi per il SISTRI dovuti e non corrisposti o corrisposti parzialmente;
  6. b) determinazione unitaria del debito o del credito, procedendo alla compensazione dei crediti maturati a titolo di rimborso con quanto dovuto a titolo di contributo;
  7. c) previsione di modalità semplificate per la regolarizzazione della posizione contributiva degli utenti obbligati al pagamento dei contributi per il SISTRI, fino all’annualità in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, che non vi abbiano provveduto o vi abbiano provveduto parzialmente, mediante ravvedimento operoso, acquiescenza o accertamento concordato in contraddittorio;
  8. d) definizione di strumenti di conciliazione giudiziale, al fine di favorire il raggiungimento di accordi, in sede processuale, tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e gli utenti del SISTRI per i profili inerenti al pagamento o al rimborso dei contributi per il SISTRI.
  9. L’esperimento delle procedure di cui al comma 2 del presente articolo determina, all’esito della regolarizzazione della posizione contributiva, l’estinzione della sanzione di cui all’articolo 260-bis, comma 2, e non comporta il pagamento di interessi ».

 

 

In definitiva, in merito alla tracciabilità dei rifiuti, con i due commi si arriva a prorogare di un anno, fino al 31 dicembre 2018, il periodo in cui continueranno ad applicarsi gli adempimenti e gli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti antecedenti alla disciplina del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) e non si applicano le sanzioni relative al sistema medesimo, nonché il termine finale di efficacia del contratto con l’attuale concessionaria del SISTRI, e a introdurre l’art. 194-bis nel cd. Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152/06) finalizzato all’introduzione di norme volte alla semplificazione del procedimento di tracciabilità dei rifiuti e al recupero dei contributi dovuti in materia di Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).

 

Ricordiamo brevemente, infine, alcune delle altre novità, in tema di sicurezza e salute, della legge di bilancio:

– il blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita per chi svolge lavori usuranti e gravosi;

– in materia di amianto l’estensione fino al 2020 dell’erogazione della prestazione una tantum in favore dei malati di mesotelioma per esposizione familiare;

– sempre in materia di amianto l’incremento del Fondo per le vittime dell’amianto – di cui all’articolo 1, comma 241, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 – della somma di 27 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, ma “con corrispondente riduzione delle risorse strutturali programmate dall’INAIL per il finanziamento dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro ai sensi dell’articolo 11, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” (comma 189).

 

Tiziano Menduto

 

Scarica la normativa di riferimento:

LEGGE 27 dicembre 2017, n. 205 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020.
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Fonte: puntosicuro.it

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Soluzioni per la movimentazione manuale dei carichi in ambito portuale

Trieste, 15 Gen – Ne lavoro portuale sono numerosi i rischi professionali a cui sono soggetti i lavoratori, ad esempio correlati alla manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi, ma anche ai vari pericoli connessi con la movimentazione meccanica o manuale dei carichi trasportati via mare.

 

Ci soffermiamo oggi in particolare sui rischi e sulle soluzioni per la movimentazione dei carichi in ambito portuale con riferimento ad una relazione che si è tenuta al “Convegno nazionale porti 2017” (19 settembre 2017, Trieste) organizzato dall’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, l’Inail Friuli Venezia Giulia e l’Inail DiMEILA.

 

In “Movimentazione dei sacchi di caffé: dal rischio ergonomico alle possibili soluzioni preventive”, a cura della Dott.ssa Lucia Santarpia ( Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste), si segnala che la movimentazione dei sacchi di caffè in ambito portuale, con riferimento al porto di Trieste, è cambiata negli anni. Fino a pochi anni fa “il sacco veniva movimentato solo manualmente, con modalità operative invariate fino al 2015 quando è stata introdotta la meccanizzazione della vuotatura dei container di caffè. Le uniche innovazioni fino ad allora erano state l’uso della bilancia elettronica e del carrello elevatore a forche utilizzato per la movimentazione del caffè palettizzato”.

 

Nell’intervento, che fa riferimento anche ad un’indagine conoscitiva del fenomeno iniziata nel 2013, si ricorda quanto contenuto nel D.Lgs 81/2008 riguardo al Titolo VI relativo alla movimentazione manuale dei carichi:

– le norme del presente titolo “si applicano alle attività lavorative che comportano per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari”. E con movimentazione manuale dei carichi si intendono “le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, …”.

E riguardo agli obblighi, con riferimento all’articolo 168, “qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie”. Senza dimenticare che (articolo 168) se ‘le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’ALLEGATO XXXIII ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida’.

 

Si ricorda poi che il ciclo di manipolazione del sacco si può attualmente “schematizzare in almeno 4 ‘sub-cicli specifici’, con modalità diverse di lavoro e di ausiliazione:

– scarico solo manuale dai container di sacchi alla rinfusa e contestuale pallettizzazione;

– carico manuale di semirimorchi con sacchi alla rinfusa da paletta a pianale;

– scarico dei container con sacchi alla rinfusa mediante ausilio del nastro trasportatore e di un palletizzatore automatico;

– manipolazione del sacco per ricondizionamento (cucitura, sostituzione, ecc.) o ricostituzione della paletta (rovesciata, frazionata, ecc.) svolte a magazzino”.

 

E si ricorda poi che nella movimentazione manuale “tradizionale” del sacco:

– “sacchi di caffè da 60 o 70 kg cadauno sono movimentati manualmente in coppia;

– il sacco oltre che sollevato viene anche tirato, trascinato, fatto rotolare o fatto cadere dalla posizione originale di stivaggio ad una posizione più favorevole oppure direttamente a segno sul pallet;

– per favorire la presa si usa un uncino dentato impugnato da una mano;

– è necessario eseguire il lancio di una parte dei sacchi per permettere il loro corretto posizionamento ad incrocio;

– è importante anche il fattore climatico”.

 

Sono ricordati i primi approcci alla risoluzione dei problemi legati alla movimentazione:

– “riorganizzazione delle squadre e pause di lavoro adeguate;

– modalità di carico dei sacchi su camion (max 6-7 fila);

– aree protette dall’irraggiamento con disponibilità almeno di acqua potabile;

– limitazione dei carichi di lavoro (n° container/die);

– utilizzo di un nastro trasportatore per le operazioni di scarico container”.

 

Dopo aver riportato tabelle con vari dati, anche in riferimento agli indici rilevati con la valutazione del rischio da movimentazione manuale, viene proposta una soluzione efficace e possibile del problema ergonomico.

 

Si fa riferimento all’installazione di “impianti di ausiliazione nello scarico dei container con nastro trasportatore(telescopico o a posizionamento manuale utilizzabile per tutta la lunghezza del contenitore) e successiva pallettizzazione meccanica (e non più manuale), mediante robotizzazione, dei sacchi di caffè, con rilevante abbattimento, rispetto al passato, dei carichi lombari per i facchini”.

 

E si ricorda, infine, che riguardo a questi temi la vigilanza viene svolta in relazione a:

– “cooperativa che fornisce la manodopera per le attività emporiali: “contravvenzione in materia di igiene e sicurezza sul lavoro ai sensi dell’art. 168 comma 2 del D.Lgs 81/08 per non aver adottato le adeguate e necessarie misure di tipo organizzativo allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale dei carichi con prescrizioni su aspetti organizzativi per ridurre i carichi di lavoro;

– impresa portuale committente: “contravvenzione in materia di igiene e sicurezza sul lavoro ai sensi dell’art. 26 comma 2 lettera a) del D.Lgs 81/08 per non aver cooperato con l’appaltatore nell’attuazione delle misure di prevenzione per la riduzione del rischio da movimentazione manuale dei sacchi di caffè secondo le indicazioni contenute nell’art. 15 comma 1 lettera c) del D.Lgs 81/08 adottando le conoscenze acquisite in base al progresso tecnico con prescrizione di realizzare un impianto per la meccanizzazione del ciclo”.

 

L’intervento si conclude, infine, indicando che l’esperienza di vigilanza ha permesso di “introdurre buone prassi e procedure di lavoro più sicuro in alcuni casi con intervento pro-attivo delle imprese stesse”.

 

 

 

RTM

 

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

“ Movimentazione dei sacchi di caffé: dal rischio ergonomico alle possibili soluzioni preventive”, a cura della Dott. ssa Lucia Santarpia (Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste), intervento al “Convegno nazionale porti 2017” (formato PDF, 1.19 MB).

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Attrezzature e Testo Unico: un interpello sull’applicazione dell’art. 23

Roma, 15 Gen – Dopo le critiche e gli articoli, anche del nostro giornale, sull’anomala fase di stasi della Commissione Interpelli prevista dall’articolo 12 comma 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro e istituita con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011, torniamo finalmente a presentare un nuovo chiarimento in ambito normativo rilasciato dalla Commissione il 20 dicembre 2017.

 

La Commissione Interpelli, presieduta ora dalla Dott.ssa Maria Teresa Palatucci (attuale dirigente della Divisione III “Tutela e promozione della salute e sicurezza sul lavoro” della Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), si sofferma su uno dei temi e dei rischi più rilevanti in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: la sicurezza nell’uso di macchine e attrezzature. E lo fa in risposta ad un quesito sull’articolo 23 del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) in materia di fabbricazione, vendita, noleggio e concessione in uso di attrezzature di lavoro.

 

Articolo 23 – Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori

  1. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
  2. In caso di locazione finanziaria di beni assoggettati a procedure di attestazione alla conformità, gli stessi debbono essere accompagnati, a cura del concedente, dalla relativa documentazione.

 

Veniamo dunque all’Interpello n. 1/2017 del 20 dicembre 2017, che ha per oggetto il “Quesito ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni relativo all’articolo 23, del d.lgs. n. 81/2008” a cui si è data risposta nella seduta della Commissione del 13 dicembre 2017.

 

Il quesito è stato sollevato dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia che ha proposto istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione Interpelli in merito all’ambito di applicazione del suddetto articolo sugli obblighi di fabbricanti e fornitori.

 

In particolare la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia chiede se alla luce di una recente sentenza della Cassazione Penale, Sez. 3, 01 ottobre 2013, n. 40590 (Vendita di un macchinario privo delle necessarie condizioni di sicurezza: se è ceduto per essere riparato non c’è violazione) “l’atto di vendita/trasferimento di proprietà ai fini della messa a norma dell’attrezzatura di lavoro, dispositivo di protezione individuale o impianto, non configuri una violazione del precetto normativo di cui sopra limitatamente alle vendite in cui l’acquirente è un rivenditore di tale tipologia di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale o impianti, ovvero un soggetto che si occupa di revisione e messa a norma degli stessi”.

 

Inoltre la Regione chiede che sia precisato:

– “se la vendita di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, possa ritenersi legittima nel caso nel disposto contrattuale di vendita, noleggio o concessione sia prevista, da parte dell’acquirente, la messa a norma delle stesse prima del loro utilizzo”;

 

– “se l’esposizione ai fini della vendita, noleggio o concessione in uso delle attrezzature, dei dispositivi e degli impianti di cui sopra, in spazi commerciali, compresi spazi all’aperto e fiere, nel caso gli stessi (attrezzature/dispositivi/impianti) non siano rispondenti alle disposizioni normative sulla sicurezza sul lavoro, costituisca violazione al succitato articolo, indipendentemente dal perfezionamento dell’atto di trasferimento, sotto tutte le forme indicate, anche temporanee, del bene, salvo restando la possibilità di esporre limitate parti degli stessi, non potenzialmente funzionanti se non completate dalle parti indispensabili a soddisfare la normativa vigente sulla sicurezza sul lavoro”.

 

Prima di formulare il proprio parere la Commissione Interpelli precisa e sottolinea, come sempre, alcuni aspetti normativi.

 

Si ricorda innanzitutto il contenuto del comma 1 e 2 dell’articolo 23 e si ricorda che coerentemente al divieto espresso nell’articolo il successivo articolo 72, del medesimo decreto legislativo, stabilisce che ‘chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio al di fuori della disciplina di cui all’articolo 70, comma 1, attesta, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V’.

 

Si segnala poi che gli articoli 23 e 72 del D.Lgs. 81/2008 e successive modificazioni, “nel vietare la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale o impianti non conformi alla normativa tecnica, intendono perseguire la finalità di anticipare la tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, garantendo l’utilizzo unicamente di quei beni conformi ab origine ovvero di quelli preventivamente adeguati alla normativa”.

 

In questo senso la giurisprudenza in materia (con riferimento alla sentenza della Cassazione penale, sez. III, n. 40590 del 3 maggio 2013) ha affermato “come il divieto posto dall’articolo 23 sopra richiamato possa subire ‘[…] un qualche temperamento in chiave derogatoria laddove la vendita venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione, una volta ripristinata e messa a norma.’ In particolare, nella pronuncia innanzi richiamata si afferma che sulla base di ‘[…] un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale […] fermo restando che è vietato l’impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell’impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell’ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (utilizzo), laddove quest’ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinario presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all’origine), non può ritenersi vietata la vendita di un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione’”.

 

Ed è sulla base di questi elementi che la Commissione esprime il suo parere ritenendo che “la circolazione di attrezzature di lavoro, di dispositivi di protezione individuale ovvero di impianti non conformi, senza alcuna previsione di utilizzazione, ma con esclusivo e documentato fine demolitorio ovvero riparatorio per la messa a norma, così come la mera esposizione al pubblico, non ricadono nell’ambito di applicazione delle citate disposizioni normative, in considerazione della relativa ratio legis”, cioè dello spirito della legge.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la normativa di riferimento:

Commissione per gli interpelli – Interpello n. 1/2017 del 20 dicembre 2017 con risposta al quesito della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia – Prot. n. 22003 – Quesito ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni relativo all’articolo 23, del d.lgs. n. 81/2008. Seduta della Commissione del 13 dicembre 2017.

 

Corte di Cassazione – Penale Sezione III – Sentenza n. 40590 del 1 ottobre 2013 (u. p. 3 maggio 2013) –  Pres. Gentile – Est. Grillo – Ric. (omissis). – Il costruttore non è responsabile nel caso in cui cede una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza se la stessa non deve essere successivamente utilizzata ma solo sottoposta a riparazione e revisione per poi essere immessa in mercato.
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Fonte: puntosicuro.it

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Le responsabilità del preposto e lo svolgimento dei compiti di vigilanza

Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha confermata la condanna inflitta nei due primi gradi di giudizio ad un preposto per l’infortunio occorso in una azienda ad un lavoratore investito dalle forche di un carrello elevatoreguidato da un operatore privo della specifica abilitazione. La penale responsabilità del preposto era stata ravvisata per avere lo stesso tollerato una prassi scorretta e pericolosa in uso nell’azienda della quale era a conoscenza e della quale avrebbe dovuto impedire la prosecuzione nell’esercizio dei compiti di controllo inerenti la sua posizione di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro in relazione alle disposizioni di cui all’art. 19 lettere b) e d) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza dal Tribunale relativamente alla sola determinazione della pena, ha condannato il preposto di un’azienda, esercente attività di somministrazione di alimenti a mezzo di distributori automatici, alla pena di 20 giorni di reclusione ex art. 53 della L. 289/1981, sostituita dalla pena della multa nella misura di Euro 5.000,00 per il reato di cui all’art. 590, comma 3a in relazione all’art. 583, comma 1a cod. pen. per avere cagionato a un tecnico riparatore lesioni gravi consistenti nello schiacciamento del piede, con trauma distorsivo e conseguente incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per 63 giorni, per negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Era accaduto che il tecnico riparatore di distributori automatici, dopo avere provveduto alla pulizia di una gabbia di protezione dei distributori, si accingeva a caricarla sul muletto condotto dal lavoratore infortunato allorquando, inclinata la gabbia per consentire allo stesso di caricarla, veniva attinto dalle forche al piede sinistro che rimaneva schiacciato fra la gabbia e le forche medesime. Entrambi i lavoratori svolgevano nell’occasione operazioni non comprese nelle loro mansioni ed erano privi di formazione, informazioni ed addestramento sul lavoro da svolgere. La sentenza di primo grado aveva assolto, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, l’amministratore delegato della società che gestiva l’azienda mentre ha riconosciuto il preposto colpevole del reato di lesioni gravi, anche in relazione al disposto dell’art. 19 lettere b) e d) del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello il preposto ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, affidandolo ad un unico motivo relativo al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Lo stesso ha lamentato infatti che la Corte territoriale aveva omesso di valutare la sussistenza dell’interruzione del nesso causale, dovuta al comportamento abnorme ed imprevedibile del lavoratore, circa la scelta di utilizzare il muletto anziché il transpallet e nella parte in cui lo ha condannato per avere omesso l’informazione, la formazione e l’addestramento dei lavoratori (condotta oggetto dell’imputazione dell’amministratore delegato) anziché per la condotta contestagli nel capo di imputazione consistente nell’ avere omesso di vigilare affinché solo i lavoratori in possesso della specifica formazione circa l’utilizzo del carrello elevatore procedessero alle operazioni di manovra e di carico del mezzo.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha evidenziato, così come avevano già fatto i giudici della Corte di Appello, che presso lo stabilimento nel quale era accaduto l’evento infortunistico si era instaurata una prassi in forza della quale non solo gli addetti alla conduzione dei muletti ma anche i tecnici riparatori, quale era il conduttore dell’attrezzatura al momento dell’accaduto, manovravano i muletti per le incombenze loro affidate, prassi di cui il preposto, peraltro presente il giorno dell’incidente, era a perfetta conoscenza e per evitare la quale non era mai intervenuto.

 

Non corrispondeva inoltre a verità, ha fatto osservare la suprema Corte, che la condanna fosse stata inflitta per la omessa informazione, formazione ed addestramento dei lavoratori, perché la Corte territoriale aveva riconosciuta la sua penale responsabilità solo ed esclusivamente per avere tollerato la prassi scorretta e pericolosa e di cui avrebbe dovuto impedire la prosecuzione nell’esercizio dei compiti di direzione e controllo inerenti la sua posizione di garanzia in materia di sicurezza.

 

In ogni caso, comunque, la suprema Corte, essendosi consumata la prescrizione avuto riguardo alla data di produzione dell’evento ed essendosi pertanto estinto il reato, ha annullata la sentenza impugnata senza rinvio.

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 54825 del 6 dicembre 2017 (u.p. 15 novembre 2017) – Pres. Piccialli – Est. Nardin – Ric. M.C. – Il preposto è responsabile dell’infortunio occorso a un lavoratore attinto dalle forche di un carrello elevatore condotto da un operatore sfornito della specifica abilitazione se, pur sapendolo, non è intervenuto ad impedire l’uso dell’attrezzatura.

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Inail – Contact center

Il numero telefonico 06.6001 risponde a richieste di informazioni su aspetti normativi, procedurali e su singole pratiche.
Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 20.00, sabato e prefestivi dalle ore 8.00 alle ore 14.00.
Il numero è disponibile sia da rete fissa sia da rete mobile, secondo quanto previsto dal piano tariffario del gestore telefonico di ciascun utente.

 

Ultimo aggiornamento: 02/01/2018

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Le responsabilità del preposto e lo svolgimento dei compiti di vigilanza

Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha confermata la condanna inflitta nei due primi gradi di giudizio ad un preposto per l’infortunio occorso in una azienda ad un lavoratore investito dalle forche di un carrello elevatoreguidato da un operatore privo della specifica abilitazione. La penale responsabilità del preposto era stata ravvisata per avere lo stesso tollerato una prassi scorretta e pericolosa in uso nell’azienda della quale era a conoscenza e della quale avrebbe dovuto impedire la prosecuzione nell’esercizio dei compiti di controllo inerenti la sua posizione di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro in relazione alle disposizioni di cui all’art. 19 lettere b) e d) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza dal Tribunale relativamente alla sola determinazione della pena, ha condannato il preposto di un’azienda, esercente attività di somministrazione di alimenti a mezzo di distributori automatici, alla pena di 20 giorni di reclusione ex art. 53 della L. 289/1981, sostituita dalla pena della multa nella misura di Euro 5.000,00 per il reato di cui all’art. 590, comma 3a in relazione all’art. 583, comma 1a cod. pen. per avere cagionato a un tecnico riparatore lesioni gravi consistenti nello schiacciamento del piede, con trauma distorsivo e conseguente incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per 63 giorni, per negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Era accaduto che il tecnico riparatore di distributori automatici, dopo avere provveduto alla pulizia di una gabbia di protezione dei distributori, si accingeva a caricarla sul muletto condotto dal lavoratore infortunato allorquando, inclinata la gabbia per consentire allo stesso di caricarla, veniva attinto dalle forche al piede sinistro che rimaneva schiacciato fra la gabbia e le forche medesime. Entrambi i lavoratori svolgevano nell’occasione operazioni non comprese nelle loro mansioni ed erano privi di formazione, informazioni ed addestramento sul lavoro da svolgere. La sentenza di primo grado aveva assolto, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, l’amministratore delegato della società che gestiva l’azienda mentre ha riconosciuto il preposto colpevole del reato di lesioni gravi, anche in relazione al disposto dell’art. 19 lettere b) e d) del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello il preposto ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, affidandolo ad un unico motivo relativo al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Lo stesso ha lamentato infatti che la Corte territoriale aveva omesso di valutare la sussistenza dell’interruzione del nesso causale, dovuta al comportamento abnorme ed imprevedibile del lavoratore, circa la scelta di utilizzare il muletto anziché il transpallet e nella parte in cui lo ha condannato per avere omesso l’informazione, la formazione e l’addestramento dei lavoratori (condotta oggetto dell’imputazione dell’amministratore delegato) anziché per la condotta contestagli nel capo di imputazione consistente nell’ avere omesso di vigilare affinché solo i lavoratori in possesso della specifica formazione circa l’utilizzo del carrello elevatore procedessero alle operazioni di manovra e di carico del mezzo.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha evidenziato, così come avevano già fatto i giudici della Corte di Appello, che presso lo stabilimento nel quale era accaduto l’evento infortunistico si era instaurata una prassi in forza della quale non solo gli addetti alla conduzione dei muletti ma anche i tecnici riparatori, quale era il conduttore dell’attrezzatura al momento dell’accaduto, manovravano i muletti per le incombenze loro affidate, prassi di cui il preposto, peraltro presente il giorno dell’incidente, era a perfetta conoscenza e per evitare la quale non era mai intervenuto.

 

Non corrispondeva inoltre a verità, ha fatto osservare la suprema Corte, che la condanna fosse stata inflitta per la omessa informazione, formazione ed addestramento dei lavoratori, perché la Corte territoriale aveva riconosciuta la sua penale responsabilità solo ed esclusivamente per avere tollerato la prassi scorretta e pericolosa e di cui avrebbe dovuto impedire la prosecuzione nell’esercizio dei compiti di direzione e controllo inerenti la sua posizione di garanzia in materia di sicurezza.

 

In ogni caso, comunque, la suprema Corte, essendosi consumata la prescrizione avuto riguardo alla data di produzione dell’evento ed essendosi pertanto estinto il reato, ha annullata la sentenza impugnata senza rinvio.

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 54825 del 6 dicembre 2017 (u.p. 15 novembre 2017) – Pres. Piccialli – Est. Nardin – Ric. M.C. – Il preposto è responsabile dell’infortunio occorso a un lavoratore attinto dalle forche di un carrello elevatore condotto da un operatore sfornito della specifica abilitazione se, pur sapendolo, non è intervenuto ad impedire l’uso dell’attrezzatura.

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Come diventare operatori volontari di protezione civile

In un paese fragile come il nostro, soggetto spesso a calamità ed eventi naturali di diversa gravità (frane, alluvioni, slavine, incendi, terremoti, …), il sistema della Protezione Civile svolge una funzione estremamente importante in materia di prevenzione, di rischio, di soccorso e di riduzione del disagio per le persone colpite. E l’efficacia degli interventi si basa anche sulla collaborazione, sul coordinamento e sulle competenze di tutte le componenti sociali che fanno parte della Protezione Civile, a partire dai volontari.

 

Se la Protezione Civile vede nel volontariato una importante strumento per rendere ciascuno partecipante attivo in caso di emergenza, è necessario fornire ai volontari, con riferimento anche a quanto richiesto dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ( D.Lgs. 81/2008), un’adeguata formazione che comprenda la consapevolezza dei pericoli, dei ruoli e delle corrette pratiche di sicurezza.

 

Proprio per favorire un’adeguata formazione del Volontario di Protezione Civile, l’Associazione Italiana Formatori della Sicurezza di Volontariato per la Protezione Civile ( AiFOS Protezione Civile) ha organizzato tra gennaio e febbraio 2018 il “Corso base per operatori volontari di Protezione Civile (A1-01)” della durata di 16 ore. Il corso si svolgerà in due giornate, la prima a Brescia il 27 gennaio o ad Albano Sant’Alessandro (Bergamo) il 10 febbraio e la seconda a Brescia l’11 febbraio.

 

Il percorso formativo si propone, attraverso adeguate ed efficaci metodologie organizzative e formative, di orientare, informare e formare il Volontario di Protezione Civile circa gli aspetti normativi, organizzativi e le peculiari competenze presenti nel Sistema di Protezione Civile e nell’ambito del Volontariato.

L’obiettivo principale del corso è fornire al Volontario base una conoscenza, generale ma completa, del Sistema di Protezione Civile e del Volontariato, degli aspetti normativi, delle sue componenti, attività e competenze. E fine ultimo del corso è costruire un’identità consapevole del Volontario circa il suo ruolo, le sue competenze e le possibilità di implementazione all’interno del Sistema di Protezione Civile.

 

Ricordiamo che l’Associazione AiFOS Protezione Civile ha tra le sue finalità:

– la formazione degli operatori della protezione civile, dei volontari, della popolazione, di enti ed istituzioni pubbliche e private, della scuola e del mondo del lavoro nonché delle strutture e delle organizzazioni che operano nel settore;

– l’assistenza, consulenza, formulazione, redazione, revisione e aggiornamenti per le amministrazioni pubbliche di piani di emergenza e di protezione civile;

– la fornitura di servizi logistici e di organizzazione, anche con l’ausilio di strumenti informatici, multimediali, utilizzando l’innovazione tecnologica nonché di supporto comportamentale a seguito di eventi calamitosi;

– la promozione per lo sviluppo della cultura del settore con particolare riguardo alla scuola, agli studenti, ai genitori ed ai giovani.

 

Il corso, progettato e realizzato in linea con le indicazioni fornite da Regione Lombardia e dalla Scuola Superiore di Protezione Civile in conformità con i nuovi standard formativi stabiliti dalla D.G.R. n.X/1371 del 14 febbraio 2014, è rivolto a volontari affiliati ad un’Organizzazione di Protezione Civile non ancora formati al livello di base A1-01 e ad aspiranti volontari che hanno frequentato il corso A0-01 “Introduzione al Sistema di Protezione Civile”. E i partecipanti devono, dunque, essere in possesso dell’attestato relativo percorso informativo A0-01 o essere iscritti ad un’Organizzazione di Volontariato di Protezione Civile iscritta nell’Albo Regionale.

 

Il “Corso base per operatori volontari di Protezione Civile (A1-01)” si svolgerà in due giornate di 8 ore ciascuna (dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00).

 

Le prime otto ore del corso possono essere seguite, a scelta, in uno dei seguenti luoghi e date:

– sabato 27 gennaio 2018 a Brescia presso la sede di Aifos Protezione Civile in Via Branze n. 45 c/o CSMT, Università degli studi di Brescia;

– sabato 10 febbraio 2018 a Albano Sant’Alessandro (Bergamo), presso la Sala consiliare del Comune di Albano – Piazza Caduti per la Patria n. 2.

 

La seconda giornata del corso si terrà, per tutti, domenica 11 febbraio 2018 a Brescia presso la sede di Aifos Protezione Civile.

 

Il programma generale della prima giornata:

– Modulo 1: Concetti di Base e Legislazione in Materia di Protezione Civile

– Modulo 2: Il Volontario di Protezione Civile

– Modulo 3: Comunicazioni Radio

 

Il programma generale della seconda giornata:

– Modulo 4: I Rischi Naturali ed Antropici

– Modulo 5: D.P.I. ed Antincendio

– Modulo 6: L’Emergenza di Protezione Civile

– Dibattito e Test di Valutazione Finale

 

Per partecipare al corso, a numero chiuso, è necessario inviare la scheda d’iscrizione all’indirizzo e-mail: protezionecivile.info@aifos.it

 

 

Il link per avere ulteriori dettagli sul corso…

 

 

Per informazioni e iscrizioni:

Direzione scientifica Aifos Protezione Civile – via Branze, 45 – 25123 Brescia c/o CSMT, Università degli Studi di Brescia – tel.030.6595035 – fax 030.6595040 www.aifosprotezionecivile.org – protezionecivile.info@aifos.it

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Registro infortuni e cancerogeni

Pubblichiamo un approfondimento sulle novità relative ai Registri degli esposti ad agenti cancerogeni o mutageni e biologici e degli infortuni (ai sensi del DLGS 81 del 2008 s.m.), a cura di Cinzia Frascheri (Giulavorista Responsabile nazionle CISL Salute e sicurezza sul lavoro).

 

Registro degli esposti ad agenti cancerogeni o mutageni e biologici

Le disposizioni normative e procedurali, a carico del datore di lavoro, relative alla tenuta dei registri dei lavoratori esposti agli agenti cancerogeni o mutageni (art.243, DLGS 81 del 2008 s.m.), così come dei lavoratori esposti agli agenti biologici (art. 280, DLGS 81 del 2008 s.m.) hanno trovato per lungo tempo completa sovrapposizione con quanto previsto per il registro degli infortuni (sul tema, art.18, comma 1, lett. r, DLGS 81 del 2008 s.m.).

 

Difatti, riferendosi a quanto disposto all’art.53, comma 6, prima delle significative modifiche apportate nel 2015, nei riguardi dei registri degli esposti ad agenti cancerogeni o mutageni e biologici (al pari del registro degli infortuni) era previsto rimanessero in vigore fino a «sei mesi» dopo l’adozione del decreto interministeriale con il quale si sarebbe istituito il Sistema Informativo Nazionale di Prevenzione (SINP). Un Sistema innovativo (che ricordiamo, non previsto nel DLGS 626 del 1994), finalizzato non solo alla costituzione di una banca dati informatizzata nazionale prevista per raccogliere tutte le comunicazioni dei datori di lavoro relative agli infortuni sul lavoro, a fini statistici e assicurativi, ma quale sistema più ampio di gestione e di confronto dei flussi informativi, nonché dei dati relativi al quadro occupazionale e di rischio, utili al promuovere interventi mirati di prevenzione. Un utilissimo strumento che avrebbe dovuto essere istituito, secondo quanto disposto ai sensi dell’art.8, comma 4, «entro 180 giorni» dalla data di entrata in vigore del DLGS 81 del 2008 s.m..

 

Pur considerando l’evidente ritardo accumulato nella costituzione del SINP (varato solo nel 2016), negli anni quando disposto a carico del datore di lavoro in merito alla tenuta dei registri ha proseguito la sua vigenza, dando piena concretezza anche all’obbligo, sempre a suo carico, di far accedere il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (nelle sue diverse tipologie: aziendale e territoriale) ai dati in essi contenuti (ai sensi degli artt.243, comma 1 e 280, comma 2), quale diritto finalizzato all’espletamento della funzione. Non intervenute modifiche normative, sul punto specifico, all’art.53, comma 6 del DLGS 81 del 2008 s.m. (cosa ben diversa per i registri degli infortuni), le modalità di tenuta dei registri degli esposti agli agenti cancerogeni e biologi sono perdurate in modo immutato fino al varo del Decreto Interministeriale n.183, del 25 maggio 2016, con il quale è stato varato il SINP (a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in GU, avvenuta il giorno 27 settembre 2016).

 

Trascorsi «sei mesi» da quest’ultima data, secondo quanto dettato dall’art.53, comma 6, le disposizioni in merito alla tenuta dei registri degli esposti agli agenti cancerogeni e biologi avrebbero dovuto essere abrogate, sostituendo la registrazione dei dati con una comunicazione effettuata dal datore di lavoro in modalità telematica, gestita dall’INAIL, finalizzata a consentire, per il suo tramite, il trasferimento delle informazioni al SINP.

 

Vedendo sopraggiungere tale scadenza, non essendoci le condizioni per poter sostituire la registrazione con una comunicazione telematica dei dati riferiti agli esposti, cogliendo l’opportunità offerta dal Decreto Milleproroghe del 2016 (DL 30 dicembre 2016, n. 244, convertito nella L. 27 febbraio 2017, n.19), con l’art.3, comma 2, è stata introdotta una modifica al termine temporale dei «sei mesi», raddoppiandone il tempo, e indicando un  nuovo termine pari a «12 mesi». Alla luce di tale modifica, la data del 12 ottobre 2017, quale vigilia del compimento dei dodici mesi previsti dall’avvio dell’operatività del SINP, segna concretamente l’inizio per i datori di lavoro di effettuare la comunicazione relativa ai lavoratori esposti ad agenti cancerogeni o mutageni e agli agenti biologici attraverso la modalità telematica, predisposta dall’INAIL. Una comunicazione che, per il tramite dell’Istituto, confluendo nel SINP, permetterà agli ispettori delle ASL di poter accedere in qualsiasi momento a tali informazioni, ampliando così il sistema di prevenzione e monitoraggio dei lavoratori esposti.

 

A fronte di tale importante novità, è opportuno comunque precisare che non muta, e si conferma, quanto previsto agli artt. 243, comma 1 e 280, comma 2 del DLGS 81 del 2008 s.m., in base ai quali a carico dei datori di lavoro sussiste l’obbligo di far accedere gli RSPP e gli RLS (nella loro duplice tipologia: aziendali e territoriali) alle comunicazioni effettuate relative ai lavoratori esposti, sia per quanto riguarda gli agenti cancerogeni che biologici. A garanzia di tale disposizione, difatti, l’INAIL ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di stampare i moduli contenenti le comunicazioni, tenuto conto che il codice telematico di accesso azienda è riservato al datore di lavoro.

 

Il passaggio dalla modalità cartacea dei registri degli esposti a quella informatizzata non prevede alcuna perdita di informazioni, tenuto conto che quanto disposto non ha subito modifica alcuna. Pertanto nelle schede di comunicazione informatizzate è previsto che il datore di lavoro indichi per ciascun esposto l’attività svolta, l’agente cancerogeno (o mutageno) e biologico utilizzato e, ove noto, il valore dell’esposizione a tale agente. Fattore positivo, in questo senso, favorito dalla modalità informatizzata, l’elenco già preordinato nel modulo da compilare degli agenti cancerogeni o mutageni e biologici per i quali le disposizioni normative prevedono il sottoporre gli esposti a sorveglianza sanitaria e, pertanto, a relativa comunicazione.

 

A rimanere invariato è anche l’obbligo a carico del medico competente di istituire e aggiornare per ciascun esposto una cartella sanitaria e di rischio, secondo quanto previsto dall’articolo 25, comma 1, lett. c). A cura, invece, del datore di lavoro resta confermato l’obbligo di comunicare ai lavoratori interessati, dietro loro richiesta, le relative annotazioni individuali trasmesse e, tramite il medico competente, i dati della cartella sanitaria e di rischio.

 

Registro degli infortuni sul lavoro

Secondo quanto disposto all’art.53, comma 6 del DLGS 81/2008 s.m., prima delle significative modifiche apportate nel 2015, il registro degli infortuni (assieme al registro dei cancerogeni o mutageni e biologici) era previsto rimanesse in vigore fino a «sei mesi» dopo l’adozione del decreto interministeriale, con il quale si sarebbe istituito il Sistema Informativo Nazionale di Prevenzione (SINP).  Un Sistema innovativo che, come ricordato nel paragrafo precedente (non previsto nel DLGS 626 del 1994), fondamentale ai fini di un migliore sistema di prevenzione, avrebbe dovuto essere istituito, secondo quanto disposto ai sensi dell’art.8, comma 4, «entro 180 giorni» dalla data di entrata in vigore del DLGS 81 del 2008 s.m..

 

Pur considerando, anche in questo caso, l’evidente ritardo accumulato nella costituzione del SINP (varato solo nel 2016), negli anni quando disposto a carico del datore di lavoro in merito alla tenuta del registro degli infortuni ha proseguito la sua vigenza, dando piena concretezza anche all’obbligo, sempre a suo carico, di far accedere il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (nelle sue diverse tipologie: aziendale e territoriali) ai dati contenuti nel registro (ai sensi dell’art.18, comma 1, lett o), quale diritto finalizzato all’espletamento della sua funzione.

 

Ad irrompere in tale assetto, determinato da tutt’altre ragioni, è giunto, in data 14 settembre 2015, il DLGS n.151 che, volto a semplificare e razionalizzare le procedure di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro, ha introdotto alcune modifiche nell’articolato del DLGS 81/2008, interessando, tra gli altri, quanto disposto in merito al registro degli infortuni.

 

Mediante l’art.21, comma 4 del DLGS 151 del 2015 (decreto attuativo, delle più ampia legge delega 10 dicembre 2014, n.183, più conosciuta come Jobs Act) è stato disposto che «a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, è abolito l’obbligo di tenuta del registro degli infortuni» e, con l’art.20, comma 1, lett. h, la soppressione del riferimento «al registro degli infortuni», previsto all’art.53, comma 6 del DLGS 81/2008, a partire dall’entrata in vigore del decreto di riforma (prevista per il 24 settembre 2015).

 

La data del 23 dicembre 2015 (novantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del DLSG 151/15) avrebbe, pertanto, rappresentato l’inizio di un periodo, in attesa del varo del SINP, di grande confusione sussistendo l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di denuncia degli infortuni, ma allo stesso tempo, l’abolizione del registro. Nello stesso giorno, però, colmando un vuoto normativo rilevante, l’INAIL, mediante una propria circolare n.92 del 23 dicembre 2015, non sostituendosi al legislatore, ma offrendo una soluzione concreta, introdusse per la prima volta il «Cruscotto infortuni».

 

Con tale novità l’ente assicurativo mirava, secondo il dettato della stessa circolare, ad «offrire agli organi preposti all’attività di vigilanza uno strumento alternativo» al registro degli infortuni, realizzando un sistema finalizzato a fornire quei dati e quelle informazioni utili all’attività ispettiva, a fronte dell’invariato obbligo di denuncia da parte del datore di lavoro degli eventi infortunistici occorsi ai propri prestatori d’opera. Disposizione quest’ultima, invariata e pienamente vigente, ai sensi dell’art.53 del d.P.R. n.1124 del 1965 che, pur modificato anch’esso dallo stesso DLGS 151/2015 (con l’art.21, comma 1, lett. b), manteneva sul punto quanto previsto.

 

Il 25 maggio 2016, con il Decreto Interministeriale n.183, veniva definitivamente varato il SINP, avviandosi così finalmente (a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in GU, avvenuta il giorno 27 settembre 2016) la costruzione di quella tanto auspicata banca dati informatizzata nazionale volta a raccogliere un insieme di dati utili fondamentali, al fine di promuovere interventi mirati di prevenzione. Avviatosi il SINP, e constatando la rilevante portata del poter avere a disposizione un sistema unico informatizzato di dati, nei mesi a seguire apparve però evidente che l’interazione di così tanti flussi informativi avrebbe richiesto un tempo più lungo di realizzazione di quanto ipotizzato.

 

Avvicinandosi così, da un lato la scadenza dei «sei mesi» per il passaggio dalla tenuta dei registri degli esposti agli agenti cancerogeni e biologici (ai sensi dell’art.53, comma 6) alla comunicazione telematica dei dati all’INAIL e, pertanto, al SINP, ma non meno anche la scadenza per rendere concreto l’obbligo della comunicazione, ai fini statistici, degli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento (ai sensi dell’art.18, comma 1, lett. r e comma 1-bis), cogliendo l’opportunità offerta dal Decreto Milleproroghe del 2016 (DL 30 dicembre 2016, n. 244, convertito nella L. 27 febbraio 2017, n.19), con l’art.3, comma 2 e comma 3-bis, è stata introdotta una necessaria proroga temporale; acquisendo così, nel passaggio da «sei mesi» a «12 mesi», un più ampio margine per la messa a regime del sistema.

 

Giungendo a scadenza i dodici mesi, nella data del 12 ottobre 2017, l’INAIL ha inteso onorare tale termine, dando avvio complessivo alle modalità di comunicazione relative agli infortuni sul lavoro con quelle riferite ai lavoratori esposti agli agenti cancerogeni e biologici, celebrando un anno di operatività del SINP, inaugurando i due modelli informatizzati di raccolta delle comunicazioni. Con il varo defintivo del sistema informatizzato di comunicazione riferito agli infortuni sul lavoro, a partire dalla data del 12 ottobre, ai sensi dell’art.18, comma 1, lett. r) del DLGS 81/2008 s.m., tutto quanto disposto andrà interamente a regime.

– Per quanto riguarda la comunicazione degli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni, per i quali attualmente era prevista la modalità del “Cruscotto degli infortuni”, varato dall’INAIL, per i datori di lavoro non cambierà alcunché, sul piano del merito, ma esclusivamente sul piano delle modalità operative, considerato che anche per tale comunicazione è previsto un nuovo portale dedicato.

– Per quanto concerne, invece, la comunicazione degli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno (escluso quello dell’evento), a fini statistici e informativi, novità introdotta dal DLGS 81 del 2008 e per la prima volta resa operativa, sarà anch’essa, a carico del datore di lavoro, obbligatoria.

 

Alla luce delle novità, anche in questo caso, si conferma che permane il diritto in capo al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (aziendale e territoriale) relativo all’accesso alle comunicazioni svolte dal datore di lavoro, in merito agli infortuni sul lavoro, sia a fini statistici che assicurativi (ai sensi dell’art.18, comma 1, lett. o, del DLGS 81/2008 s.m.). A tale fine, difatti, i moduli informatizzati da compilare, nel portale dell’INAIL, sono stati tutti resi stampabili, tenuto conto che il codice identificativo aziendale di accesso è previsto sia riservato unicamente al datore di lavoro.

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Alternanza scuola-lavoro: normativa, formazione e valutazione

Firenze, 1 Dic – L’intervista che ci ha concesso nei mesi scorsi Cinzia Frascheri (Responsabile nazionale Cisl Salute e Sicurezza sul Lavoro) ci ha permesso di comprendere come l’alternanza scuola-lavoro, una metodologia didattica che si inserisce nel quadro del più ampio del progetto denominato «La Buona scuola», regolato dalla Legge n.107 del 13 luglio 2015, abbia ancora criticità e aspetti che sono da chiarire o, comunque, da approfondire.

 

Per cercare di approfondire l’alternanza scuola-lavoro più nel dettaglio, con riferimento anche a quanto indicato dalla normativa, possiamo fare riferimento ad un intervento al convegno “ La gestione della sicurezza nell’alternanza scuola-lavoro” che si è tenuto a Firenze lo scorso 24 maggio 2017 e che è stato organizzato dall’ I.I.S. “Leonardo da Vinci” di Firenze e dalla RESAS, la Rete delle Scuole ed Agenzie per la Sicurezza della Provincia di Firenze.

Nell’intervento “Alternanza Scuola-Lavoro e sicurezza”, a cura di Roberto Curtolo dell’Ufficio scolastico regionale per la Toscana, si sottolinea l’importanza, nella definizione di questa metodologia, della Circolare INAIL n. 44 del 21 novembre 2016.

Una circolare che definisce:

– “il recepimento della natura e delle caratteristiche dell’attività di alternanza (nota 1);

– l’assimilazione dello studente a lavoratore in quanto esposto ai medesimi rischi pur non svolgendo attività lavorativa (nota 2) e in questo fa fede il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124: “Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, artt. 1 e 4;

– che gli studenti sono assicurati anche quando svolgono l’attività al di fuori di un luogo fisico circoscritto, se tale luogo è indicato negli atti della convenzione fra scuola e impresa e quindi nel patto formativo (nota 3);

– l’obbligatorietà della formazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro prevista dall’art. 37 del D.lgs. 81/2008 in quanto equiparati a lavoratori, sempre in forza dell’art. 2 comma 1 del citato decreto (nota 4)”.

E sono quindi – continua la relazione – “definibili come curricolari tutti gli stage che soddisfano contemporaneamente i seguenti criteri:

– l’ente promotore è una Università o un ente di formazione abilitato al rilascio di titoli di studio;

– il soggetto beneficiario è uno studente di scuola superiore, università, master e dottorati universitari o un allievo di istituti professionali e corsi di formazione;

– lo stage è svolto durante il percorso di studio, anche se non direttamente correlato all’acquisizione di crediti”.

 

Ed è proprio importante comprendere il senso del termine “curricolare” che consente la copertura assicurativa delle attività di alternanza scuola-lavoro (AS-L) in relazione all’INAIL.

 

Si indicano, a questo proposito, alcuni aspetti della Legge 107/2015 (articolo 1, commi da 33 a 43):

– ‘i percorsi di alternanza sono inseriti nei piani triennali dell’offerta formativa’ (comma 33);

– “i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui si parla nella L. 107/2015 al comma 33, per esplicita dichiarazione, sono quelli previsti dal D.Lgvo 15 aprile 2015 n. 77”.

 

Veniamo dunque all’ alternanza scuola-lavoro secondo il Decreto Legislativo 15 aprile 2005, n. 77 “Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, a norma dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53”:

– Art. 4 comma 6: ‘i percorsi di AS-L sono definiti e programmati all’interno del piano dell’offerta formativa’;

– Art. 4 comma 2: ‘I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro fanno parte integrante dei percorsi formativi personalizzati, volti alla realizzazione del profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi e degli obiettivi generali e specifici di apprendimento stabiliti a livello nazionale e regionale’;

– Art. 4 comma 4: ‘Nell’ambito dell’orario complessivo annuale dei piani di studio, i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro, previsti nel progetto educativo personalizzato relativo al percorso scolastico o formativo, possono essere svolti anche in periodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni’. E “quest’ultima affermazione è ripresa dal comma 35 dell’art. 1 della L. 107/2016”.

 

Inoltre, continua il relatore, secondo il regolamento sull’autonomia scolastica, D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, il curricolo “si articola in discipline e attività definite a livello nazionale e in discipline e attività la cui determinazione è lasciata alle scuole. Ovviamente, a livello nazionale, viene definito ‘l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli, comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche’”.

E l’orario complessivo annuale dei piani di studio “è quindi, attualmente, quello definito dai DPR 15 marzo 2010 n. 87, n. 88, n. 89, fermo restando che ogni istituzione scolastica può indicare, nel rispetto delle quote orarie delle discipline e attività definite a livello nazionale, quelle individuate dalle singole istituzioni secondo i margini di flessibilità previsti dai relativi decreti”.

 

Dunque l’ alternanza scuola-lavoro sta dentro il curricolo, dentro il percorso educativo stabilito per raggiungere gli obiettivi e le competenze stabilite.

Le attività di AS-L, “per essere coperte dall’assicurazione INAIL, devono essere comprese nel curricolo annuale, non eccedenti, anche quando si svolgono nei periodi di sospensione dell’attività didattica”. E il D.Lgvo 77/2005 art. 4, comma 4, indica che ‘Nell’ambito dell’orario complessivo annuale dei piani di studio, i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro, previsti nel progetto educativo personalizzato relativo al percorso scolastico o formativo, possono essere svolti anche in periodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni’.

 

Riguardo alla formazione, segnaliamo che nell’ alternanza scuola-lavoro la formazione generale:

– “compete all’Istituzione Scolastica”: ‘gli istituti di istruzione e universitari provvedono a rilasciare agli allievi equiparati ai lavoratori … gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro’ (D.Lgs. 81/2008, art. 37, comma 14-bis);

– dura 4 ore;

– “deve essere certificata (cfr. Decreto interministeriale 6 marzo 2013 – Criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro).

E la formazione specifica:

– ha una “durata stabilita in base al livello di rischio stabilito nell’Accordo Stato-Regioni” del 21 dicembre 2011;

– “compete alla struttura ospitante che può, però, tramite la convenzione, delegarne la realizzazione all’istituzione scolastica;

– deve essere certificata (cfr. Decreto interministeriale 6 marzo 2013 – Criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro)”.

 

Riprendiamo invece, in conclusione, alcune indicazioni relative alla valutazione dei rischi.

 

Si indica che nel documento di valutazione dei rischi del soggetto ospitante “dovrà essere, in qualche modo, prevista la presenza di soggetti in formazione (non in apprendistato): tirocinanti, stagisti”.

E “sarebbe opportuno, proprio per definire il livello di approfondimento attinente alla formazione specifica e per individuare l’eventuale obbligo alla sorveglianza sanitaria, che il DVR del soggetto ospitante definisse le modalità generali di accesso degli studenti ospitati alle proprie strutture”.

 

Rimandiamo, infine, alla lettura integrale dell’intervento che si sofferma anche sul tema delle convenzioni, sulla sorveglianza sanitaria e su quanto sta facendo, per l’AS-L, la Regione Toscana.

 

 

“ Alternanza Scuola-Lavoro e sicurezza”, a cura di Roberto Curtolo dell’Ufficio scolastico regionale per la Toscana, intervento al convegno “La gestione della sicurezza nell’alternanza scuola-lavoro” (formazione PDF, 142 kB).

 

 

Tiziano Menduto

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Striscia la notizia e la sicurezza antiterrorismo

In appendice a questo appunto i lettori trovano il link ad alcuni filmati, proiettati dalla popolare trasmissione satirica “Striscia la notizia”, che dimostrano in modo oltremodo preoccupante quanto possa essere facile per un automezzo, che potrebbe anche essere un’autobomba, arrivare in aree critiche della città, con i conseguenti rischi, che purtroppo sono stati già registrati in altre città europee.

 

I lettori certamente ricorderanno che abbiamo già dato notizia, in passato, dei problemi legati all’applicazione dell’ormai famosa direttiva Gabrielli, che propriamente è la direttiva generale del capo della polizia emessa in data 7 giugno 2017.

 

Questa direttiva ha creato numerosi problemi alle amministrazioni comunali, che si sono trovate davanti a difficoltà, e talvolta incapacità, nell’applicare le indicazioni di questa circolare.

In particolare, abbiamo attirato l’attenzione dei lettori sulla necessità di introdurre degli ostacoli che possano impedire l’accesso in velocità di un autoveicolo, a bordo del quale potrebbero trovarsi esplosivi. Ovviamente, oltre al rischio legato un’autobomba vi è anche il rischio legato ad un’auto che investe numerosi cittadini.

 

Durante la recente Mostra Sicurezza 2017 l’associazione italiana professionisti della sicurezza AIPROS ha organizzato un seminario proprio dedicato a questi temi, che dovrebbero essere portati a conoscenza dei comandanti delle polizie locali e degli assessori alla sicurezza e al turismo. Risulta a chi scrive che almeno un prefetto del Nord Italia abbia già organizzato una conferenza tecnica specializzata, indirizzata proprio a questi soggetti, per meglio illustrare le modalità con cui è possibile bloccare un autoveicolo attaccante, ovviamente indipendentemente dal fatto che a bordo possa trovarsi un ordigno.

 

Al proposito, non posso che plaudire alla direttiva del capo di gabinetto, il prefetto Morcone, in data 28 luglio 2017, che affronta in maniera assai razionale l’intero problema della valutazione dei rischi di un evento pubblico.

 

Come tutti i professionisti della security ben sanno, il primo passo per mettere sotto controllo i rischi è quello di individuarlo correttamente ed a questo proposito ricordo che la norma ISO 31000 classifica i rischi in cinque categorie, determinate moltiplicando la prevista probabilità che si verifichi il rischio per l’impatto che il verificarsi del rischio stesso potrebbe avere.

Ho apprezzato la circolare del prefetto Morcone perché è impostata secondo queste stesse linee guida, stabilendo quindi che le modalità di classificazione di un rischio sono ricavate dal prodotto della sua probabilità di accadimento per il danno conseguente.

Mi ha un poco stupito, per la verità, il fatto che mentre la norma internazionale stabilisce cinque livelli di rischio, la direttiva del prefetto Morcone ne individua soltanto tre. Questi tre livelli corrispondono a dei punteggi, che vengono calcolati sulla base di indicazioni, riportate in alcune tabelle, allegate alla circolare stessa.

Ad esempio, queste tabelle prendono in considerazione il numero degli spettatori, il numero delle vie di accesso, nonché tutta una serie di altri parametri, che permettono appunto di giungere all’attribuzione di un ponteggio e quindi alla classificazione ai tre livelli menzionati.

Credo che sia la prima volta che la pubblica amministrazione affronta in questo modo logico e razionale la procedura di classificazione di un rischio e, sulla base del livello così determinato, indica quali siano le misure minime da adottare, per mettere questo stesso rischio sotto controllo.

A questo punto sembrerebbe evidente che un assessore al turismo o alla sicurezza, assistito da un comandante di polizia locale, non possa far altro che rivolgersi ad un professionista della security, debitamente certificato, il cui percorso di studi è proprio intimamente legato al processo di valutazione del rischio e di messa sotto controllo del rischio stesso.

Purtroppo ad oggi il livello di conoscenza dei pubblici amministratori è ancora insoddisfacente ed ecco la ragione per la quale esorto i professionisti della security a prendere contatto con le appropriate autorità locali, per mettere a disposizione le conoscenze ed esperienze, che permettono appunto di valutare correttamente il rischio, in cooperazione con le pubbliche autorità coinvolte, e metterlo sotto controllo, sulla base dell’esperienza specifica del professionista.

Per comodità del lettore, in allegato a questo documento metto a disposizione non solo la ormai famosa circolare Gabrielli del 7 giugno 2017, ma anche la direttiva del prefetto Morcone, in data 28 luglio 2017, che illustra le modalità con le quali deve procedere il professionista della security coinvolto, per giungere alla determinazione del livello di rischio e alla individuazione delle misure di messa sotto controllo.

 

Inoltre metto a disposizione anche il link alle immagini, oltremodo preoccupanti, trasmesse dalla trasmissione satirica “Striscia la notizia”.

 

 

Adalberto Biasiotti

 

 

Circolare Gabrielli del 7 giugno 2017 (pdf 1.9 MB)

 

Direttiva del prefetto Morcone del 28 luglio 2017(pdf 2.5 MB)

 

Link al servizio di “Striscia la notizia”.

 

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it