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Piani di emergenza per eventi rilevanti: riflessioni e suggerimenti

Ospitiamo un articolo tratto da  PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che propone un intervento realizzato da Antonio Zuliani, Francesco Davalli, Lorenzo Pieri.

 

PIANI DI EMERGENZA PER EVENTI RILEVANTI: RIFLESSIONI E SUGGERIMENTI

Quanto è accaduto la sera del 3 giugno in piazza San Carlo a Torino in occasione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid ha proposto all’attenzione dell’opinione pubblica come eventi nati a scopo di svago possano trasformarsi in situazioni drammatiche. Si tratta di eventi definiti come rilevanti o per il numero elevato delle persone presenti o per il loro obiettivo o per un contesto particolare; essi devono essere organizzati con attenzione rispetto sia alla security sia alla safety.

 

È quanto si evidenzia sia dalla Circolare del 7 giugno che il Capo della Polizia Gabrielli ha inviato ai Prefetti e ai Questori sia in quella del 19 giugno indirizzata ai Comandi dei Vigili del Fuoco. L’importanza di una pianificazione interdisciplinare è stata poi ribadita dalla Circolare 11001/110/(10) emanata dal Ministero degli Interni il 28 luglio u.s. La prefettura di Roma ha recentemente proposto la “linea guida per i provvedimenti di safety da adottare nei processi di governo e gestione delle pubbliche manifestazioni”: pregevole tentativo di individuare semplici criteri per pianificare gli eventi di pubblico spettacolo. Ma tradurre il quadro normativo e i precetti delle Circolari all’interno di uno specifico Piano di Emergenza non è operazione semplice, tutte le indicazioni devono sempre essere declinate rispetto alla specificità dell’evento in programma.

 

Di seguito ci ripromettiamo di indicare alcune specifiche attenzioni da avere nella stesura di un Piano di Emergenza relativa a un evento rilevante. Per farlo ci baseremo sulla letteratura scientifica e sulla nostra esperienza relativa a manifestazioni sportive ed eventi musicali (come il concerto di Vasco Rossi del 1 luglio 2017). Nel settore sportivo abbiamo visto come sia diverso lavorare a un Piano di Emergenza per una partita di calcio professionistico (dove occorre evitare qualsiasi contatto fra le tifoserie), rispetto a partite nazionali di Rugby (in cui assieme all’avversario si beve la birra nel terzo tempo), pur trattandosi di eventi che si svolgono nei medesimi complessi (gli stadi). Nel settore del pubblico spettacolo lo scenario è ancora più ampio ed è costituito da realtà molto diverse tra loro: dalla sagra con costumi rievocativi nel borgo medioevale collinare fino al Palio di Siena, dalla festa di carnevale del paese fino al carnevale di Viareggio o Venezia, dalla festa parrocchiale alla messa del Papa nello stadio. Per numero di persone presenti e per caratteristiche dell’ambiente, ogni evento diviene un fatto a sé e richiede un Piano specifico.

 

 

  1. ACQUISIZIONE DEI DATI GENERALI

Affinché il Piano di Emergenza sia davvero efficace, dunque, è indispensabile acquisire alcuni dati generali per favorire la messa a punto di un’organizzazione adatta a mettere al centro la persona e la sua salvaguardia. Molti testi si concentrano su un’analisi strutturale del contesto, ma a questa riteniamo sia necessario anteporre l’analisi preliminare di seguito suggerita.

 

1.1. Conoscenza delle caratteristiche delle persone presenti

Il primo punto da tenere a mente quando si elabora un Piano di Emergenza è il tipo di persone che parteciperanno all’evento. Gli studi e l’esperienza professionale mostrano che ciascun gruppo di persone si muove con scopi e valori diversi e che ogni persona, posta in raggruppamenti diversi, di volta in volta aderisce agli scopi e ai valori di quello specifico gruppo.

 

Conoscere il target della folla, e i relativi scopi e valori, è indispensabile per capire quali comportamenti siano più specificatamente caratteristici di tali gruppi di persone, e, quindi, di conseguenza, quali atti preventivi possano essere progettati e implementati. Il tema è accennato già nelle linee guida della Conferenza Stato Regioni del 2014, ma un’analisi approfondita è fondamentale. Ad esempio, organizzare un grande evento per famiglie comporta problematiche diverse rispetto a un evento a cui partecipano persone da sole. Basti solo pensare che nel primo caso i presenti prima di evacuare hanno bisogno di ritrovarsi e raggrupparsi, con rallentamento dei tempi di evacuazione; non solo, la possibile dispersione delle persone o il timore che i propri cari subiscano danni, pone rilevanti problemi di ansia ai presenti. Altrettanto, organizzando un motoraduno occorre considerare che l’evacuazione sarà necessariamente attraverso vie percorribili in moto, perché il motociclista non sarà disponibile ad abbandonare il proprio mezzo, se non a fronte di un’emergenza primaria, conclamata ed evidente.

 

Questo tipo di analisi può comportare valutazioni molto diverse sull’adeguatezza del medesimo percorso di esodo. Quando nell’autodromo si organizza un concerto, una via di esodo con scalini può essere accettata, se si organizza un motoraduno no.

 

La conoscenza della tipologia delle persone presenti deve quindi modificare il Piano di Emergenza non solo riguardo all’organizzazione dell’esodo, ma anche rispetto alle comunicazioni da fornire ai presenti: non si può riutilizzare un Piano di Emergenza sviluppato in una struttura per un tipo di evento ad altro tipo di evento se non dopo averlo attentamente verificato in questi termini.

 

1.2. Conoscenza delle attese

Conoscere le attese dei presenti rispetto all’evento è di fondamentale importanza per redigere un Piano di Emergenza. Focalizzarsi sulle aspettative permette di ipotizzare le varie possibili combinazioni dei comportamenti umani che potrebbero o meno creare problemi.

Ad esempio, se i tifosi di una squadra di calcio si recano allo stadio sicuri della vittoria della propria compagine, di fronte a una sconfitta hanno reazioni diverse a stimoli emergenziali che in caso di vittoria. Ancora, le persone che hanno partecipato al concerto di Vasco Rossi a Modena lo hanno fatto per celebrare il “Comandante”, quindi per festeggiarlo, e non per dar sfogo a comportamenti “ribelli”, in realtà solo apparentemente consoni all’obiettivo dell’artista di avere una “vita spericolata”.

 

1.3. Conoscenza dei comportamenti umani in emergenza

È ormai tramontata l’idea che le persone in una situazione di emergenza si comportino in modo imprevedibile: molti comportamenti sono preventivabili ed è fondamentale che siano presi in considerazione da chi elabora un Piano di Emergenza. Si tratta di caratteristiche legate al funzionamento del cervello umano a partire dalle proprietà dell’attenzione, della memoria e di altri meccanismi cognitivi, passando per le emozioni e includendo numerose variabili psicosociali. Per una trattazione più completa di questo tema e delle ricadute per chi elabora un Piano di Emergenza e per chi è chiamato a realizzarlo si rimanda al volume “Azioni e Reazioni nell’emergenza” (Zuliani, 2017).

 

1.4. Analisi del contesto 

L’analisi del contesto territoriale e sociale, alla luce delle considerazioni precedenti, può comportare scelte piuttosto diverse anche per eventi che hanno luogo nella medesima area.  In questo periodo stiamo assistendo alla collocazione di barriere sia per impedire l’accesso in zone a rischio sia come supporto per controlli più puntuali sulle persone presenti. Il posizionamento di queste barriere deve sempre considerare il fatto che possono essere di ostacolo in caso di esodo improvviso (tema che spesso soccombe alle necessità della security), ma anche l’impatto psicologico possibile sul pubblico presente. Indubbiamente la predisposizione di fioriere, pur avendo la stessa funzione dei blocchi di cemento, impatta in modo molto diverso sulla serenità delle persone presenti, e questo può essere un criterio guida.

 

Una buona pianificazione non deve solo valutare il movimento che le persone mettono in atto per la propria incolumità, ma deve anche essere consapevole che, dopo le prime azioni per mettersi in salvo, i fruitori dell’evento sentono un forte bisogno di riunirsi al gruppo di appartenenza, di ricongiungersi ai loro cari e di allontanarsi. Facendo questo possono utilizzare diverse direzioni di movimento, più o meno disordinate rispetto al previsto; sta all’organizzazione contemplare misure atte a ridurre al minimo gli effetti di questi comportamenti.  La pianificazione deve prendere sempre in esame anche il sistema per garantire il movimento dei mezzi di soccorso, anche rallentando o imponendo percorsi alternativi ai mezzi degli spettatori.

 

  1. STRUMENTI E STRATEGIE

Oltre alle conoscenze di “base” sopra descritte, altri accorgimenti sono utili e fondamentali per stilare un efficace Piano di Emergenza.

 

2.1. Predisporre personale formato

Uno dei punti salienti su cui è necessario prestare molta attenzione è quello di predisporre personale formato a saper essere di supporto alle persone presenti in caso di emergenza.  Nel panorama italiano vi sono due figure con percorsi normati: gli steward degli stadi di calcio professionistico, la cui formazione è prevalentemente legata al controllo e al filtraggio delle persone (c’è chi pensa che sia sufficiente posizionare personale a presidio dei varchi per ottenere un buon risultato), e gli addetti al pubblico spettacolo, la cui formazione tende più al controllo dei comportamenti anomali delle singole persone.

 

Posto che gli specialisti professionisti (VVF, soccorso sanitario, protezione civile) sono specializzati nei soccorsi, cioè nell’ottimizzare gli interventi post momento critico, è invece fondamentale far crescere una figura professionale in grado di fare prevenzione, specializzata nella gestione consapevole delle masse per prevenire criticità e

per gestire al meglio i momenti cruciali dell’evento.  Si tratta cioè di pensare a una figura significativamente formata anche alla gestione di comportamenti collettivi e all’orientamento verso azioni utili alla sicurezza e alla salvaguardia.  Indubbiamente gli steward hanno già, almeno in parte, un’attitudine a lavorare in strutture gerarchiche e a collaborare con altre forze presenti. È auspicabile quindi far crescere ulteriormente questa figura professionale, mettendola in grado di attirare la fiducia del pubblico. Per farlo occorre che gli addetti non fungano solo da controllori, ma siano percepiti come persone a fianco dei partecipanti all’evento, come tutti abbiamo visto fare agli addetti alla sicurezza e ai poliziotti durante il concerto “One Love Manchester” del 4 giugno 2017: in questo modo hanno conquistato una relazione positiva con i ragazzi presenti.

 

2.2. Guida consapevole

Attualmente per realizzare un evento, con eccezione dei maxi eventi, non è necessario individuare un soggetto, interno all’organizzatore, preposto a coordinare e guidare il personale nelle attività di accoglienza e controllo e, nel caso capitasse, nell’emergenza. Riteniamo invece che questa figura sia molto importante come vertice della struttura di accoglienza e prevenzione, con capacità di cogliere eventuali difformità rispetto alla pianificazione per agire rapidamente e consapevolmente a:

– risolvere situazioni anomale, ma che se non gestite possono degenerare (ad esempio problematiche agli accessi);

– assistere i coordinatori di settore a fronte di problematiche specifiche;

– prevenire o ridurre i tempi di intervento in emergenza.

Di fatto una persona capace di “decidere” e che sia riconosciuta dal personale presente.  Altrettanto importante è definire una catena di comando in emergenza, per evitare ritardi nell’agire e soprattutto nel decidere.

 

2.3. Predisposizione delle vie di esodo 

Se è ovvio che le uscite devono essere commisurate al numero di persone presenti, vi sono alcune strategie che possono essere utili affinché si agevoli l’uscita.

 

La prima è quella che queste uscite siano indicate in caso di emergenza anche attraverso segnali luminosi. Specialmente se la zona è buia, le persone spaventate tenderanno ad andare verso le zone illuminate.  Nel caso vi siano delle porte da superare (le stesse porte di emergenza) può essere utile che lo stipite sia colorato in modo diverso, sia dal muro sia dalla porta. Questo è un metodo efficace per indicare il varco di passaggio.

 

La seconda, sapendo che la velocità dei movimenti delle persone è diversificata, è importante che vi siano delle zone più ampie per decomprimere la spinta e l’ansia di persone che vorrebbero procedere più velocemente durante l’evacuazione.

 

Terzo, le persone quando si muovono hanno bisogno di vedere gli spazi di fronte a sé. Infatti, se si osserva una folla in movimento si noterà che non si muoverà mai come un reparto militare perfettamente allineato, ma ognuno avrà la testa un po’ spostata rispetto agli altri per avere una visione di ciò che sta accadendo di fronte a sé. Ecco perché le indicazioni relative all’evacuazione devono essere visibili da tutte le posizioni.

 

Evidentemente, queste misure strutturali sono molto più efficaci se, come detto in precedenza, il personale, soprattutto per chi ha ruolo di coordinamento, sia formato, esperto ed esperito a gestire condizioni legate al contesto (territoriale, strutturale e sociale) in cui si trova a operare. Abbia quindi la professionalità e la capacità di influenzare l’esodo, favorendo l’utilizzo di tutte le uscite disponibili.

 

2.4. Comunicazione dell’emergenza

La comunicazione dell’emergenza è un punto delicato che non può essere affrontato solo nel momento in cui scatta un possibile pericolo. È necessaria una pianificazione che tenga conto di alcuni aspetti fondamentali.

 

Come già detto, le persone quando si recano a un evento lo fanno con delle attese. Queste solitamente non contemplano

l’emergenza. Ecco dunque che si possono mettere in campo alcune strategie; ad esempio, se c’è un maxischermo è bene utilizzarlo anche per proiettare immagini e filmati che aiutino le persone a comprendere chi sono i responsabili che si occupano della loro sicurezza, dove si possono trovare in caso di bisogno, fino ad arrivare alle indicazioni di come percorrere le vie di esodo. Queste immagini e filmati saranno più facilmente recuperabili nella memoria dei presenti nel momento del bisogno.  Analogamente, si può pensare di predisporre delle applicazioni per smartphone. Se le indicazioni dell’emergenza sono incluse in quelle che la persona utilizzerà per muoversi nell’evento (organizzazione della giornata, scaletta del concerto, o altre indicazioni turistiche) la loro utilizzazione sarà più facile e immediata. Diventa invece difficile pensare a un’applicazione specifica per l’emergenza perché in queste circostanze le capacità cognitive si impoveriscono e si tendono a privilegiare strumenti e mezzi già conosciuti.

 

Come abbiamo detto per gli smartphone, anche il maxischermo, se presente, diventa uno strumento fondamentale per fornire informazioni anche quando dovesse scattare un’emergenza. Questo strumento è efficace proprio perché è già nell’abitudine di uso delle persone presenti. In altre situazioni può essere utile pensare a schermi televisivi posti sulle vie di esodo che trasmettono in diretta l’evento e che possono immediatamente trasformarsi in strumenti di comunicazioni relativi all’emergenza.

 

In ogni caso lo strumento più efficace per aiutare le persone a muoversi in modo adeguato e con l’auspicata calma è rappresentato dal personale presente che può fornire un solido punto di riferimento. Per farlo, il personale deve essere facilmente individuabile, ma l’aspetto che appare come più decisivo è quello della sua formazione sia relativamente all’importanza di questo ruolo sia alle migliori strategie da utilizzare.

 

Un ulteriore aspetto da curare è la comunicazione alla fine dell’emergenza, quella che avviene nei punti di raccolta delle persone evacuate. Spesso si sottovaluta l’importanza di questo momento che invece è decisivo per i vissuti emotivi delle persone.

 

Nei punti di raccolta i presenti hanno bisogno di essere:

– informati su quello che è accaduto e sul fatto di non correre più alcun rischio;

– informati circa le persone che erano con loro e di essere ricongiunte;

– accolti anche nelle loro ansie e sentimenti negativi, senza che nessuno tenda a negarli o a sminuirli.

La letteratura internazionale ci mostra come trovare efficace risposta a questi bisogni induca le persone a una rilettura positiva dello stesso evento vissuto, con indubbio vantaggio per gli interessati e anche per l’organizzazione stessa.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Il comportamento abnorme interrompe il nesso di causalità?

Roma, 20 Set – Sono tante le sentenze della Corte di Cassazione che hanno affrontato un tema rilevante come il concetto di abnormità ed esorbitanza del comportamento di un lavoratore, comportamento che, in certe circostanze, può interrompere il nesso di causalità fra la condotta colposa del datore di lavoro e un evento lesivo. Ma cosa accade se viene riscontrata anche un’inosservanza delle norme cautelari da parte del datore di lavoro?

 

Ne parliamo oggi con riferimento alla recente Sentenza n. 38531 del 02 agosto 2017, della Cassazione Penale sez. IV, in relazione ad un incidente con ribaltamento dell’autogrù e decesso di un lavoratore.

 

La sentenza indica che “con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli in data 7 gennaio 2009, appellata dagli imputati tra cui l’odierno ricorrente, rideterminava la pena inflitta al L., previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, nella misura di mesi dieci di reclusione”.

L’imputato era stato “tratto a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dagli artt. 113, 589 c.p. per aver, nella sua qualità di datore di lavoro, cagionato per colpa il decesso del lavoratore B.B. che era intento allo spostamento di travi in ferro con l’ausilio dell’autogrù (…), quando il predetto automezzo si ribaltavaschiacciandolo. All’odierno ricorrente, in particolare era stata contestata oltre la colpa generica, quella specifica stante la violazione delle seguenti norme antinfortunistiche: art. 35 comma 1in relazione all’art. 36 comma 8 bis D.Lvo 626/94, per non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della sicurezza e della saluto, degli stessi – nella specie mettendo a disposizione del lavoratore B.B. l’AUTOGRU (…), sprovvista di dispositivi atti ad evitare i rischi derivanti dal pericolo di ribaltamento; art 35 comma 4 ter lett d) DLvo 626/1994, per non aver provveduto affinché tutte le operazioni di sollevamento dei carichi mediante mezzi di sollevamento – nella specie mediante l’autogrù sopramenzionata – fossero correttamente progettate nonché adeguatamente controllate ed eseguite al fine di tutelare la sicurezza dei lavoratori; art 8 D.P.R 547/55, per non aver provveduto a segnalale adeguatamente gli ostacoli nelle zone di lavoro e di transito al fine di evitare situazioni di pericolo per i lavoratori ed i veicoli in transito – nella specie omettendo di segnalare adeguatamente le travi giacenti sul piazzale, luogo di lavoro; art 172 d.p.r. 547/55, per non aver munito i ganci per gli apparecchi di sollevamento di dispostivi di chiusura dell’imbocco tali da impedire lo sganciamento degli organi di presa”.

Il ricorrente indica che la fattispecie in esame “non offre la possibilità di ricostruire la dinamica dei fatti in assenza di testimoni oculari e l’erroneità e contraddittorietà della ricostruzione operata dai giudici di merito; che il comportamento del lavoratore – che non si era avvalso della collaborazione dei colleghi ed aveva intrapreso la movimentazione delle travi in un momento di pausa dal lavoro – era da ritenersi abnorme  e addirittura inspiegabile e quindi idoneo ad interrompere il nesso causale; che il reato era comunque da ritenersi estinto per intervenuta prescrizione, tenuto conto della data di consumazione”.

 

A questo proposito la Corte di Cassazione, dopo aver indicato che il reato non è da ritenersi prescritto (commesso nel 2003) e dopo aver ricostruito l’evoluzione della normativa, si sofferma su quanto indicato dal ricorrente in merito all’ abnormità del comportamento del lavoratore.

Tuttavia, al di là della tipologia di comportamento, la giurisprudenza di legittimità “ha reiteratamente affermato – e si ritiene di dover ribadire- che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis questa sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, Rv. 259321)”.

 

E questa Corte di legittimità ha “anche ricordato (cfr. sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto), come il sistema della normativa antinfortunistica, si sia lentamente trasformato da un modello ‘iperprotettivo’, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà), ad un modello ‘collaborativo’ in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori”.

 

Tuttavia tale principio “non ha escluso, per la giurisprudenza di questa Corte, come si ricordava, che permanga la responsabilità del datore di lavoro, laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stessi da parte del lavoratore, non può certo essere sostituita dall’affidamento sul comportamento prudente e diligente di quest’ultimo”.

 

Ed infatti ricordava ancora la Sentenza del 15 ottobre 2015 n. 41486 – “che il Collegio condivide pienamente” – che in giurisprudenza, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” (che si rifà spesso all’art. 2087 del codice civile), si è passati – a seguito dell’introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 – al concetto di ‘area di rischio’ (…) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva. Strettamente connessa all’area di rischio che l’imprenditore è tenuto a dichiarare nel DVR, si sono, perciò, andati ad individuare i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento ‘esorbitante’, diverso da quello ‘abnorme’ del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta”.

 

E, continua la sentenza, si segnala anche che la recente normativa, il T.U. D.Lgs. 2008/81, “impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia”.

Sempre con riferimento al contenuto della sentenza 41486/2015 si ribadisce che “le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch’esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. ‘principio di autoresponsabilità del lavoratore’). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e, come condivisibilmente rilevava la sentenza 41486/2015, si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale. Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore”.

 

In ogni caso, conclude la Corte, “anche applicando tuttavia questi principi specificamente al caso di specie, non può tuttavia che ritenersi l’infondatezza del ricorso, considerata la già rilevata e comprovata inosservanza di norme cautelari da parte dell’odierno ricorrente su cui, peraltro, lo stesso non ha assolutamente preso posizione”.

 

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza 02 agosto 2017, n. 38531 – Ribaltamento dell’autogrù e decesso di un lavoratore. Nessun comportamento abnorme se c’è inosservanza di norme cautelari da parte del datore di lavoro

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Lavorazione della pasta: i rischi per gli addetti alla produzione

Bologna, 11 Set – La valutazione dei rischi, sui cui poggia ogni strategia di prevenzione e tutela della salute e sicurezza, deve essere effettuata nelle aziende dopo una dettagliata analisi del ciclo produttivo. E deve mirare alla riduzione dei rischi residui propri di ogni mansione o compito attraverso specifiche misure di prevenzione e misure di protezione.

 

E per facilitare un’efficace valutazione e analisi dei rischi in un comparto agroalimentare così specifico come la lavorazione della pasta all’uovo, riprendiamo alcune indicazione dalle schede riepilogative contenute nel documento “ Settore agroalimentare_La lavorazione della pasta all’uovo” correlato al progetto multimediale Impresa Sicura, un progetto validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013 ed elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail.

 

Riguardo a queste schede, che si soffermano sui rischi per diversi addetti del settore (addetti a produzione, confezionamento, magazzinaggio, utilizzo carrelli elevatori, ufficio, autista, manutentore), ci soffermiamo in particolare oggi sui rischi dell’addetto alla produzione, un operatore che generalmente utilizza diverse macchine (ad esempio macchina impastatrice, trafilatrice, macchina incartatrice, macchine per produrre specifiche tipologie di pasta, macchina pastorizzatrice, forno essiccatore, tritacarne, …).

 

Partiamo dai rischi infortunistici da attrezzature e/o macchina, rischi che riguardano proprio l’utilizzo di attrezzature o macchine lungo la linea di produzione con esposizione a contatti accidentali con organi di lavorazione o di trasmissione in movimento.

Queste le misure di prevenzione e protezione:

– “tutti gli organi di lavorazione o di trasmissione in movimento che non richiedono interazione da parte del lavoratore, per quanto concerne il ciclo produttivo, sono protetti da ripari fissi inamovibili;

– tutti gli organi di lavorazione o di trasmissione in movimento che possono richiedere interazione da parte dell’operatore, per quanto concerne il ciclo produttivo, sono protetti mediante ripari mobili interbloccanti(microinterruttori, sistemi di fotocellule, ecc.). La rimozione o l’apertura del riparo determina l’arresto degli organi in movimento se questi sono attivi o ne impedisce il riavvio se questi sono fermi;

– sistemi di comando per arresto di emergenza, per modalità di manutenzione (selettori modali per controllo velocità, movimento a impulsi, ecc.) e per impedimento di riavvio accidentale della macchina;

– manutenzione periodica e al bisogno e verifica giornaliera del corretto funzionamento dei sistemi di protezione;

– formazione e informazione finalizzate al corretto utilizzo della macchina;

– utilizzo degli idonei DPI”.

 

Veniamo brevemente al rischio di incendio, ricordando che “l’attività correlata alla produzione di pasta fresca artigianale generalmente non presenta un rischio incendio rilevante (rischio basso)”. In particolare il DPR 151/2011 – ‘Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell’articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122’ – “ha escluso dalle attività soggette a certificato prevenzioni incendi i pastifici con produzione giornaliera non superiore a 50.000 kg. Il datore di lavoro dovrà comunque accertarsi che non ci siano situazioni rientranti nei punti di assoggettazione a CPI (quantitativo di carta o cartone presente, potenza complessiva delle centrali termiche, presenza di sostanze infiammabili oltre i quantitativi limite, ecc.) così come previsto dal D.P.R. 151/2011”.

Queste le misure di prevenzione e protezione per il rischio incendio:

– “controllo periodico degli estintori e degli altri sistemi di estinguimento eventualmente presenti;

– verifica periodica degli impianti elettrici dell’immobile e delle macchine;

– formazione degli addetti antincendio aziendali”.

 

L’attività correlata alla produzione di pasta fresca artigianale presenta generalmente anche un rischio esplosionetrascurabile e nei pastifici “con produzione giornaliera non superiore a 50.000 kg in condizioni normali non è da prevedere il formarsi di un’atmosfera esplosiva in quantità tali da richiedere particolari provvedimenti di protezione”.

Si sottolinea, tuttavia, che il datore di lavoro “deve valutare, in ogni caso, le fonti di potenziale pericolo per il formarsi di un’atmosfera esplosiva le sostanze utilizzate, o che potrebbero entrare, nel ciclo produttivo quali ad esempio: il gas metano o altre tipologie di combustibile utilizzate per varie finalità negli ambienti di lavoro (alimentazione centrale termica, alimentazione fuochi per cottura, ecc.); eventuali inchiostri diluiti con solventi infiammabili e caratterizzati da temperature di innesco e LEL (limite inferiore di esplodibilità, ndr)  potenzialmente pericolosi nelle normali condizioni di lavoro; polveri generate dalla semola o farina”.

Queste le misure di prevenzione e protezione:

– “sistemi di rilevazione gas;

– dispositivi di sicurezza, quali ad es. le termocoppie, che determinano l’arresto dell’erogazione del gas in caso di spegnimento anomalo;

– pulizia giornaliera degli accumuli di polvere derivanti dall’utilizzo di semole e farine;

– verifica periodica degli impianti dell’immobile e delle macchine;

– formazione e informazione dei lavori;

– apposizione cartellonistica di sicurezza specifica”.

 

Veniamo all’esposizione agli agenti chimici e biologici.

 

In particolare si indica che il rischio da esposizione a sostanze e preparati pericolosi è “generalmente da considerarsi irrilevante”. Tuttavia “va posta attenzione nel caso in cui lo sversamento e la miscelazione di semola e farine per la preparazione degli impasti venga fatto manualmente dagli operatori e non automaticamente con il passaggio diretto da silos o coclee di alimentazione a impastatrici. La semola e la farina sono considerati, infatti, agenti chimici sensibilizzanti e quindi l’esposizione continua porta a una valutazione del rischio da irrilevante a non irrilevante. Sostanze o preparati da considerare nella valutazione del rischio: semola e farine; sostanze utilizzate per la sanificazione di materie prime, ambienti di lavoro e macchine; sostanze utilizzate per la detersione di ambienti di lavoro e macchine”.

Queste le misure di prevenzione e protezione:

– “utilizzo degli idonei DPI;

– dispositivi per la protezione dell’apparato respiratorio da esposizione a polveri;

– dispositivi di protezione per il corpo:

– guanti e indumenti da lavoro;

– formazione e informazione”.

 

Si segnala poi che in conseguenza delle lavorazioni svolte e delle materie prime utilizzate “gli addetti alla produzione sono esposti al potenziale rischio degli agenti biologici. In generale il rischio da esposizione ad agenti biologicipuò essere considerato non rilevante ma la probabilità di rischio potrebbe incrementare nel caso in cui nella specifica azienda vengano utilizzate uova in guscio e carne fresca”.

Queste le misure di prevenzione e protezione per i rischi biologici:

– “sanificazione delle materie prime (ad es. uova in guscio se utilizzate);

– utilizzo degli idonei DPI;

– dispositivi di protezione per il corpo;

– guanti e indumenti da lavoro;

– formazione e informazione”.

 

Concludiamo questa breve presentazione dei rischi per gli addetti alla produzione rimandando alla lettura integrale del documento che, per questa tipologia di addetti, riporta anche ulteriori indicazioni relative a:

– esposizione agli agenti fisici;

– rischi ergonomici.

 

 

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite una registrazione al sito.

 

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro – Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

 

 

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Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Rischio chimico e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre

Roma, 11 Set – L’utilizzo dei prodotti fitosanitari (PF), ad esempio insetticidi, fungicidi, acaricidi, fitoregolatori e erbicidi, utilizzati nella manutenzione del verde e in ambito agricolo, espone generalmente gli operatori ad agenti chimici pericolosi. Se poi le attività agricole sono svolte in serra si ha non solo un pericoloso accumulo dei contaminanti, ma anche un incremento di temperatura e umidità relativa che può condizionare la capacità inalatoria e di assorbimento cutaneo. E dunque nelle serre l’impiego di tali prodotti, destinati alla difesa delle colture dagli agenti dannosi, “può comportare un rischio più o meno elevato per i lavoratori in funzione della tossicità intrinseca del principio attivo, dei livelli di esposizione e di assorbimento attraverso le varie vie di penetrazione nell’organismo (inalatoria, cutanea, ecc.) e delle modalità e frequenza d’uso”.

 

A ricordare questo rischio è un documento realizzato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail che raccoglie gli atti del convegno “La ricerca prevenzionale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre” che si è svolto a Lamezia Terme il 4 Luglio 2016.

Nel documento sono presentati i risultati di alcune ricerche, correlate ad un progetto finanziato dal Ministero della salute, che hanno affrontato lo scenario di esposizione per l’attività lavorativa in serra nel territorio calabrese dove “è presente un importante sviluppo di coltivazioni che impiegano numerosi lavoratori, prevalentemente in piccole e medie imprese, configurando scenari di esposizione peculiari che possono integrare diverse criticità, per quanto concerne, in particolare, la valutazione dei rischi”. E attraverso gli studi intrapresi “sono stati analizzati e descritti alcuni scenari di esposizione tipici delle colture in serra del Sud Italia, tenendo conto delle variabili che li descrivono e individuando quelle tipologie di serra che possano rappresentare una casistica eloquente delle condizioni di esposizione, almeno per questa parte di territorio”.

 

Nella presentazione del documento, a cura di Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento, si segnala che riguardo ai rischi espositivi è necessario esprimere “un giudizio spesso critico sul comportamento degli utilizzatori” dei prodotti fitosanitari.

Infatti le più ricorrenti cause di incidenti o contaminazioni “sono da imputare a eccessiva confidenza con i prodotti impiegati (non si tengono in debito conto le avvertenze riportate in etichetta e sulle schede tecniche), al mancato rispetto delle dosi consigliate per i trattamenti, al trasporto dei prodotti con mezzi non idonei, ad insufficienze riguardo allo stoccaggio ed alla conservazione (locali non idonei, scarse avvertenze riguardo la loro custodia, commistione di più prodotti senza verificarne la compatibilità chimico-fisica, mancanza di dispositivo antincendio), oppure al fatto che durante la fase di trattamento non si tengono in conto le condizioni meteorologiche avverse (pioggia o vento contrario)”. Inoltre, continua Iavicoli, a volte si trascura “di appurare se la zona da trattare è ubicata in vicinanza di abitazioni o corsi d’acqua; nelle operazioni non vengono usati indumenti specificatamente dedicati allo scopo; non vengono svolte accurate bonifiche delle attrezzature e dei dispositivi personali di protezione a trattamento avvenuto, così come non sempre si rispettano i tempi di rientro e di carenza”.

 

In relazione alla recente pubblicazione del documento “Atti di convegno. La ricerca prevenzionale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre”, curato da Elena Barrese e Marialuisa Scarpelli (Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, Inail), ci soffermiamo in particolare oggi su un intervento che affronta il tema della valutazione del rischio chimico inalatorio in serra.

 

In “Procedura di valutazione del rischio chimico inalatorio in serra”, intervento a cura di M.  Rubbiani (Centro nazionale Sostanze Chimiche – Istituto superiore di sanità) e R. Cabella (Inail – Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale), si sottolinea il fatto che l’applicazione di pesticidi nelle serre “differisce sostanzialmente da quella realizzata in ambienti di campo esterni”:

– i pesticidi “possono essere applicati alle colture in serra tutto l’anno, spesso su un programma di più giorni, piuttosto che stagionalmente, e spesso a dosi di applicazione più elevate rispetto alle colture in campo;

– le applicazioni in serra di pesticidi sono ad alta intensità e sono spesso non adatti ai tipi di controlli di mitigazione dell’esposizione disponibili per l’uso sul campo, come ad esempio quelli che prevedono le cabine chiuse;

– le attrezzature per l’applicazione manuale pongono l’operatore più a contatto con il materiale spruzzato, sia in forma liquida e di aerosol, e l’ambiente limitato rallenta la dissipazione di residui”;

– “la coltivazione di colture in serra è spesso anche ad alta intensità di manodopera e generalmente richiede al lavoratore di mantenere costante il contatto fisico con il fogliame della coltura trattata”.

E dunque questi fattori contribuiscono a livelli di esposizione “potenzialmente più elevati per i lavoratori in serra rispetto ai lavoratori sul campo”.

 

Veniamo alla valutazione del rischio chimico.

 

I relatori indicano che la valutazione o la misurazione dei livelli di esposizione dell’operatore a pesticidi durante le operazioni di miscelazione/carico ed applicazione “è necessaria ai fini di una adeguata valutazione del rischio chimico di esposizione per tutti gli operatori impegnati con diverse mansioni in attività lavorative in serra. Per la valutazione quantitativa del rischio dei lavoratori in serra, l’esposizione sistemica, generalmente stimata sulla base di valori di esposizione potenziale cutanea ed inalatoria, viene generalmente confrontata con un valore tossicologico di riferimento”. Si indica poi che a tal fine viene normalmente utilizzato “il livello accettabile di esposizione dell’operatore (acceptable operator exposure level, AOEL), definito come il livello di esposizione giornaliera al di sotto del quale non sono attesi effetti avversi per la salute dell’operatore”. Ma ad oggi “non è disponibile una metodologia armonizzata a livello europeo o nazionale per la valutazione dell’esposizione degli operatori a pesticidi in serra e tale carenza comporta un elevato grado di incertezza nella valutazione del rischio di esposizione a pesticidi per i lavoratori del comparto”.

 

L’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, illustra i modelli di esposizione normalmente impiegati in ambito europeo e riporta alcune indicazioni relative all’analisi dei dati sperimentali degli studi condotti su campo in relazione al progetto presentato durante il convegno. Le informazioni raccolte durante la prima fase del progetto “hanno contribuito al raggiungimento di una conoscenza adeguata degli specifici scenari di esposizione considerati ed a una definizione dei parametri determinanti i livelli di esposizione a prodotti fitosanitari degli operatori addetti alle attività di trattamento e/o di rientro in serra”.

L’intervento, a questo proposito, presenta riporta in alcune tabelle gli scenari di esposizione identificati, i rispettivi valori generici di esposizione, l’analisi statistica dei dati, confrontandoli anche con altri modelli di esposizione.

 

In definitiva l’attività svolta ha permesso “la definizione di valori generici di esposizione utili ai fini della valutazione del rischio di esposizione inalatorio per quattro diversi e tipici scenari di esposizione in serra”. E dall’esame dei risultati ottenuti è stato possibile “evidenziare maggiori livelli di esposizione – calcolati attraverso valori generici di esposizione inalatoria – significativamente superiori (da uno a due ordini di grandezza) a quelli utilizzati dal modello Ecpa, normalmente utilizzato ai fini della valutazione dei livelli di esposizione a pesticidi nelle serre dei paesi mediterranei”.

 

Inoltre si evidenzia l’opportunità di “rivedere le misure di mitigazione del rischio specifiche e prendere in considerazione l’impiego di dispositivi di protezione delle vie respiratorie nel caso di impiego di prodotti fitosanitari contenenti sostanze attive caratterizzate da una elevata tossicità inalatoria”. E poiché i risultati ottenuti confermano “livelli di esposizione inalatoria più elevati per gli operatori che utilizzano prodotti fitosanitari in formulazione solida piuttosto che in formulazione liquida e nel caso di applicazione su colture alte (> 0,5 m), andrebbe previsto per gli stessi un programma di formazione specifico che miri alle corrette informazioni sui rischi derivanti da queste specifiche tipologie di applicazione onde evitarne la sottostima”.

 

E infine, continuano i relatori, dall’esame dei dati è stato possibile “definire un valore generico di esposizione inalatoria per gli addetti alle operazioni di raccolta in serra, scenario di esposizione non considerato dal modello Ecp”, uno scenario che andrebbe approfondito attraverso “l’acquisizione di ulteriori dati di monitoraggio al fine della sua completa definizione”.

 

La relazione si conclude raccomandando poi, ai fini di una valutazione completa del rischio di esposizione a prodotti fitosanitari in serra, “la misurazione dei livelli di esposizione cutanea, che normalmente rappresenta la via di esposizione prevalente sia per gli operatori addetti all’applicazione dei prodotti che per i lavoratori addetti alle operazioni di raccolta e/o controllo”.

 

 

Inail, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, “ Atti di convegno. La ricerca prevenzionale per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori agricoli nelle serre”, a cura di Elena Barrese e Marialuisa Scarpelli (Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, Inail), Collana Salute e Sicurezza, edizione 2017 (formato PDF, 1.93 MB).

 

 

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RTM

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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Opuscolo sui tumori professionali

AUSL di Parma ha pubblicato un opuscolo “TUMORI PROFESSIONALI Aggiornamento 2015 QUADERNI DI MEDICINA DEL LAVORO – n°1”.

AUSL di Parma ha pubblicato un opuscolo “TUMORI PROFESSIONALI Aggiornamento 2015 QUADERNI DI MEDICINA DEL LAVORO – n°1”.

[…]

Sono considerati “professionali” i tumori nella cui genesi l’attività lavorativa ha agito come causa o concausa. Tra gli agenti chimici, fisici e i processi industriali classificati come cancerogeni certi per l’uomo dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), più della metà sono presenti negli ambienti di lavoro, o lo sono stati in passato. L’esposizione a uno o più di questi agenti durante l’attività lavorativa può quindi determinare l’insorgenza di un tumore di origine professionale.

La frazione di tumori attribuibile alle esposizioni professionali nelle nazioni industrializzate, considerando insieme uomini e donne, è dell’ordine del 4-5%. Tale quota è importante, anche se molto inferiore rispetto a quella attribuibile al fumo di tabacco, che da solo è responsabile del 25-40% dell’insieme dei tumori. Si stima, pertanto, che i nuovi casi di neoplasia imputabili a cause lavorative in Italia siano circa 10.000 ogni anno.

[…]

Il documento presenta una serie di schede di associazione tra neoplasia e attività lavorativa, che intendono costituire un ausilio di tipo pratico per il clinico, senza la pretesa di essere esaustive, sia per quanto riguarda le sedi tumorali che le esposizioni lavorative.

Le neoplasie riportate nelle schede sono state scelte sulla base delle considerazioni epidemiologiche e sperimentali contenute nelle Monografie IARC [6] fino alla 108, associandole agli agenti cancerogeni per i quali è previsto il riconoscimento facilitato da parte dell’INAIL (“neoplasie tabellate”). Altre informazioni sulle esposizioni lavorative ad agenti cancerogeni sono state reperite nel la banca dati MATline.

Per ogni agente cancerogeno tabellato è indicato anche il corrispondente riferimento alla tabella delle malattie professionali INAIL. È inoltre indicato, per ogni tumore, il codice secondo la classificazione internazionale delle malattie dell’OMS (ICD-10). Oltre ai cancerogeni certi (Gruppo 1 IARC), sono stati indicati anche quelli con probabile attività cancerogena (Gruppo 2A IARC). In questo caso, la dimostrazione del nesso causale tra esposizione lavorativa e malattia è a carico del lavoratore.

 

Il medico che diagnostica una neoplasia professionale è tenuto a redigere il primo certificato medico di malattia professionale e consegnarlo al lavoratore o a un suo congiunto. È consigliabile che il certificato sia poi trasmesso a un patronato sindacale, che si occupa gratuitamente delle pratiche INAIL per il riconoscimento della malattia professionale.

 

TUMORI PROFESSIONALI Aggiornamento 2015 QUADERNI DI MEDICINA DEL LAVORO – n°1 – AUSL di Parma(pdf, 1 MB)

Fonte: puntosicuro.it

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Industria 4.0: seminario a Marsciano il 15 settembre

Sinergia tra università e mondo delle imprese, sviluppi tecnologici e programmi di Industria 4.0

06/09/2017

Marsciano si prepara a ospitare il convegno dal titolo ‘Industria 4.0. Sviluppo territoriale umbro, obiettivi e opportunità’. Appuntamento il 15 settembre prossimo all’Oasi villaggio in via Marcurischio 1, con orario d’inizio alle 9. Organizzatori l’azienda Iris Display e il brand Wonderware by Schneider Electric.

Parterre de roi per i relatori, a cominciare da Enrico Morando, senatore e vice ministro dell’Economia e delle Finanze, che illustrerà i piani futuri del governo e le strategie di supporto all’economia industriale.

Gli organizzazioni dicono: “Per rimanere competitive, le aziende devono dotarsi di quelle tecnologie abilitanti alla creazione di nuovi modelli di business e all’aumento della profittabilità. Ecco quindi che i piani d’investimento di molte società leader del settore presentano convergenze su temi quali smart manifacturin, controllo e supervisione avanzati del processo produttivo, robotica, IoT e Big Data, Cyber Security. Spesso, però, i piani d’investimenti devono fare i conti con il problema della disponibilità di budget”.

Per fare fronte a questo limite, c’è il Piano nazionale Industria 4.0, che sarà illustrato da Luigi Rossetti, direttore Area sviluppo della Regione Umbria. A lui il compito anche di fare il punto sulle politiche della regione in questo ambito. “E’ evidente il potenziale che Industria 4.0 può rappresentare per lo sviluppo della manifattura italiana, con un impatto che potrà essere decisivo soprattutto per settori caratterizzati da piccole e medie imprese. Accanto al Piano nazionale Industria 4.0, che per il 2017 e auspicabilmente anche per il 2018, prevede forti risorse e strumenti, sul piano regionale vogliamo integrare queste opportunità in modo complementare con le politiche nazionali”.

Il seminario verrà aperto dai saluti del sindaco Alfio Todini, poi Iris Display e Wonderware presenteranno la giornata. Sono previsti gli interventi di Daniele Vizziello (sales manager Wonderware), dei docenti dell’Università di Perugia Paolo Valigi (robot mobili e intelligenti) e Luca Landi (progettazione e costruzione macchine). E ancora: Michele Vario (Oem sales manager Wonderware) e Angelo Radicioni (senior production director Umbra Group).

Dice Valigi: “La sinergia tra università e mondo delle imprese è riconosciuta, in tutti i Paesi industrializzati, come la soluzione vincente per il consolidamento e la crescita. Il convegno contribuirà ad approfondire i punti di forza di tale sinergia. L’università darà contributi sia discutendo i recenti sviluppi tecnologici e il loro possibile trasferimento verso il mercato, sia discutendo i più recenti dati sull’impatto positivo dei programmi Industria 4.0”. A concludere il convegno sarà Antonio Alunni, vicepresidente di Confindustria Umbria con delega alle innovazioni e presidente di Digital innovation Hub Umbria.

 

Fonte: corrieredelleconomia.it

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Infortunio: I tre errori più gravi che portano al rinvio a giudizio

Convegno a Verona il 22 settembre.

Venerdì 22 settembre 2017 alle ore 09:30 in Località S.Felice – Illasi, Verona, si terrà il Convegno dal titolo Infortunio: I tre errori più gravi che portano al rinvio a giudizio

La conoscenza, l’organizzazione e gli strumenti a disposizione dei vertici aziendali sono lo strumento più efficace per l’esito di un processo penale. L’adeguatezza – compliance – dell’organizzazione aziendale, supportata dalla conoscenza in ambito di prevenzione, si rivela essere il principale e più efficace strumento di prevenzione al servizio dell’imprenditore. Il convegno intende approfondire tale premessa procedendo poi con l’analisi delle sequenze, i comportamenti, le figure che intervengono dopo un infortunio avvenuto durante il lavoro ed il ciclo delle fasi successive alle indagini di polizia giudiziaria. Verranno inoltre presi in considerazione gli scenari prevedibili supportati dalla trentennale esperienza dei tecnici di Polistudio e dall’esame di casi concreti e del loro epilogo giudiziario.

 

maggiori informazioni qui

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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Estate rovente, anche per gli infortuni sul lavoro

Il bilancio del Presidente ANMIL Bettoni sulla pubblicazione degli Open Data INAIL sui primi sette mesi del 2017.

Già nei mesi precedenti dell’anno in corso si erano registrati i primi segnali negativi sul fronte infortunistico, ma un’ulteriore triste conferma è arrivata con il bilancio elaborato dall’INAIL al 31 luglio 2017. In questi primi sette mesi dell’anno, infatti, sia gli infortuni che i morti sul lavoro sono cresciuti in misura, rispettivamente, del1’1,3% e del 5,2% rispetto allo stesso periodo 2016.

In particolare, tra il 1° gennaio e il 30 luglio 2017 sono stati denunciati circa 380.000 infortuni,  con un incremento di quasi 5.000 unità rispetto ai 375.000 circa dello stesso periodo dell’anno precedente. La crescita degli infortuni sul lavoro risulta più consistente tra quelli cosiddetti “in occasione di lavoro”,  aumentati di quasi 3.000 casi, rispetto a quelli “in itinere” (+2.000 casi circa).

Ancora più preoccupante risulta l’andamento delle denunce degli infortuni mortali che fanno registrare un aumento pari a +5,2% (dai 562 casi dei primi 7 mesi 2016 ai 591 dell’analogo periodo 2017): vale a dire 29 vittime del lavoro in più. L’incremento dei decessi risulta praticamente equiripartito tra quelli “in occasione di lavoro” cresciuti di 14 unità e quelli “in itinere” dove l’aumento è stato di 15 unità.

Per quanto riguarda le attività economiche dell’Industria e Servizi che hanno generato questi aumenti (l’Agricoltura è ancora in calo del 5%), va detto che i confronti tra i due periodi a livello di singolo settore risultano, allo stato attuale, scarsamente significativi e poco attendibili in quanto per gran parte dei casi denunciati non è ancora determinato il codice di attività economica (ATECO).

 

Si può comunque affermare che, in generale, i dati diffusi oggi dall’INAIL, pur se ancora provvisori, non possono non destare forte preoccupazione, in quanto prospettano una quasi certa ed inaspettata inversione nel positivo trend ormai storico dell’andamento infortunistico del nostro Paese. Come noto, infatti, negli ultimi decenni il fenomeno ha mostrato una costante tendenza alla diminuzione che si è particolarmente accentuata a partire dal 2008 e si è protratta fino al 2014. Sono questi gli anni in cui il Paese ha attraversato una profonda crisi economica, per cui al favorevole trend già in atto si è sommato il calo della produzione e del monte-lavoro (sia in termini di occupati che di ore lavorate) che ha comportato una parallela contrazione dell’esposizione al rischio e quindi degli infortuni stessi. Ma già negli anni 2015 e 2016, ai primi accenni di ripresa dell’economia, l’andamento infortunistico ha cominciato a mostrare ritmi altalenanti con segni negativi a volte per i soli infortuni in generale, a volte anche per quelli con esito mortale.

L’anno 2017 si presenta invece con segnali diffusi, univoci e, purtroppo, inequivocabili.

di Franco Bettoni

Presidente nazionale ANMIL

 

Fonte: ANMIL

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Sulla responsabilità del CSE per mancata verifica e coordinamento

Entra questa sentenza della Corte di Cassazione a far parte di quelle sentenze con le quali la stessa Corte ha confermato la condanna nei confronti di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione nei cantieri temporanei o mobili ma questa volta in un modo in un certo senso un po’ particolare in quanto il coordinatore per la sicurezza è stato condannato per l’infortunio accaduto a un lavoratore in un cantiere edile avvenuto per la mancanza di misure di sicurezza sul lavoro poste dal legislatore a carico del datore di lavoro e per la violazione di alcuni obblighi contenuti nel D. Lgs. n. 494/1996 posti sì a carico del coordinatore ma comunque non inserite nei capi di imputazione formulati nei suoi confronti.

 

Nel caso in esame, dopo un lungo iter giudiziario dinnanzi al Tribunale e alla Corte territoriale la Corte di Cassazione ha confermata la sentenza di condanna emessa nei confronti di un coordinatore per la sicurezza nei primi gradi di giudizio rigettando il ricorso dallo stesso avanzato con il quale aveva messo in evidenza una violazione da parte della Corte di Appello del principio della corrispondenza fra imputazione e sentenza di cui all’art. 251 del c.p.p.. Pur dato atto, ha sottolineato la suprema Corte nella sentenza, della estraneità del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ai precetti contenuti nelle imputazioni, che facevano riferimento a violazioni di disposizioni contenute nel D.P.R.  n. 164/1956 in quanto rivolte al datore di lavoro, è stata comunque individuata una sua condotta colposa per non avere vigilato, nel rispetto degli obblighi di coordinamento e di sicurezza posti a suo carico, sulla predisposizione delle misure di sicurezza (la protezione dalla caduta dall’alto) la cui mancanza aveva portato all’infortunio del lavoratore.

 

Il fatto e l’iter giudiziario 

Il Tribunale ha condannato alla pena di giustizia un coordinatore dei lavori nella fase di progettazione e realizzazione in relazione a plurime contravvenzioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e al delitto di cui all’art. 590 del codice penale per avere per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e violazione degli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164/1956, concorso a cagionare a un lavoratore lesioni gravissime conseguenti a una caduta dal tetto di un edificio in costruzione. Era stato accertato durante le indagini che il lavoratore prima della pausa estiva aveva terminato i lavori di copertura di una villetta teatro del sinistro e che pertanto il ponteggio che era stato collocato in corrispondenza di tale villetta era stato smontato, per essere installato presso un diverso manufatto, cosicché quando, alla ripresa dei lavori, al lavoratore stesso era stato richiesto di riallineare le tegole non perfettamente collocate sul tetto, questi si era portato sullo stesso e durante gli spostamenti era scivolato ed era caduto nel vuoto, stante la mancanza di metà del ponteggio nella zona in cui doveva essere sistemata la copertura.

 

Ad avviso del Tribunale dell’accaduto doveva rispondere innanzitutto il coordinatore per la progettazione e l’esecuzione nominato dalla committente perché non aveva eseguito alcuna concreta azione di coordinamento. Nell’esaminare il piano di sicurezza e di coordinamento, inoltre, il Tribunale aveva ravvisato incongruenze definite “sorprendenti”, come quella di prevedere la realizzazione di una sola villetta, laddove nella realtà ne erano in costruzione ben sei.

 

La Corte di Appello, investita dell’impugnazione del coordinatore e degli altri imputati, ha dichiarata l’estinzione per prescrizione delle ipotesi contravvenzionali e aveva ridotta la pena in relazione al reato di lesioni colpose ascritto al coordinatore, confermando nel resto la sentenza di primo grado. Tale sentenza è stata successivamente annullata dalla Corte suprema con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di provenienza. limitatamente alla posizione del solo coordinatore. La Corte di Appello quindi, pronunziandosi a seguito dell’annullamento con rinvio, ha parzialmente riformata la sentenza del Tribunale, dichiarando non doversi procedere nei confronti del coordinatore anche in ordine al residuo reato di lesioni colpose ascrittogli per essere lo stesso estinto per prescrizione e ha confermate le statuizioni civili a carico dell’appellante, condannandolo anche alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte civile INAIL.

 

Avverso tale nuova sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione il coordinatore avanzando diverse motivazioni. Lo stesso ha innanzitutto sottolineato che con tale sentenza il giudice del rinvio era stato espressamente investito del compito di verificare se la ricostruzione del comportamento illecito ascritto a lui fosse o meno stata preceduta da un procedimento nel quale costui fosse stato messo in grado di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti in capo al coordinatore, onde esplicitare se la asimmetria tra l’imputazione e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti, ma la Corte di Appello non vi aveva provveduto, omettendo anche di verificare se nella fase antecedente al procedimento penale gli fossero state impartite le prescrizioni contemplate dal D. Lgs. n. 758 del 1994, costituente, tra l’altro, condizione di procedibilità dell’azione penale in relazione alle ipotesi contravvenzionali contemplate dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale.

 

Come altro motivo il ricorrente ha lamentata una violazione degli artt. 590 cod. pen e 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164/1956, per avere la Corte di Appello affermata la applicabilità a lui di tali disposizioni, nella sua veste di coordinatore dei lavori, benché dette norme riguardassero il datore di lavoro e benché la figura del coordinatoredei lavori non fosse contemplata da tali norme, in quanto introdotta nell’ordinamento per la prima volta dal D. Lgs. n. 494 del 1996, censurando la conseguente e collegata affermazione secondo cui dalla contestazione della violazione di tali disposizioni potrebbero ricavarsi gli addebiti delle condotte colpose concretamente da lui tenute quale coordinatore dei lavori, essendo estranea tale figura agli obblighi stabiliti da tali disposizioni concernenti il datore di lavoro.

 

Il coordinatore ha lamentato, inoltre, l’insufficienza e l’illogicità della motivazione, in ordine alla violazione da parte sua degli obblighi stabiliti dagli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 494 del 1996 a carico del coordinatore dei lavori e consistenti nell’assicurare il collegamento tra l’impresa appaltatrice e il committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, nell’adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, nel vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le lavorazioni, non essendo stata adeguatamente accertata la violazione da parte sua di tali doveri e non avendo la sentenza impugnata dato atto adeguatamente che esso aveva provveduto ad adeguare il piano di sicurezza del cantiere alle esigenze emerse nel corso delle lavorazioni.

 

L’imputato ha ancora censurato l’affermazione della Corte di Appello riguardo alla configurabilità del suo concorso nel reato proprio commesso dal datore di lavoro, mediante la violazione delle suddette disposizioni antinfortunistiche (applicabili solamente al datore di lavoro), difettando la prova di un legame psicologico tra le condotte di tali soggetti, da qualificare pertanto come cause colpose indipendenti.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso non è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione ed è stato pertanto respinto.  La stessa ha evidenziato che nel precedente ricorso per cassazione proposto dal coordinatore nei confronti della sentenza della Corte di Appello di conferma della condanna per il reato di lesioni colpose, era stata rilevata la sussistenza del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente riguardo alla discrepanza tra la contestazione di colpa, consistente, tra l’altro, nella violazione degli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164 del 1956, e la violazione degli obblighi posti a carico del coordinatore per l’esecuzione dei lavori dagli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 494 del 1996, non oggetto di formale contestazione, ma, ciò nonostante, posta a base della affermazione di responsabilità dello stesso da parte del Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte di Appello.

 

Al riguardo era stato anche sottolineato dal ricorrente come la Corte di Appello, in presenza di una specifica doglianza sul punto da parte sua, avrebbe dovuto verificare se la ricostruzione del suo comportamento trasgressivo fosse stata preceduta da un procedimento nel quale questi fosse stato messo in condizioni di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificatamente posti in capo al coordinatore, in modo da esplicitare se la indubbia asimmetria tra la contestazione formalizzata con il decreto che dispone il giudizio e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti. Proprio in difetto di tale verifica era stato infatti disposto il rinvio per nuovo esame sul punto.

 

Con riferimento alla violazione del principio della corrispondenza fra imputazione e sentenza  di cui all’art. 251 del c.p.p. la Corte suprema ha ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità sia stato affermato il principio secondo cui, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale nei suoi elementi essenziali e che l’indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all’oggetto dell’imputazione così come ritenuta in sentenza. “E’ configurabile la violazione del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la pronuncia”, ha sottolineato la suprema Corte, “solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell’addebito”.

 

E’ stato, poi, ulteriormente precisato, ha così proseguito la Sez. III, come “ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen., debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione”. “L’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato”. Ne consegue che “la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza”.

 

Nella vicenda in esame la Corte d’appello, investita nel giudizio di rinvio del compito di verificare se la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale, che aveva ravvisato la responsabilità del coordinatore per la violazione degli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 494/96, non richiamati nella imputazione, fosse stata preceduta da un procedimento nel quale l’imputato fosse stato messo in condizione di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, ha ritenuto che nel corso del giudizio l’imputato avesse avuto piena consapevolezza della portata della contestazione a suo carico, tenendo conto degli elementi probatori acquisiti in contraddittorio.

 

La Corte territoriale, ha quindi proseguito la Corte di Cassazione, pur dando atto della estraneità del coordinatore ai precetti contenuti negli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164 del 1956, in quanto rivolti ai datori di lavoro, ha tuttavia sottolineato la rilevanza, sul piano della specificazione delle concrete condotte colpose addebitate all’imputato quale coordinatore dei lavori, delle condotte descritte in tali imputazioni, e in particolare delle omissioni delle cautele di sicurezza alle quali è stata ricondotta la verificazione dell’evento (e cioè la caduta del lavoratore dal tetto), nell’ambito delle quali è stato sottolineato il rilievo della omissione della vigilanza sulla predisposizione dei sistemi di protezione dalla cadute dall’alto, risultate inadeguate. Sulla base di tali elementi la Corte territoriale ha quindi ritenuto che l’imputato fosse stato ampiamente messo in condizione di svolgere pienamente le proprie difese, in relazione alle risultanze probatorie portate alla sua conoscenza, che avevano formato oggetto di sostanziale contestazione.

 

L’insussistenza, ha così concluso la suprema Corte, sia della denunciata inottemperanza a quanto indicato nella sentenza di annullamento con rinvio, avendo la Corte territoriale ampiamente e positivamente verificato che la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale era stata preceduta da un procedimento nel quale l’imputato era stato messo in condizione di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, sia della violazione degli arti. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164 del 1956, i cui precetti non sono stati considerati nella valutazione della condotta dell’imputato, esaminata con riferimento alle condotte descritte nei capi di imputazione relativi alle contravvenzioni, condotte ritenute allo stesso ascrivibili non quale datore di lavoro ma come coordinatore dei lavori, così come descritte in dette imputazioni.

 

Da ciò anche l’irrilevanza dell’inosservanza delle forme del procedimento amministrativo di contestazione di cui agli artt. 20 e 21 del D. Lgs. n. 758/1994, relativo alle disposizioni antinfortunistiche, nella specie non oggetto di esame né di contestazione all’imputato, dunque privo di rilievo in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen. contestato all’imputato, per la cui procedibilità non è necessario l’espletamento preventivo di tale procedimento.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione – Penale Sezione III – Sentenza n. 39498 del 29 agosto 2017 (u.p. 1 marzo 2017) – Pres. Savani – Est. Liberati – Ric. F.N.. – Al fine di valutare la corrispondenza tra accusa e sentenza deve tenersi conto non solo di quanto scritto in imputazione ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie contestate all’imputato per cui ha potuto esercitare il diritto di difesa.

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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Disabilità e reinserimento, il sostegno Inail anche per i casi di nuova occupazione

Lo prevede in via sperimentale la circolare n. 30 del 25 luglio 2017, che amplia le misure già previste per la conservazione del posto di lavoro, in attesa della piena attuazione delle disposizioni in materia di politiche attive e servizi per il lavoro

ROMA – Con la circolare n. 30 del 25 luglio 2017 l’Inail estende in via sperimentale anche alle nuove assunzioni le misure già previste per sostenere le imprese negli interventi di conservazione del posto di lavoro delle persone con disabilità da lavoro. L’obiettivo è proseguire nell’attuazione delle disposizioni della legge di Stabilità 2015, che ha attribuito all’Istituto nuove funzioni in questo ambito, in attesa della piena attuazione delle disposizioni in materia di politiche attive e servizi per il lavoro, rimodulate dai decreti legislativi n. 150 e n. 151 del 14 settembre 2015.

Come precisato dalla nuova circolare, le disposizioni previste dal Regolamento per il reinserimento e l’integrazione lavorativa, approvato l’11 luglio 2016 con la determina n. 258 del presidente Massimo De Felice, si applicano infatti anche in favore di assistiti Inail con disabilità da lavoro causata da un infortunio o da una malattia professionale nei casi di inserimento in nuova occupazione, per lo svolgimento di un’attività non necessariamente soggetta a obbligo assicurativo con l’Istituto.

Entro i limiti degli importi stanziati ogni anno, l’Inail rimborsa ai datori di lavoro fino a un massimo di 150mila euro per ciascun progetto personalizzato per la realizzazione degli accomodamenti ragionevoli previsti a garanzia dei principi di parità di trattamento delle persone con disabilità e di piena uguaglianza con gli altri lavoratori, ai sensi dell’articolo 3 comma 3-bis del decreto legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 e delle successive modifiche e integrazioni.

Nel dettaglio, il rimborso può arrivare fino a 95mila euro per il superamento e l’abbattimento delle barriere architettoniche, con interventi edilizi, impiantistici e domotici, fino a 40mila euro per l’adeguamento e l’adattamento delle postazioni di lavoro, con arredi, ausili e dispositivi tecnologici, informatici e di automazione, e fino a 15mila euro per la formazione. È prevista la possibilità di richiedere una anticipazione fino al 75%.

Nei casi in cui un datore di lavoro intenda assumere una persona con disabilità da lavoro tutelata dall’Istituto, la circolare specifica che il sostegno dell’Inail si applica ai contratti di lavoro subordinato o parasubordinato, anche flessibili o a tempo determinato. È escluso, pertanto, il lavoro di tipo autonomo previsto, invece, per gli interventi di conservazione del posto di lavoro.

La circolare illustra, inoltre, le modalità di predisposizione del progetto di reinserimento lavorativo personalizzato da parte delle equipe multidisciplinari territoriali dell’Istituto, con il coinvolgimento del lavoratore e la partecipazione attiva del datore di lavoro.

Regolamento per il reinserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro. Legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 166. Inserimento in nuova occupazione a seguito di incontro tra domanda e offerta di lavoro.

 

Fonte: https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/sala-stampa/comunicati-stampa/com-stampa-circolare-reinserimento-nuova-occupazione.html

 

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Campi Elettromagnetici: la relazione tecnica

Sul sito PAF è stata aggiornata la sessione FAQ ( Link a FAQ Campi Elettromagnetici) ove sono contenute le risposte a dubbi interpretativi e criticità segnalate dagli utenti del Portale in relazione alla valutazione del rischio da esposizione a CEM negli ambienti di lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del D.lgvo 159/2016. La sessione è in continuo e costante aggiornamento in relazione ai quesiti posti dagli utenti del Portale.

 

Come deve essere strutturata e che cosa deve riportare la Relazione Tecnica di supporto al documento di valutazione del rischio CEM ?

Si fornisce di seguito uno schema di riferimento per la stesura della Relazione Tecnica nel rispetto delle indicazioni previste dalle norme CEI 211-6 e 211-7,  dallo standard EN 50499 e dalla  Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici.

 

Premessa

  • Obiettivo della valutazione
  • Luogo e data della valutazione 
/Professionisti responsabili della valutazione
  • Caratterizzazione del luogo di lavoro con individuazione degli apparati in grado di 
emettere campi elettromagneticie delle posizioni di lavoro (layout)
  • Definizione delle principali caratteristiche delle sorgenti di campo e in particolare potenza 
e frequenza di emissione
  • Lista degli eventuali standard riferibili agli apparati
  • Descrizione delle condizioni di utilizzo dell’apparato: processi di lavoro, tempi di 
esposizione, posizioni dei lavoratori rispetto all’apparato durante le fasi che comportano 
esposizione ai CEM;
  • Indicazioni inerenti le misure di tutela e le precauzioni da mettere in atto tratte da:

o Banca dati CEM del Portale Agenti Fisici (allegare stampe pertinenti): queste devono essere prese in esame se presenti

o Manuale di istruzioni ed uso del costruttore (allegare estratto):

N.B. le indicazioni fornite dal costruttore – qualora presenti nel manuale-  devono necessariamente essere prese in esame ai sensi del D.lgs 159/2016

o Qualora non siano effettuate misurazioni o calcoli passare al punto 4

  1.  Nel caso siano effettuate misurazioni: 
  • Caratteristiche della strumentazione di misura e riferimenti dell’ultima taratura;
  • Posizioni di misura
  • Condizioni della sorgente durante la misura: Le misure devono essere effettuate nelle 
condizioni di utilizzo della macchina più sfavorevoli tra quelle operative, e laddove ciò non sia possibile nelle diverse modalità operative. In ogni caso le condizioni in cui sono state prese le misure (posizione dell’operatore, posizione degli altri lavoratori oltre l’operatore, tempo speso nelle postazioni, operazioni, manutenzione e riparazione a distanze dalle sorgenti inferiori a quelle raccomandate dalle istruzioni delle ditte fabbricanti, ecc.) devono essere descritte con il massimo dettaglio.
  • Durata delle misure
  1. Nel caso vengano effettuate valutazioni tramite calcolo:

Nel caso di valutazioni dosimetriche: Software e data-base anatomico utilizzato; 
Condizioni della sorgente nella modellizzazione

Nel caso di stime di esposizione CEM irradiati nell’ambiente: Parametri descrittivi della sorgente; condizioni di funzionamento; formule usate per la stima dei campi emessi; geometria espositiva utilizzata ai fini del calcolo

  1. Risultati delle misure/dei calcoli 

Valori misurati e/o calcolati con indicazione dell’incertezza di misura

Indicazione della natura della grandezza misurata o calcolata (es: picco ponderato; indici percentuali; valori rms, media spaziale/temporale, ecc.
)

In relazione al tipo di sorgente ed alla utilizzazione dei risultati, può essere opportuno elaborare questi ultimi in modo da poterli presentare in termini di:
 Andamenti temporali dei valori globali a banda larga in funzione del tempo e/o della distanza dalla sorgente;
 Spettri in frequenza

Risultati di analisi puntuali in ambienti/locali particolari (es. sorgenti di piccole dimensioni e/o campi molto variabili etc.)

  1.  Conclusioni con indicazione delle misure di prevenzione e protezione

Sono qui da riportare i livelli di rischio identificati ed in particolare:

La zonizzazione con indicazione delle distanze di rispetto per i lavoratori NON professionalmente esposti (ZONA 0) e professionalmente esposti (ZONE 1 – 2)

La descrizione della segnaletica da apporre ai fini della zonizzazione

 

Zonizzazione (distanze di sicurezza)    

Zona 0 è la zona all’interno della quale i livelli di esposizione sono sicuramente inferiori ai livelli di riferimento per la popolazione (conformità alla Raccomandazione 199/519/CE): zona ad accesso libero per tutti i lavoratori e le persone del pubblico

Zona 1 è la zona all’interno della quale i livelli di esposizione superano i livelli di riferimento per la popolazione generale ma sono inferiori o uguali ai valori di azione stabiliti dal D.lgvo 159/2016. L’accesso a tali aree è da regolamentare e precludere ai soggetti sensibili, in particolare donne in gravidanza e portatori di dispositivi elettronici impiantabili attivi

Zona 2 è la zona nella quale i livelli di esposizione superano i livelli di azione o VLE stabiliti dal D.lgvo 159/2016: L’accesso a tali aree va regolamentato e vanno specificati specifici regolamenti  per operare in tali aree in sicurezza.

 

Si raccomanda di indicare:

  1. a)  I dati di esposizione individuali per i soggetti professionalmente esposti;
  2. b) Le modalità di lavoro da adottare nelle differenti condizioni operative per:
  • i lavoratori professionalmente esposti ai fini del rispetto dei VA/VLE
  • i lavoratori non professionalmente esposti ai fini di garantire per detti lavoratori il rispetto dei livelli di riferimento per la popolazione generale;
  1. c) Le eventuali situazioni in cui è riscontrabile il superamento dei VA e/o  VLE e le modalità operative da adottare per prevenire che ciò accada anche sulla base di quanto riportato nel manuale di istruzioni ed uso del macchinario e/o  nella banca dati CEMdel Portale Agenti Fisici;
  2. d) Gli interventi suggeriti (strutturali e/o procedurali) ai fini della riduzione e controllo del rischio CEM anche sulla base di quanto riportato nel manuale di istruzioni ed uso del macchinario e/o nella banca dati CEM del Portale Agenti Fisici;

 

Il Documento redatto a conclusione della valutazione del rischio sulla base della Relazione Tecnica deve essere datato e contenere quanto indicato all’art.28 comma 2 ed in particolare il piano delle azioni per la riduzione del rischio. 

 

 

Fonte: PAF

 

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I rischi di macchine e sistemi robotizzati nella lavorazione delle carni

Bologna, 6 Set – Riprendiamo un’analisi, iniziata nelle scorse settimane, sui rischi correlati all’utilizzo di specifiche attrezzature di lavoro nella lavorazione delle carni.

E lo facciamo con riferimento al contenuto di un documento relativo al progetto Impresa Sicura, un progetto multimediale – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e Inail – che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013 e che ha affrontato in questi anni il tema della sicurezza in vari comparti lavorativi.

In particolare Impresa Sicura ha pubblicato quattro documenti relativi alla sicurezza nel settore agroalimentarecon riferimento a: caseifici, lavorazione della carne, acetifici e lavorazione della pasta all’uovo.

 

Sfogliando il documento “Settore agroalimentare_La lavorazione della carne”, che riporta diverse indicazioni sulle principali macchine utilizzate nel comparto delle lavorazioni delle carni suine, ci siamo già soffermati, in un precedente articolo ( Il rischio macchina e la lavorazione delle carni in sicurezza), sull’uso in sicurezza di mescolatore, sega a nastro, coltello elettrico e insaccatrice.

 

Rimandando alla lettura integrale del documento, che analizza anche altre attrezzature di lavoro, focalizziamo la nostra attenzione sulle attrezzature utilizzate nella linea sale e nella linea disosso.

 

Riguardo alla linea sale sono fornite brevi informazioni sulla sicurezza di tre macchine:

– massaggiatrice: “macchina destinata per massaggiare in modo uniforme le articolazioni ed i tessuti del prodotto, carne in genere ed in particolare prosciutti crudi e speck”;

– presalatrice/salatrice/dissalatrice: “macchina destinata allo sfregamento del prodotto da lavorare con sale umido e distribuzione di sale sul prodotto in particolare di prosciutti crudi e speck”;

– coclea mescolatrice.

 

Questi sono, ad esempio, alcuni importanti dispositivi di sicurezza per la massaggiatrice:

– “pulsanti a fungo di emergenza in prossimità delle bocche di ingresso ed uscita;

– micro di sicurezza posti sulle protezioni mobili che bloccano la macchina nel caso in cui vengano rimosse;

– sistema di ritorno in posizione abbassata dei rulli conici a seguito di intervento su emergenza o micro di sicurezza”.

 

Sono poi presentate altre macchine relative alla linea disosso:

– lavaggio: “macchina destinata al lavaggio in modo automatico di prodotto su telaio o bilancelle su guidovie e di telai e bilancelle vuote su guidovie”;

– disossatrice: “macchina destinata a facilitare l’espulsione dell’osso dal prosciutto crudo”;

– pressa per prosciutti: “macchina destinata alla pressatura di prodotti alimentari di diversa conformazione e tipologia e pressatura contemporanea di più prodotti”;

– cucitrice: “macchina destinata alla cucitura di prosciutti disossati”;

– legatrice automatica: “macchina destinata alla legatura automatica del gambo del prosciutto”.

 

Riportiamo alcune indicazioni sulla sicurezza della disossatrice:

– dispositivi di sicurezza: presenza di doppi comandi per azionare la macchina; micro di sicurezza installato sul coperchio superiore della macchina che consente l’accesso al vano organi di movimento”.

– misure di sicurezza: “unico operatore; utilizzo di DPI metallici a protezione delle mani; utilizzo di DPI metallici a grembiule; carico di un solo prodotto per volta”.

 

E riguardo alla linea disosso ci soffermiamo brevemente anche sulla sicurezza delle presse per prosciutti:

– dispositivi di sicurezza: “schermi fissi e dispositivi scansamano; doppio pulsante di azionamento per ogni sezione di stampaggio; comando dedicato per ogni sezione di azionamento dell’espulsore del prodotto al termine del ciclo di pressatura”;

– misure di sicurezza: “adozione di indumenti e abiti da lavoro aderenti””

Ricordiamo che nel documento sono riportate indicazioni dettagliate, in specifici paragrafi, sui dispositivi di sicurezza delle macchine e sui dispositivi di protezione del corpo e delle mani.

 

Veniamo ora alla sicurezza nell’utilizzo dei sistemi robotizzati, macchine o insieme di macchine “asservite nella manipolazione del materiale o nell’esecuzione delle lavorazioni da robot o altri sistemi di automazione”. Una volta allestito, “il sistema robotizzato diventa un’unica entità anche se composta di più macchine diverse tra loro. Nel sistema robotizzato il compito dell’operatore può essere quello di caricare e scaricare una linea o un magazzino a meno che questa funzione non sia anch’essa automatizzata o di intervenire per operazioni di programmazione, messa a punto, manutenzione e riparazione”.

 

Gli elementi di pericolo di un’isola robotizzata sono “costituiti dai movimenti del robot e delle altre macchine facenti parte del sistema. Per la particolarità dei robot, di compiere movimenti molto ampi, ad alta energia e velocità con avvio ed andamento del moto difficili da prevedere, tutta l’area attorno al sistema robotizzato deve essere delimitata in modo tale che dall’esterno non sia possibile venire a contatto con i suoi elementi pericolosi tenendo conto della loro massima estensione. Tale area è definita ‘Spazio Protetto’; l’accesso a tale area deve poter avvenire solo quando tutte le macchine comprese nell’isola sono in condizioni di sicurezza”.

 

Si indica che le protezioni attorno allo spazio protetto “possono essere costituite da una combinazione dei seguenti dispositivi:

– “ripari fissi che evitano l’accesso allo spazio protetto se non attraverso aperture protette con ripari mobili interbloccato con dispositivi di rilevazione della presenza di persone;

– ripari mobili interbloccati. Quando è possibile entrare con l’intero corpo all’interno della zona protetta, il riparo mobile deve essere dotato di un dispositivo che ne impedisca la chiusura involontaria;

– dispositivi rilevatori di presenza, questi devono essere collocati in modo che sia impossibile entrare nella zona protetta senza esserne rilevati. Il riavviamento del robot può avvenire solo quando la persona non è più rilevata”.

 

E nell’utilizzo in sicurezza delle isole robotizzate devono essere sempre rispettati alcuni principi fondamentali:

– “assenza di persone nello Spazio Protetto durante il funzionamento automatico;

– eliminazione dei pericoli o, in alternativa la loro massima riduzione possibile durante gli interventi che è necessario effettuare all’interno dello Spazio Protetto (es. programmazione, manutenzione, ecc.);

– l’accesso allo spazio protetto è consentito solo al personale autorizzato che segue procedure definite come previsto ad esempio per la programmazione”.

 

Rimandando alla lettura delle altre indicazioni per la sicurezza contenute nel documento, riportiamo per concludere le azioni per la sicurezza e l’igiene del lavoro relative ai sistemi robotizzati utilizzati nella lavorazione delle carni.

 

Programmazione:

– “La programmazione deve essere affidata solo a personale qualificato e specificatamente addestrato;

– Durante la programmazione si deve verificare visivamente il sistema robotizzato e lo spazio protetto per garantire che non sussistano condizioni di pericolo;

– Prima di utilizzare l’unità portatile questa deve essere provata per accertarne il corretto funzionamento;

– Ogni guasto o inconveniente deve essere rimosso prima di iniziare la programmazione;

– La programmazione deve avvenire senza che nessuno si trovi all’interno dello spazio protetto;

– Se ciò fosse impossibile, possono essere sospese provvisoriamente alcune protezioni a condizione che vengano automaticamente adottati altri criteri di sicurezza (unità portatile, ecc.);

– Prima di entrare nello spazio protetto il programmatore deve verificare che tutte le protezioni siano presenti e funzionanti;

– Le operazioni di programmazione devono sempre avere inizio prima di entrare nello spazio protetto;

– Durante la programmazione non deve essere possibile il funzionamento automatico;

– In fase di programmazione solo il programmatore può essere presente all’interno dello spazio protetto:

– L’isola robotizzata deve essere sotto l’esclusivo comando del programmatore quando questi è all’interno dello spazio protetto;

– Una volta completata la programmazione devono essere ripristinate tutte le protezioni eventualmente disattivate;

– Deve essere conservata una registrazione dei programmi eseguiti comprensiva di tutte le modifiche apportate;

– La verifica del programma deve avvenire senza persone presenti all’interno dello spazio protetto;

– Se ciò non è possibile, si applicano le procedure già descritte (velocità lenta, comando azione mantenuta, ecc.)”.

 

Prima dell’utilizzo:

– “Prendere visione delle Istruzioni per l’uso ed essere formati all’utilizzo in sicurezza della macchina;

– Verificare la presenza ed il corretto posizionamento dei ripari e dei dispositivi di sicurezza;

– Verificare il funzionamento dei dispositivi di interblocco dei ripari;

– Verificare il funzionamento dei pulsanti di arresto di emergenza;

– Indossare indumenti che non possano impigliarsi alle parti pericolose in movimento sulla macchina;

– Non indossare sciarpe, collane, braccialetti, orologi, anelli, raccogliere e legare i capelli lunghi;

– Indossare i dispositivi di protezione individuale (DPI)” riportati nel documento.

 

Durante l’utilizzo:

– “Mantenere correttamente posizionati i ripari sulla macchina;

– Non manomettere o eludere i dispositivi di sicurezza. Se la loro disattivazione dovesse essere indispensabile ai fini di una specifica lavorazione, dovranno essere adottate immediatamente altre misure di sicurezza quali velocità di lavorazione molto lente, comandi ad azione mantenuta, ecc…;

– Effettuare i cambi pezzo solo a macchina ferma;

– Segnalare tempestivamente eventuali malfunzionamenti o guasti al proprio preposto”.

 

Dopo l’utilizzo:

– “Spegnere la macchina;

– Riporre le attrezzature e gli strumenti di misura negli appositi contenitori;

– Lasciare pulita (da trucioli, sfridi di lavorazione e fluidi lubrorefrigeranti) e in ordine la macchina e la zona circostante (in particolare il posto di lavoro);

– Ripristinare il funzionamento di ripari eventualmente disattivati”.

 

 

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite una registrazione al sito.

 

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro – Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

 

 

RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it