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I quesiti sul decreto 81: un caso di “malasicurezza”

Quesito

Un committente, nel caso di lavori edili appaltati inizialmente ad un’unica impresa che li ha poi in parte subappaltati ad altra impresa, non intende nominare il coordinatore per la sicurezza benché invitato a farlo dal progettista e direttore dei lavori, ritenendo di non esserne obbligato. In tal caso se durante l’esecuzione dei lavori ci fosse un accertamento ispettivo o se peggio si verificasse un infortunio il direttore dei lavori, mancando il coordinatore, può essere soggetto in qualche modo a sanzioni o essere ritenuto responsabile dell’infortunio accaduto?

 

Risposta

Quello segnalato nel quesito è un altro caso di “malasicurezza” in quanto nello stesso è possibile riscontrare un mancato rispetto da parte di un committente delle disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro nei cantieri temporanei o mobili, un altro caso dopo quelli già segnalati nei quesiti pubblicati sul quotidiano precedentemente:

 

Questa volta il quesito è stato formulato dal progettista nonché direttore dei lavori di un’opera edile il quale giustamente si preoccupa perché il committente, pur sapendo che per l’esecuzione dell’opera edile saranno impegnate più imprese e pur richiamato dallo stesso progettista e direttore dei lavori al rispetto dei suoi obblighi, non provvede a nominare il coordinatore per la sicurezza ritenendo di non esserne obbligato. In tal caso, chiede il lettore, per un malaugurato infortunio sul lavoro che dovesse accadere nel cantiere o nel caso che venissero contestate dall’organo di vigilanza delle violazioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro può essere chiamato a rispondere il direttore dei lavori?

 

(…)

 

La risposta completa è disponibile per gli abbonati in area riservata:

 

Ing. Gerardo Porreca – I quesiti sul decreto 81 – Sulla responsabilità del direttore dei lavori in materia di salute e sicurezza sul lavoro nei cantieri temporanei o mobili.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Stanno aumentando i morti sul lavoro

Due operai morti a Lucca mentre installavano le luminarie per la festa patronale precipitati da un cestello da dieci metri di altezza, un lavoratore travolto e schiacciato da sacchi di plastica in un capannone a Mornico al Serio (Bergamo) sono solo gli ultimi casi di cronaca di morti sul lavoro.

Dall’inizio dell’anno si sono registrati 29 vittime in più a confronto dello stesso periodo dello scorso anno: 591 decessi nel 2017 contro i 562 del 2016 (+ 5,2%). Un dato allarmante e preoccupante.

 

Non può essere compreso e condiviso il ragionamento del sottosegretario al lavoro Luigi Bobba per il quale “In qualche modo negli anni passati si scontava il fatto di una diminuzione delle ore lavorate e, quindi, di un calo degli infortuni. Ora con la ripresa economica più sostenuta si registra un aumento dei casi”. Significa forse che, come auspicabile, con la ripresa economica in atto dovremo abituarci e prevedere nuovi morti sul lavoro?

 

Certo lo stesso sottosegretario poi afferma che “bisogna continuare a investire sulla prevenzione e sulla sicurezza. Un investimento che però non tocca solo i datori di lavoro, ma anche i giovani i quali devono imparare a conoscere le norme sulla sicurezza del settore in cui lavorano o andranno a lavorare”. Affermazione interessante che, però, non può restare una buona intenzione ma deve trovare politiche attuative e strumenti efficaci di intervento. Prima di tutto – vale la pena di sottolineare – dov’è il Ministero del Lavoro? Assistiamo ormai da alcuni anni ad una specie di latitanza, non tanto normativa ma piuttosto di indirizzo, stimolo, dibattito sull’applicazione della norma.

 

In questa tragica occasione si inserisce una, condivisa breve nota del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il quale “Il nostro Paese non può rassegnarsi a subire morti sul lavoro. E’ indispensabile che le norme sulla sicurezza nel lavoro vengano rispettate con scrupolo e i controlli devono essere attenti e rigorosi”. Ecco il punto!

 

Condividiamo questo messaggio del Presidente cogliendone due semplici ed importanti indicazioni. Da un lato il rispetto scrupoloso delle norme. E questo spetta a tutti gli operatori della sicurezza: datori di lavoro, dirigenti, rappresentanti dei lavoratori, R.S.P.P., consulenti. Del resto il rispetto scrupoloso della norma non è un adempimento formale ma, piuttosto, pensare ed agire in modo sostanziale con la normativa per attuare la prevenzione della salute e della sicurezza sul lavoro. A ciò deve far seguito l’azione di controllo attento e rigoroso.

 

Anche in questo caso, però, qualora i controlli vengano effettuati, non si sa mai come è andata a finire. Le lungaggini giuridiche e le sentenze dei tribunali incidono poco o nulla sia nella prevenzione e sia nei controlli. Un’area grigia e nebulosa aleggia su tutti i processi che vedono infortuni e morti sul lavoro con ribaltamenti di sentenze tra il Giudizio di primo grado e la Cassazione. Ora nessuno vuole inficiare il sistema legislativo e le garanzie della difesa ma stabilire tempi certi e più veloci deve essere un richiamo per tutti.

 

La sicurezza sul lavoro deve interessare anche la magistratura che deve intervenire nei tempi giusti ed in modo utile affinché il percorso che inizia dalla prevenzione al controllo ed alla sanzione possa rappresentare esempio di comportamenti e di azioni corrette nell’applicazione delle norme.

 

L’attuale sistema sanzionatorio applicato dagli organismi di vigilanza spesso si traducono nel pagamento di una semplice sanzione amministrativa che risolve la questione. In alcuni casi per alcune aziende è più conveniente pagare o, magari, andare a processo confidando nella prescrizione. L’azione degli stessi ispettori del lavoro o delle ASL risulta incompleta e inconclusa non venendo in tempi ragionevoli a conoscenza dell’esito dei rispettivi controlli. Tali compiti non rappresentano solo una corretta azione di polizia giudiziaria ma, dovrebbero, costituire veri e propri esempi (negativi, al contrario delle buone prassi) di errate valutazioni, errori, inadempimenti, ecc. Insomma una specie di near miss che si potrebbero definire “le contravvenzioni e i mancati adempimenti” affinché, sia a livello statistico e sia a livello territoriale possano essere conosciuti e rappresentare gli aspetti della sicurezza (non attuati e non applicati) che devono essere alla base di un serio e corretto adempimento delle norme prevenzionistiche. Una bella lezione sulle norme da portare a conoscenza degli operatori della sicurezza che come ricorda il Presidente Mattarella devono essere rispettate con scrupolo.

 

 

Rocco Vitale

presidente AiFOS

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Un riepilogo di linee guida e buone prassi per l’agricoltura

Un riepilogo di linee guida e buone prassi per l’agricoltura

Brescia, 1 Ago – Nella convinzione di poter essere utili a operatori e aziende, PuntoSicuro ha iniziato a raccogliere, su diversi temi in materia di sicurezza e salute sul lavoro, linee guidabuone prassilinee di indirizzolinee operative pubblicate e approvate in questi anni a livello nazionale e a livello regionale. Documenti che seppure in alcuni casi (la normativa regionale) vigenti solo nei territori dell’ente locale che li ha approvati, possono costituire un utile punto di riferimento, una base di partenza per elaborare idonee strategie in materia di prevenzione.

 

E se in precedenti articoli abbiamo presentato diversi documenti in materia di rischio chimico o relativi al comparto edile e al comparto sanità, non potevamo non focalizzare la nostra attenzione su uno dei settori lavorativi a maggior rischio per i lavoratori: l’agricoltura.

 

Sono tanti i fattori di rischio per gli operatori nel comparto agricolo, spesso aggravati anche dalla stagionalità, dalla precarietà della manodopera. E uno di questi è sicuramente correlato all’utilizzo di sostanze chimiche, con particolare riferimento ai fitosanitari.

 

Sappiamo infatti che l’ impiego di fitofarmaci, dei fitosanitari in agricoltura comporta una serie di complesse problematiche in termini di sicurezza e di rischi per l’ambiente e per la salute degli operatori e dei consumatori. E in particolare ai lavoratori i fitofarmaci possono causare danni in funzione sia della tossicità delle sostanze impiegate, che dei livelli di esposizione e di assorbimento attraverso le diverse vie di penetrazione nell’organismo (inalatoria e dermica).

 

Uno degli enti locali che ha elaborato nel tempo diverse norme, buone prassi e indirizzi operativi in materia di fitosanitari è la Regione Lombardia.

 

Riportiamo alcune di queste norme accompagnate anche dall’indicazione, laddove presente, dell’articolo di PuntoSicuro che ne ha presentato i contenuti:

 

– Regione Lombardia – Direzione Generale della Sanità – Decreto n. 4580 del 29 aprile 2010 – Buona Pratica dell’Utilizzo dei Fitofarmaci in Agricoltura – articolo “ L’utilizzo sicuro dei fitofarmaci in agricoltura”;

 

– Regione Lombardia – Direzione Generale della Sanità – Decreto n. 6989 del 1 agosto 2012 – Indicazioni operative alle ASL conduzione attività di vigilanza sulla sperimentazione di prodotti fitosanitari;

 

– Regione Lombardia – Direzione Generale della Sanità – Decreto n. 6986 del 1 agosto 2012 – Indirizzi operativi per il controllo ufficiale sul commercio e impiego prodotti fitosanitari.

 

Passiamo ora ad una seconda problematica rilevante nel comparto agricolo: gli incidenti correlati all’utilizzo delle macchine agricole.

 

Alcuni dati di qualche anno fa mostravano, a questo proposito, come nei campi agricoli ci siano spesso molti più morti, per problemi legati alle macchine, che nella rete autostradale. E nel 2014 le vittime totali nei campi e sulle strade adiacenti per incidenti con trattori agricoli sono state 181 (+4,6%) e 257 i feriti (+4%) in 390 incidenti (+4,3%).

 

Con riferimento ai dati infortunistici sugli infortuni in agricoltura e per offrire utili spunti di prevenzione, l’Inail ha prodotto specifiche linee guida, discusse a approvate nel 2010 dalla Conferenza Permanente Stato-Regioni.

Stiamo parlando del documento “Adeguamento Macchine Agricole. Adeguamento delle Macchine Agricole desilatrici, miscelatrici e/o trinciatrici e distributrici di insilati ai requisiti di sicurezza relativo ai rischi individuali nella clausola di salvaguardia presentata dall’Italia nei confronti della norma EN 703:1995. Linee guida” presentato da PuntoSicuro nell’articolo “ Linee guida per l’adeguamento delle macchine agricole” con riferimento anche all’ Accordo-quadro di collaborazione tra Istituto Nazionale per l’Assicurazione Contro gli Infortuni sul lavoro e  Unione Nazionale Commercianti Macchine Agricole.

 

Sono tuttavia molti i documenti operativi realizzati sul tema dei rischi nell’utilizzo di macchine agricole e sull’adeguamento necessario per migliorare la sicurezza.

Ricordiamo a questo proposito alcuni documenti prodotti dall’ex Ispesl (ora Inail), prima e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, sull’adeguamento dei trattori agricoli e forestali, anche con riferimento all’installazione dei dispositivi di protezione in caso di ribaltamento.

Li abbiamo presentati in diversi articoli del nostro giornale:

– “ Adeguamento dei trattori agricoli o forestali: le cinture di sicurezza”;

– “ Aggiornamento Linee Guida Ispesl”;

– “ D.Lgs. 81/08 e dispositivi di protezione nei trattori”.

 

Riprendiamo poi alcune pubblicazioni e circolari che contengono indicazioni operative sull’adeguamento di motocoltivatori e motozappatrici e che hanno l’intento anche di supportare gli operatori del settore (datori di lavoro, lavoratori autonomi, venditori, noleggiatori, concedenti in uso, organi di controllo, ecc.) nel processo di adeguamento delle attrezzature:

– “ Il documento tecnico per l’adeguamento di motocoltivatori e motozappatrici ai requisiti di sicurezza di cui all’allegato V del d.lgs. 81/08” (documento Inail del 2013);

– Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro – Circolare n. 41 del 25 ottobre 2013 – Problematiche di sicurezza delle macchine – Adeguamento di motocoltivatori e motozappatrici – articolo “ Sicurezza macchine: obbligo di adeguamento ai requisiti di sicurezza”.

 

E per sottolineare quanto sia importante anche la formazione e addestramento per l’utilizzo delle macchine agricole, riportiamo una circolare del 2014 che raccoglie utili istruzioni operative per la formazione dei lavoratori addetti alla condizione dei trattori agricoli o forestali:

– Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Circolare n. 34 del 23 dicembre 2014 – “Istruzioni operative per lo svolgimento dei moduli pratici dei corsi di formazione per lavoratori addetti alla conduzione di trattori agricoli o forestali” ai sensi dell’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 22 febbraio 2012 – articolo  “ Istruzioni operative per la formazione dei lavoratori addetti alla condizione dei trattori agricoli o forestali”.

 

Torniamo alla Regione Lombardia che nel 2009 ha prodotto linee guida e linee operative sul tema della gestione del parco macchine in agricoltura e sul tema della sorveglianza sanitaria, partendo dalla constatazione di una “significativa carenza di prevenzione nel settore”:

– Regione Lombardia – Direzione Generale Sanità – Decreto N. 120 del 14 gennaio 2009 – Linea operativa gestione parco macchine per il contenimento degli eventi infortunistici nel comparto agricolo;

– Regione Lombardia – Direzione Generale Sanità – Decreto N. 3959 del 22 aprile 2009 – Linee guida per la sorveglianza sanitaria in agricoltura.

Entrambi i documenti sono stati presentati nell’articolo di PuntoSicuro “ Sicurezza in agricoltura: linee guida per la prevenzione”.

 

Concludiamo questa breve rassegna con alcune linee guida e documenti operativi che affrontano un altro fattore di rischio in agricoltura: la presenza di animali.

 

Partendo dalla constatazione che in Lombardia c’è un’alta incidenza di infortuni nell’ attività zootecnica ed in particolare nella zootecnia bovina, la Regione Lombardia ha prodotto diversi documenti sulla prevenzione degli infortuni in zootecnia:

– Regione Lombardia Decreto Direzione Generale Sanità n. 16258 del 29.9.2004 Linee Guida Regionali per la prevenzione degli infortuni in zootecnia – articolo “ Far crescere la sicurezza nelle aziende zootecniche”;

– Regione Lombardia – Direzione Generale della Sanità – Decreto N. 5368 del 29 maggio 2009 – Linee guida integrate in edilizia rurale e zootecnia – articolo “ Linee guida integrate in edilizia rurale e zootecnia”.

 

Segnaliamo, infine, che nelle prossime settimane produrremo altri articoli riepilogativi di linee guida e normative relative a: attrezzature di lavoro, malattie professionali, fibre artificiali vetrose, polvere di legno, rischi correlati a specifiche attività, formazione, …

 

 

Tiziano Menduto

 

 

N.B.: L’articolo presenta, senza alcuna pretesa di esaustività, una selezione di alcune delle linee guida e dei provvedimenti, vigenti o non più vigenti, pubblicati in questi ultimi anni a livello nazionale e regionale.

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Fonte: puntosicuro.it

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L’importanza del rigore nella formazione in modalità e-learning

La formazione alla sicurezza sul lavoro è uno dei pilastri su cui si regge ogni politica di prevenzione e di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in ogni ambiente di lavoro. E può essere erogata in modalità molto diverse tra loro: in aula, in modalità e-learning, in modalità blended learning (aula e online), …

 

In particolare la formazione e-learning corrisponde ad un modello formativo interattivo attuato su una piattaforma informatica online che consente a chi viene formato di interagire con un tutor e con gli altri discenti. Un modello formativo, che si differenzia dalla semplice e passiva “formazione a distanza”, e che è stato recentemente valorizzato per la sua flessibilità e la sua capacità di venire incontro alle esigenze di operatori e aziende. Ad esempio riducendo i vincoli spaziali, correlati alla necessità della presenza degli allievi in uno stesso luogo, o riducendo i vincoli temporali con un’erogazione che può avvenire in qualunque momento.

 

Tuttavia perché la formazione in modalità e-learning possa essere un reale elemento di prevenzione e di riduzione degli infortuni è anche necessario che sia rigorosa. Che non sia, dunque, solo conforme alle normative ma anche qualitativamente validatecnologicamente avanzata e in grado di modificare realmente i comportamenti dei lavoratori aumentando la consapevolezza dei rischi e la necessità di idonee buone prassi.

 

Il problema è che la situazione della formazione alla sicurezza in Italia, anche riguardo ai corsi in modalità e-learning, è piena di chiaroscuri: ci sono ottimi ed efficaci esempi formativi, ma anche grandi carenze, formazioni qualitativamente inidonee, non conformi alla legge o senza rigore didattico.

 

Proprio per questo motivo e nel tentativo di contribuire al miglioramento qualitativo della formazione in Italia, l’azienda Mega Italia Media srl – una delle aziende leader nella formazione alla sicurezza in Italia e nello sviluppo di applicazioni tecnologicamente avanzate per la formazione online – ha organizzato il 13 settembre 2017, durante la manifestazione modenese “Ambiente Lavoro Convention”, il seminario “Il rigore didattico nella formazione obbligatoria in modalità e-learning su salute e sicurezza”.

 

L’organizzazione dell’incontro avviene in collaborazione con PuntoSicuro, quotidiano online che dal 1999 produce un’informazione attenta e attendibile sui temi della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Quotidiano che in questi anni ha affrontato direttamente il tema della qualità della formazione attraverso specifiche interviste, documenti sulle criticità della formazione e indicazioni sulle novità normative.

 

Nel seminario del 13 settembre si mostreranno innanzitutto le corrette modalità di costruzione ed erogazione di corsi e-learning rispondenti all’allegato II dell’Accordo Stato-Regioni del 7 luglio 2016.

Ci si soffermerà sul contratto formativo, sugli apprestamenti tecnici per evitare altre attività durante lo svolgimento dei corsi, sull’interazione con tutor, mentor e utenti, sulla predisposizione dei test di verifica. Altri argomenti, sempre connessi al necessario rigore didattico per una formazione in e-learning di qualità, riguarderanno la tracciabilità integrale degli argomenti e delle attività dell’utente, le esercitazioni, il monitoraggio del gradimento, gli esami di fine corso e l’amministrazione della piattaforma e-learning.

 

Segnaliamo, in particolare, che con l’ Accordo del 7 luglio 2016 è stato notevolmente ampliato e valorizzato l’utilizzo della modalità e-learning nella formazione. L’Accordo permette, infatti, il ricorso alla modalità e-learning non solo per i rischi generali di tutti i lavoratori, ma anche per i rischi specifici nelle aziende a rischio basso.

E il già citato Allegato II (“Requisiti e specifiche per lo svolgimento della formazione su salute e sicurezza in modalità e-learning”) indica anche precisi requisiti qualitativi riguardo all’uso di piattaforme. In particolare si indica che ogni corso o modulo ‘dovrà essere realizzato in conformità allo standard internazionale SCORM (Shareable Content Object Reference Model) (“Modello di riferimento per gli oggetti di contenuto condivisibile”) o eventuale sistema equivalente, al fine di garantire il tracciamento della fruizione degli oggetti didattici (Learning Objects) nella piattaforma LMS utilizzata’.

 

Con l’obiettivo di offrire utili strumenti per migliorare la qualità della formazione in e-learning, si terrà, dunque, mercoledì 13 settembre 2017 a Modena, dalle 09.00 alle 11.00, il seminario “Il rigore didattico nella formazione obbligatoria in modalità e-learning su salute e sicurezza”.

L’incontro si svolgerà presso la Sala dei 40 (galleria d’ingresso – 1° piano) di “ Ambiente Lavoro Convention”, la manifestazione che si tiene a Modena dal 13 al 14 settembre 2017 presso il quartiere fieristico, un’occasione per diffondere e scambiare competenze cercando di raccogliere soluzioni e proposte per il presente e il futuro della prevenzione di incidenti e malattie professionali in Italia.

 

L’incontro è valido per il rilascio di n. 2 crediti di aggiornamento per la figura di formatore alla sicurezza, RSPP e ASPP.

 

Segnaliamo che per la partecipazione ai convegni e seminari è necessaria la registrazione agli eventi e il pagamento della quota d’ingresso ad Ambiente Lavoro Convention.

 

Alla manifestazione Mega Italia Media sarà presente con uno stand espositivo (B54 – padiglione B) che permetterà di far conoscere e sperimentare novità ed efficacia dei propri prodotti.

 

Per ulteriori informazioni e iscrizioni: Mega Italia Media S.r.l. – Via Roncadelle 70A, 25030 Castel Mella – Brescia – anthea.dedomenico@megaitaliamedia.it – Tel. 030 5531835 – www.megaitaliamedia.it

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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FGAS: disposizioni in vigore dal 15 agosto 2017

Il regolamento comunitario riguardante la gestione dei gas fluorurati ad effetto prevede l’obbligo di comunicare, entro il 31 marzo di ogni anno, le quantità di gas gestite nell’anno precedente da parte di determinate categorie di produttori, importatori, esportatori o utilizzatori di questi gas. Con un regolamento di esecuzione sono state modificate le informazioni da fornire esclusivamente per via telematica tramite il sito https://bdr.eionet.europa.eu.

 

Queste disposizioni saranno in vigore dal 15 agosto 2017

 

Queste modifiche intervengono sul Regolamento (UE) n.1191/2014, emanato in esecuzione dell’art.19 del Regolamento (UE) n.517/2014:

  • Per verificare il rispetto dell’obbligo d’invio della comunicazione, prima di svolgere le attività oggetto della comunicazione le imprese devono registrarsi sul sito web della comunicazione ( https://bdr.eionet.europa.eu);
  • Nella sezione 1 della comunicazione, riguardante i produttori di fgas, occorre ora indicare anche i quantitativi di idrofluorocarburi (HFC) prodotti per essere impiegati come materie prime nell’Unione o per usi interni all’Unione esonerati a norma del protocollo di Montreal;
  • Nella sezione 2, importatori, a partire dal 2020 i quantitativi di HFC andranno comunicati separatamente per ogni paese d’origine, salvo quando diversamente indicato. Inoltre i dati richiesti sono completamente modificati, in quanto ora viene richiesta una suddivisione dei quantitativi: importati nell’Unione e riesportati dopo essere stati caricati in prodotti o apparecchiature, HFC usati, riciclati o rigenerati, HFC vergini importati per l’utilizzo come materia prima, HFC vergini importati per usi esonerati dal protocollo di Montreal;
  • Nella sezione 3, esportatori, analogamente alla sezione 2 i quantitativi di HFC andranno comunicati separatamente per ogni paese di destinazione, salvo quando diversamente indicato. Inoltre vengono ora richiesti i quantitativi di HFC usati, riciclati o rigenerati esportati, HFC vergini esportati per l’utilizzo come materia prima, HFC vergini esportati per usi esonerati dal protocollo di Montreal;
  • Nella sezione 4, riguardante produttori e importatori, è stata modificata la formula per il calcolo del quantitativo totale immesso fisicamente in commercio;
  • Nella sezione 12, riguardante gli importatori di apparecchiature per refrigerazione, condizionamento o pompe di calore caricate con HFC, è specificato che i quantitativi di gas caricati nelle apparecchiature importate riguarda gas immessi dalla dogana in libera pratica nell’Unione;
  • Infine viene eliminata la sezione 13, riguardante importatori di apparecchiature per refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore caricate con HFC, se gli HFC sono stati contabilizzati nel sistema di quote tramite specifiche autorizzazioni. Ciò in quanto con l’istituzione del registro elettronico tramite il Regolamento (UE) n.879/2016, queste informazioni sono già note.

 

Interpreta®

 
REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2017/1375 DELLA COMMISSIONE del 25 luglio 2017 che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 1191/2014 che determina il formato e le modalità di trasmissione della relazione di cui all’articolo 19 del regolamento (UE) n. 517/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sui gas fluorurati a effetto serra.

 

 

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Fonte: puntosicuro.it

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La promozione e la tutela della salute nei luoghi di lavoro

Bologna, 2 Ago – Abbiamo più volte sottolineato come la promozione della salute nei luoghi di lavoro (PSL) non solo abbia un valore strategico nelle aziende, ma debba essere considerata con un’ottica “più ampia rispetto all’adempimento degli obblighi di prevenzione e in coerenza con i principi della responsabilità sociale”. Ed infatti nel D.Lgs. 81/2008 si indica (art. 25) che il medico competente collabora anche ‘alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della salute, secondo i principi della responsabilità sociale’”.

È necessario arrivare a considerare la promozione della salute quale “strategia complementare a quella della ‘tutela’ della salute”.

 

A ricordarlo è un intervento al workshop, che si è tenuto il 21 ottobre 2016 a Bologna durante la manifestazione “ Ambiente Lavoro”, dal titolo “ Costruire salute in azienda: i Piani della Prevenzione delle Regioni e delle Province Autonome fra tradizione e innovazione”.

 

In particolare nell’intervento “La promozione della salute nei luoghi di lavoro: il progetto della Regione Emilia-Romagna”, a cura di Mara Bernardini (Regione Emilia-Romagna, Direzione Generale Cura della persona, salute e welfare, Servizio prevenzione collettiva e sanità pubblica, Azienda USL di Modena, Dipartimento di Sanità Pubblica, SPSAL) viene presentato il piano della prevenzione 2015 -2018 della Regione Emilia-Romagna che, in applicazione delle indicazioni del Piano nazionale per la prevenzione, individua 4 setting su cui agire: ambiente di lavoro; ambiente sanitario; scuola; comunità. E se per gli ambienti di lavoro sono previsti 8 progetti, la relazione si sofferma proprio sul progetto relativo alla “Promozione della salute nei luoghi di lavoro”.

 

La relazione, che si sofferma sugli obiettivi generali e sulle diverse attività del progetto, ne riporta anche gli obiettivi specifici:

– “prevenire o modificare quei comportamenti nocivi che costituiscono i principali fattori di rischio per le malattie croniche più frequenti (malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie, diabete);

– la PSL ( promozione della salute nei luoghi di lavoro) ha un valore strategico nei luoghi di lavoro soprattutto se collegata alla riduzione degli effetti additivi o sinergici sulla salute dei rischi professionali e di quelli legati agli stili di vita”.

 

Vengono fatti, a questo proposito, alcuni esempi di effetti sinergici.

 

Ad esempio si indica che i rischi professionali ed extraprofessionali “spesso non sono indipendenti e si possono sommare o moltiplicare tra loro”:

– il fumo di tabacco (“contiene tossici presenti anche in ambito lavorativo”, può “agire sinergicamente con agenti cancerogeni di uso professionale, ad es. l’asbesto”);

– l’alcol “potenzia l’effetto tossico di alcune sostanze con cui il lavoratore può entrare in contatto sul luogo di lavoro, ad es. solventi, pesticidi, metalli”.

Inoltre:

– “i lavoratori a più alto rischio professionale (per es. edili e autotrasportatori) spesso sono anche quelli che presentano le abitudini di vita meno salutari;

– i disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico (ampiamente diffusi nella popolazione e tra i lavoratori) sono dovuti non solo a posture scorrette, movimentazione carichi e movimenti ripetitivi nell’ambiente di lavoro, ma anche alle altrettanto diffuse abitudini di vita sedentarie, che relegano l’esercizio corporeo a poche azioni ormai pressoché residuali nella quotidianità”.

 

La relazione si sofferma poi sulle malattie croniche non trasmissibili.

Si stima, infatti, che “36 dei 57 milioni di decessi verificatisi nel mondo nel 2008, ovvero il 63%, sono stati causati da malattie non trasmissibili, inclusi in primo luogo le malattie cardiovascolari (48% delle malattie non trasmissibili), i tumori (21%), le patologie respiratorie croniche (12%) e il diabete (3,5%)”. E in Europa, “l’86% delle morti sono determinate da patologie croniche – malattie cardiovascolari e respiratorie, tumori, diabete – che hanno in comune quattro principali fattori di rischio: fumo, abuso di alcol, cattiva alimentazione e inattività fisica”. In Italia, questo gruppo di malattie “è responsabile del 75% delle morti e sempre del 75% di condizioni di grave disabilità”.

Si segnala poi che “particolarmente in questi anni di crisi economica e nuovi scenari lavorativi, si assiste ad una nuova diffusione delle problematiche connesse alle malattie croniche non trasmissibili. Chi è disoccupato fuma di più, abusa più spesso di alcol ed è più sedentario, tutti fattori di rischio per molte malattie, incluse quelle circolatorie, respiratorie, metaboliche e tumorali e per la mortalità generale”.

 

Dunque la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili e la promozione di sani stili di vita “sono obiettivi prioritari dell’Unione Europea, che considera la salute come un’opportunità ed un investimento, nonché uno strumento di sviluppo sociale ed economico”. In particolare le strategie di prevenzione in materia di salute e sicurezza “devono essere volte a consolidare un approccio complessivo alla salute e al benessere anche in ambito lavorativo, attraverso l’empowerment, ossia la diffusione delle conoscenze e la sensibilizzazione delle persone al fine di indurle all’autodeterminazione alla scelta consapevole dell’adozione di stili di vita corretti e sani”.

 

In particolare la promozione della salute nei luoghi di lavoro deve essere focalizzata sulla “modifica dei comportamenti individuali in grado di influenzare negativamente lo stato di salute;

– l’ abuso di alcol e di altre sostanze;

– il fumo di tabacco;

– le abitudini alimentari non corrette;

– la sedentarietà;

– la mancata partecipazione ai programmi volontari di screening consigliati (prevenzione delle patologie cardiovascolari, dei tumori, etc.);

– la mancata effettuazione delle vaccinazioni raccomandate in soggetti a rischio”.

 

Concludiamo segnalando che la relazione si sofferma anche sulle caratteristiche del progetto, sulle linee di intervento, sui risultati di quanto realizzato e sul ruolo dei medici competenti.

 

 

“ La promozione della salute nei luoghi di lavoro: il progetto della Regione Emilia-Romagna”, a cura di Mara Bernardini (Regione Emilia-Romagna, Direzione Generale Cura della persona, salute e welfare, Servizio prevenzione collettiva e sanità pubblica, Azienda USL di Modena, Dipartimento di Sanità Pubblica, SPSAL), intervento al workshop “Costruire salute in azienda: i Piani della Prevenzione delle Regioni e delle Province Autonome fra tradizione e innovazione” (formato PDF, 5.34 MB).

 

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

Fonte: puntosicuro.it

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Campi elettromagnetici: l’esposizione nei processi di elettrolisi

Lussemburgo, 17 Lug – Nei luoghi di lavoro l’esposizione ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici (CEM) può dipendere dai processi di elettrolisi, un fenomeno elettrochimico che consiste nello svolgimento di trasformazioni chimiche grazie all’apporto di energia elettrica e che ha importanti applicazioni tecniche e industriali, ad esempio nell’elettrometallurgia e nella produzione di cloro e di alluminio.

 

Per avere qualche informazione sui rischi relativi a questa tipologia di processi, possiamo fare riferimento al contenuto di una delle guide sui campi elettromagnetici elaborate dalla Commissione Europea, la “ Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 2: Studi di casi” che presenta diversi studi di casi che riguardano settori professionali diversi e che si basano su valutazioni realmente effettuate di situazioni reali.

 

Nel documento sono analizzati i rischi in un grande impianto per la produzione di cloro con riferimento particolare alla sala delle celle elettrolitiche e alle zone degli armadi dei raddrizzatori. E si segnala che, in questo caso, le sorgenti di campi elettromagnetici sono elettrolizzatori, raddrizzatori a tiristori, sbarre collettrici e trasformatori.

 

Si indica poi che la maggior parte del lavoro sull’attrezzatura è svolto da tecnici qualificati ed esperti, un lavoro che può comportare, periodicamente, lo smontaggio e la manutenzione di un elettrolizzatore mentre gli elettrolizzatori vicini sono sotto tensione.

L’impianto è relativamente nuovo e la progettazione ha tenuto conto della sicurezza in materia di campi elettromagnetici, un caso che costituisce già un esempio di buona prassi e “conferma quanto sia importante tener conto dell’esposizione ai campi elettromagnetici nelle fasi di progettazione di un grande progetto”.

 

La guida riporta diverse informazioni sulle apparecchiature che generano campi elettromagnetici con riferimento alla sala delle celle elettrolitiche e alla zona degli armadi dei raddrizzatori (ogni zona contiene un raddrizzatore di tiristori che fornisce corrente continua a due elettrolizzatori).

 

Riguardo all’approccio alla valutazione dell’esposizione si indica che le misurazioni dell’esposizione “sono state effettuate da un consulente esperto utilizzando strumenti speciali”. E partendo dalla constatazione che l’impianto “era stato progettato tenendo conto della sicurezza in materia di campi elettromagnetici, e che il progetto comprendeva una valutazione consistente in una modellizzazione teorica, basata sul calcolo dei campi magnetici presenti intorno alle parti dell’impianto conduttrici di corrente, l’obiettivo delle misurazioni era di confermare che le misure di protezione e di prevenzione già in vigore fossero tali da limitare efficacemente l’esposizione ai campi elettromagnetici”.

In particolare sono state misurate “sia l’induzione magnetica statica — per la corrente continua fornita agli elettrolizzatori — sia l’induzione magnetica variabile nel tempo — in quanto la corrente continua era prodotta dalla rettificazione di una alimentazione di corrente alternata; si prevedeva quindi di riscontrare qualche ondulazione sulla corrente continua erogata agli elettrolizzatori. La frequenza dell’ondulazione è stata confermata anche nel corso della valutazione dell’esposizione”.

 

Rimandando alla lettura integrale della guida che riporta i dettagli delle misurazioni, ricordiamo che risultati delle misurazioni dell’esposizione sono stati confrontati con i VLE (valori limite di esposizione) e LA (livelli di azione) pertinenti.

 

Nel caso dell’elettrolisi i “valori significativi per la comparazione dei risultati delle misurazioni sono i seguenti:

– per i campi magnetici statici: il VLE per l’induzione magnetica dei campi magnetici statici (condizioni di lavoro normali); il livello di azione per l’induzione magnetica dei campi magnetici statici (interferenza con dispositivi medici impiantati attivi come stimolatori cardiaci); il livello di azione per l’induzione magnetica dei campi magnetici statici (rischio di attrazione e propulsivo nel campo periferico di sorgenti ad alta intensità);

– per campi magnetici variabili nel tempo: livelli di azione per l’induzione magnetica di campi magnetici variabili nel tempo; i livelli di riferimento previsti dalla raccomandazione (1999/519/CE) del Consiglio per i campi magnetici variabili nel tempo (per lavoratori esposti a particolari rischi)”.

Nella guida sono riportati diversi grafici relativi ai risultati significativi della valutazione dell’esposizione, insieme ad alcuni esempi dei diagrammi prodotti dalla valutazione consistente in una modellizzazione teorica.

 

In particolare i risultati della valutazione dell’esposizione nella sala delle celle elettrolitiche “hanno fornito all’azienda le seguenti informazioni:

– l’esposizione ai campi magnetici derivanti dagli elettrolizzatori era inferiore ai rilevanti VLE e LA relativi agli effetti diretti;

– i portatori di dispositivi medici impiantati attivi possono correre pericoli a causa dei campi magnetici statici presenti nella sala delle celle;

– i livelli di riferimento forniti dalla raccomandazione (1999/519/CE) del Consiglio venivano superati per tutta la lunghezza degli elettrolizzatori, per i campi magnetici variabili.

Era però improbabile che alla sala delle celle elettrolitiche accedessero lavoratori esposti a particolari rischi”.

Mentre i risultati della valutazione dell’esposizione nella zona dei raddrizzatori “hanno fornito all’azienda le seguenti informazioni:

– l’esposizione ai campi magnetici generati dalle sbarre collettrici e dai tiristori era inferiore ai livelli di azione relativi agli effetti diretti a livello del suolo;

– l’esposizione ai campi magnetici variabili nel tempo generati dal trasformatore sul lato opposto della parete dietro il raddrizzatore era superiore al livello di azione inferiore per l’induzione magnetica variabile nel tempo fino a una distanza di 37 cm dalla superficie della parete all’interno della zona dei raddrizzatori;

– l’esposizione ai campi magnetici variabili nel tempo generati dal trasformatore era inferiore al livello di azione superiore per l’induzione magnetica variabile nel tempo nella zona dei raddrizzatori;

– i portatori di dispositivi medici impiantati attivi possono correre pericoli a causa dei campi magnetici statici presenti nella zona dei raddrizzatori. Tuttavia, i segnali di avvertimento e le informazioni sulla sicurezza presenti nel sito sono state considerate adeguate;

– i livelli di riferimento forniti dalla raccomandazione (1999/519/CE) del Consiglio sono stati superati per i campi magnetici variabili nel tempo.

Era però improbabile che alla zona dei raddrizzatori accedessero lavoratori esposti a particolari rischi”.

 

E sulla base della valutazione dell’esposizione effettuata dal consulente, l’azienda ha dunque svolto una valutazione dei rischi per l’impianto di produzione del cloro in relazione ai campi elettromagnetici, con riferimento alla metodologia proposta da OiRA (la piattaforma interattiva online dell’EU-OSHA per la valutazione del rischio).

La valutazione dei rischi ha “concluso che:

– i lavoratori esposti a particolari rischi possono correre pericoli in prossimità degli elettrolizzatori;

– i lavoratori, compresi quelli esposti a particolari rischi, possono correre pericoli nella zona degli armadi dei raddrizzatori a causa dell’esposizione a campi magnetici”.

 

Concludiamo riportando alcune misure di protezione e prevenzione che erano già in vigore:

– “l’intensità dei campi magnetici variabili nel tempo, probabilmente generati dall’ondulazione dell’alimentazione di corrente continua agli elettrolizzatori, è stata ridotta al minimo, per esempio usando raddrizzatori a 12 impulsi anziché a sei impulsi;

– l’impianto era di dimensioni sufficienti per consentire di tenere agevolmente separati i campi magnetici forti dai lavoratori;

– nell’impianto sono stati collocati in posizioni chiaramente visibili opportuni segnali di avvertimento;

– i lavoratori erano stati informati della potenziale esposizione ai campi elettromagnetici, ed erano stati invitati a informare il datore di lavoro, nel caso fossero portatori di dispositivi medici impiantati”.

 

E, infine, la valutazione dell’esposizione ha confermato che “l’impianto era stato progettato in maniera soddisfacente dal punto di vista dell’esposizione ai campi elettromagnetici; pertanto non è stato necessario adottare alcuna precauzione supplementare in seguito alla valutazione dell’esposizione”.

 

 

Commissione europea “ Guida non vincolante di buone prassi per l’attuazione della direttiva 2013/35/UE relativa ai campi elettromagnetici. Volume 2: Studi di casi”, versione in italiano (formato PDF, 6.11 MB).

 

Leggi gli altri articoli di PuntoSicuro sui rischi correlati ai campi elettromagnetici

 

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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La legge sul cyberbullismo

Cominciamo intanto a definire il neologismo italiano, ma di origine anglosassone. Con il termine cyberbullismo si identificano le azioni aggressive ed intenzionali, eseguite attraverso l’utilizzo distorto delle nuove tecnologie, da parte di una persona singola o da un gruppo; tali azioni mirano deliberatamente a colpire o danneggiare un coetaneo incapace di difendersi. Tali azioni si ripetono nel tempo, protraendosi per settimane, mesi o talvolta anni, amplificando i meccanismi propri del bullismo, in quanto la vittima non può direttamente controllare in rete gli attacchi che subisce, nè esistono limiti di tempo di spazio relativi agli episodi di violenza.

 

Questa legge nasce dall’abbinamento di due proposte di legge di iniziativa parlamentare ed è al centro del lavoro svolto dalla commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani, il ministero dell’istruzione, la polizia postale, il garante per l’infanzia e l’adolescenza e quello per la protezione dei dati personali, ed altri enti.

 

La legge si rivolge esclusivamente alla tutela del minore, prevedendo forme specifiche di prevenzione e contrasto al fenomeno, di segnalazione di condotte e di repressione delle stesse, rigorosamente al di fuori della sfera penale.

 

Giova infatti sottolineare come i fenomeni di bullismo in genere sono già oggetto di sanzione penale, in diversi casi.

 

I social network costituiscono la modalità di attacco preferita, e l’attacco si materializza attraverso la diffusione di foto, immagini denigratorie o anche la creazione di gruppi “contro”. Questo attacco nasce da una condizione di diversità del soggetto attaccato, che discende dall’aspetto fisico, dall’orientamento sessuale, dall’essere straniero e da altre caratteristiche specifiche del soggetto attaccato.

 

La legge si rende ben conto che lo strumento principale per contrastare il fenomeno sta nell’attività educativa, attraverso il confronto diretto con i minori, soprattutto in ambito scolastico.

 

Il testo di legge delinea una strategia di azione integrata, volta a proteggere le vittime, creando procedure ed istituti nuovi e specifici per elevare il livello di tutela dei minori.

Ecco perché l’articolo 1 introduce la già menzionata ampia ed articolata definizione di cyberbullismo. Un comma dell’articolo 1 definisce anche il gestore del sito Internet, attraverso il quale possono essere perpetrati gli atti, che hanno attirato l’attenzione del legislatore.

 

L’articolo 2 istituisce una procedura semplificata, davanti al garante per la protezione dei dati personali, che permette di attivare provvedimenti di tutela.

 

L’articolo 3 è dedicato alla istituzione di un tavolo tecnico per la prevenzione e contrasto di questi fenomeni. La presenza di un comitato di monitoraggio permette di tenere sotto controllo l’efficienza ed efficacia delle misure di prevenzione e di contrasto.

 

In considerazione della grande importanza che alla scuola in queste attività, l’articolo 4 prevede, da parte delle istituzioni scolastiche, linee di orientamento per la prevenzione e contrasto del cyberbullismo nelle scuole. Non solo il personale scolastico dovrà essere specificamente preparato, ma si prevede un ruolo attivo degli stessi studenti nel contrastare il fenomeno.

 

L’articolo 5 è dedicato alle misure che incentivano e sostengono l’attività della polizia postale, che può efficacemente contrastare le violazioni di legge commesse in rete.

 

Infine l’articolo 6 prevede che nella o il questore, fino a quando non sia stata proposta querela presentata denuncia, possa rivolgere un ammonimento verbale al minorenne, con più di 14 anni, che sia stato individuato come responsabile di atti di cyberbullismo nei confronti di altro minorenne.

 

Se il giovane rispetterà l’ammonimento, potrà evitare di essere sottoposto a processo penale. L’ammonimento ovviamente cessa di avere conseguenze quando l’ammonito raggiunge la maggiore età, perché allora si cominciano ad applicare diverse disposizioni di legge.

L’autorità garante della protezione dei dati personali ha espresso la sua più viva approvazione nei confronti di questo dettato legislativo, che unisce un approccio preventivo ad uno riparatorio, grazie anche alla procedura di rimozione dei contenuti lesivi della dignità del minore.

 

Adalberto Biasiotti

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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Quando si sfiorano gli infortuni con le gru a ponte

Monza, 17 Lug – Si può definire “near miss” o “quasi infortunio” qualsiasi evento in ambito lavorativo che avrebbe potuto causare un infortunio o un danno alla salute ma, per puro caso, non lo ha prodotto: un evento che ha dunque in sé la potenzialità di produrre un infortunio.

E il nostro giornale si è soffermato molto in questi anni sul tema dei “ quasi infortuni”, anche partendo dai dati che, secondo alcuni studi americani, indicano che per ogni incidente grave nei luoghi di lavoro si stima che ci siano circa 30 incidenti meno gravi e 300 incidenti che non hanno provocato danni alle persone. E ci siamo soffermati su questi eventi anche attraverso l’ organizzazione di un convegno che ha affrontato il tema dell’eventuale obbligo di registrazione e valutazione di incidenti mancati e comportamenti pericolosi.

 

Torniamo a parlare oggi di “quasi infortuni” in relazione ad una interessante scheda dal titolo “Near miss” – prodotta dall’ Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Brianza e pubblicata nella sezione “apparecchiature e impiantistica” del loro sito – relativa agli infortuni sfiorati nell’utilizzo delle attrezzature di sollevamento.

Near miss che sono descritti utilizzando il modello “ Sbagliando s’impara” (SSI), un modello che “inserisce la dinamica dell’infortunio all’interno di uno schema che mette in evidenza i punti su cui intervenire per ridurre la probabilità che abbiano a ripetersi, in futuro, infortuni che hanno analogie strutturali con quello in esame”.

E questi eventi realmente accaduti vogliono essere un “ulteriore strumento a disposizione degli ‘attori della sicurezza’, con la finalità di cercare di ridurre la possibilità che determinati eventi si ripetano”.

 

Ci soffermiamo oggi sulla descrizione di un “quasi infortunio” che riguarda un apparecchio di sollevamento, del tipo gru a ponte, nel settore siderurgico.

 

Un gruista “manovra del materiale con un apparecchio di sollevamento del tipo gru a ponte”. E durante le operazioni di sollevamento, di un carico di dimensioni notevoli, il teleruttore (dispositivo di manovra) di salita “rimane bloccato vanificando l’intervento del limitatore di salita. Il bozzello continua il movimento in salita e urta contro il tamburo dell’argano provocando la rottura della fune e la conseguente caduta del carico (circa 15.000 kg)”.

Fortunatamente nessun lavoratore rimane coinvolto nell’incidente.

 

Questi i fattori causali individuati:

– la manutenzione non è stata estesa anche alla parte elettrica dell’apparecchio di sollevamento;

– nel caso di specie, l’operatore stava lavorando in prossimità del limite superiore in sollevamento. In particolare, stava sollevando un carico caratterizzato da una altezza elevata” che “riduceva lo spazio tra l’estremità dello stesso carico e il limite di fine corsa in salita. In tale situazione il limitatore di sollevamento viene attivato regolarmente;

– secondo la normativa tecnica, in funzione di una valutazione dei rischi, un secondo limitatore può essere necessario, per esempio, quando il limitatore di sollevamento è attivato regolarmente e tale limitatore non è progettato per la regolarità (cfr. punto 5.2.4.2. della norma UNI EN 14492:2009);

– la formazione e l’addestramento effettuati dal gruista hanno portato lo stesso a mantenere una distanza di sicurezza dal carico e ad accertarsi dell’assenza di lavoratori nella zona di movimentazione”.

– “l’installazione di un limitatore di salita ausiliario avrebbe evitato l’incidente”.

 

Dopo aver riportato diverse immagini descrittive e il grafico dell’incidente (che riporta tra i fattori determinanti, ad esempio, l’assenza di una valutazione del rischio “in riferimento al fatto che, per le dimensioni, il carico spesso approccia al limite superiore” o la “ridotta distanza tra il l’estremità superiore del carico e la zona di intervento del limitatore di salita” che non ha permesso al gruista di premere tempestivamente l’arresto di emergenza al fine di bloccare la salita intempestiva del carico), sono riportati alcuni esempi di misure tecniche ed organizzative da attuare in casi simili:

– “la manutenzione degli apparecchi di sollevamento deve essere estesa anche alle parti elettriche. Allo scopo utili strumenti di riferimento sono costituiti dal manuale istruzioni, dalle norme tecniche (es. norma UNI ISO 9927-1) o dalle recenti schede INAIL relative ai controlli degli apparecchi di sollevamento;

– l’azienda deve effettuare una valutazione dei rischi finalizzata a determinare la possibilità di evitare di sollevare carichi in prossimità del limite superiore ovvero, in caso contrario, se è necessario provvedere all’installazione un secondo limitatore di sollevamento così come prescritto dal punto 5.2.4.2. della norma UNI EN 14492:2009)”;

– “il personale addetto alla conduzione della gru a ponte deve essere informato, formato e addestrato (cfr. art. 71, comma 7. D.Lgs. n. 81/2008). Allo scopo lo strumento di riferimento è costituito dal manuale istruzioni fornito dal fabbricante ovvero dalle norme tecniche (es. UNI ISO 9926-1)”;

– tra le immagini presenti nella scheda è riportato “un esempio di installazione di limitatore di salita ausiliario. L’interruttore di fine corsa supplementare è stato inserito nel circuito di alimentazione del contattore di “MARCIA/ARRESTO”. Nel caso di attivazione di questo secondo limitatore, l’apertura del suo contatto provocherà la caduta del teleruttore di “MARCIA/ARRESTO” e, pertanto, sarà disabilitata l’alimentazione ai comandi e ai motori della gru”.

 

Inoltre si ricorda che l’uso dell’apparecchio di sollevamento del tipo gru a ponte, “pur non rientrando tra le attrezzature di lavoro riportate nell’ Accordo Conferenza Stato Regioni, deve essere affidato a persone adeguatamente informate. formate ed addestrate (cfr. art. 71, comma 7, D.lgs. n. 81/2008 e s.m.i.)”.

 

Sono poi riportate ulteriori informazioni e si rammenta che “l’arresto del movimento in salita, nel caso di anomalia del teleruttore, può essere affidato al tempestivo intervento dell’operatore attraverso il pulsante di emergenza previsto sulla pulsantiera”. E che, in caso di incidente, prima dell’utilizzo, “le attrezzature devono essere sottoposte a controllo straordinario da parte di persona competente (cfr. art. 71, comma 8, D.lgs. n. 81/2008)”.

 

Sono segnalati, infine, alcuni utili riferimenti per approfondire questi temi:

– il documento Inail relativo alle schede per la definizione di piani per i controlli di “ apparecchi di sollevamento materiali di tipo trasferibile e relativi accessori di sollevamento”;

– la norma UNI ISO 9926-1:1992 “Apparecchi di sollevamento. Addestramento degli operatori. Generalità”;

– la norma UNI EN 14492:2009 “Apparecchi di sollevamento – Argani e paranchi motorizzati”;

– la norma UNI ISO 9927-1:2009 “Apparecchi di sollevamento. Ispezioni. Generalità”.

Ricordiamo anche la norma UNI ISO 9927-1:2016 “Apparecchi di sollevamento. Ispezioni. Parte 1: Generalità” che ha adottato la ISO 9927-1:2013.

 

Concludiamo rimandando alla lettura integrale del documento che riporta diverse immagini descrittive e un altro esempio di near miss relativo all’utilizzo di una gru a torre.

 

ATS Brianza, “ Near Miss”, scheda pubblicata nella sezione dell’ATS relativa a “apparecchiature e impiantistica” (formato PDF, 1.72 MB).

 

 

Tiziano Menduto

 

Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

 

Fonte: puntosicuro.it

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Più sicurezza negli ambienti confinati grazie all’applicativo web realizzato dall’Inail

Approfondire tutti i principali aspetti connessi alle attività in ambienti ad alto tasso di rischio come cisterne, serbatoi, silos e autoclavi.

 

ROMA – 14/07/2017 Dall’Inail un applicativo web che consente di analizzare tutti i principali aspetti connessi alle attività svolte in ambienti sospetti di inquinamento o confinati (cisterne, serbatoi, silos, autoclavi) in relazione a fattori quali la legislazione vigente, l’identificazione dei pericoli e dei rischi, la qualificazione delle imprese, le fasi di lavoro, le procedure di emergenza e salvataggio, i dispositivi di protezione individuale. È stato questo l’oggetto al centro del seminario svoltosi oggi a Roma, presso l’Auditorium della direzione generale dell’Istituto di piazzale Pastore. L’evento ha visto la partecipazione – oltre che di rappresentanti delle parti datoriali – anche degli importanti partner che hanno collaborato con l’Inail: l’Università di Modena e Reggio, l’Eursafe di Parma e l’Università degli studi di Cassino.

Raccolti oltre 600 casi connessi a questa tipologia di infortuni. L’applicativo web, che “raccoglie” oltre 600 casi connessi a questa specifica tipologia di infortuni verificatisi in Italia dagli anni Sessanta a oggi, è il risultato di un apposito progetto promosso dall’Inail attraverso il bando Ricerche in Collaborazione (BriC) 2015, con particolare riferimento al dpr 177/2011, regolamento che contiene le norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. “Sono ambienti ‘ad alto rischio’ dove ristagnano tipicamente gas e vapori pericolosi – ha detto il presidente dell’Inail, Massimo De Felice, in apertura dei lavori. Si tratta di luoghi in cui avvengono infortuni gravi, spesso mortali. Di frequente sono coinvolte anche intere squadre: lavoratori che si lanciano nel tentativo di salvataggio di colleghi per primi colpiti”.

De Felice: “Essenziale definire protocolli di azione per la protezione dai rischi”. Il progetto intende qualificarsi, dunque, come uno strumento operativo di importanza strategica per tutti quanti operano in questi contesti tanto delicati. “Dall’analisi dei casi risulta evidente l’esigenza di definire protocolli di azione per proteggere dai rischi le fasi di lavoro e per disciplinare in sicurezza le azioni eventuali di salvataggio – ha aggiunto De Felice – C’è bisogno di strumenti che sostengano con efficacia i protocolli di informazione e formazione adeguata dei lavoratori. Ma preliminarmente, per far applicare efficaci misure di prevenzione, è necessario eliminare vaghezze interpretative: definire in modo non–ambiguo che cosa si intende e come si individua l’ambiente confinato e/o sospetto di inquinamento”.

De Petris: “Un repository essenziale per la promozione delle più efficaci misure di prevenzione”. Incidenti come quello del 2008 al Track Center di Molfetta, dove persero la vita cinque operai, rappresentano alcune tra le pagine più dolorose della storia del lavoro italiana e sono comprensibilmente diventati oggetto di denuncia da parte dei mezzi di informazione. “Sono incidenti che purtroppo continuano a verificarsi con costante drammaticità – ha sottolineato Carlo De Petris, responsabile Dit Inail – Proprio per questo l’Istituto sta mettendo in atto un grande impegno per contrastare in ogni modo il perdurare di eventi del genere. Questo progetto rappresenta solo una parte di uno sforzo prodigato sia dall’emanazione del decreto 81/2008 per la diffusione di una maggiore prevenzione all’interno di questo specifico ambito. L’applicativo web vuole essere un repository in grado di offrire la possibilità di promuovere e sviluppare in maniera organica le più efficaci procedure di prevenzione, ponendo le basi per colmare un’assenza di informativa statistica relativa all’incidenza delle cause di questo tipo di infortuni”.

Gambacciani: “La ricerca dell’Inail essenziale per lo sviluppo di linee di indirizzo e buone prassi”. Oltre all’applicativo nel corso del seminario è stato presentato anche un prototipo di robot progettato specificatamente per il settore vitivinicolo e che consente di surrogare l’operatore all’interno degli spazi confinati nel corso delle operazione di svuotamento dei tini. “La ricerca dell’Inail può svolgere un ruolo davvero determinante – ha sostenuto Edoardo Gambacciani, direttore centrale Ricerca dell’Istituto – perché non solo può contribuire a colmare quegli eventuali punti di incertezza che la legislazione ha ancora lasciato attraverso l’emanazione di linee di indirizzo e di buone prassi, ma anche fornire strumenti concretamente operativi per tutte quelle aziende che sono o intendono operare in ambienti confinati o sospetti di inquinamento. L’applicativo consente, infatti, di effettuare un’approfondita valutazione dei rischi, di identificare un percorso di training efficace con l’impiego delle attrezzature più idonee e di svolgere una corretta programmazione di tutte le fasi operative, codificando con certezza le operazioni da porre in essere”.

Spesso all’origine degli incidenti la mancanza delle più elementari regole di sicurezza. Nel corso del seminario sono stati, così, analizzati i principali aspetti di rischio legati agli ambienti sospetti di inquinamento e/o confinati. All’origine degli incidenti – è emerso – si evidenzia quasi sempre una strutturale grave mancanza delle più elementari regole di sicurezza e di consapevolezza dei rischi, nonché una forte “disattenzione” nei confronti dei dispositivi di protezione. Da questo punto di vista l’applicativo web si qualifica come un supporto indispensabile per garantire un’adeguata attività di formazione/informazione mirata alla conoscenza degli specifici fattori di rischio. Grazie a questo strumento, inoltre, è possibile anche la pianificazione anche degli scenari di emergenza, dal momento che nel caso di alcuni casi tragici (come quello dello stesso Truck Center) il tentativo di aiuto messo in atto da alcuni lavoratori si è tradotta in improvvisati interventi di soccorso che, purtroppo, hanno provocato l’incremento del numero delle vittime.

Lucibello: “Essenziale fare rete con partner scientifici di altissimo livello”. “Purtroppo la cronaca ci ha consegnato molti tragici episodi del genere e per questo l’Inail ha il dovere di intervenire con tutte le sue potenzialità – ha affermato il direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello, che ha concluso i lavori – Oggi si parla di industria 4.0, ma in casi come questi è necessario partire dalle regole basilari della prevenzione. Ben vengano, dunque, le nuove tecnologie: soprattutto come queste messe in atto dall’Inail che si traducono in strumenti essenziali, come l’applicativo e il robot, che l’Istituto può proporre a tutti gli attori della prevenzione per cercare di azzerare ogni fattore di rischio. In questo contesto assume un ruolo strategico la capacità dell’Inail di fare rete, cercando la collaborazione di partner scientifici di altissimo livello e che ci permettono di affrontare queste tematiche nel modo più adeguato. L’applicativo web rappresenta davvero uno strumento straordinario a disposizione delle imprese per fare in modo che i tragici eventi del passato possano essere evitati una volta per sempre”.

 

Fonte: INAIL

 

 

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Sulla responsabilità del CSE per l’infortunio occorso al datore di lavoro

Per un ricorso relativo all’infortunio accaduto per lo smottamento del terreno in uno scavo sprotetto nel quale il datore di lavoro era sceso di sua iniziativa non per motivi strettamente di lavoro ma per sue necessità fisiologiche la Corte di Cassazione ha trovato l’occasione per ribadire che

la sicurezza negli ambienti di lavoro deve essere garantita in ogni caso indipendentemente dal requisito dell’attualità dell’attività e quindi anche in momenti di pausa, riposo o sospensione dei lavori perfino per danni che possono derivare a terzi e non a lavoratori addetti. Nel caso particolare sottoposto all’esame della Corte suprema l’ambiente di lavoro era oggettivamente insicuro e le condizioni di rischio che hanno portato all’evento erano presenti nel cantiere già da tempo e facilmente osservabili ictu oculi. Solo per caso, ha osservato la Corte di Cassazione le condizioni di rischio si sono concretizzate nel momento dell’accaduto e non in altri momenti.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e i ricorsi in cassazione

La Corte di Appello ha confermata la pronuncia di primo grado con la quale un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ricorrente era stato assolto, con la formula «perché il fatto non sussiste», dal delitto di omicidio colposo a lui contestato, per avere consentito che il datore di lavoro di un’impresa scendesse all’interno di uno scavo effettuato per la posa in opera di tubi di acqua e fogna, senza che esso fosse provvisto di pareti protettive, sicché lo stesso datore di lavoro rimaneva travolto mentre si trovava all’interno dello scavo, a circa tre metri di profondità, da un improvviso smottamento del terreno che lo ha seppellito, cagionandone la morte.

 

Secondo la Corte di Appello, l’incidente era da ricondurre alla mera imprudenza della vittima che era sceso nello scavo, senza alcuna effettiva esigenza della lavorazione. In particolare, dall’istruttoria svolta con le deposizioni del C.T. del pubblico ministero e dalla perizia d’ufficio in appello era emerso che la vittima era il titolare di una ditta che stava effettuando lo scavo al momento dell’incidente. Lo scavo era finalizzato alla posa di tubazioni di fognatura e il lavoro veniva effettuato da un escavatore per cui la necessità di entrare all’interno dello scavo vi era solo dopo il posizionamento delle tubazioni, per procedere all’aggancio del nuovo tubo a quello già posizionato. Era risultato che al momento dell’incidente, il tubo non era stato ancora posizionato e quindi nessuna necessità tecnica imponeva il titolare dell’impresa di scendere nello scavo e che poco prima del fatto la vittima aveva ordinato di sospendere il lavoro ed aveva detto ad un operaio che andava giù per un bisogno fisiologico. Tale condotta era connotata, secondo la Corte di Appello, da assoluta abnormità, considerato che l’infortunato era il titolare della impresa e che, quindi, aveva piena consapevolezza del rischio di accedere allo scavo.

 

Su ricorso presentato dal Procuratore generale e dalle parti civili, la Corte di Cassazione ha annullata con rinvio la decisione di secondo grado evidenziando che: a) i lavori, alla data dell’incidente, erano in corso da circa quindici giorni e che, dalla perizia di ufficio, era emerso che i lavoratori scendevano abitualmente nello scavo, per livellare il piano della trincea, sganciare i tubi dalla loro imbracatura al momento della posa, controllare il loro posizionamento e provvedere al raccordo dei vari tronconi; b) benché il lavoro fosse avviato da tempo, lo scavo continuava a non essere provvisto di pareti laterali di sostegno; c) trovava applicazione, nel caso di specie, l’art. 13 comma 1 del D.P.R. n. 164 del 1956 (vigente all’epoca dei fatti), secondo cui, «Nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, all’applicazione delle necessarie armature di sostegno»; d) la Corte distrettuale ha errato nel ritenere che le armature delle pareti non fossero necessarie, pur in presenza di una pluralità di operazioni che richiedevano la discesa dei lavoratori nello scavo, con ciò facendo erronea applicazione del citato art. 13, che deve essere interpretato nel senso che «l’obbligo di provvedere all’applicazione di armature di sostegno delle pareti, quando la consistenza del terreno non dia sufficienti garanzia di stabilità, sussiste a partire dal momento in cui lo scavo raggiunge la profondità di metri uno e cinquanta e deve essere adempiuto prima di procedere oltre nell’escavazione, occorrendo, inoltre, provvedere, man mano che si procede nello scavo, al contemporaneo armamento.

 

Nel giudizio di rinvio la Corte di Appello ha ritenuto sussistente la responsabilità penale, e la conseguente responsabilità civile dell’imputato, dichiarando non doversi procedere in ordine al reato, per essere lo stesso estinto per prescrizione, e condannando l’imputato al risarcimento del danno subito dalle parti civili da determinarsi in separato giudizio, con liquidazione di provvisionali.

 

Avverso tale ultima pronuncia l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento. Il ricorrente ha formulato, in primo luogo, istanza di sospensione dell’esecuzione della condanna civile ex art. 612 cod. proc. pen.. In secondo luogo, la difesa ha dedotto una erronea applicazione degli artt. 5 e 13 del D. Lgs. n. 494 del 1996 in quanto non si sarebbe tenuto conto del fatto che la vittima, soggetto dotato di grande esperienza professionale, era scesa nello scavo di sua iniziativa, per espletare una funzione fisiologica, in mancanza di qualsivoglia necessità tecnica che richiedesse la sua presenza o quella di altri all’interno dello scavo. La vittima era anche il responsabile per la sicurezza della sua azienda ed aveva redatto, in tale veste, il piano di sicurezza.

 

La difesa, da parte sua, ha sostenuto che durante la fase di scavo, effettuato con un escavatore meccanico a cucchiaio non è possibile armare le pareti dello scavo e che a nessuno è consentito di scendere nello scavo per nessun motivo. Dunque, l’incidente si era verificato dopo che la stessa vittima, soggetto responsabile della sicurezza del cantiere, aveva ordinato di fermare lo scavo ed era scesa fermandosi in una zona di rispetto dov’era rigorosamente vietato sostare e dove non era stato possibile armare la parete, per espletare una funzione fisiologica. Dalla perizia di ufficio sarebbe emerso che l’infortunato era il soggetto che aveva il compito di procedere autonomamente all’armatura delle pareti laterali o di segnalare al direttore dei lavori o al coordinatore per l’esecuzione la situazione di fatto presente. Inoltre non si poteva sostenere che la fase di scavo fosse terminata al momento del sinistro e non si era in presenza di un’attività in cui la discesa dell’uomo nello scavo era prevista in relazione alla tipologia delle lavorazioni da eseguire. In ogni caso, non sarebbe stata richiesta una costante presenza in cantiere del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, il quale non aveva, dunque, l’obbligo giuridico di impedire l’evento. La difesa ha messo altresì in evidenza che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche ma non si estende al puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 13 del D.P.R. n. 164 del 1956, vigente all’epoca dei fatti, sul rilievo che vi erano attività che si svolgevano con la discesa dei lavoratori nello scavo non armato, espressamente vietata da tale disposizione, oltre che dal piano di sicurezza. Ha anche evidenziato che «l’assenza di armature aveva pacificamente interessato anche le parti di scavo ove già era stata effettuata la posa delle tubazioni, dal che si evince che l’omissione del presidio era frutto di una precisa scelta aziendale operata dalla stessa vittima in qualità di datore di lavoro appaltatore. La Corte suprema ha inoltre affermato che la violazione in questione ha concretizzato il rischio che la disposizione mirava a prevenire, anche a fronte di una discesa della vittima nello scavo, non dettata da esigenze di lavoro, ma per un bisogno fisiologico. Infatti, nel caso di specie, il rischio era presente, conosciuto e segnalato nel piano di sicurezza e la circostanza che l’incidente sia avvenuto non in un momento di posa delle tubazioni non esclude la causalità della violazione delle norme di prevenzione, in quanto l’ambiente di lavoro era insicuro e solo il caso ha determinato lo smottamento del terreno in un dato momento piuttosto che in un altro. La Corte di legittimità ha quindi ribadita “la necessità di garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro, indipendentemente dalla attualità della attività e, quindi, anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro perfino per danni che possano derivare a terzi e non ai lavoratori addetti”.

 

Quanto alla responsabilità dell’imputato, soggetto coordinatore per l’esecuzione dei lavori, la Sez. III ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell’incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. La Corte ha inoltre sottolineato che, poiché i lavori erano in corso da circa due settimane e la circostanza dell’assenza delle pareti dello scavo era visibile ictu oculi, l’imputato avrebbe dovuto pretendere il rispetto delle misure di sicurezza, eventualmente fino all’esercizio dei poteri a contenuto impeditivo, cioè fino ad ordinare la sospensione dei lavori. Era onere pertanto del coordinatore controllare l’iter dei lavori; inoltre la necessità della presenza di presidi alle pareti era già segnalata nei piani di sicurezza e quindi prescindeva da un’eventuale deviazione dello scavo. Ne consegue che l’incidente era da ritenersi conseguenza di una pluralità di autonome condotte eziologicamente legate all’evento, tra le quali quella della stessa vittima, che ha posto in essere una condotta gravemente imprudente, pur essendo pienamente conscio dei relativi rischi, e del coordinatore per la esecuzione delle opere.

 

In merito al rilievo difensivo secondo cui non è richiesta una costante presenza in cantiere del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, il quale non aveva, dunque, l’obbligo giuridico di impedire l’evento, la suprema Corte ha sostenuto che non vi è alcun dubbio che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori abbia un’autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e che non sia, però, tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo, oggi previsto dall’art. 92, lettera f), del D. Lgs. n. 81/2008, di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. Nondimeno però, ha concluso la Sez. III, dalla ricostruzione effettuata dalla Corte di Appello  è emerso che l’imputato non aveva svolto neanche la funzione di alta vigilanza cui era tenuto, tanto che non aveva riscontrato alcun pericolo grave e imminente in relazione alle lavorazioni, né aveva imposto limitazioni o richiesto particolari adeguamenti, semplicemente perché egli non era mai stato visto sul cantiere durante l’esecuzione dei lavori, cosicché mai si era mai accertato direttamente della consistenza degli stessi, pur in presenza di un scavo non armato e di lavoratori che svolgevano lavorazioni all’interno dello stesso.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione III – Sentenza n. 17906 del 10 aprile 2017 (u. p. 25 ottobre 2016) –  Pres. Ramacci – Est. Andronio – Ric. M. P.. – La sicurezza negli ambienti di lavoro deve essere garantita in ogni caso indipendentemente dal requisito dell’attualità dell’attività e quindi anche in momenti di pausa, riposo o sospensione dei lavori perfino per danni che possono derivare a terzi.

 

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Fonte: puntosicuro.it

Generic

Impianti elettrici di cantiere: la documentazione necessaria in cantiere

Bologna, 30 Giu – In relazione all’installazione di impianti elettrici nei cantieri il progetto multimediale Impresa Sicura – elaborato da EBEREBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna, Inail e validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013, fornisce agli installatori degli impianti e alle imprese utilizzatrici diverse informazioni  sulla documentazione necessaria in cantiere.

 

Il documento “ ImpresaSicura_Impiantistica elettrica di cantiere” si sofferma, ad esempio, sulla  dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico e dell’eventuale impianto di protezione contro le scariche atmosferiche, con riferimento all’art. 7 del decreto 22 gennaio 2008, n. 37, “Regolamento concernente l’attuazione dell’articolo 11-quaterdecies, comma 13, lettera a) della legge n. 248 del 2 dicembre 2005, recante riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici”.

 

La dichiarazione di conformità dell’installatore “equivale all’omologazione dell’impianto, come previsto dall’art. 2 del DPR 22/10/2001 n. 462 ‘Regolamento di semplificazione del procedimento per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra di impianti elettrici ed impianti elettrici pericolosi’”.

Si segnala poi che per gli impianti elettrici di cantiere “non è obbligatorio il progetto (art. 10 DM 37/2008)”.

 

Art. 10. Manutenzione degli impianti

1. La manutenzione ordinaria degli impianti di cui all’articolo 1 non comporta la redazione del progetto né il rilascio dell’attestazione di collaudo, né l’osservanza dell’obbligo di cui all’articolo 8, comma 1, fatto salvo il disposto del successivo comma 3.

2. Sono esclusi dagli obblighi della redazione del progetto e dell’attestazione di collaudo le installazioni per apparecchi per usi domestici e la fornitura provvisoria di energia elettrica per gli impianti di cantiere e similari, fermo restando l’obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità.

3. Per la manutenzione degli impianti di ascensori e montacarichi in servizio privato si applica il decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162 e le altre disposizioni specifiche.

 

Inoltre la dichiarazione di conformità, redatta sul modello previsto dal DM 37/2008, “deve essere correttamente compilata; in particolare, devono essere barrate le voci previste e indicate le norme tecniche utilizzate per la realizzazione dell’impianto”.

 

Il documento, che vi invitiamo a visionare integralmente, riporta diversi esempi di modulistica e dichiarazioni, con esempi di corretta o scorretta redazione.

 

Si segnala poi, anche in questo caso con il supporto di diverse immagini esplicative, che le dichiarazioni di conformità devono “comprendere tutti i relativi allegati obbligatori”:

– relazione con tipologia dei materiali utilizzati: nel documento è presentata l’immagine di una relazione dettagliata. Tuttavia la relazione “può essere redatta anche in una forma più generica, ma in questo caso l’installatore non può dimostrare quali sono i materiali che ha effettivamente utilizzato”;

 

– schemi di impianto (unifilare e planimetrico): riportiamo, a titolo esemplificativo, uno schema che “non è accettabile” (nel documento sono riportati anche esempi di schemi più idonei):

Schema impianto non corretto_Foto1_ImpresaSicura_22giu17

 

– copia del Certificato di riconoscimento dei requisiti tecnico-professionali: “da tale documento deve risultare che la ditta installatrice è abilitata per la realizzazione degli impianti di cui alla lettera a) dell’art. 1 del DM 22/1/08 n. 37” (Impianti di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione, utilizzazione dell’energia elettrica, impianti di protezione contro le scariche atmosferiche, nonché gli impianti per l’automazione di porte, cancelli e barriere).

 

Sono poi riportate indicazioni sui possibili allegati facoltativi e si indica che “nel caso in cui l’impianto subisca trasformazioni, ampliamenti o interventi di manutenzione straordinaria, l’installatore deve redigere un’ulteriore dichiarazione di conformità relativamente ai lavori eseguiti”.

 

Veniamo poi brevemente alla denuncia dell’impianto di messa a terra e/o di protezione contro le scariche atmosferiche, con riferimento all’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462.

 

Il documento indica che la denuncia “deve essere trasmessa al Dipartimento INAIL (ex ISPESL) e all’Azienda USL competenti per territorio. Per la denuncia è sufficiente l’invio, da parte del datore di lavoro, della dichiarazione di conformità senza gli allegati obbligatori, con il relativo modello di trasmissione”. La dichiarazione di conformità e tutti gli allegati “devono, invece, essere presenti in cantiere, unitamente all’attestazione di avvenuta spedizione a INAIL e AUSL”.

Nel documento è riportato un modello di trasmissione della dichiarazione di conformità.

 

ImpresaSicura si sofferma poi sulla valutazione del rischio di fulminazione.

Infatti il datore di lavoro “deve effettuare una valutazione del rischio di fulminazione diretta ed indiretta delle strutture presenti in cantiere” e tale valutazione, “prevista dall’art. 80 del D. Lgs. 81/08, deve essere eseguita in conformità alle norme tecniche”.

A questo proposito si segnala che per “accertare velocemente la necessità o meno di protezione delle strutture di cantiere nelle situazioni più comuni si possono usare le indicazioni e i grafici della Guida CEI 64-17”. Questi grafici, relativi alla protezione contro i fulmini per ponteggi e gru, “sono stati costruiti in base alle seguenti ipotesi:

1) rischio di perdita di vite umane dovuto alle tensioni di contatto e di passo, per la presenza di persone a contatto o in prossimità delle calate;

2) carico di incendio nullo;

3) presenza di persone all’esterno;

4) terreno di tipo agricolo/cemento;

5) nessuna protezione contro l’incendio;

6) tutto il personale presente in cantiere è considerato esposto al rischio”.

Il documento si sofferma poi più nel dettaglio sui parametri da considerare per l’uso dei grafici.

 

Riguardo al rischio di fulminazione rimandiamo ad un recente documento dell’Inail, dal titolo “ Impianti di protezione contro le scariche atmosferiche. Valutazione del rischio e verifiche”, che riporta utili indicazioni anche con riferimento alle novità della normativa tecnica.

 

Concludiamo segnalando che il documento di Impresa Sicura, riguardo alla documentazione, riporta, inoltre, utili informazioni su:

– verbali di verifica periodica dell’impianto di messa a terra e dei dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche (art. 4 D.P.R. 462/2001): “trascorsi due anni dalla data di messa in esercizio degli impianti di messa a terra e/o di protezione contro le scariche atmosferiche, ovvero dalla data della dichiarazione di conformità, il datore di lavoro è tenuto a

far sottoporre detti impianti a verifica periodica”;

– registro dei controlli.

 

 

Il sito “ Impresa Sicura”: l’accesso via internet è gratuito e avviene tramite una registrazione al sito.

 

Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro – Buone Prassi -Documento approvato nella seduta del 27 novembre 2013 – Impresa Sicura

 

 

 

RTM

 

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Fonte: puntosicuro.it